G. Ravasi. Davide piange Gionata, la cui ''amicizia era più preziosa che amore di donna''

La "lamentazione" che Davide intona quando apprende la notizia della morte di Gionata, la cui «amicizia era più preziosa che l’amore di donna» (1,26), è un piccolo capolavoro poetico di forte impatto sentimentale dando così corpo a chi ha voluto leggere questa relazione in chiave omosessuale. Una lettura che non è condivisa dal biblista Ravasi.


In ebraico viene definita qìnah, cioè "lamentazione", e questo titolo ben s’attaglia (nonostante il ritmo del brano sia diverso) a un piccolo capolavoro poetico di forte impatto sentimentale. È il canto che Davide intona appena apprende la notizia della morte suicida di Saul, il primo re di Israele, sconfitto dai Filistei sui monti di Gelboe, e della fine di suo figlio Gionata, legato a Davide da profonda amicizia.
Colui che sarà il successore di Saul si abbandona al flusso delle emozioni e le sue parole, riferite dal secondo Libro di Samuele (1,19-27), sono per tre volte scandite da quell’eterno «Perché?» che i sofferenti levano al cielo quando si trovano di fronte a una tragedia: «Perché sono caduti gli eroi?» (1,19.25.27).

Sul panorama verdeggiante dei monti di Gelboe, che orlano a sud-est la pianura settentrionale della Galilea, sull’esultanza frenetica delle donne dei vincitori filistei, che per le vie delle loro città (Gat e Ascalona) sono pronte a danzare, Davide fa scendere il velo delle sue lacrime che tutto annebbia e offusca.
Anzi, egli lancia una maledizione simbolica su quei monti che furono spettatori indifferenti di quel dramma nazionale: «O monti di Gelboe, mai più rugiada né pioggia scenda su di voi, né mai si distendano campi di primizie!» (1,21). È curioso notare che lo Stato ebraico moderno ha idealmente raccolto l’appello di Davide, lasciando incolti quei colli ed evitando che su di essi si piantassero alberi o coltivassero campi.

Il ritmo del lamento per quel re, che pure aveva perseguitato il giovane Davide, ma che l’aveva anche accolto a corte quand’era ancora un ignoto pastorello, è tutto scandito da una serie di coppie di sostantivi: Gat e Ascalon, le città nemiche, rugiada e pioggia dei monti, sangue e grasso dei corpi delle vittime, arco e spada che esse impugnavano, aquile e leoni, simboli della loro forza, porpora e gioielli delle loro donne. Ma soprattutto echeggiano due nomi, Saul e Gionata, in modo appassionato, spasmodicamente invocati per quattro volte.

Ma l’ultimo nome a risuonare, solitario, è quello di Gionata, l’amico carissimo, la cui «amicizia era più preziosa che l’amore di donna» (1,26), come confessa Davide, dando così corpo a chi ha voluto banalizzare questa relazione leggendola in chiave sessuale.
In realtà, i rapporti tra i due nella Bibbia sono descritti spesso con connotati politici (che in Oriente si esprimono anche attraverso il linguaggio amoroso).

Gionata, andando contro le ragioni del sangue e il suo stesso interesse di erede al trono, aveva lucidamente compreso che il futuro sarebbe stato luminoso solo per Davide, amico e alleato. E questa vicenda interiore e sociale stimolerà sant’Ambrogio, che esalterà la straordinaria forza dell’amicizia, capace di andare oltre gli stessi vincoli di sangue, pronta anche a «dare la vita per il proprio amico» (Giovanni 15,13).

* Testo già edito dall’autore nel 2005 su Famiglia Cristiana (2002)

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