Parleremo non di una coppia, ma della famiglia di Lazzaro e le sue due sorelle. Marta e Maria di Betania. In essa Gesù preferiva trascorre il suo tempo libero e amava riposare, perché legato da profondo affetto.
a) l’amore di Gesù per Lazzaro vince la morte
Giovanni consacra un capitolo alla storia d’amicizia di Gesù con la famiglia di Betania e da ciò comprendiamo che questo rapporto non era superficiale o identico a tutti gli altri. Gesù «voleva bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro» (11,5). Questi era suo «amico» (11,3.11) e dei suoi discepoli che spesso albergavano presso di loro per rifocillarsi e riposarsi. Lazzaro è l’unico miracolato di Giovanni che ha un nome ed è chiamato dal «pastore bello» che conosce e chiama ciascuna delle sue pecore per nome (cf. 10,3).
Lazzaro s'ammalò al punto da impensierire le sorelle che mandarono un'ambasciata ad avvisare Gesù che il suo amico è ammalato (cf. 11,3), sapevano ch'egli non era molto lontano da Betania (forse un giorno di cammino). Gesù non lascia tutto per andarlo a trovare, ma dopo che ha saputo la notizia rimane altri due giorni in quel luogo (cf. 6). Si reca il «terzo giorno»! Nella Bibbia il «terzo giorno» ha un significato non cronologico, ma teologico. Nell’Antico Testamento era considerato il giorno della liberazione, della salvezza, della vittoria sulla morte e su ogni schiavitù, dopo un periodo di prova. «Venite, ritorniamo al Signore... Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed Egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare» (Os 6,12). Abramo il «terzo giorno» vide il luogo dove sacrificare il figlio Isacco, gesto che apparentemente segnava la fine di ogni speranza, e che invece dall’intervento di Dio fu trasformato in benedizione (Gn 22,4); Giuseppe, figlio di Giacobbe, il «terzo giorno» libera i suoi fratelli del carcere (42,18); il «terzo giorno» JHWH, dopo tre giorni di attesa, appare finalmente sul Sinai e stringe un’alleanza con il suo popolo (Es 19,16); dopo «tre giorni» e tre notti Giona viene liberato dal ventre della balena (2,1). Nel Nuovo Testamento il «terzo giorno» Gesù risuscita dalla morte. Pertanto il «terzo giorno» ha un significato teologico, è il giorno della salvezza.
I discepoli, preoccupati per la sicurezza di Gesù, cercano di dissuaderlo e gli fanno osservare che precedentemente in quel villaggio avevano avuto problemi con i Giudei che volevano lapidarlo (cf. Gv 10,39). Gesù non teme di affrontarli… arriva dopo quattro giorni. «Lazzaro è morto» (11,14), è nel sepolcro (cf. 17) e davanti al sepolcro «scoppiò in pianto» (35). Alcuni Giudei presenti dissero: «Vedi come lo amava!» (36), ma persino davanti alla manifestazione esterna dei sentimenti verso l’altro c’è sempre qualcuno che cerca di rendere superficiale il significato del gesto (cf. 37). Davanti al sepolcro Gesù grida «Lazzaro, vieni fuori!» (43). A questo comando il morto uscì subito dal sepolcro, avvolto ancora dalle bende: la morte non poteva trattenere colui che veniva chiamato dalla Vita. Con quel grido dimostra di essere Colui del quale è scritto: «La voce del Signore è potente» (Sal 28,4; 67,34). Questa voce che ha richiamato l’amico dalla morte alla vita ci ricorda quello che Ezechiele aveva profetizzato: «Apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe» (37,12). Profezia ripresa da Gesù, quando dichiara che quanti sono nei sepolcri: «ascolteranno la voce del Figlio di Dio e risorgeranno» (cf. Gv 5,25). Lazzaro «usci» (11,44).
L’amore verso Lazzaro strappa ancora un «segno». Se nel Cantico dei cantici si dice che «l’amore è forte come la morte» (8,6), qui Giovanni intende affermare che l’amore è più forte della morte. Gesù, dando la vita a Lazzaro, sarà condannato a morte (Gv 11,53). Chi dona la vita, riceve morte; ma, proprio ricevendo morte, dà vita. È il paradosso della croce (cf. 1Cor 15,54b). Sarà l’ultimo dei «segni», che rivelano la gloria del Figlio di Dio, prima della sua passione. Nella Bibbia sono raccontanti sette ritorni in vita dopo la morte, due nell’AT e cinque nel NT: i figli della vedova (1Re 17,17-24) e della Sunammita (2Re 4,18-37), risuscitati rispettivamente dai profeti Elia ed Eliseo; la figlia di Giairo (Mc 5,22-24.35-43), il figlio della vedova di Naim (Lc 7,11-17) e Lazzaro, risuscitati da Gesù; Tabità (At 9,36-42) ed Eutico (At 20,9ss), risuscitati rispettivamente dagli apostoli Pietro e Paolo. Nel piano di Dio il nostro male è assunto come luogo in cui egli si rivela pienamente e ci salva.
Una riflessione per noi
Possiamo vedere in Lazzaro l’interra umanità, la coppia credente che lontano dal Signore, si ammala e muore. Non parliamo della morte fisica, ma quella ontologica cioè il distacco da Gesù che è la vite. Siamo i tralci e solo se attaccati a Lui possiamo vivere. Senza linfa il tralcio muore, così è per colui che si stacca da Cristo… non ha più vita in se, perché Cristo è la Vita (Gv 14,6). Gesù viene a cercare ciò che è morto… anche se siamo in una situazione simile ad un morto imputridito e nel sepolto «già da quattro giorni» (11,17). I quattro giorni indicano una reale situazione di morte. C’era fra i rabbini l’opinione che l’anima si librasse presso il cadavere per tre giorni, ma dopo tale tempo non c’era più speranza di resuscitare. Proprio quando riteniamo che tutto è finito Gesù può darci la vita: «è venuto perché noi tutti abbiamo la vita in abbondanza» (cf. 10,10).
Riporto i versi di Nerses Snorhalì che fa sua l’esperienza di Lazzaro.
Come Lazzaro, (tuo) amico,
Io morto fui messo nella tomba;
Ed è non da quattro giorni ma da lunghi anni
Che l’anima mia morta giace nel mio corpo.
Fa’ risuonare in me la voce tua celeste
E fammi intendere la (tua) Parola;
Scioglimi dai vincoli infernali,
Ritraimi dalla mia casa tenebrosa (Jesus, 666-667).
Lazzaro rischierà per la sua amicizia con Gesù: «i sacerdoti deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù» (Gv 12,11.17).
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