Hebdomada Major, «Settimana Maggiore». Quando la Chiesa non aveva ancora chiesto scusa di parlare in latino, così indicava la «Settimana Santa». Quella che proprio da oggi -giovedì- s'immerge nel gorgo del Mistero; e che dopo aver attraversato le tenebre del venerdì e il silenzio angosciato del sabato, esplode nella luce gioiosa dell'alba, nella Domenica di Risurrezione. Missa in coena Domini, stasera, in ricordo (e in rendimento di grazie) della istituzione di quella Eucarestia che fa sì che, per la fede, il remoto Gesù della storia sia il Cristo ogni giorno presente, il Vivo che nutre i vivi con la sua carne e con il suo sangue. Follia, per «la sapienza del mondo». Com'è follia quel Figlio di Dio che, prima della Cena, si inginocchia davanti ai discepoli e lava loro i piedi. Il più umiliante dei servizi, tanto da interdirlo allo schiavo circonciso e da pretenderlo solo dal servo pagano. Settimana «Maggiore»: e non per caso. Per il cristiano è la Pasqua il cardine dell'anno, questa è la Festa per eccellenza. Tanto che ogni domenica -dies Domini, giorno del Signore- se ne celebra il memoriale. Ma allora perché, perfino fra i credenti, non sembra potere più competere, neppure alla lontana, con il Natale? Né per quantità di auguri, né di doni, né di addobbi (né di spot pubblicitari; segni, a modo loro, di quanto le ricorrenze inducano a «far festa»: dunque a consumare di più). Non sarà perché il Natale, così com'è ridotto, può trovare facile accoglienza anche nella società post-cristiana, come luogo dei «valori comuni», di quei «sentimenti» tanto nobili quanto innocui con i quali, almeno per un giorno, ci si può illudere di essere tutti d'accordo? Una certa idea zuccherosa di famiglia, il giocattolo al figlio, il calore e la luce della casa, qualche struggente ricordo d'infanzia... Che cos'è, alla fine, il Natale se non la storia, semplice ed eterna, di un bambino che nasce? Certo: la luce della fede scorge l'Abisso dietro la culla di Betlemme. Ma, anche chi fede non ha, può vedervi un simbolo consolante, una leggenda piena di significato. La Pasqua, no. Se Natale può far sembrare uniti, la Pasqua divide. Se Natale è, in qualche modo, valore comune, Pasqua è scandalo e follia. Natale è un uomo che nasce: e che c'è di più consueto? Pasqua è un uomo che risorge: e che c'è di più inconsueto, anzi di incredibile? Il «mondo», benevolo, può accogliere anche il presepe, un giorno d'inverno. Ma c'è una domenica di primavera in cui, chi si ostini a credere che davvero la morte è stata sconfitta, ritorna ad essere «un ciarlatano» come Paolo per gli intellettuali pagani quando, ad Atene, parlò loro di risurrezione. Eppure, proprio per questo il Vangelo è «buona notizia». Non c' è, forse, la fine della speranza che la morte non sia l'ultima parola, dietro questa nostra incapacità di capire che fra tre giorni è la «Festa delle Feste»?.
Corriere della Sera. 9 aprile 1998
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