Joseph Ratzinger. Meditazioni e preghiere per il Venerdì Santo

VENERDI' SANTO – Meditazioni

Prima meditazione

«Essi guarderanno colui che hanno trafitto» (Zc 12,10; Gv 19,37). Con queste parole l'evangelista Giovanni chiude la sua narrazione della passione di Gesù; con tali parole introduce la visione di Cristo nello ultimo libro del Nuovo Testamento che noi chiamiamo 'Apocalisse'. Tra queste due citazioni della parola profetica dell' Antico Testamento è tesa tutta la storia: tra la crocifissione e il ritorno del Signore; in questa citazione si parla sia dell'abbassamento di colui che morì come un assassino sul patibolo, che della potenza di colui che verrà per giudicare il mondo, per essere quindi anche il nostro giudice.

«Essi guarderanno colui che hanno trafitto». Tutto il vangelo di Giovanni non è che la verifica di questa frase, il tentativo di concentrare il nostro sguardo e il nostro cuore nella contemplazione di lui. E tutta la liturgia della Chiesa non è altro che la contemplazione del trafitto, il cui volto nascosto viene scoperto dal sacerdote davanti agli occhi della Chiesa e del mondo, durante la celebrazione cultuale del Venerdì santo che costituisce il punto più alto dell'anno liturgico.

«Ecco l'albero della croce al quale è stata appesa la salvezza del mondo». «Essi guarderanno colui che hanno trafitto». O Signore concedici in quest'ora di poter guardar a te, nell'ora della tua oscurità e del tuo abbassamento ad opera di un mondo che vuole dimenticare la croce come si fa con un incidente spiacevole, che si sottrae al tuo sguardo, considerandolo un inutile sciupio di tempo e non si rende conto che è proprio qui che ci si fa incontro la tua ora decisiva, nella quale nessuno potrà sottrarsi al tuo sguardo.

Sul fatto della trafittura del crocifisso, Giovanni parla con una solennità stranamente circostanziata, che nello stesso tempo lascia riconoscere il peso che l'evangelista attribuisce a questo evento. Nella narrazione, che si chiude con una formula di testimonianza quasi scongiuratrice, vengono elaborati due testi del Vecchio Testamento, mediante i quali viene nello stesso tempo a risultare evidente il significato di questo avvenimento. «Nessun osso gli deve essere spezzato» (Gv 19,36; Cf. Es 12,46), dice Giovanni e adduce così un testo del rituale pasquale giudaico che contiene una prescrizione sull'agnello pasquale. Egli ci fa cosi comprendere che Gesù, il cui fianco veniva trafitto nello stesso momento in cui nel tempio avveniva lo sgozzamento rituale dell'agnello pasquale, è il vero agnello senza difetto nel quale si compie definitivamente il significato di qualsiasi culto e di qualsiasi rituale, nel quale soltanto anzi diventa manifesto cosa significa in realtà il culto. Ogni culto precristiano si basa in ultima analisi sull'idea della sostituzione: l'uomo è consapevole che fondamentalmente deve dare se stesso se vuole onorare Dio in maniera adeguata, ma sperimenta nello stesso tempo l'impossibilità di darsi e sorge quindi la sostituzione: ecatombe di olocausti divampano sugli altari degli antichi, viene sviluppato un sistema rituale possente, ma su tutto questo pesa il dramma di una inutilità impressionante, giacché non esiste nulla con cui l'uomo possa sostituire se stesso: qualsiasi cosa possa offrire, rimane sempre troppo poco.

La critica profetica al culto aveva sempre opposto all'autosufficienza dei ritualisti che Dio, a cui appartiene il mondo tutto, non aveva bisogno dei loro capri e dei loro tori; la facciata sfarzosa del rito nasconde soltanto la fuga da ciò che è autentico, dalla chiamata di Dio che vuole noi stessi e che può essere veracemente adorato solo nel gesto dell'amore senza riserva. Mentre nel tempio sanguinavano gli agnelli pasquali, fuori della città muore un uomo, il Figlio di Dio, ucciso proprio da coloro che credono di onorare Dio nel tempio. Dio muore come uomo - egli dà tutto se stesso agli uomini che non sono in grado di darsi a lui e pone quindi al posto dell'inutile sostituzione cultuale, la realtà del suo amore onnisufficiente. La lettera agli Ebrei ha sviluppato ulteriormente il piccolo accenno del vangelo di Giovanni interpretando la liturgia giudaica del giorno della riconciliazione come preludio figurato della liturgia reale della vita e della morte del Cristo Gesù. Ciò che agli occhi del mondo appariva come fatto assolutamente profano, come esecuzione di un uomo condannato a morte come agitatore politico, era in realtà l'unica vera liturgia della storia del mondo, liturgia cosmica attraverso la quale Gesù, non già nella sfera delimitata e cultuale del tempio, ma fuori, davanti al mondo tutto, penetrò attraverso la parete della morte nel tempio vero: alla presenza del Padre.

Ed egli non portò il sangue di animali in sostituzione, ma se stesso, com'è conforme all'amore autentico che non può donare che se stesso. La realtà dell'amore che dà se stesso ha eliminato il gioco della sostituzione, che ormai resta per sempre fuori causa, il velo del tempio è lacerato, ormai non c'è più culto se non nella partecipazione all'amore di Gesù Cristo che costituisce il perpetuo giorno di riconciliazione cosmica. E tuttavia l'idea della sostituzione ha ricevuto in Cristo un senso nuovo ed inaudito. Dio stesso in Gesù Cristo si è messo al nostro posto e noi tutti viviamo solo a partire dal mistero di questa sostituzione.

Nel secondo testo del Vecchio Testamento che viene inserito nella narrazione della trafittura rende ancora più evidente quanto abbiamo detto, per quanto permangano oscurità sui dettagli. Giovanni dice che un soldato aprì il fianco di Gesù con la lancia. Egli adopera la stessa parola che nel Vecchio Testamento viene usata per la descrizione della creazione di Eva dal fianco di Adamo dormiente. Qualsiasi cosa voglia indicare più da vicino questo accenno, in ogni caso è sufficientemente chiaro che nel vicendevole rapporto tra Cristo e l'umanità credente si ripete il mistero della creazione dell'origine e della donazione vicendevole dell'uomo e della donna. La Chiesa ha origine dal fianco aperto del Cristo morente o, se vogliamo esprimerci in termini diversi ed un po' metaforici: proprio la morte del Signore, la radicalità dell'amore ché perviene all'autodonazione, ha causato questa fecondità. Poiché egli non si è rinchiuso nell'egoismo di colui che vive solo per se stesso e mette la propria autoconservazione al di sopra di tutto, ma si è lasciato aprire per uscire fuori da se stesso ed esistere per gli altri, proprio per questo Egli raggiunge ormai tutti i tempi, al di là di se stesso. Il fianco aperto è quindi il simbolo di una nuova immagine dell'uomo, di un nuovo Adamo; esso sta a contrassegnare Cristo come l'uomo che esiste-per-gli altri. E forse a partire da qui soltanto possono essere intese le profondissime affermazioni della fede su Gesù Cristo, così come nello stesso tempo è a partire da qui che si fa manifestò il compito immediato affidato dal crocifisso alla nostra vita. La fede dice di Gesù Cristo che Egli è una sola persona in due nature; nel testo greco originale si dice in maniera più esatta e appropriata che egli è una sola ipostasi, un unico essere autonomo.

Nel corso della storia ciò è stato sempre nuovamente equivocato come se a Gesù mancasse qualcosa della sua umanità, come se per essere Dio dovesse in qualche modo essere meno uomo. È vero proprio il contrario: Gesù è l'uomo vero, dal quale è misurato ogni altro uomo, al quale deve andare ogni essere umano per pervenire alla propria autenticità. Ed egli è uomo perfetto proprio in quanto in questo non è ipostasi, essere che sta presso se stesso. Infatti più elevato ancora che il poter essere presso se stessi è il non-poter-stare-presso-se-stessi e il non volerlo, l'andare agli altri partendo dal Padre. Gesù è per così dire nient'altro che il movimento da sé al Padre e agli uomini. E proprio perciò, perché in lui è stato radicalmente spezzato l'anello del roteare attorno a se stessi, egli è nello stesso tempo figlio di Dio e figlio dell'uomo. Proprio perché egli esiste per gli altri totalmente, egli è totalmente se stesso, immagine finale della vera umanità. Diventar cristiani significa diventare uomini, pervenire alla umanità vera, all'essere-per-gli-altri e all'essere-da-Dio. Il fianco aperto del crocifisso, la ferita mortale del nuovo Adamo, è il punto di partenza del vero essere umano dell'uomo: essi guarderanno a colui che hanno trafitto.

Seconda meditazione

Volgiamo ancora una volta il nostro sguardo al lato aperto del Cristo crocifisso, giacché questo sguardo costituisce il senso intimo del Venerdì santo che vuole riportare i nostri occhi via da tutte le attrazioni del mondo, dalla fata Morgana delle sue promesse in vetrina, al vero punto direzionale che unico ci può garantire il cammino in mezzo al groviglio di viuzze che girano sempre attorno allo stesso posto.

Giovanni ha espresso in maniera ancora diversa, rispetto a quella precedentemente considerata, il pensiero che la Chiesa deve la sua origine più profonda al fianco trafitto di Cristo. Egli accenna al fatto che dalla ferita del fianco sono usciti sangue ed acqua. Sangue ed acqua stanno ad indicare per lui i due sacramenti fondamentali, battesimo ed eucaristia, che a loro volta costituiscono il contenuto autentico dell'esser-chiesa della Chiesa. Battesimo ed eucaristia sono i due modi in cui gli uomini possono essere inseriti nello spazio vitale di Gesù Cristo. Il battesimo sta a significare infatti che un uomo diventa cristiano e si pone sotto il nome di Gesù Cristo. E questo stare sotto un nome significa molto di più che un puro gioco di parole; ciò che sta a significare può essere visto un po' attraverso l'evento del matrimonio e la comunità di nome che si istituisce tra due persone come espressione dell'unione vicendevole del loro essere, che avviene appunto nel matrimonio. Il battesimo che, come attuazione sacramentale del divenire cristiani, ci unisce al nome di Cristo, sta a significare esattamente un evento simile al matrimonio: compenetrazione della nostra esistenza con la sua, inserimento della nostra vita nella sua, che diventa cosi criterio e spazio del mio essere umano. L'eucaristia è a sua volta comunione di mensa con il Signore che ci vuole trasformare in lui per condurci cosi l'uno verso l'altro, giacché tutti mangiamo lo stesso pane. Non siamo infatti noi ad assumere il corpo del Signore, ma è Lui che ci cava, per così dire, fuori da noi stessi e ci inserisce in Lui per farci Chiesa.

Giovanni riconduce i due sacramenti alla croce; egli li vede defluire dal fianco aperto del Signore e considera quindi compiuta la parola del discorso di congedo: io vado e torno a voi (Cf. Gv 14,18-19). Proprio mentre me ne vado vengo a voi; anzi la mia dipartita - la morte sulla croce - è essa stessa il mio ritorno. Fin quando vivremo il nostro corpo non è soltanto il ponte che ci unisce vicendevolmente, ma anche la barriera che ci separa, ci rinchiude nell'inaccostabilità del nostro io, dentro alla nostra forma spazio-temporale. Il fianco aperto diventa nuovamente il simbolo della nuova apertura che il Signore viene a costituire mediante la sua morte: ormai la barriera del corpo non lo lega più, sangue ed acqua scorrono attraverso la storia. In quanto risorto egli è lo spazio aperto che ci chiama tutti. Il suo ritorno non è soltanto un avvenimento lontano, alla fine dei tempi, ma è iniziato già nell'ora della sua morte, a partire dalla quale egli viene sempre nuovamente in mezzo a noi. Nella morte del Signore si è compiuto quindi il destino del seme di grano: nel pane di grano dell'eucaristia noi riceviamo l'inesauribile moltiplicazione di pane dell'amore di Gesù Cristo, sufficiente a saziare la fame di tutti i tempi e che proprio in questa maniera vuole assumere anche noi al servizio di questa moltiplicazione di pani. I due pani di orzo della nostra vita potranno apparire inutili, ma il Signore ha bisogno di essi e li esige.

I sacramenti della Chiesa sono frutto del seme di grano morente. Riceverli significa per noi donarci a quel movimento da cui essi provengono. Si esige cioè da noi di penetrare in quel perdersi, senza del quale non ci possiamo ritrovare: «Chi vuole conservare la sua vita la deve perdere; ma chi la perderà per il mio nome e per il vangelo, la conserverà» (Gv 12,25); questa parola del Signore è la formula fondamentale della vita cristiana. La fede in ultima analisi non è nient'altro che il dire sì a questa santa avventura del perdersi, e proprio qui, a partire dal suo nucleo profondo, non è altro che amore autentico. La fede cristiana riceve quindi la sua forma determinante dalla croce di Gesù Cristo e l'apertura del cristiano al mondo, della quale oggi si sente tanto parlare, non può reperire il proprio modello altrove che nel fianco aperto del Signore, espressione di quell'amore radicale che solo può redimere. Dal corpo trafitto del crocifisso sono usciti sangue ed acqua. Ciò che in primo luogo è segno della sua morte, espressione del sul fallimento nell'abisso della morte, è nello stesso tempo un nuovo inizio: il Crocifisso risorgerà e non morrà più. Dalla profondità della morte si innalza la promessa della vita eterna. Sulla croce di Gesù Cristo brilla già sempre lo splendore vittorioso del mattino di Pasqua. Vivere con lui a partire dalla croce significa quindi sempre vivere anche sotto la promessa della gioia pasquale.

Preghiera

Signore Gesù Cristo concedici in questo Venerdì Santo di guardare a te, al tuo cuore trafitto. Concedici che i nostri occhi e il nostro spirito, che ogni giorno si bagnano nella vanità e nella banalità, possano una volta, al di là di tutti gli schermi di questo mondo, contemplare il vero Salvatore: te, seme di grano morto, dal quale è germogliato il frutto centuplo dell'amore di cui tutti viviamo. O Signore, noi esitiamo a venire a te, opponiamo resistenza quando ci vuoi prendere come semi di grano, quando vuoi tirarci fuori dalla meschina difesa del nostro spirito di autoconservazione nel quale ci siamo rincantucciati mascherando la nostra pusillanimità con parole grosse. Ah, tu conosci la nostra debolezza, la nostra incapacità a far fronte alla minima oscurità, l'angoscia nella quale rimaniamo prigionieri di noi stessi. Facci liberi; portaci per mano fuori di noi stessi, oltre la soglia della nostra paura, e ciò di cui non siamo capaci possa essere il dono della ricchezza invitta del tuo cuore aperto. Amen.

Preghiera comune di intercessione

Preghiamo per la Santa Chiesa di Dio. Perché tu o Signore voglia guidarla in questo tempo di confusione, ricerca e domanda. Perché tu voglia inviarle uomini santi che vivano in mezzo al nostro tempo con la pienezza della loro fede. Perché tu ci voglia donare la concordia, la pazienza vicendevole, la forza portante dell'amore ed il coraggio per la santa stoltezza della fede... Signore pietà!

Preghiamo per tutti coloro che sono alla ricerca, per tutti coloro che sono tentati o che sbagliano. Che in mezzo alla fuga seduttrice verso le parole fatte, in mezzo alla dittatura della via più facile, tu o Dio possa essere di aiuto a coloro che cercano, forza a coloro che sono tentati, sostegno nell'inutilità spaventosa che minaccia di opprimere coloro che si trovano consegnati fuori da se stessi; che tu possa essere luce nel dubbio che ci fa vacillare; che tu ti voglia mostrare agli erranti, ai persecutori che forse cercano ancora te in qualche maniera... Signore pietà!

Preghiamo per la pace del mondo, per gli affamati, i perseguitati e gli ammalati. Considera o Signore la miseria orribile e molteplice che tiene prigionieri gli uomini; essi sono tuoi figli, non dimenticarli. Concedi la pace là dove essa manca, perché tu solo la puoi dare in mezzo all'indurimento spaventoso degli uomini. Dai il cibo agli affamati, copri gli ignudi, consola gli afflitti, tu Dio di ogni consolazione. Signore pietà!

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