IGNACE DE LA POTTERIE Gesù e Tommaso




Se la fede pasquale dei discepoli ha veramente raggiunto questo punto culminante nell'episodio precedente, la descrizione della genesi della fede sembra essere arrivata a termine. Ma in questo caso, cosa può ancora significare l'apparizione di Gesù in presenza di Tommaso? Il problema che pone quest'ulti-ma pericope è stato presentato in termini eccellenti dagli autori dell'articolo di « Biblica »: « Ci si potrebbe in un certo senso domandare cosa aggiunge di nuovo l'episodio di Tommaso. Maria ha visto il Cristo salito e glorificato. I discepoli hanno visto Cristo salito al cielo e glorificato. Qui è raggiunto il punto più alto: l'equilibrio è perfetto, l'unione del Cristo storico e del Verbo eterno è pienamente manifestata. Cosa aggiungere di più? ».
Tuttavia, è certo che l'apparizione a Tommaso deve avere un senso teologico preciso, diverso da quello degli episodi precedenti, tanto più che, per i critici, la sua redazione è da attribuirsi prima di tutto all'evangelista stesso. Bultmann fa ricadere tutto il peso dell'episodio sul versetto di conclusione, la beatitudine di quelli che credono senza aver visto; essa sarebbe da interpretare « come una critica radicale dei "segni" e della apparizioni pasquali e come una apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore ». Ma è arbitrario interpretare la scena a partire dal solo v. 29. Si impone un'analisi dettagliata di tutto il passo. Lo stesso Bultmann ha visto molto bene il carattere paradossale di questi versetti: la beatitudine finale (credere senza avere visto) è rivolta a Tommaso, uno dei primi discepoli, uno di quelli che hanno pur visto il Signore; sembra dunque, pensa Bultmann, che il rimprovero che gli è rivolto debba estendersi agli altri discepoli e a Maria Maddalena, poiché essi, certamente, hanno creduto dopo aver visto. Ma come ammettere una conclusione del genere, che riduce praticamente a niente l'importanza di tutto il capitolo?

1. Attiriamo dunque l'attenzione su alcuni elementi importanti della strut-tura letteraria di tutta la sezione. Da un lato, ricordiamolo, questo episodio (A') è parallelo a quello dei due discepoli nel giardino (A); dall'altro, è innegabile che l'apparizione a Tommaso è come una ripetizione dell'apparizione ai discepoli (B'). Questo doppio parallelismo deve essere esaminato attentamente. E denso di insegnamento. La pericope dei due discepoli al sepolcro e quella di Tommaso sono costruite in maniera simile; esse si compongono l'una e l'altra di due movimenti:

a) (20, 1-10) I discepoli al sepolcro: « Egli vide e credette » (20,3-8).
b) Rimprovero ai discepoli (20,9-10).
a') Tommaso davanti a Gesù « ... tu vedi, tu credi » (20, 26-29a).
b') Rimprovero a Tommaso (20, 29b).

L'espressione « vedere e credere » appare nei due casi (a, a'). Ciò che viene rimproverato a Tommaso, non è di aver visto Gesù, poiché Gesù stesso ha voluto manifestarsi a lui. Il rimprovero cade sul fatto che Tommaso ha rifiutato, all'inizio, di credere, quando ha sentito l'annuncio dei discepoli. Ma bisogna anche tener conto delle somiglianze evidenti fra la nostra pericope e precedente, ovvero fra l'apparizione a Tommaso e quella ai disce-poli: nei due casi, si tratta di una visione sensibile, (20, 20; , 20, 25) che si dischiude in una visione di fede ( 20, 25; 20, 29). Il rimprovero di Gesù, qui ancora, non è legato dunque al fatto che lui, «uno dei Dodici » (20, 24) fa la stessa esperienza degli altri; al contrario questa esperienza l'ha portato a fare la più bella confessione di fede di tutto il quarto vangelo: « Mio Signore e mio Dio » (20, 28). Gesù lascia invece intendere che egli avrebbe già dovuto « credere senza vederlo » : la testimonianza di tutti gli altri del gruppo dei Dodici avrebbe dovuto bastargli.

2. Si coglie ora ciò che ha di specifico e polivalente il caso di Tommaso. Appartiene contemporaneamente, se così si può dire, a due gruppi: è uno dei Dodici, è stato gratificato come gli altri dalla visione del Signore (cfr. ciò che Paolo dirà più tardi, per rivendicare il suo titolo di Apostolo: « Io ho visto Gesù, nostro Signore », 1 Cor 9, 1); ma poiché era assente alla prima apparizione di Gesù ai discepoli, egli è per così dire il primo di tutti quelli che, in seguito, dovranno credere senza vedere. Questo doppio orientamento dell'episodio, all'indietro e in avanti, rende la sua analisi particolarmente delicata. Tenendo nel dovuto conto questi due aspetti, si può descrivere come segue il senso teologico dell'apparizione a Tommaso: essa ci fa comprendere innanzi tutto (è l'orientamento in avanti) l'importanza che prenderà d'ora in poi il «credere senza avere visto » (20, 29); è ciò che avrebbe già dovuto fare Tommaso, sulla base della testimonianza degli altri discepoli. Ma questa testimonianza dei disce-poli era essa stessa basata sulla vista sensibile e sulla visione di fede che avevano avuto del Cristo risuscitato (ecco l'orientamento del nostro episodio all'indietro); e Tommaso, anche lui, può rifare per suo conto la stessa esperienza dell'incontro con Gesù. La lezione teologica che scaturisce da questa scena è dunque doppia: ormai i credenti nella Chiesa dovranno credere senza aver visto; di ciò, Tommaso avrebbe già dovuto dare l'esempio; d'altra parte, resta il fatto che questa fede cristiana si collega sempre all'esperienza fondante dei primi testimoni, che ave-vano avuto la visione di fede del Cristo glorioso; la loro testimonianza avrebbe dovuto bastare a Tommaso; viene tuttavia concesso a Tommaso di rifare la stessa esperienza, poiché era « uno dei Dodici » (20, 24).

3. Cerchiamo di mettere ancora meglio in luce questi due aspetti dell'episodio.

a) Il parallelismo fra l'apparizione a Tommaso e l'apparizione ai discepoli mostra molto chiaramente in che senso è importante «vedere » Gesù. I discepoli avevano raccontato a Tommaso: « Abbiamo visto il Signore » (20, 25). Era, ricordiamo, una visione di fede, il frutto del dono dello Spirito. Il rifiuto di Tommaso è tuttavia categorico. Vuole verificare di persona: « Vuole sperimenta-re; vuole vedere; vuole toccare Gesù nella sua realtà fisica (...) . In altri termini, egli pone e definisce le condizioni della fede (...) . La risurrezione del Cristo non è conosciuto in tal modo da nessuno dei testimoni del vangelo ». Nondimeno, Gesù si manifesta di nuovo, questa volta in presenza di Tommaso: accede al suo desiderio e si lascia toccare. Ma l'invita formalmente a superare lo stadio equivoco e pericoloso in cui si è posto: « Smetti di essere incredulo e diventa un uomo di fede ». Nessun altro testo di questo capitolo esprime così chiaramente l'esigenza fondamentale della progressione nella fede. Il tema sarà ripreso nella conclusione generale del vangelo (20, 31). Per Tommaso, questa parola è un invito a un cambiamento radicale: il passaggio dalla vista (unicamente) sensibile di Gesù e delle piaghe della Passione alla visione di fede del Signore glorificato; è questa che ispirerà la sua confessione di fede: « Mio Signore e mio Dio » (20, 28).

b) Un'altra dimensione dell'episodio ci porta ancora indietro (la testimonianza ricevuta), certo, ma ci orienta soprattutto verso l'avvenire: è l'importanza di « credere senza vedere ». Qui scatta il parallelismo di 20, 24-25 con 20, 1-2. I due discepoli avevano ricevuto da Maria Maddalena la notizia della rimozione della pietra del sepolcro, e corsero subito là; anche senza vedere Gesù, il discepo-lo prediletto « cominciò a credere » (20, 8). Tommaso, anche lui, ricevette una testimonianza formale da parte dei discepoli; essi avevano « visto il Signore » (20, 25). Senza vedere lui stesso Gesù, Tommaso avrebbe già dovuto credere. Nei due casi, il testo sottolinea l'importanza della trasmissione del messaggio, e dunque dell'attestazione dei primi testimoni (è il punto di partenza della Tradi-zione). E in questo senso che si deve comprendere la beatitudine finale, che proclama beati coloro che credono nel Signore senza averlo visto coi loro occhi. Quest'ultima frase del vangelo prepara la conclusione generale (20, 30-31) e apre una larga prospettiva sulla vita della Chiesa. Ma questa necessità di credere senza vedere non significa che le apparizioni pasquali e la visione di fede dei primi testimoni non abbiano più alcun peso per i credenti che seguiranno. Esse avevano avuto un'importanza decisiva per i discepoli: quelli che ormai crederanno nel Signore senza averlo conosciuto, dice molto bene il P. Mollat, lo faranno « sull'attestazione di coloro che l'hanno visto. C'è alla fine del vangelo, un appello tacito dell'evangelista al lettore. Lo invita a rimettersi (...) alla testimonianza contenuta nello scritto ». È ciò che sarà detto esplicitamente nella conclusione generale del vangelo. E si comprende ancora meglio ora perché Giovanni, nel prologo del vangelo (1, 14) e in quello della prima lettera (1 Gv 1, 1a), insista sul fatto che i discepoli e testimoni hanno visto e contemplato il Verbo incarnato: questa vista del Signore, questa esperienza fondante dei testimoni, è il punto di partenza (1 Gv 1, 1) per la fede di tutti i credenti nella Tradizione cristiana.

1 commento:

Unknown ha detto...

Articolo molto interessante che, però, lascia nel vago l'aspetto più importante. Nel vangelo di Giovanni c'è chi ha creduto non avendo visto (il Signore) ma soltanto dei segni(le bende). Il passaggio da βλέπω a ὁράω - per dirla con Ignace de la Potterie - senza transitare per l'osservazione di θεωρέω ma, semplicemente, cogliendo il segno a prima vista.
Beato il discepolo che lui amava, che ha creduto dai segni. L'uomo comune e del futuro può soltanto imitare Giovanni, non altri, siccome a lui non è dato di ascoltare, vedere, toccare il Signore. I segni, però hanno un valore immenso. Un caro saluto. LinoLista