Di Danilo Mazzoleni *
I brani dei Vangeli che narrano la Passione di Cristo forniscono scarne ma preziose indicazioni su luoghi ed ambienti ove si svolsero i fatti, commemorati nella Settimana Santa. In base a queste notizie e soprattutto ai dati forniti dalle ricerche archeologiche, è possibile ricomporre lo "sfondo" di quei drammatici avvenimenti, nonostante l’oggettiva difficoltà di ricostruire la complessa vicenda urbanistica di Gerusalemme nel corso dei secoli.Così, coloro che oggi visitano la Terra Santa fanno spesso fatica a riconoscere le vestigia (non di rado scarne e sporadiche) delle fasi paleocristiane di tanti santuari, ma la suggestione che emana da quei luoghi, che videro la conclusione della vicenda terrena del Redentore, è tale, da causare irripetibili emozioni, che in nessun altro posto al mondo si riescono a provare. Questo itinerario archeologico, legato ai momenti salienti della Passione, può iniziare dal Cenacolo, ossia sul monte Sion, ad ovest dell’antico abitato, che fu teatro dell’Ultima Cena, ma anche dell’apparizione di Cristo risorto agli Apostoli e della discesa dello Spirito Santo.Doveva trattarsi della sala da pranzo della dimora di uno dei discepoli, messa a disposizione della comunità e certamente era posta al primo piano di un edificio, secondo la testimonianza concorde di Marco, di Luca e degli Atti degli Apostoli.Studi recenti hanno consentito di identificare tale ambiente, sfuggito alla distruzione romana di Gerusalemme del 135, nella cosiddetta "tomba di Davide", un cenotafio di epoca crociata edificato forse su una sinagoga-aula cultuale, dove la comunità giudeo-cristiana si riuniva e dove si sono trovati graffiti, invocanti in ebraico e in greco il nome di Cristo.Giovanni, vescovo di Gerusalemme fra il 386 e il 415, fece costruire vicino al Cenacolo una basilica, detta Santa Sion, in cui era custodita anche la colonna della Flagellazione, ma l’edificio fu distrutto dai Persiani nel 614. In epoca crociata l’aula di culto fu ricostruit a, mettendola in comunicazione con l’attigua cappella superiore del Cenacolo, ma dopo la riconquista araba il complesso fu abbandonato, consentendo però ai cristiani la visita e la celebrazione di messe. Nel Trecento l’area fu ceduta ai Francescani, i quali sistemarono la sala superiore, trasformandola in aula rettangolare con volte a crociera, colonne e pilastri a fascio, così come la si vede oggi. Dopo alterne vicende, però, e la trasformazione in moschea nel XVI secolo, si permise nuovamente la frequentazione ai pellegrini cristiani solo nell’Ottocento, ma vige tuttora il divieto di celebrare liturgie in quel luogo.Sul Monte degli Ulivi, di fronte alla porta orientale dell’antico abitato di Gerusalemme, si individuarono i resti di una basilica paleocristiana, detta dell’Agonia, costruita a ricordo della preghiera di Gesù nell’Orto nelle ore che precedettero la Sua cattura. L’edificio primitivo, a tre navate e con tre absidi, fu eretto nella seconda metà del IV secolo, inglobando e lasciando visibile la roccia, su cui Cristo avrebbe sostato orante. Distrutta dalle truppe persiane nel VII secolo, l’aula fu ricostruita in età crociata, dedicandola al Salvatore, ma durò per poco tempo, finché nella prima metà del Novecento fu costruita una chiesa nuova sulle vestigia antiche.Dopo l’arresto, avvenuto al Getsemani, Cristo fu condotto nel Sinedrio, dove probabilmente si trovava anche la residenza del Sommo Sacerdote. Il palazzo era ubicato nella parte alta della città, non lontano dal Cenacolo e dalla Porta di Sion e proprio in quella zona gli archeologi ritrovarono resti murari di abitazioni, riferibili a personalità di rango; quindi è possibile che in una di esse si potesse riconoscere il sito in oggetto, ma di più, in base ai dati in nostro possesso, non è possibile dire.Il percorso narrato dai Vangeli prosegue poi con l’apparizione di Cristo al cospetto di Pilato, procuratore romano, che doveva ratificare la condanna pronunciata dal Sinedrio. Si sa che il governatore risiedeva abitualmente a Cesarea Marittima, ma a Gerusalemme egli sostava di solito in quello che era stato il palazzo di Erode, nella parte occidentale della città. Tuttavia, nella ricorrenza della Pasqua ebraica, diveniva sede ufficiale dell’autorità romana la fortezza Antonia, sita all’angolo nord-ovest del recinto del Tempio, per essere meglio difesi nell’eventualità di sommosse popolari.La fortezza, sorta sul lato settentrionale del Tempio già nel V secolo a.C. e profondamente trasformata nel II secolo a.C., quando divenne una vera cittadella fortificata, era circondata da quattro alte torri, e fungeva anche da residenza, ma in essa era acquartierato stabilmente un presidio militare, per controllare e proteggere quell’area sacra. Il nome di Antonia le fu dato da Erode il Grande, per ingraziarsi il triumviro Marco Antonio.Proprio all’interno di questo fortilizio si tenne la seconda parte del processo a Gesù, alla presenza di Pilato, in un cortile adibito a sede di giudizio, denominato dal Vangelo di Giovanni lithostraton, ossia "lastricato". Proprio alcuni resti di questa pavimentazione furono rinvenuti nel monastero delle Suore di Sion. Alcune di queste lastre, poi, recavano incisi dei segni e delle lettere, posti in relazione con giochi dei soldati, che erano di stanza in quel luogo.Uno dei fornici di un triplice arco, individuato nella Torre Antonia, fu chiamato dell’Ecce Homo, perché la tradizione popolare riteneva che proprio sotto di esso Pilato avesse presentato al popolo Gesù, pronunciando la celebre frase, riportata da Giovanni, ma la stessa datazione del monumento, posteriore all’evento, non rende possibile tale teoria. In ogni modo, le strutture superstiti dell’arco sono tuttora inglobate dietro l’altare maggiore della chiesa ottocentesca del convento di Nostra Signora di Sion, detta proprio dell’Ecce Homo.Se sussistono fondate argomentazioni per sostenere che in questo settore della città antica si debba situare la fortezza Anton ia, le strutture finora note sono riferibili ad epoca successiva di circa un secolo ai fatti narrati. Così, il sito ove sarebbe avvenuta la Flagellazione è oggi ricordato dall’omonima cappellina medievale (ma ricostruita nel secolo scorso), ubicata nel convento dei Padri Francescani di Terra Santa. Nel sottosuolo si sono qui rinvenute opere di canalizzazione e cisterne romane. Di fronte alla prima, una seconda cappella, pure rifatta in epoca moderna, è dedicata alla Condanna del Cristo.Fin dai primi secoli cristiani i pellegrini erano soliti ripercorrere l’itinerario della Passione di Cristo, visitando il Pretorio di Pilato, e nella chiesa della Santa Sion (sulla collina a sud-ovest di Gerusalemme, vicino al Cenacolo) veneravano la colonna della Flagellazione che sosteneva il portico, secondo quanto riferiscono Egeria nel suo Diario di Viaggio e San Girolamo. Essa doveva trovarsi fra le rovine del palazzo di Caifa, dove l’aveva potuta ancora vedere l’Anonimo pellegrino di Bordeaux nel 333. Eustochio, discepolo di San Girolamo, la descrive come ancora "macchiata di sangue".La prima stazione della Via Dolorosa, cioè del tratto di strada percorso da Gesù dal luogo della condanna al Calvario, partiva proprio dalla fortezza Antonia (oggi nel cortile della madrasa el-Ummariya), per un percorso di circa seicento metri in salita. Il tracciato subì nel tempo deviazioni e modifiche, adattandosi alla complessa topografia di Gerusalemme e articolandosi in quattordici stazioni, cinque delle quali, prive di un preciso riscontro nella narrazione evangelica, appaiono frutto della pietà popolare.Quasi a riprova dell’effettivo passaggio di Cristo lungo la Via Crucis, sul sito della quarta stazione, che ricorda l’incontro di Gesù con la Madonna, furono raffigurati un paio di sandali su un pannello musivo, a quanto pare anteriore alla costruzione di una chiesa bizantina commemorativa dell’evento nel V-VI secolo, poi sostituita da un edificio crociato (oggi vi si trova la chiesa cattolica armena di S. Maria dello Spasimo). Nel luogo della sesta stazione (l’incontro con la Veronica) furono invece individuate vestigia di un probabile complesso monastico, dedicato ai Santi Cosma e Damiano (oggi c’è una cappella moderna greco-cattolica), mentre sul sito della settima, che ricorda la seconda caduta di Cristo, dove attualmente sorge una cappella francescana, sono emersi resti importanti della città adrianea, ossia il tetrapylon, il punto di incrocio fra i due assi viari principali urbani. Le ultime tappe della Via Dolorosa si trovano oggi all’interno del complesso del Santo Sepolcro, sull’originaria altura rocciosa del Calvario.Il luogo della Crocifissione era chiamato in aramaico Golgota, ossia "cranio", forse in relazione alla sua particolare forma di prominenza rocciosa. Il sito, già adibito a cava di materiali dal VII al I secolo a.C., sorgeva all’esterno della cinta muraria di Gerusalemme e "fuori dalla porta", come è specificato in un passo della Lettera agli Ebrei, ma non lontano dall’abitato, perché secondo la tradizione un supplizio come la crocifissione era attuato proprio perché fosse di esempio al popolo, che poteva assistere al drammatico evento. La porta settentrionale distava, infatti, all’incirca un centinaio di metri dal Calvario ed era un luogo di passaggio frequente, specie durante il periodo della Pasqua. Su una parete rocciosa, in un orto di sua proprietà, Giuseppe d’Arimatea aveva provveduto a far scavare il sepolcro familiare, in una zona già adibita ad uso funerario. In quel luogo, secondo quanto si legge nel Vangelo giovanneo, Cristo fu sepolto in una tomba scavata nella viva roccia e composta da due ambienti, un vestibolo e una camera vera e propria, dove "sulla destra entrando" (secondo la specificazione di Marco e di Giovanni) era stato apprestato il sepolcro, sormontato da un arco, con un letto funerario. L’ingresso doveva poi essere chiuso da una mola ruotante, alla quale allude sempre Marco.Nella se conda metà del secolo scorso ripetute indagini e campagne di scavi si sono proposte di far luce sulle complesse fasi costruttive del santuario, che inglobò in epoca costantiniana sia il sito della Crocifissione sia il Santo Sepolcro. Si è potuti giungere fino al primitivo banco roccioso, con i segni degli sbancamenti e le tracce di un giardino, ricordato dai Vangeli. Il ritrovamento di terra frammista a scaglie di pietra sta a dimostrare proprio il nuovo utilizzo della cava. In questa stessa zona sono state trovate altre due sepolture, una singola ed una multipla.Il Calvario fu inglobato nella nuova cinta muraria di Agrippa, nel 44 d.C. e si ritiene conservi l’originario aspetto, perché gli scavi non hanno rivelato tracce di costruzioni anteriori al 135 d.C. A distanza di poco più di un secolo dagli eventi della Passione sul Golgota, Adriano volle che vi si edificasse il Campidoglio della nuova colonia di Elia Capitolina, alla fine della seconda rivolta giudaica.Secondo lo storico Eusebio di Cesarea, l’imperatore avrebbe imposto la copertura sotto un terrapieno del Sepolcro venerato, che costituì il podio dell’edificio di culto profano. Ciò sembra un’ulteriore conferma dell’esattezza dell’identificazione del luogo più sacro dei cristiani, la tomba di Cristo. Il gesto di Adriano pare rispondere ad un preciso disegno politico di restaurazione del culto imperiale di Roma. Come ricorda San Girolamo, il Calvario divenne il piedistallo della statua di Venere, mentre sul Sepolcro di Cristo fu posto il simulacro di Giove.Con la costruzione della cella tripartita del tempio, posta proprio sopra il Santo Sepolcro, esso venne a trovarsi al centro della nuova città adrianea, mentre originariamente era al margine esterno della cinta muraria.Ancora Eusebio descrive il grandioso progetto di Costantino, che all’incirca due secoli dopo (al termine del concilio niceno del 325) volle cancellare l’imperioso gesto profanatore di Adriano e, abbattuto il tempio adrianeo di Venere, sgomberò tutto il terrapieno sotto il podio, rimettendo in luce lo sperone del Calvario e la grotta della tomba di Cristo.Nella sistemazione costantiniana il Santo Sepolcro divenne il centro focale del complesso, unendo tutte le memorie venerate in un medesimo santuario, nel quale i pellegrini trovassero ampio spazio durante le numerose cerimonie liturgiche quotidiane. I nuclei del complesso furono tre: il Santo Sepolcro (Anastasis, o luogo della Resurrezione), un triportico con funzioni di raccordo e la basilica martiriale. Visitando oggi il monumento, però, esso appare completamente snaturato dai tanti interventi costruttivi posteriori e difficilmente si potrà immaginare il suo aspetto originario, così minuziosamente descritto dai pellegrini del passato. Il progetto del complesso fu affidato da Costantino ad un presbitero di Costantinopoli, Eustazio e ad un siriano, Zenobio. Lo stesso imperatore dispose che il governatore locale partecipasse alle spese dei materiali e della manodopera, mentre le casse imperiali avrebbero provveduto ai costi delle preziose suppellettili del santuario.Un atrio monumentale, al quale si accedeva dall’arteria principale della città adrianea, costituiva l’ingresso al complesso cultuale. Tre grandi porte immettevano nella basilica, detta del Martyrium (letteralmente, "luogo della testimonianza" della morte di Cristo), suddivisa in cinque navate, quelle laterali provviste di gallerie. Il presbiterio era rialzato e concluso da un’abside semicircolare ornata da dodici colonne rivestite d’argento, rivolta in direzione del Sepolcro. La ricca copertura era costituita da cassettoni dorati, mentre esternamente la tettoia era ricoperta da lastre di bronzo, come attestano le descrizioni dei pellegrini, che dal IV secolo in poi non mancarono di annotare il fasto della basilica e gli usi liturgici durante la giornata.Le sole strutture riportate alla luce dell’edificio costantiniano, in occasione di ricerche recenti, sono costi tuite dalle fondazioni del muro di facciata e dai resti dell’abside e di alcuni tratti pertinenti alle navate. Infatti, i Persiani di Cosroe nel 614 recarono gravi danni al complesso, dandolo alle fiamme. In seguito, esso fu restaurato dal monaco Modesto, ma, nel 1009, la basilica fu rasa al suolo per ordine del califfo el-Hakim e non fu più ricostruita. Solamente nel 1048 l’imperatore bizantino Costantino Monomaco riuscì a restaurare quanto restava dell’Anastasis, costruendo sul sito una cappella a protezione del Calvario.Un triplice portico collegava il primo edificio di culto alla Rotonda del Santo Sepolcro e circondava la roccia del Calvario rimasta spoglia, visibile, protetta unicamente da un duplice ordine di cancelli, come ricorda ancora l’Anonimo di Piacenza nel 570.Teodosio II, nel 420, aveva fatto dono al santuario di una croce dorata, che splendeva a cielo aperto, ma dopo la spoliazione di ogni arredo sacro da parte dei Persiani, si decise di coprire l’area con quattro pilastri, sorreggenti una volta a crociera, impianto più volte restaurato, ma conservatosi fino ad oggi.L’Anastasis doveva essere il nucleo principale dell’intero complesso costantiniano, cui si giungeva attraverso un percorso che si snodava all’interno degli edifici ora citati, fino ad arrivare al Sepolcro. Otto grandi porte costituivano l’ingresso trionfale alla cosiddetta Rotonda, un edificio a pianta centrale impostato su pilastri e su dodici colonne, riutilizzate dal precedente tempio adrianeo; la Rotonda era, a sua volta, compresa in una grande conca absidale intervallata da tre esedre.L’edicola sorta sul Sepolcro, che Costantino aveva fatto isolare entro un cubo di roccia, sacrificandone il vestibolo, non era precisamente al centro del vasto spazio articolato circostante. Le rappresentazioni del monumento su ampolle metalliche del VI secolo e le descrizioni delle fonti letterarie attestano che l’edicola era esternamente rivestita di marmi ed era sormontata da una cuspide con una croce d’oro. L’ingresso era ad oriente ed era preceduto da un altare quadrato, ricavato dal grande masso posto a chiusura della Tomba; internamente era stato rispettato l’aspetto originario, con la viva roccia in vista e il Sepolcro lasciato spoglio. Oggi il vano appare interamente rivestito di marmi e preceduto dalla Cappella dell’Angelo, che ricorda l’annunzio dato alle Pie Donne dopo la Resurrezione.Una raffigurazione fra le più antiche, sia pure schematica, del complesso del Santo Sepolcro si trova nella cosiddetta carta di Madaba (oggi città giordana), un mosaico pavimentale con la carta della Terra Santa e delle zone limitrofe eseguito probabilmente intorno alla metà del VI secolo. Gli edifici sembrano alludere al centro focale della città; sono chiaramente visibili l’ingresso monumentale del santuario e le tre porte d’accesso alla basilica, resa con un tetto a spioventi; alle spalle si può riconoscere l’Anastasis.Profonde trasformazioni interessarono le costruzioni al tempo del già citato imperatore bizantino Costantino Monomaco, nell’XI secolo, e successivamente in epoca crociata, quando alle strutture originarie si aggiunsero cappelle, coro, chiostro, un campanile (originariamente a cinque piani), oggi ridotto a torre mutila, una nuova decorazione a mosaico nell’Anastasis e una pavimentazione di tipo cosmatesco, inglobando tutte le memorie in un unico complesso. La stessa facciata subì un rifacimento piuttosto radicale, tuttora visibile. Delle due porte che vi si aprivano, una fu murata all’epoca del Saladino, nel XII secolo, mentre l’altra è quella da cui tuttora entrano i pellegrini nel santuario.
* Rettore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana
Avvenire 8 aprile 2007
Nessun commento:
Posta un commento