C. Caffarra. Omelie sulla III domenica di Pasqua

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TERZA DOMENICA DI PASQUA
26 aprile 1998

I cinquanta giorni durante i quali celebriamo la risurrezione del Signore, sono il tempo privilegiato durante il quale ci è dato di “sperimentare-sentire-percepire” la presenza del Signore risorto in mezzo a noi. Di verificare le parole di Gesù: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20b).
E’ per questo che anche oggi il Vangelo ci narra un incontro degli Apostoli col Signore; anzi più precisamente, di una manifestazione di Gesù: “Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli”. Questi racconti sono assai importanti per la nostra fede: essi infatti ci rivelano come avviene anche oggi l’incontro del credente col Signore risorto. Certo: le concrete modalità con cui il Risorto si è manifestato ai sette discepoli non sono quelle con cui Egli si manifesta a ciascuno di noi. Ma ciò che è accaduto a loro può accadere anche a noi: il Signore si manifesta! Vivo, nella sua Persona.

1. “Gesù disse loro: venite a mangiare … pure il pesce”. E’ questo il momento culminante della manifestazione e dell’incontro. Non c’è più alcun dubbio sulla sua identità (“E nessuno dei discepoli … che era il Signore”). Che cosa accade? “Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro”.
E’ una profonda esperienza di vicinanza, nella quale ogni estraneità del discepolo col Signore e reciprocamente, è superata. S. Pietro dirà ai suoi fedeli: “stringendovi a Lui …”. Mentre al popolo dell’antica alleanza era stato detto: “Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: guardatevi dal salite sul monte e dal toccare le falde” (Es. 19,11). Non che la distanza sia stata superata dall’uomo; è stato Dio che in Gesù si è fatto vicino all’uomo: “allora Gesù si avvicinò”. Egli si è avvicinato, poiché avendo noi “in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe” (Eb 3,14). E pertanto, Egli non è uno “che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato Lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (ib. 4,15).
E’ una profonda esperienza di convivialità durante la quale Gesù stesso ci serve il cibo: “prese il pane e lo diede loro”. L’evangelista S. Luca ci ha conservato alcune parole dette da Gesù la sera prima della morte: “io preparo per voi un regno … perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno” (Lc 22,29-30). Sul lago di Tiberiade, quella mattina, si adempie questa promessa del Signore; si adempie l’antica promessa del profeta: “Preparerà il Signore degli Eserciti … un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti” (Is 25,6).
Fratelli, sorelle: sono sicuro che avrete già collegato questo banchetto del Signore risorto coi suoi discepoli, durante il quale questi vivono un’indicibile esperienza di vicinanza a Lui, coll’Eucarestia. E’ un collegamento giusto, questo che avete fatto. A ciascuno di noi è dato di vivere la stessa esperienza di comunione col Signore risorto proprio attraverso il banchetto eucaristico. Anzi, l’Eucarestia è esattamente questo: la presenza del Cristo risorto in mezzo a noi. Nella celebrazione dell’Eucarestia noi possiamo vivere di questa presenza reale, anche se nascosta: non solo Egli si dona a noi nella sua Parola che ci conforta e ci consola, ma nel suo Corpo e nel suo Sangue.
“E nessuno dei discepoli osava domandargli: «chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore”. Che la nostra fede sia così viva che non sentiamo più il bisogno di chiederci: ma che cosa stiamo facendo? Ben sapendo che stiamo celebrando il mistero della Presenza del Signore con noi.

2. Domenica scorsa, la storia di S. Tommaso ci ha insegnato che per riconoscere il Signore risorto, per avvertire la sua Presenza fra noi è necessaria la fede: “non essere più incredulo, ma diventa credente” aveva detto a Lui il Signore.
Oggi, il quadro delle disposizioni umane necessarie per “vedere” la presenza del Signore, si completa. Se fate bene attenzione alla pagina evangelica, vedete che, come sempre, all’inizio il Signore non è riconosciuto. Il primo a riconoscerlo è il discepolo che Gesù amava: è l’amore che rende il discepolo prediletto capace di riconoscere Colui che è sulla riva, come il Signore. E’ l’amore che dona all’uomo la capacità di vedere Gesù. Tommaso ha creduto dopo che ha messo la mano nel costato di Cristo: dopo che ha sentito l’amore del Signore. E’ l’amore che dona alla nostra anima gli occhi per vedere. Quando si tratta di qualcosa, tu puoi conoscere pur restando del tutto indifferente nei suoi confronti. Quando si tratta di qualcuno, di una persona, la si può conoscere solo nella misura in cui la si ama: il mistero di ogni persona di apre solo agli occhi del cuore di chi lo ama. Lo stesso accade nella nostra esperienza di fede: il primo a riconoscere il Signore è colui che aveva amato di più il Signore.

Fratelli e sorelle: questa pagina narra l’ultima apparizione del Risorto ai discepoli. Anche noi nelle domeniche successive non mediteremo più sulle apparizioni del Risorto, come abbiamo fatto nelle prime tre domeniche di Pasqua. Ma l’ultima apparizione, come è descritta oggi dal Vangelo di Giovanni, non ci sembra affatto un commiato: il tempo si è come fermato. Il Risorto rimane con noi: non importa se non lo vediamo cogli occhi del nostro corpo. Egli rimane, poiché il banchetto eucaristico è sempre preparato nella Chiesa. Resta l’Eucarestia per i discepoli che credono ed amano il Signore. “E’ il mistero eucaristico che accompagna la Chiesa nel suo cammino e fa già presente la fine. La fine del mondo è la Sua presenza” (D. Barsotti).

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