LA CROCE E IL CROCIFISSO. Uno studio da meditare

La croce è per molti «scandalo» e «follia», ma proprio la ragione del suo scandalo - l'amore gratuito, misericordioso e onnipotente di Dio per gli uomini - è per i credenti la ragione della sua potenza e della sua verità. La croce ha due facce, l'apparente sconfitta e la vittoria, il Crocifisso e il Risorto. Mostra tutta la malvagità e la miseria dell'uomo che non esita a condannare il Figlio di Dio innocente; ma anche tutta la profondità e l'efficacia del perdono di Dio. L'ultima parola non è il peccato, ma l'amore! Qui, e non altrove, va cercata la vera ragione della speranza cristiana, la lieta notizia che dà senso e spessore alla vita e alla storia, nonostante i fallimenti.Ma è una lieta notizia che esige conversione. Le folle - dice l'evangelista Luca narrando la passione - accorrono, guardano e ritornano «battendosi il petto» (23,48). Lo «spettacolo» della croce capovolge la vita. Fa contemplare la profondità inaudita dell'amore di Dio, e fa comprendere che la nostra vita deve assomigliare alla vita di quel Crocifisso che si dona senza riserve, che, rifiutato, ama e perdona, e non rompe la solidarietà con chi lo rifiuta.[1]L'evento della Redenzione operata da Cristo con la sua morte e risurrezione occupa il posto centrale in tutta la storia della salvezza. Invitati a fare una speciale memoria della Redenzione affinché essa penetri più a fondo nel nostro pensiero e nella nostra azione, cercheremo di approfondire il significato di Croce e di Crocifisso dal momento che Cristo, venuto nel mondo dal seno del Padre, per redimerci ha offerto se stesso sulla Croce in un atto di amore supremo per l'umanità.



LA CROCE E IL CROCIFISSO

La croce è per molti «scandalo» e «follia», ma proprio la ragione del suo scandalo - l'amore gratuito, misericordioso e onnipotente di Dio per gli uomini - è per i credenti la ragione della sua potenza e della sua verità. La croce ha due facce, l'apparente sconfitta e la vittoria, il Crocifisso e il Risorto. Mostra tutta la malvagità e la miseria dell'uomo che non esita a condannare il Figlio di Dio innocente; ma anche tutta la profondità e l'efficacia del perdono di Dio. L'ultima parola non è il peccato, ma l'amore! Qui, e non altrove, va cercata la vera ragione della speranza cristiana, la lieta notizia che dà senso e spessore alla vita e alla storia, nonostante i fallimenti.
Ma è una lieta notizia che esige conversione. Le folle - dice l'evangelista Luca narrando la passione - accorrono, guardano e ritornano «battendosi il petto» (23,48). Lo «spettacolo» della croce capovolge la vita. Fa contemplare la profondità inaudita dell'amore di Dio, e fa comprendere che la nostra vita deve assomigliare alla vita di quel Crocifisso che si dona senza riserve, che, rifiutato, ama e perdona, e non rompe la solidarietà con chi lo rifiuta.[1]
L'evento della Redenzione operata da Cristo con la sua morte e risurrezione occupa il posto centrale in tutta la storia della salvezza. Invitati a fare una speciale memoria della Redenzione affinché essa penetri più a fondo nel nostro pensiero e nella nostra azione, cercheremo di approfondire il significato di Croce e di Crocifisso dal momento che Cristo, venuto nel mondo dal seno del Padre, per redimerci ha offerto se stesso sulla Croce in un atto di amore supremo per l'umanità.

1. LA CROCE
Già nell'antichità precristiana, la croce, contraddistinta dal numero quattro, è simbolo dell'unione dei contrari (sopra-sotto, destra-sinistra).
Era un simbolo molto diffuso per indicare la vita e quindi la divinità nelle varie forme che si svilupparono poi anche nella cristianità (ansata o egiziana , commissa o greca T; immissa o capitata o aperta o latina , a forma di X [Chi], gammata o uncinata G e la croce svastica o le 4 gamma simbolo del movimento rotatorio e quindi della vita).[2]
Come segno cosmico - relativo al sole e al suo corso o ai quattro punti cardinali - si incontra nella forma della croce a ruota o della croce uncinata: cosi presso i sumeri, nell'India antica e nella zona danubiana del neolitico. Come segno di salvezza o di protezione esso si presenta su numerosi sigilli e amuleti antichi. Su una stele vediamo il re assiro Shamshi-Adad (824-810) portare una croce appesa al collo con una funicella, nella forma della crux quadrata.
La parola “croce” deriva probabilmente dal sanscrito krugga che significa “bastone”; i Greci la chiamarono stauròs, “palo”; gli Ebrei 'es “albero”. Tutti questi nomi indicano l'origine primitiva della croce come supplizio: un albero o un palo al quale i condannati venivano confitti con chiodi, o legati con funi, oppure impalati
Nell'Antico Testamento la croce era quasi sconosciuta; però i cadaveri dei giustiziati venivano appesi, ad accrescimento della loro ignominia. Dopo la lapidazione di un malfattore condannato a morte, lo si appendeva ad un albero.[3] Il serpente fissato a un'asta per ordine del Signore divenne in epoca neotestamentaria il “tipo”, cioè la prefigurazione di Gesù crocifisso: “Chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita” (Nm 21,8; cf Gv 3,14-15; 19,37).
Presso i cristiani ebbe molto sviluppo la croce monogrammatica (nella Ep. Barnaba 9,8 si ha l'abbreviazione di Iesus in IH) nelle composizioni di X (Chi Jota), XP (Chi Rho)[4] e il monogramma a forma di croce _.
La letteratura patristica e le testimonianze archeologiche hanno un loro punto di riferimento sulla croce nella festa della inventio crucis nata dalla dedicazione delle basiliche costantiniane del Santo Sepolcro e del Calvario (325). Da allora si sviluppò il culto della croce dando luogo a tutta una serie omiletica ed iconografica ben individuabile.
Prima di tale data, la croce era nell'ambiente ellenistico-romano solo un servile supplicium e come tale la si ha nel NT. Quanto alle testimonianze cristiane, se si eccettuano alcuni elementi in Ignazio di Antiochia,[5] essa è assente nei Padri Apostolici e ha un posto secondario negli Apologisti. In Giustino, i suoi riferimenti sono in relazione alla croce anima mundi, di estrazione platonico-stoica, rappresentata graficamente da un X (Chi)[6]; e ai testimonia ligni dell'AT in polemica col giudaismo.[7]
Particolare attenzione alla croce viene riservata negli ambienti cristiani dell'Asia Minore, giudeo-cristiani di tradizione pasquale quartodecimana. In tale contesto la croce non è l'umile legno di supplizio ma la croce in senso di vita, è il Signore medesimo indicato come la Vita appesa. Le comunità quartodecimane, celebrando la Pasqua non nella tradizione sinottica dell'ultima cena ma in quella giovannea della morte del Signore, compresero la passione come il compimento della Pasqua degli ebrei e quindi dell'affermarsi della vita sulla morte. Nelle loro omelie pasquali, si ha perciò l'encomio della croce come encomio della Pasqua vita-luce (da qui nacque il monogramma della croce fvs zvh (phos-zoé), diffusasi nell'universo intero per cui il venerdì di passione (14 nisan) non era un giorno di lutto ma “si doveva assolutamente porre termine al digiuno”.[8] Scomparsa la tradizione della celebrazione pasquale quartodecimana (gli asiatici si adeguarono al costume romano di celebrarla la domenica), la comprensione della croce luce-vita cedette il suo significato ad altre considerazioni teologiche (come soteriologia e riconciliazione), ascetiche (come accettazione del dolore e perseveranza), liturgiche (il filone dei carmi de veneranda cruce e del sermo de adoratione pretiosae crucis).
L'inventio Crucis (325) diede poi sviluppo alla croce come signum victoriae, alla crux invicta, tanto presente nell'iconografia antica, rapportata non più al crocifisso ma alla venuta gloriosa del Signore (croce gemmata). Un particolare sviluppo ebbe la terminologia della croce, di contesto quartodecimano, nell'applicazione alla ecclesiologia. Fu rilevante anche, nell'antichità, il signum crucis, usato prima di ogni azione,[9] ed assurto a valore rituale di efficacia sacramentale[10] e di appartenenza al cristianesimo (si diventava cristiani da quando si veniva segnati sulla fronte).
2. LA CROCIFISSIONE.
La pena della crocifissione, di origine orientale - in particolare persiana - venne adottata da cartaginesi e romani. Nella letteratura romana è descritta come punizione crudele e temuta; non era inflitta ai cittadini romani, ma riservata agli schiavi e ai non romani che avessero commesso atroci delitti, come assassini, gravi furti, tradimenti e ribellioni. Giuseppe narra che Antioco Epifane crocifisse gli ebrei che si erano rifiutati di obbedire ai suoi decreti sulla ellenizzazione, e che Alessandro Ianneo aveva crocifisso i suoi avversari farisei. La forma a X - croce di S. Andrea - non si usava nell'antichità.
La croce sulla quale fu crocifisso Gesù era o la crux commissa, a forma di T, o la crux immissa o capitata, a forma di daga o pugnale †. Il fatto che il titolo della condanna fosse posto al di sopra della testa (Mt 27,37) fa pensare alla seconda forma di croce. Dato che l'esecuzione di Gesù era stata affidata ai soldati romani, è probabile che si seguisse la maniera di esecuzione romana.
Il procedimento romano della crocifissione doveva essere pressappoco così: avvenuta la condanna legale, il condannato stesso portava la trave trasversale (il patibulum) sul luogo fissato, per lo più fuori le mura cittadine. Da qui il detto “portare la croce”, tipica espressione per indicare la punizione di uno schiavo. Giunti sul luogo dell'esecuzione il condannato veniva spogliato e flagellato. Il condannato veniva legato a braccia tese alla trave che poggiava sulle sue spalle (in casi più rari si parla anche di inchiodatura) e quindi innalzato sul palo verticale già preparato. La morte subentrava lentamente e tra sofferenze indicibili a causa dei crampi tetanici e per soffocamento, poiché il sangue del crocifisso non poteva circolare nelle membra violentemente tese; per lo stesso motivo i polmoni e il cuore si sentivano soffocare pur mantenendo il condannato la piena conoscenza.
Talvolta la morte veniva accelerata per mezzo della rottura delle gambe o con un colpo di lancia al cuore. Quando i familiari lo richiedevano, veniva concesso il cadavere.
La croce portata da Gesù fino al luogo dell'esecuzione non doveva essere, secondo la procedura comune, l'intera croce ma soltanto il palo trasversale. Di regola, il palo verticale veniva lasciato sul luogo dell'esecuzione, mentre quello trasversale veniva attaccato di volta in volta. Le braccia del condannato venivano prima attaccate al palo trasversale mentre egli era disteso al suolo; poi il condannato veniva innalzato, insieme con il palo trasversale, su quello verticale, al quale venivano legati i suoi piedi. Lo si attaccava con corde o con chiodi, che eventualmente erano quattro. Il criminale veniva sempre legato con corde intorno alle braccia, alle gambe, alla vita: i soli chiodi non avrebbero potuto reggere tutto il peso del corpo e le corde impedivano al condannato di scivolare giù. La maggior parte del peso del corpo era sorretta da una specie di sostegno (sedile) sporgente sul palo verticale e sul quale si poneva la vittima a cavalcioni: tale sedile non è menzionato nel NT ma ne parlano moltissimi antichi scrittori romani. Il sostegno per i piedi (suppedaneum), spesso rappresentato nell'arte cristiana, è invece sconosciuto all'antichità. La vittima non era innalzata dal terreno più di mezzo metro: i presenti potevano facilmente raggiungere la bocca mettendo una spugna in cima a una canna (Mt 27,48; Mc 15,36). I romani crocifiggevano criminali interamente nudi e non vi è motivo di pensare che si facesse un'eccezione per Gesù.
Questo tipo di esecuzione, tanto ignominioso e crudele, era conosciuto (anche se non praticato) in Israele: “Se un uomo avrà commesso un delitto degno di morte e tu lo avrai messo a morte e appeso a un palo, il suo cadavere non potrà rimanere tutta la notte al palo, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l'appeso è maledetto da Dio” (Dt 21, 22-23; cf Gs 8,29; 10,26-27). Sappiamo che il principe giudeo Alessandro Ianneo (103-176 a. C.) fece appendere degli uomini ancora vivi ad un palo durante una esecuzione capitale di massa. Resta tuttavia confermato che la crocifissione era un procedimento straordinario di condanna, abominevole e inusitato per il giudaismo; non invece per i romani ed altri popoli del vicino Oriente (cf 1 Sam 31,10).
Le vesti dell'ucciso andavano in dono ai soldati (Mt 27,35). Un titolo con il nome del criminale e con il suo delitto veniva scritto su una tavoletta che si portava legata al collo fino al luogo dell'esecuzione; questa tavoletta con il titolo fu poi affissa al di sopra del capo di Gesù sulla croce. Per l'ironia di Pilato, il titolo di Gesù non esprimeva un delitto ma l'espressione “re dei giudei” (Mt 27,37; Mc 15,26; Lc 23,38; Gv 19,19-22). Il titolo era scritto in tre lingue: aramaico, il dialetto del paese; greco, la lingua del mondo romano; e latino, la lingua ufficiale dell'amministrazione romana. Nella crocifissione la vittima si lasciava morire di fame e di sete. Se necessario, la morte veniva affrettata spezzando le gambe della vittima con delle clavi, come si fece coi criminali crocifissi insieme a Gesù (Gv 19,32ss). I soldati furono sorpresi del fatto che Gesù morisse così presto, dato che la morte per crocifissione in genere avveniva solo dopo qualche giorno. Era un'abitudine giudaica, non romana, quella di somministrare al condannato una bevanda narcotica prima dell'esecuzione per attutirne la sensibilità (Mt 27,34; Mc 15,23). Anche a Gesù venne offerta questa bevanda, ma egli la rifiutò. Secondo la prassi romana, gli insulti precedevano spesso la crocifissione, come accadde per Gesù. Per la legge romana, l'accusa per cui la pena della crocifissione fu inflitta a Gesù era quella di tradimento e di ribellione, delitti dei quali i Giudei lo avevano accusato (Lc 23,2-5; Gv 19,12).
La crocifissione come pena giudiziaria fu soppressa dal primo Imperatore cristiano, Costantino (306-337). Fu così possibile passare ad una raffigurazione della croce nell'arte dal momento che non suscitava più associazioni negative.
3. IL SIGNIFICATO DELLA CROCE.
Il simbolismo teologico della croce appare nel NT in una parola di Gesù stesso riferita dai Sinottici e negli scritti di Paolo e di Giovanni. Gesù disse che coloro che lo seguono devono prendere la propria croce (Mt 10,38; 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23; 14,27); così perderanno la loro vita, per acquistarla (Mt 10,39; 16,25; Mc 8,34; Lc 9,24).[11] Non si tratta soltanto di un'allusione alla propria morte, ma anche dell'affermazione che la sequela di lui esige il rinnegamento di sé (Mc 8,34), il totale disprezzo della propria vita, del benessere, dei beni personali, ai quali si deve rinunciare se si vuole seguire Gesù.
La croce di Cristo è pensata da Paolo come evento salvifico che trasforma radicalmente il mondo e ne determina in maniera del tutto nuova il volere e l'agire.
Il vangelo, per Paolo, è nel suo centro e nella sua totalità logos tou stauroú, cioè annuncio salvifico che ha per contenuto la croce di Cristo (l Cor 1, 17s; cf. 2, 1s; Gal 3, 1). Con queste parole Paolo vuol dire che la croce non dev'essere intesa come un puro fatto immanente alla storia, bensì come intervento di Dio; tale intervento si realizza in questo, che la croce di Cristo si presenta agli uomini come «parola» di Dio, come il suo messaggio liberatore e nello stesso tempo vincolante.
Il messaggio della croce porta la sotería, la salvezza (l Cor 1, 18b; 1, 21b). La porta però ai credenti, cioè a coloro che nell'ubbidienza si sottomettono al giudizio che Dio pronuncia nella croce di Cristo (1, 19ss) contro la sapienza del mondo autosufficiente, la quale ricerca esclusivamente se stessa e mira ad accrescersi anche attraverso esperienze religiose; la porta a coloro che lasciano mortificare il proprio io dalla parola della croce (Gal 6, 14; cf. 2, 19). Questo messaggio salvifico, che giudica e libera a un tempo, apparirà altrettanto «scandaloso» a greci e giudei quanto anche a una cristianità aberrante, sia essa innamorata delle proprie esperienze religiose (1Cor) oppure caduta in un legalismo rinnegatore della croce di Cristo (Gal).
Il vangelo si concentra dunque tutto sulla croce di Cristo, e ben lo dimostrano le parole di Fil 2, 8: l'inno che Paolo ha ripreso dalla tradizione (2, 6-11) e parla della rinuncia di colui che è uguale a Dio per umiliarsi nell'ubbidienza fino alla morte. Ma Paolo non si contenta di parlare della morte, e completa: fino alla morte di croce (thanátou de stauroú).
Quando la Chiesa percorre vie aberranti, non basta parlare del «Cristo»; questi potrebbe sempre essere equivocato come un Cristo che è estraneo al mondo e che aliena dal mondo (cf. 1/2 Cor). Al Christós Paolo aggiunge con tutta evidenza estaurômenos, in quanto crocifisso, per non dar luogo ad equivoci (1Cor 1, 23; Gal 3, 1). Di più: sulla base di un giudizio teologico riflesso, Paolo, nella sua attività missionaria a Corinto, non lo ha voluto conoscere e predicare se non crocifisso (1Cor 2, 2). Oggetto del gloriarsi e della fiducia non è altro che la croce di Cristo (Gal 6, 14). Concretamente, questo significa che Paolo ama gloriarsi soprattutto delle proprie debolezze (2Cor 12, 9s).
E la risurrezione? In tutto questo è compreso appunto anche il suo significato concreto. Essa fa sentire la sua presenza nel fatto che Paolo possa annunciare il Cristo crocifisso come l'evento salvifico decisivo. Il Risorto non ha affatto eliminato il Crocifisso. No, la sua autoumiliazione e la sua ubbidienza nella vergogna della morte di croce non sono cancellate, bensì poste in vigore dall'elevazione come segno di salvezza (Fil 2, 8ss). Cristo, che si è fatto carico di questa debolezza e per questo è stato crocifisso, vive ora per la forza di Dio che ricrea le cose e fa risorgere i morti (2Cor 13, 4). I credenti, che ora partecipano di questo nuovo modo di esistenza determinato dalla croce di Cristo, vivono con la fondata speranza che Dio agirà con loro come ha fatto con Cristo. Anzi, già fin d'ora questa vita di resurrezione capace di vincere la morte, vita che viene da Dio, si manifesta nell'esistenza della fede segnata dalla croce e si comunica agli altri (2Cor 4, 7-12). Se la forza di Dio non si fosse manifestata e resa efficace sul fondamento della morte di Cristo, la vita crocifissa dell'apostolo (1Cor 15, 30-32) sarebbe la più compassionevole delle illusioni (15, 19).
«Nemici della croce di Cristo»: questo il nome che Paolo dà ai cristiani che aspirano alle cose terrene, la cui esistenza non è animata dal messaggio salvifico della croce di Cristo e ispirata all'esempio dell'apostolo che lo incarna (Fil 3, 17-19). Sono coloro che non si lasciano alle spalle come immondizia il modo di vivere ispirato alla legge per essere nella sfera salvifica del Cristo crocifisso, che rifiutano quindi di avere dimestichezza come Paolo con le sofferenze di Cristo e non si uniformano alla sua morte (3,7ss).
Paolo predicava dunque Cristo, e Cristo crocifisso, benché fosse scandalo per gli Ebrei e follia per i gentili (1 Cor 1,23; 2,2). Non voleva predicare il vangelo della croce in un linguaggio raffinato, per non privare la croce del suo valore (1 Cor 1,17). Benché la stoltezza della croce sia un assurdo per coloro che senza di essa si perdono, è invece potenza di Dio per i salvati (1 Cor 1,18). Se Paolo avesse predicato la circoncisione, lo scandalo della croce non ci sarebbe stato (Gal 5,11): Paolo vuol dire che la croce, che è uno scandalo per gli ebrei, perde il suo valore redentivo se la circoncisione è ancora necessaria. L'unico motivo di gloria per Paolo è la croce di Gesù Cristo (Gal 6,14). Nella croce Gesù ha unito giudei e greci (Ef 2,16). Alcuni falsi apostoli sono nemici della croce di Cristo (Fil 3,18); questa espressione indica probabilmente quei giudeo-cristiani che insistevano sull'efficacia della circoncisione. Dio ha annullato il debito dell'umanità verso di sé inchiodando Cristo alla croce, facendolo cioè vittima di quel debito (Col 2,14).[12] Coloro che appartengono a Cristo hanno “crocifisso la carne”, cioè hanno dominato efficacemente le passioni sensuali della natura e hanno accettato la rinuncia cristiana. Per mezzo della croce di Gesù Cristo, Paolo è crocifisso al mondo e il mondo a lui (Gal 6, 14); questa metafora significa la completa rinuncia: il mondo è la croce sulla quale la vita di Paolo viene sacrificata.
Fra le interpretazioni simboliche della croce va messa in particolare evidenza quella della lettera agli Efesini: per mezzo della croce vengono riconciliate due parti contrapposte, il che in definitiva non vale soltanto per due epoche o due indirizzi della fede, ma anche per cielo e terra (Ef 2,16).
In Giovanni troviamo un riferimento “tipologico” alla croce nel dialogo di Gesù con Nicodemo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, cosi bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14). In riferimento al modo con cui Gesù compirà questo mistero di salvezza universale, lui stesso dice: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).
Dalla tradizione biblica emergono dunque i seguenti principali significati della Croce:
a. la croce è segno di morte: Gesù “è morto per tutti” (2Cor 5,14), ovvero con la sua morte “il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui” (Rm 6,6);
b. la croce è simbolo di redenzione, e quindi della vita: “Con il sangue della sua croce” Cristo rappacifica e riconcilia tutte le cose “che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1,20). “Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui” (Rm 6,8);
c. la croce è segno della “potenza di Dio” mediante la quale noi siamo salvati (1Cor 1,18); essa è l'ultimo e supremo segno di vittoria: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14);
d. la croce è immagine della rinuncia al proprio io: “Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia del Vangelo, la salverà” (Mc 8,35);
e. è il segno escatologico della fine dei tempi, quando “comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo” (Mt 24,30);
Presso i Padri la croce è descritta con numerose altre immagini, per lo più tratte dalla tradizione biblica veterotestamentaria:
· è l'albero della vita di Gen 2,9 (da leggere con Ap 2,7: al vincitore darò da mangiare l'albero della vita). Ciò che era proibito ad Adamo ed Eva è ora dono della nuova creazione: vita, salvezza, gloria (Ap 22,2.14.19). La croce è il luogo in cui Dio si fa carico della sofferenza e della morte, per dare la vita ad un mondo caduto preda della morte (Ap 22,14). commenta S. Ambrogio: “La croce di Cristo ci ha restituito il Paradiso. Essa è l'albero, che il Signore aveva indicato ad Adamo come albero della vita” e S. Agostino, commentando Prov 3,18, scrive: “La sapienza è Cristo stesso, l'albero della vita di quel paradiso spirituale, nel quale ha inviato, dalla croce, anche un ladrone”. La liturgia chiama la croce arbor una nobilis, arbor decora et fulgida; “nell'albero della croce tu hai stabilito la salvezza dell'uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dall'albero traeva vittoria, dall'albero venisse sconfitto” (Prefazio per l'Esaltazione della Santa Croce).
· è la mazza per le anime aride (Melitone di Sardi; cf Ger 23,29);
· è l'aratro, ottimo mezzo che purifica l'anima (Melitone di Sardi);
· è la buona radice della vita rinnovata (cf Os 14,6);
· è la spada del castigo, che colpisce il Nemico di Adamo e riapre le porte delle delizie che erano chiuse a causa del peccato commesso allora da Adamo nel paradiso (Gen 3,24);
· è il pungolo (Sal 22 [23] 4) che guida verso la vita i peccatori che la riconoscono;
· è il crivello per vagliare con precisione sull'aia le scorie destinate al fuoco, e il frutto da riporre nel granaio (Mt 3,12; Lc 3,17);
· è il giogo che Dio spezza dalle spalle del suo popolo (Lev 26,13); è soprattutto il giogo leggero che dà sollievo alle anime e assimila a Gesù, mite e umile di cuore (Mt 11,29.30);
· è la barca della santa Chiesa, che è in Cristo;[13]
· è il remo divino che guida i giusti e i pii direttamente nel paradiso;
· è il carro trionfale su cui sale Cristo per sconfiggere il diavolo padrone della morte e liberare il genere umano dalla schiavitù di questo tiranno; come valoroso combattente viene ferito in battaglia alle mani, ai piedi e al divino costato: ma con quel sangue guarisce le nostre lividure, cioè la nostra natura ferita dal serpente velenoso;
· è il legno, l'arca della potenza di Dio, che permette a Cristo di salvare l'umanità dal diluvio del peccato (cf Gn 6,14; Sal 132,8);[14]
· è la verga di Mosè che cambiò l'acqua in sangue, divorò i serpenti fittizi dei maghi (Es 4,2-4), percosse il mare e lo divise in due parti, salvò il popolo che Dio si era scelto;
· è l'argano per sollevare le pietre viventi che edificano la Chiesa: “Voi siete le pietre del tempio del Padre che vi eleva sul suo cantiere con gli attrezzi di Cristo, cioè la sua croce, e con la fune dello Spirito Santo” (S. Ignazio di Antiochia);
· è la “bilancia del nostro riscatto” (stadera facta corporis); in alcune rappresentazioni, oltre all'asse trasversale dove sono appese le braccia, viene raffigurato anche un altro asse, sotto i piedi del Signore, leggermente inclinato. E' lo sgabello dei suoi piedi (At 2,35; Sal 110,1), ma è anche la bilancia che indica il destino dei due ladroni: verso l'alto per il buon ladrone di destra,[15] verso il basso per il ladrone di sinistra;
· è la scala di Giacobbe (cf Gen 28,12-15): “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo” (Gv 1,51); per questa scala il Signore Risorto sale alla gloria del Regno, ma anche scende verso gli inferi per portare la salvezza ai Giusti che attendevano la redenzione (Fil 2,10; 1 Pt 3,19). «Ma che vuol dire “Cristo è asceso”, se non che egli è pure disceso nelle regioni inferiori della terra? Colui che è disceso è quel medesimo che è pure asceso al di sopra di tutti i cieli, per riempire l'universo» (Ef 4,9-10). In molte raffigurazioni il piede della croce s'interna in una caverna nera dove riposa il teschio di Adamo, poiché il Golgota è il “luogo del teschio” (Gv 19,17); «“Ascoltatelo”, lui che apre la via del cielo e, con il supplizio della croce, vi prepara la scalinata per salire al Regno» (S. Leone Magno);
· è un ponte, ottenuto con le porte divelte degli inferi, che permette al Signore Risorto di attraversare l'Ade. “Ascendendo in alto, condusse schiavi una folla di prigionieri” (Ef 4,8) “Tu sei disceso sulla terra per salvare Adamo, e non trovandolo sulla terra, o Signore, sei andato a cercarlo fino agli inferi” (Liturgia bizantina);
· è il talamo nuziale dove la Chiesa Sposa si unisce allo Sposo nel sonno della sua morte e nella potenza della sua Risurrezione.
Efrem Siro raccomandò la croce come segno di vittoria sugli spiriti malvagi. In Gregorio di Nissa e Agostino si trova già un'interpretazione cosmologica della forma della croce. L'uomo con le braccia aperte - uno dei più antichi gesti di preghiera (cfr. Es 17,11) - divenne, in prospettiva simbolica, immagine della croce e del crocifisso.
Melitone di Sardi fu il primo a scorgere nel sacrificio del figlio Isacco richiesto ad Abramo (Gen 22) un “tipo” del sacrificio di Cristo sulla croce. “Anche Abramo prefigurò la croce quando legò il figlio sulla catasta di legna” (Teodoro Studita).[16]
Già molto presto durante il battesimo veniva apposto il sigillo del nome di Cristo mediante una croce tracciata sulla fronte; secondo Apocalisse 7,3 questo segno di croce è propriamente il sigillo dei servi di Dio.
4. LO SCANDALO DELLA CROCE.
Quando san Paolo scrive che “noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1 Cor 1, 23) si fa portavoce di una mentalità ben chiara presso Giudei e Greci circa l'ignominioso supplizio della croce.
Tenuto conto delle modalità e del significato della crocifissione nelle culture influenzate dalla presenza dei Romani, è facile dedurre come la morte di Gesù sulla croce abbia costituito un tormentoso problema per la primitiva comunità prevalentemente giudaica.
Per i Romani l'esecuzione di Gesù fu l'eliminazione di un vero o presunto agitatore. Per i capi ebrei fu una punizione legittima e maledizione di Dio per un bestemmiatore (Dt 21, 23; Gal 3, 13: maledetto chi pende dal legno). Per i Greci, desiderosi di dottrine che soddisfino l'intelligenza avida di conoscenza, la croce fu una stoltezza. Per i seguaci di Gesù la sua morte ignominiosa, da volgare malfattore, significava la fine catastrofica delle loro speranze messianiche. La vita di Gesù andava a concludersi “fuori dell'accampamento” (Eb 13, 12), tra gli empi (Lc 22, 37) suscitando così nelle coscienze tormentate il dubbio se quel Gesù crocifisso fosse davvero il Messia tanto sperato.
A dare una risposta inequivocabile a questi dubbi è stato Dio stesso risuscitando il Figlio suo Gesù e costituendolo Kyrios-Signore con potenza “secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti” (Rm 1, 4).
Pietro si fa interprete di questa predicazione che vuol superare lo “scandalo della croce” (cf 1 Cor 1,18; Gal 3,13; 5,11; 1 Pt 3,13-18) e nel giorno di Pentecoste grida alla folla dei Giudei:
“Gesu di Nazaret... dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dal laccio della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere... Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire.. Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2, 22-36).
Alla base della primitiva predicazione cristiana sta dunque una serie di certezze capaci di superare il terribile scandalo della croce:
a. “Dio l'ha risuscitato e tutti noi ne siamo testimoni” (At 2,32). Per questo Paolo può affermare che “se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede” (1 Cor 15, 14). Cristo dunque è veramente risorto: la tomba è vuota (Mt 28,1-8; Mc 16,1-8; Lc 24,1-10; Gv 20,1-2), non è un fantasma (Lc 24,37), molti testimoni lo hanno visto (1 Cor 15,5-8), ha mangiato persino con loro (Lc 24,41-42; Gv 21,9-10.13).
b. “Egli portò i nostri peccati sul suo corpo sul legno della croce” (1 Pt 2, 24). Non è dunque un “maledetto”, ma piuttosto il nostro “Redentore”, colui che ha pagato di persona il prezzo del nostro riscatto (1 Pt 1,18), al nostro posto e per noi ha preso su di sé il potere di maledizione racchiuso nella legge e nel peccato annientandolo con la propria morte (cfr 2 Cor 5,21).[17]
c. “Perché si adempissero le Scritture”. San Paolo si fa portavoce di una “tradizione” sicura che legge ormai tutta la vita di Gesù “secondo le Scritture”: “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1 Cor 15, 3.5).
Perché, dunque, scandalizzarsi di Gesù crocifisso dal momento che le stesse Scritture ne avevano predetto la morte, la crocifissione e la risurrezione? Tutto è avvenuto “secondo il prestabilito disegno e la prescieza di Dio” (At 2, 23; cf Mc 8,31; Gv11,51; 12,33; 18,4.32; 20;9; At 1,16; 17,3; 26,22-23).
A questo punto, per inserirci nel discorso delle Scritture e comprendere più a fondo chi sia veramente il “Crocifisso” dobbiamo ripercorrere la stessa strada della primitiva predicazione apostolica. Alla luce della Risurrezione, guidati dallo Spirito che “insegna ogni cosa e tutto fa ricordare” (Gv 15, 26), come i discepoli di Emmaus, cominciando da Mosè e dai profeti, dobbiamo ricercare nelle Scritture tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno e come “bisognava che il Cristo (Messia) sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria” (Lc 24, 26).
Dovremo dunque rispondere a questa domanda: chi è il Crocifisso?
5. CHI È IL CROCIFISSO?
Noi sappiamo che il Crocifisso è Gesù.[18] Sappiamo e crediamo che il Crocifisso è anche e inseparabilmente il Risorto (Gv 2,22; 2 Tm 2,8). Ma perché “bisognava” che soffrisse prima di entrare nella gloria (Mc 8,31)? Gesù stesso dà risposta a queste domande: perché tutto si doveva compiere (Mt 5, 17; Gv 19, 30).[19] Ricercheremo allora nelle Scritture queste “figure” e queste profezie che si adempiono. Sarà così più facile comprendere “il prestabilito disegno e la prescienza di Dio” (At 2,23).
Facendo riferimento alle profezie e alle figure attraverso le quali la divina economia ha preparato la pienezza di una “storia di salvezza” è possibile individuare quel “compimento”, quella “ricapitolazione” che Cristo ha attuato con la sua Pasqua di morte-risurrezione. Possiamo allora dire che il Crocifisso è l'Agnello pasquale che viene immolato per noi; è il nuovo Tempio da cui sgorga l'acqua-Spirito fonte di ogni rigenerazione; è il nuovo Adamo che nel sonno della morte genera la nuova Eva, la Chiesa-Sposa, madre fedele dei nuovi figli che rinascono dall'acqua e dallo Spirito; è il Servo di Jahvé che si fa obbediente fino alla morte e alla morte di croce; è il Sommo sacerdote che offre se stesso in sacrificio sull'altare della croce; è Giuseppe venduto dai fratelli al fine di ottenere un grande popolo; è l'Uomo levato in alto che attira tutti a sé in un atto universale di redenzione; è il Re della gloria che regna sul legno della croce.
5.1. L'Agnello pasquale.
“Non gli spezzarono le gambe” (Gv 19,33.36)
“Non gli sarà spezzato alcun osso” (Es 12,46)

L'evangelista Giovanni citando la Scrittura che dice “Non gli sarà spezzato alcun osso” (Gv 19, 36) intende applicare al Crocifisso la tipologia dell'Agnello pasquale.
Secondo la narrazione di Esodo 12,1-14, nella notte della Pasqua di liberazione ogni famiglia doveva immolare un agnello di un anno, senza difetti, e consumarne le carni arrostite al fuoco. Per essere arrostito l'agnello veniva attraversato verticalmente da un bastone di melograno. San Giustino ci informa che un secondo bastone passava orizzontalmente attraverso le spalle per mantenere aperte le zampe anteriori. Dunque i due bastoni che sostenevano la vittima pasquale presentavano la figura di una croce. Santa Caterina da Siena così scrive a Pietro di Giovanni Ventura: “Ivi troverai il cibo, perché vedi bene che egli ti ha dato la carne in cibo, arrostita in su la croce, al fuoco della carità” (Lettera 47).
Con il sangue di questa vittima sacrificale si dovevano segnare le case dove erano riuniti gli ebrei: nella sua pasqua-passaggio il Signore vedrà quel sangue e risparmierà il suo popolo liberandolo dalla schiavitù di Egitto (Es 12, 13).
Poiché è una vittima sacra offerta al Signore, dovrà essere pura, senza macchia e integra: la parte che avanza la si dovrà bruciare (Es 12, 10) e non gli si dovrà spezzare alcun osso (Es 12, 46; cf Num 9, 12).[20]
Può essere che Giovanni 19,36, oltre che al rito dell'agnello pasquale, faccia anche riferimento al Salmo 34, 20: “Molte sono le sventure del giusto, ma lo libera da tutte il Signore. Preserva tutte le sue ossa, neppure una sarà spezzato”. In questo caso il Crocifisso è paragonato al Giusto sofferente, al Servo di Jahvè che, nella sofferenza, si abbandona nelle mani del Signore che provvederà a salvarlo.
Isaia 53, 7-12, nel 4° Carme del Servo di Jahvè, descrive le sofferenze del Servo con le immagini di un agnello: “come agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi accusatori non aprì bocca... portò il peccato di malti ed intercedette per i peccatori”.
Il Battista, dando testimonianza a Gesù al Giordano, lo saluta applicando a lui le immagini bibliche dell'agnello: “Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”. (Gv 1, 29).
Nell'Apocalisse 5, 9.10 si parla ancora di un “Agnello, come immolato” che però sta ritto in mezzo al trono poiché non è morto ma Vivente: “E' stato immolato e ha riscattato per Dio con il suo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li ha costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti”.
Per Giovanni, dunque, non v'è dubbio: il Crocifisso è l'Agnello di Dio, senza macchia-peccato (Gv 19,33.36;cf anche Gv 1,29; At 8, 32; 1 Pt 1, 19), che riscatta gli uomini a prezzo del suo sangue (1 Pt 1,18; Ap 5,9-10; Eb 9,12-15). Nessuna offerta sacrificale da parte dell'uomo era in grado di eliminare il peccato del mondo. Dio stesso allora presenta questa offerta: dà il suo unico Figlio in sacrificio (Gv 3,16), non lo risparmia (cf Rm 8, 31-32). Non è più sufficiente l'agnello del gregge per far fare la pasqua al popolo di Dio; era necessario non l'argento e l'oro, ma il “sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1 Pt 1, 19) a liberarci dalla nostra vuota condotta, dalla vera schiavitù ben più grave che quella d'Egitto. “Lo mangerete... senza rompergli alcun osso” (Es 12, 46; Num 9,12): Gesù è stato preparato come alimento di coloro che si uniscono al suo esodo. Farà parte del suo popolo colui che mangerà la carne di questo Agnello e berrà il suo sangue, cioè chi si identificherà col suo amore espresso in una vita di donazione e culminato nella sua morte (cf Gv 15,13).
Stando alla cronologia giovannea, l'evento stesso della morte di Gesù avrebbe fornito il fondamento di questa tradizione. Gesù fu messo a morte la vigilia della festa degli azimi, la parasceve della Pasqua, (Gv 18,28; 19,14.31), nel pomeriggio (Gv 19,33), nell'ora stessa in cui, secondo le prescrizioni della legge, si immolavano nel tempio gli agnelli.
La letteratura patristica ha abbondantemente commentato la tipologia del Crocifisso alla luce dell'agnello pasquale. Citiamo questa pagina di Romano il Melode:
«Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo “al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen” (Gal 1, 5). Egli scese dai cieli sulla terra per la umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell'uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse la morte omicida.
Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mando come dall'Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue.
Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l'iniquità e l'ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l'Egitto.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno.
Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell'agnello fu sgozzato.
Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.
Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e, risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l'agnello che non apre bocca, egli è l'agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l'umanità dal profondo del sepolcro»
(ROMANO IL MELODE, L'agnello immolato ci strappò dalla morte, in Ufficio delle letture, giovedì santo).
5.2. Il nuovo tempio.
“Uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia
e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv 19, 34).

Conoscendo il Vangelo secondo Giovanni come il “Vangelo dei segni”, è difficile pensare che l'attenzione dell'Evangelista al sangue e all'acqua che escono dalla fenditura aperta dalla lancia nel costato di Cristo sia un puro riferimento biologico o di semplice cronaca. E' possibile invece scorgervi l'adempimento delle profezie circa il “nuovo tempio” che il Signore stesso avrebbe edificato nei tempi messianici.
Le profezie.
* Ezechiele 47, 1-12: “L'acqua usciva di sotto al lato destro del tempio... quest'acqua risanerà il mare... e porterà vita dovunque arriverà... sulle sponde del torrente crescerà ogni albero da frutto, le sue foglie non avvizziranno né si esauriranno i suoi frutti”.
* Zaccaria 12, 10: “Effonderò sulla casa di David e sugli abitanti di Gerusalemme uno spirito di pietà e d'implorazione; essi si volgeranno a colui che hanno trafitto e piangeranno su di lui come si piange su un figlio unico”.
* Zaccaria 13, 1: “In quel giorno vi sarà una fontana zampillante per lavare il peccato e l'iniquità”.
* Zaccaria 14, 8: “In quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme... sempre, estate e inverno. Il Signore sarà re di tutta la terra....”.
L'adempimento delle profezie.
Gesù stesso aveva paragonato il suo corpo ad un tempio quando aveva detto “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farà risorgere” (Gv 2, 19.21). Ecco dunque il tempio nuovo e definitivo, che non è fatto dalla mano dell'uomo, quello in cui il Verbo di Dio stabilisce la sua dimora tra gli uomini (Gv 1,14). Tuttavia, affinché il tempio di pietra sia decaduto, bisogna che Gesù stesso muoia e risorga: il tempio del suo corpo sarà distrutto e ricostruito, tale è la volontà del Padre (Gv 10,17; 17,4).
Trovandosi un giorno alla festa dei Tabernacoli, Gesù disse queste parole profetiche: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato” (Gv 7, 37-39).
Già nell'AT l'acqua era simbolo della vita che Dio dà, soprattutto nei tempi messianici (Is 12,3; 55,1; Ez 47,1; Sal 36,9-10). Anche nel dialogo con la Samaritana Gesù aveva preannunciato il dono dello Spirito nel segno dell'acqua (Gv 4,14-15).
Con queste parole, dunque, Gesù promette il dono dello Spirito simboleggiato dall'acqua. Citando le Scritture (Zac 14, 8; Ez 47, 1s) che preannunciavano una sorgente che avrebbe rigenerato tutte le genti, Gesù fa capire che l'effusione dell'acqua-Spirito avverrà al momento della sua esaltazione-glorificazione.
Per Giovanni il momento della esaltazione-glorificazione di Gesù coincide con il suo “innalzamento” sulla croce (cf Gv 12,32: quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me). Qui avvengono le mistiche nozze tra lo Sposo e la Sposa; i doni nuziali sono l'acqua, il sangue, lo Spirito: «Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi» (1 Gv 5,5-8).
Il sangue che esce dal costato di Gesù è figura della morte che egli accetta per salvare l'umanità. E' l'espressione della sua gloria, del suo amore fino all'estremo (Gv 13, 1), quello del pastore che si dona per le pecore (Gv 10, 11), dell'amico che dà la vita per i suoi amici (Gv 15, 13). E' dinanzi al Crocifisso che la Chiesa può ripetere: “abbiamo contemplato la sua gloria” (Gv 1, 14).
L'acqua che sgorga rappresenta, a sua volta, lo Spirito, principio di vita che tutti avrebbero potuto ricevere quando egli avesse manifestato la sua gloria (cf Gv 7,37-39). E' il momento della croce, “l'ultimo giorno” preannunciato da Gesù, nel quale i credenti in lui si sarebbero dovuti avvicinare a lui per bere l'acqua-Spirito che sarebbe sgorgata dal suo intimo. Da questo nuovo tempio, il Crocifisso, sgorgano i fiumi dello Spirito (Gv 7,38; Ez 47, 1.12), l'acqua che si trasformerà nell'uomo in una sorgente che zampilla dando vita senza termine (Gv 4, 14).[21]
Lo Spirito è il dono annunciato per gli ultimi tempi (At 2,17-21.33), quando sarà diffuso nei cuori (Rm 5,5), creando la condizione dei figli di Dio (Rm 8,15-16; Gal 4,6). Ma è anche lo Spirito delle nozze messianiche (Ap 21,2.9-10; 22,17).
Con il dono dell'acqua, del sangue, dello Spirito, il progetto divino si completa in Gesù (Gv 19,28-30); ora deve completarsi negli uomini. Lo Spirito che sgorga dal Crocifisso sarà quello che trasformerà l'uomo dandogli la capacità d'amare e di diventare figlio di Dio (Gv 1, 12). Con questi uomini nuovi, simboleggiati da Giovanni e dei quali Maria è la Madre, si formerà la nuova comunità messianica, quella della nuova alleanza nello Spirito.
La letteratura patristica ha abbondantemente commentato la tipologia del Crocifisso dal quale, come dal nuovo tempio, sgorgano l' acqua e il sangue, dono della vita nello Spirito. Citiamo questa pagina di S. Giovanni Crisostomo:
«Vuoi conoscere la forza del sangue di Cristo? Richiamiamone la figura, scorrendo le pagine dell'Antico Testamento.
“Immolate, dice Mosè, un agnello di un anno e col suo sangue segnate le porte” (Es 12,5). Cosa dici, Mosè? Quando mai il sangue di un agnello ha salvato l'uomo ragionevole? Certamente, sembra rispondere, non perché è sangue, ma perché è immagine del sangue del Signore. Molto più di allora il nemico passerà senza nuocere se vedrà sui battenti non Il sangue dell'antico simbolo, ma quello della nuova realtà, vivo e splendente sulle labbra dei fedeli, sulla porta del tempio di Cristo.
Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il vangelo, s'avvicinò un soldato che gli apri con un colpo di lancia il costato: ne usci acqua e sangue. L'una simbolo del battesimo, l'altro dell'Eucaristia. Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze. La stessa cosa accadde per l'Agnello: i Giudei sgozzarono la vittima ed io godo la salvezza, frutto di quel sacrificio.
“E usci dal fianco sangue ed acqua” (Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell'acqua e quel sangue sano simbolo del battesimo e dell'Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo per mezzo del battesimo e dell'Eucaristia. E i simboli del battesimo e dell'Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva.
Per questo Mosè, parlando del primo uomo, usa l'espressione: “ossa delle mie ossa, carne della mia carne” (Gen 2, 23), per indicarci il costato del Signore. Similmente come Dio formò la donna dal fianco di Adamo, così Cristo ci ha donato l'acqua e il sangue dal suo costato per formare la Chiesa. E come il fianco di Adamo fu toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l'acqua durante il sonno della sua morte.
Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio latte, casi il Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato»
(Dalle Catechesi di san Giovanni Crisostomo, vescovo: Catech. 3, 13-19; Ufficio delle Letture, venerdì santo).

5.3. Il nuovo Adamo.
“E, chinato il capo, rese lo Spirito” (Gv 19,30)
“Allora il Signore Dio fece scendere un sonno sull’uomo, che si addormentò” (Gen 2,21)
La tipologia del “nuovo Adamo” applicata al Crocifisso trova riferimento nei testi dell'Antico Testamento là dove si parla del primo Adamo.
Del primo Adamo si dice che “il Signore Dio fece scendere un sonno sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e plasmò con la costola... una donna..” (Gen 2,21.22).
Nel giardino, presso l'albero della vita, mentre l'Adamo-Sposo dorme, il Signore trae dal suo fianco la Donna-Sposa. A causa del peccato, però, quel giardino fu chiuso, quell'albero produsse morte, dal primo Uomo-Donna nascono i figli per la morte e il peccato. Dio promette un Redentore (Gen 3, 15).
Secondo 1 Cor 15,45-49, il primo Adamo è stato fatto anima vivente, terrestre, psichico. Dio aveva ritirato il suo Spirito dall'uomo a causa del peccato (Gen 6,3). Era necessario che «l'ultimo Adamo» fosse uno Spirito vivificante. Adamo era la figura di colui che doveva venire (Rm 5,12-21).
Nella pienezza del tempo, a Cana di Galilea, cambiando l'acqua in vino e dando inizio ai suoi segni in vista dello sua ora (Gv 2, 11), Gesù si manifesta come lo Sposo atteso per le nozze messianiche tra Dio e il suo popolo. L'ora tanto desiderata è il momento della Croce. E' giunta l'ora in cui Gesù darà il vino-sangue-Spirito del suo amore. E' il momento delle nozze definitive nel quale Dio stesso darà al nuovo Adamo una Sposa fedele.
Dal costato di Gesù, Colui che tutto porta a compimento (Gv 19, 30), proprio nel momento di sonno-morte (Gv 19,30: reclinato il capo), sgorga l'acqua dello Spirito, che trasformerà l'uomo carnale in uomo spirituale (1 Cor 2,15; 15,44). Da questa sorgente dell'acqua-Spirito sarebbe dovuto “rinascere” l'uomo nuovo (Gv 3,5), dal corpo non più psichico-carnale, ma «pneumatico», spirituale, incorruttibile, immortale (1 Cor 15,53), glorioso (1 Cor 15,43).
Lo stesso dicasi della prima donna che era “carne della mia carne e osso delle mie ossa” (Gen 2,23); la nuova Sposa che Dio trae dal costato del nuovo Adamo sarà spirito dello Spirito di Gesù. «Nel primo plasmato Adamo è stata prefigurata la Risurrezione di Cristo, poiché come quello dopo il sonno si alzò e riconobbe Eva fabbricata dal suo fianco (ad opera di Dio), così Cristo risorto dalla morte dalla piaga del suo costato fabbricò la Chiesa» (S. Massimo di Torino). Il costato di Cristo è dunque la Rupe che, come da divina Cava, estrae da sé la Chiesa. Dice il martire S. Giustino: Come già Israele fu estratto da Abramo, quasi da una cava, così «noi siamo estratti dal seno di Cristo come da una cava». Questa è la pienezza dalla quale tutti possiamo attingere (Gv 1, 16).
In sintesi: nello stesso giorno in cui Dio aveva creato il primo Adamo (l'ultimo giorno della creazione, il giorno prima del riposo sabbatico), crea anche il nuovo Adamo. Su un albero di morte, che si trasforma però in albero di vita, mentre lo Sposo dorme il sonno della morte, il Padre trae dal suo fianco la nuova Sposa fedele, la Chiesa (di cui Maria è l'immagine). Il giardino si può così riaprire e vi viene deposto l'Adamo nuovo (Gv 19,41); da questo amore fedele dello Sposo e della Sposa (cf Ef 5,25: Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei), nascono ormai i nuovi figli (At 17,26), non più per il peccato ma per la grazia, non più per la morte ma per la vita. Giovanni è il prototipo di questi nuovi figli che Gesù ama ed ai quali dona per madre Maria, la nuova Eva.
Dicevamo che i Padri della Chiesa hanno abbondantemente sviluppato la tipologia del Crocifisso come nuovo Adamo. Citiamo alcuni testi anche come necessario completamento delle riflessioni fin qui fatte. Vedremo così che nell'acqua-sangue i Padri hanno visto i “segni” del Battesimo e dell'Eucaristia aiutandoci così a comprendere meglio l'origine “sacramentale” della Chiesa e come ogni realtà di salvezza scaturisca necessariamente dalla Pasqua di morte-risurrezione del Signore nel quale il Padre ha voluto “ricapitolare” ogni realtà.
La letteratura patristica ha abbondantemente commentato la tipologia del Crocifisso alla luce del nuovo Adamo. Citiamo questa pagina di S. Agostino:
«“Vennero, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, poi all'altro che era crocifisso insieme con lui. Giunti a Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli aprì il costato con la lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua (Gv 19, 32-34)”. L'evangelista ha usato un verbo significativo. Non ha detto: colpì, ferì il suo costato, o qualcosa di simile. Ha detto: aprì, per indicare che nel costato di Cristo fu come aperta la porta della vita, onde fluirono i sacramenti della Chiesa, senza dei quali non si entra a quella vita che è la vera vita. Quel sangue è stato versato per la remissione dei peccati; quell'acqua tempera il calice della salvezza, ed è insieme bevanda e lavacro. Questo mistero era stato preannunciato da quella porta che Noè ebbe ordine di aprire nel fianco dell'arca (Gen 6, 16), perché entrassero gli esseri viventi che dovevano scampare al diluvio, con che era prefigurata la Chiesa. Sempre per preannunciare questo mistero, la prima donna fu formata dal fianco dell'uomo che dormiva (cf Gen 3, 20). Indubbiamente era l'annuncio di un grande bene, prima del grande male della prevaricazione. Qui il secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché così, con il sangue e l'acqua che sgorgano dal suo fianco, fosse formata la sua sposa. O morte, per cui i morti riprendono vita! Che cosa c'è di più puro di questo sangue? Che cosa c'è di più salutare di questa ferita?»
(S. Agostino, Commento al Vangelo di S. Giovanni, 120, 2).

5.4. Il Re della gloria
“Pilato scrisse inoltre un cartello e lo fissò sulla croce; stava scritto: Gesù il Nazareno, il re dei giudei” (Gv 19, 19)
“Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (1 Cor 2,8).

Il cartello posto sulla croce indicava la causa della condanna. Contraddicendo le affermazioni dei sommi sacerdoti (Gv 19, 15: “non abbiamo altro re che Cesare”) Pilato scrive: il re dei Giudei non è Cesare, ma Gesù (cfr Gv 19, 14-15).
Il cartello della condanna indica dunque che Gesù è il “Nazareno”, il germoglio di Davide, il pastore modello che si prenderà cura del suo gregge maltrattato (cf Gv 10, 11). Giovanni ci dice che il Crocifisso è il Re dei Giudei, il Messia promesso, colui che difenderà gli umili del popolo (Sal 72,4); non lo farà però come re potente, acclamato dalle moltitudini, ma come l'Uomo levato in alto, segno di vita e punto di attrazione (Gv 12,32: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”).
La sua non è la morte di un malfattore, ma la intronizzazione del Sovrano che è signore di se stesso e dispone della propria vita. Per questo è stato consacrato dallo Spirito (Gv 1, 32; 10, 36): per essere il Re-Messia, il Giudice giusto, il Re dei re e il Signore dei signori (Ap 17,14; 19,14), il più potente della morte (1 Cor 15,54-56). Coloro che, facendo professione di fede dinanzi al Crocifisso lo riconosceranno come Re-Messia, riceveranno anch'essi lo Spirito della regalità e della filiazione divina.
Giovanni traduce questa regalità di Gesù con alcune espressioni che meritano un'attenzione particolare:
a. “questo cartello era scritto... in ebraico, latino e greco” (Gv 19, 20).
Il cartello era scritto in tre lingue: quella degli Ebrei e le due lingue principali del mondo conosciuto, il latino e il greco. Con questa notazione di universalità linguistica, Giovanni ci vuoi dire che il Crocifisso è il Messia non solo dei Giudei, ma il Re-Salvatore del mondo intero (cfr Gv 4, 29.42). La sua missione universale, tradotta nelle lingue principali, deve essere conosciuta non solo dalle pecore del gregge di Israele, ma anche da altre pecore che non appartengono a questo popolo (Gv 10, 16). La nuova comunità di cui il Crocifisso diventa Re non dovrà avere limiti di razza (Gv 4, 12.20.21) dal momento che “quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32).
Le tre lingue in cui è scritto il cartello indicano dunque che il Crocifisso è il Re-Messia di tutte le genti.
I sommi sacerdoti, leggendo quella scritta, si accorgono che essa è una chiara accusa contro di essi e vorrebbero che Pilato la cambiasse; ma la risposta del rappresentante di Roma è: “Ciò che ho scritto, scritto lo lascio” (Gv 19, 22). La frase di Pilato ha un tono di profezia: lo scritto è definitivo, rimane e non si può cambiare; è indelebile, come indelebili erano le Scritture. Sta dunque a significare che Gesù è il Crocifisso per amore dell'uomo; un amore proclamato in tutte le lingue; un amore incancellabile, compimento delle promesse messianiche; egli è la Scrittura definitiva. Non più dunque una Scrittura che gli rende testimonianza, ma lui stesso è la nuova Scrittura, il nuovo Codice dell'alleanza che Dio stesso scrive e propone al nuovo popolo che intende acquistarsi. In questa nuova alleanza stipulata nel sangue del Figlio, le clausole che dovranno legare Dio e il suo popolo non sono più scritte sulla pietra o sulla carta, ma diventano una Persona: Gesù Crocifisso. Questa è d'ora in poi l'unica clausola: imitare, attuare, essere fedeli a questa Scrittura-Persona che il Padre stabilisce come Codice della nuova alleanza: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono nel Signore Gesù” (Fil 2,...).
b. “I soldati, quando crocifissero Gesù, presero il suo mantello e ne fecero quattro parti, una parte per ciascun soldato” (Gv 19, 23).
Era costume che gli esecutori della sentenza si spartissero le vesti del condannato. Giovanni, con questa spartizione in quattro parti del “mantello” di Gesù, fa notare che a ricevere l'eredità di Gesù sono quattro soldati romani.
Nell'Antico Testamento il mantello possedeva vari simbolismi:
* 1 Re 11,30-31: il profeta Achia, per indicare la divisione del regno alla morte di Salomone e la sua spartizione fra due eredi, divide il suo mantello in dodici parti: due al regno di Giuda, dieci a quello di Israele.
* 1 Re 19, 20: Elia indica ad Eliseo la sua vocazione profetica gettandogli addosso il suo mantello; quando viene portato in cielo, Elia gli trasmette il suo Spirito lasciandogli in eredità il mantello; portare il mantello di Elia sarà il segno che Eliseo è rivestito dello stesso Spirito e che continua la sua stessa missione (2 Re 2, 1-4).
* 1 Sam 15, 27: la rottura del mantello del profeta, che Saul vuole trattenere, simboleggia che quest'ultimo sarà spogliato del regno.
Giovanni sembra raccogliere questi simbolismi. Il mantello di Gesù, Re dei Giudei (Gv 19, 19.21), raffigura il suo regno. I soldati prendono il mantello e lo dividono in quattro parti, di cui si appropriano. L'antico regno, quello dei Giudei, passa ora ad essere quello dei pagani: poiché essi hanno tradito l'alleanza alleandosi con Cesare e riconoscendolo loro re, Dio toglierà ad essi il Re-Messia e lo darà ai pagani. I soldati compiono dunque un gesto profetico: esprimono la volontà di Dio di trasmettere ad altri il regno. Le quattro parti in cui dividono il mantello alludono ai quattro punti cardinali e significano la terra intera: Gesù non sarà più il Re dei Giudei, ma il Re-Messia universale (Gv 3, 16). I cittadini di questo regno si riconosceranno perché avranno la veste di un Crocifisso; portando il suo mantello ne riceveranno anche lo stesso Spirito (cfr Eliseo) che permetterà loro di continuare la missione di colui che diede la sua vita per amore dei fratelli. Il discepolo che non porti invece la veste del Crocifisso, che cioè non si comporti come Gesù, sarà nudo (cfr Pietro in Gv 21,7: non aveva ancora accettato la morte di Gesù come espressione suprema dell'amore, né l'aveva presa come norma; non aveva accolto l'eredità dello Spirito che l'avrebbe portato a identificarsi con Gesù).
Riassumendo questa nuova “figura” possiamo dire che il Crocifisso è anche il Re-Messia, il realizzatore delle promesse messianiche, il Salvatore universale. In lui si realizza la nuova alleanza di Dio con l'umanità, il cui codice è Cristo stesso. Egli è la Scrittura nuova che contiene la proposta definitiva del Dio-Amore e definisce allo stesso tempo la risposta dell'uomo. Il rapporto dell'uomo con Dio ormai non si stabilisce attraverso testi scritti, ma attraverso l'amore personale dell'Uomo-Dio crocifisso. Questa Scrittura può così diventare patrimonio comune dell'umanità intera, al di sopra di ogni particolarismo. Ogni uomo la potrà leggere: parla infatti il linguaggio dell'amore universale.
L'eredità del Crocifisso è come un “mantello”: occorre rivestirsene se si vuol ricevere il suo stesso Spirito. Il mondo riconoscerà i discepoli come eredi del Crocifisso se anch'essi assumeranno la sua veste, praticando cioè il suo stesso servizio fino al dono della vita.
Un'attenzione particolare va data anche al testo di S. Paolo che dice: “Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria”[Ho Basiléus tês Dôxes] (1 Cor 2,8). Qui S. Paolo cita, unica volta, il Salmo 23,7.8.9.10. E' il Salmo «liturgia» che celebra l'Arca dell'alleanza che viene, in processione festosa, per entrare nel Santuario. Sull'Arca troneggia l'invisibile Dio, fattosi presente al suo popolo nella storia. Davanti a lui si aprono le porte, appena è acclamato il Dio Vivente come «il Dio delle Sabaot - il Re della Gloria» (v.10). Le Sabaot sono i turni del popolo di Dio che adorano ininterrottamente il loro Signore. E' anche l'acclamazione di Cristo Risorto quando ascende al Padre, e si apre il Santuario celeste dove si svolge ormai la liturgia perenne di lode ed azione di grazie al Padre nello Spirito.

5.5. Il Servo di Jahvè
«Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil 2,7)
«Ecco il mio servo» (Is 52,13)

Fin dal battesimo al Giordano la voce del Padre indica Gesù come “il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3, 17 che cita Is 42, 1: il primo “carme” del Servo di Jahvè). Quando poi Gesù farà la triplice profezia della sua morte-risurrezione (cfr Mc 8,31-32; 9,31; 10,33-34) applicherà a sé stesso la figura del Servo sofferente di Jahvé predetto da Isaia 52,13 - 53,12. Per Matteo, Gesù è il Servo che annuncia la giustizia alle nazioni ed il cui nome è la loro speranza (Mt 12,18-21 che fa riferimento a Is 42,1-4). In occasione dell'ultima Cena, nel riferire le parole dell'istituzione sul calice, dice “Questo calice è il patto nuovo nel mio sangue, che per voi sarà versato” (Lc 22, 20): proprio come il Servo di Jahvè che “versa” la sua vita in sacrificio “per i peccati dei molti” (cfr Is 53, 12). La predicazione apostolica applicò subito a Cristo il titolo di Servo per annunciare il mistero della sua morte (At 3,13.18; 4,27), fonte di benedizione e luce per le nazioni (At 3,25; 26,23). D'ora in poi il Nome del santo Servo di Dio, Gesù Crocifisso e Risorto, è la sola fonte di salvezza (At 4,12). «Nel Nome del santo servo Gesù» anche i suoi servi potranno annunciare con tutta franchezza la sua parola, compiendo guarigioni, miracoli e prodigi (At 4,29).
Nel riferire la crocifissione di Gesù, Marco dice: “Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra” (Mc 15, 27). Alcuni codici, probabilmente in assonanza con Is 53, 12, aggiungono un v. 28 che dice “E si compì la scrittura che dice: è stato messo tra i malfattori” (cfr Lc 22, 37).
Il Crocifisso, dunque, viene annunciato come colui che adempie le profezie del Servo di Jahvè. Se ne fa interprete lo stesso Pietro che, nello spiegare la guarigione dello storpio, dice: “Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri Padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato...” (At 3.13).
Pietro usa questo tema del Servo per spiegare la presenza del Crocifisso-Risorto in mezzo alla comunità: “Dio, dopo aver risuscitato il sua Servo, l'ha mandato prima di tutto a voi...” (At 3, 26). Anche la catechesi di Filippo al ministro etiope consiste nell'annunciare “la buona novella di Gesù” (At 8, 35) riferendo a Lui quanto il profeta Isaia aveva detto circa il Servo di Jahvè che “come una pecora fu condotto al macello...” (Is 52,7-8).
Anche le prime comunità cristiane, come ci riferisce Paolo nella lettera ai Filippesi, nei loro canti liturgici, inneggiavano al Cristo morto ed esaltato come a colui che “spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo... facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-11).
Portando a compimento le Scritture circa il Servo di Jahvè, il Crocifisso “ricapitolava” tutta una economia di salvezza che il profeta Isaia aveva appunto espressa attraverso questa “figura” così misteriosa del “Servo - 'ebed Jahvè”: paziente (Is 50,6), umile (Is 53,7), capace di offrire la propria vita compiendo, mediante la sofferenza, il disegno di Iahvé (Is 54,4.10); egli giustificherà i peccatori di tutte le nazioni (Is 53,8.1).
Applicando l'economia salvifica del Servo al Cristo, possiamo dire che il Crocifisso è colui che “fu trafitto a causa dei nostri peccati, fu schiacciato a causa delle nostre colpe. Il castigo che ci rende la pace fu su di Lui e per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53, 5; cf 2 Cor 5,21; Gal 3,13; Rm 4,25).
Il Crocifisso, pertanto, è colui che intercede presso Dio in favore dei peccatori, per ottenere loro il perdono dei peccati, il favore divino. Egli intercede offrendo a Dio la sua stessa vita innocente quale “sacrificio di propiziazione” per i peccati (Rm 3,25; 1 Gv 2,2; 4,10). Nel grande giorno dell`espiazione (Lv 16,1), il propiziatorio era asperso di sangue (Lv 16,15). Il sangue del Cristo ha compiuto realmente la purificazione dal peccato che questo rito poteva soltanto significare. Dio accetta, si lascia propiziare: Egli vuole e gradisce la morte propiziatrice del Servo; la dispone lui stesso: per questo l'accetta e la esaudisce.
Il Servo sa che non basta offrire a Dio dei sacrifici ordinari: egli offre al Padre il sacrificio della propria vita “senza peccato”, spesa tutta al suo servizio, fino alla morte, ingiusta e violenta. L'intercessione del Crocifisso in favore “dei molti” (cioè “di tutti”) gli costa, e caro: la vita spesa in sofferenze, rifiuti, morte... Tutto ciò a causa dei nostri peccati; per ottenere dal Padre il perdono dei nostri peccati. Vedendo la nostra incapacità, Egli che è “senza peccato” si sostituisce a noi per renderci Dio di nuovo propizio. La espiazione ha come scopo primario la propiziazione, la pace, la salvezza.
Il Crocifisso, in questa sua qualità di Servo-intercessore per i suoi fratelli e per tutta l'umanità, ottiene dal Padre il dono della riconciliazione, della pace, della salvezza e lo fonda sopra di sé, sul suo sacrificio, sulla sua morte propiziatrice. Il Crocifisso diventa alleanza tra Dio e l'umanità: “Perciò gli assegnerò come conquista i molti... perché nella morte versò sé stesso, con i peccatori fu computato” (Is 53, 12).
Per il suo servizio fino alla morte, il Cristo merita dal Padre un premio e una ricompensa. Questo premio di conquista consiste nell'ottenere dal Padre non solo la salvezza “dei molti”, ma “i molti” medesimi.
Questi “molti”, convertiti e purificati dai loro peccati, aderiscono a lui e divengono partecipi del suo regno e della sua alleanza, dal momento che il giusto Servo del Signore viene esaltato e glorificato oltre la morte.
Sui molti il Padre effonderà l'acqua-Spirito (cfr Is 44,3-5) quale comunicazione della vita gloriosa e immortale che ormai scaturisce dal Crocifisso-Risorto. Come nella persona dei progenitori l'umanità intera è passata dallo stato di vita e benedizione divina, allo stato di morte e di colpa che si riversa su tutto e su tutti, così, nella persona del Servo-Crocifisso, tutta l'umanità fa ritorno dallo stato di peccato a quello di vita e di benedizione divina.
Il Servo, dunque, muore in forza dell'antica maledizione, retaggio del primo peccato, ma subito risorge, ritorna alla vita, acquisendo così con la sua intercessione-propiziazione la divina benedizione per tutti.
Il Padre, accettando l'intercessione del Cristo suo Servo e gradendo il suo sacrificio come dono di propiziazione per i peccati, manifesta la sua riconciliazione con l'umanità effondendo il dono dello Spirito, tramite il suo Servo, alla “posterità” di quest'ultimo: dono perpetuo, inalienabile:
“...verserò il mio Spirito sulla tua posterità,
la mia benedizione sulla tua discendenza” (Is 43, 3).
Lo Spirito di Dio che ha costituito Kyrios Gesù Cristo mediante la risurrezione dai morti (cfr Rm 1,4), viene ora comunicato, partecipato, tramite suo, al suo popolo. E' così possibile una rigenerazione interiore, una vita nuova che costituisce il vero popolo del Signore. Il peccato è perdonato, Dio si è riconciliato con i peccatori, si ristabilisce l'ordine e la giustizia.
Il Crocifisso, in quanto Servo di Jahvè, è dunque la fonte dell'acqua-Spirito che genera vita e felicità vera. E' colui che rende possibile il ripristino dei rapporti di favore tra Dio e l'umanità così come lo erano prima del peccato.
Su di Lui, sui suoi meriti, sul suo sacrificio di propiziazione è costituita, eternamente, la grande Riconciliazione tra Dio e l'umanità; ed è ancora per mezzo suo che si attueranno, esclusivamente, i frutti e il contenuto positivo di questa Riconciliazione.
Il Crocifisso, in quanto Servo di Jahvè, diventa anche il modello da seguire e da imitare per giungere presso il Padre: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5).
E' l'esortazione di san Paolo che spinge tutti i cristiani a farsi servi di Cristo secondo la novità e la libertà che ci vengono dallo Spirito: “Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre”. Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8, 14-17).
Anche noi, come i discepoli di Emmaus, siamo incamminati verso una sera che non conoscerà tramonto. Questa certezza alimentata dalla fede non esclude affatto che il pellegrinaggio della vita sia a volte triste, pieno di scoraggiamenti, influenzato più dalla croce che dalla risurrezione. Per alleggerire questo nostro cammino, si fa allora incontro il Misericordioso, colui che era Crocifisso ed ora è Risorto. Benevolmente ci rimprovera per la nostra sciocchezza e soprattutto per la nostra durezza di cuore “nel credere alla parola dei profeti. Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella gloria?” (Lc 24, 26). E poiché «un servo non è più grande del suo padrone» (Gv 15,20), anche i suoi servi dovranno passare per la stessa via della sofferenza prima di entrare nella gloria del Regno (Ap 7,14).

«La forza di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha rigenerato. La forza di Cristo fece che ciò che prima non era fosse; la debolezza di Cristo fece che ciò che era non perisse. Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza ci ha cercati. […]
Gesù è debole nella carne, ma non volerlo essere tu; nella debolezza di lui tu devi essere forte, perché il debole di Dio è più forte di tutta la potenza umana (cf. 1Cor 1,25)»
(S. Agostino, Commento al Vangelo di S. Giovanni 15, 6-7).

«“Ascoltatelo”, lui che i misteri della Legge hanno annunciato, che la voce dei profeti ha cantato. "Ascoltatelo", lui che ha riscattato il mondo con il suo sangue, che ha incatenato il diavolo e gli ha rapito le spoglie (cf. Mt 12,29), che ha lacerato il chirografo del debito (cf. Col 2,14) e il patto della prevaricazione. "Ascoltatelo", lui che apre la via del cielo e, con il supplizio della croce, vi prepara la scalinata per salire al Regno»
(S. Leone Magno, Discorso 38, 4-8)

5.6. Il nuovo sommo Sacerdote.
“ Perciò dissero tra loro: non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca” (Gv 19,24);

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