S. Cirillo di Gerusalemme. Dal Commento al Vangelo di Giovanni sul Buon Pastore

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Prova di appartenere alle pecore di Cristo è ascoltare volentieri ed essere pronto a obbedire, come anche non star dietro alle cose estranee. E ascoltare è, per noi, lo stesso che credere a ciò che si dice.
Sono poi conosciuti da Dio quelli che lo ascoltano; ed essere conosciuto equivale a essere congiunto: nessuno, infatti, è del tutto sconosciuto a Dio. Quando, dunque, dice: Conosco le mie è come se dicesse: le abbraccerò e le unirò a me misticamente e possessivamente.
Ma qualcuno forse potrebbe dire che egli, in quanto si è fatto uomo, unisce a sé tutti gli uomini per la uguaglianza del genere: in questo modo siamo tutti congiunti a Cristo, in quanto si è fatto uomo, in modo mistico. Sono, invece, estranei tutti quelli che non conservano l’immagine conforme della santità. Così anche i Giudei che erano congiunti del fedele Abramo, secondo la stirpe, perdettero la parentela con lui per il fatto che divennero infedeli a causa della loro diversità di comportamento.
Dice poi e le pecore mi seguono: infatti quelli che credono, per una certa grazia divina seguono anche le orme di Cristo, non osservando ormai le ombre della Legge, ma seguendo, con la sua grazia, i comandamenti e le parole di Cristo: saliranno alla sua dignità, in quanto chiamati ad essere figli di Dio.
Ascendendo, infatti, Cristo in cielo, anch’essi lo seguiranno: afferma che coloro che lo seguono avranno come mercede e premio la vita eterna, e inoltre che non saranno soggetti alla morte e alla corruzione, e neppure alle pene che saranno inflitte dal giudice a coloro che si abbandonano al peccato.
Per il fatto che egli dà la vita, dimostra di essere egli stesso la stessa vita, e di averla da se stesso senza riceverla da un altro. Intendiamo parlare della vita eterna, non di una lunga vita di cui, dopo la risurrezione, godranno tutti, tanto i buoni che i cattivi, ma di quella che si vive nella pace e nella tranquillità. Possiamo intendere come vita anche la mistica Eucaristia per mezzo della quale Cristo inserisce la sua stessa vita, facendo i fedeli partecipi della sua propria carne, secondo quanto è detto: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna (Gv 6, 54).
E nessuno può rapirle dalla mano del Padre. I fedeli hanno da Cristo anche la protezione, giacché il diavolo non può rapirli, ossia essi hanno un godimento continuo dei beni e rimangono in lui: nessuno può strappare ad essi la tranquillità d’anima che è stata data loro riguardo alla pena e ai tormenti.
Non è possibile che coloro che sono sotto la protezione di Cristo siano rapiti per essere tormentati, giacché Cristo è di gran lunga più forte. Infatti, nella sacra Scrittura la mano significa la potenza, e non c’è dubbio che la mano di Cristo sia invincibile e onnipotente.
Poiché vedeva che i Giudei lo deridevano come un semplice uomo e non avvertivano che colui che essi vedevano e toccavano come un uomo era egli stesso Dio per natura, volendo convincerli a credere che egli era la potenza del Padre, dice: Nessuno può rapirle dalla mano del Padre, ossia dalla sua mano. Dichiara così di essere la destra onnipotente del Padre, come se il Padre operasse tutto per mezzo di lui, allo stesso modo che ciò che è fatto da noi viene compiuto dalla nostra mano.
In molti luoghi della Scrittura, infatti, Cristo è chiamato la mano e la destra del Padre, che è lo stesso che la potenza; e semplicemente è chiamata mano di Dio la potenza e la forza che compie tutte le cose. Ciò che si dice di Dio è sempre più grande di quello che la mente possa immaginare.
Si dice che il Padre dà al Figlio, non come se questi non avesse sempre sotto di sé la creatura, ma come se desse a colui che è la vita per natura noi che non l’abbiamo, per essere vivificati dal Figlio che è per natura vita e ce l’ha come sua propria.
Ma poiché si è fatto uomo, gli si addice chiedere e ricevere dal Padre quelle cose che egli possedeva come Dio per natura.
Io e il Padre siamo una cosa sola. Lasciando da parte le prerogative umane, Cristo ricorre alla sua dignità divina fruendo delle sue qualità naturali per l’utilità dei fedeli e per la loro sana fede perché non sospettassero, in nessun modo, che il Figlio è inferiore al Padre. Così si mostra l’intemerata immagine del Padre che conserva in sé integra e pura l’impronta del Padre.


(Dal Commento al Vangelo di Giovanni, VII, vv. 10, 26-30)

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