Card. G. Biffi. Vince chi perde, la logica della Croce

Verso Pasqua • Ecco l’unicità del cristianesimo tra le fedi: dipende da un fatto e rovescia il senso comune • Le riflessioni del cardinale Biffi • «La resurrezione del terzo giorno può essere letta come una rivincita dopo la sconfitta; in realtà il trionfo era già nel Venerdì santo»
di Giacomo Biffi

Tratto da Avvenire del 14 marzo 2008

La rivincita del Crocifisso. L’e­spressione allude all’evoluzio­ne dello stato d’animo degli a­postoli e degli altri amici di Gesù nel corso degli accadimenti che ci han­no salvato. Essi nella morte del Si­gnore hanno visto una catastrofe: u­na sconfitta totale e senza rimedio per l’insegnamento, l’azione, il pre­stigio del loro Maestro; e una scon­fitta totale e senza rimedio anche per loro stessi. In lui avevano riposto ogni loro speranza; per lui avevano abbandonato la casa, il lavoro, le normali relazioni sociali; su di lui a­vevano puntato la loro unica vita: a­vevano lasciato tutto (cf. Mc 10, 28).

E avevano perso tutto. Ed ecco che arriva quell’inaspettato e incredibile terzo giorno, con il sepolcro scoper­chiato e vuoto, con il succedersi in­calzante delle manifestazioni del Re­divivo, con la ricomparsa (in uno splendore nuovo) del loro antico af­fascinatore. Quel terzo giorno è stato naturalmente percepito come il «giorno della rivincita»: una rivincita davanti al «clan» e a quei conoscenti che avevano sempre guardato con scetticismo alla loro infatuazione e forse già avevano iniziato a deriderli dopo la fine ingloriosa dell’esperien­za intrapresa; una rivincita davanti alle autorità del popolo d’Israele; u­na rivincita davanti all’umanità inte­ra. La sera del terzo giorno in mezzo a quel gruppo ormai disilluso e sbandato comincia a serpeggiare il sollievo e la sensazione che la bella avventura, con i suoi attori di sem­pre, sta per ricominciare da capo: davvero il Signore è risorto ed è ap­parso a Simone! (Lc 24, 34). Era una rivincita inaspettata. Tutto ciò è plausibile e possiede una sua verità.

Se però l’attenzione si sposta dal dramma come era psicologicamen­te vissuto da chi era immerso nelle oscure vicissitudini terrene al dise­gno eterno del Padre, allora (a un livello di conoscenza più alto, più chiaro, più comprensivo) ci si rende conto che bisogna parlare, per tutto quel che è avvenu­to, di totale e assoluta «vitto­ria ». Io ho vinto, aveva subi­to affermato Gesù poco pri­ma di essere arrestato, al principio del suo percorso di umiliazione, di sofferenza, di morte, di risurrezione, di gloria (Gv 16, 33: «Io ho vinto il mondo»). Del resto, egli ci aveva già informato che perfino la sua croci­fissione sarebbe stata una vittoria, anzi una «vittoria cosmica» e una conquista dei cuori: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire (Gv 12, 32­33). La Chiesa, con l’intelligenza do­natale dalla Pentecoste, ben presto capisce che tutto quanto si è svolto a Gerusalemme nelle ore più buie del­la storia è intrinsecamente parte del vittorioso progetto di Dio. (... ) Qui si impongono alcune considerazioni generali sull’avvenimento pasquale come ciò che è fondante e costituti­vo della nostra essenziale autenticità di credenti in Cristo. Quando all’in­domani della Pentecoste gli apostoli partono per annunciare il Vangelo a tutte le genti, su comando del loro Signore e Maestro, non hanno altra religione che quella ebraica, non ri­conoscono altro Dio che il Dio di A­bramo, di Mosè e di Davide, non possiedono altro libro sacro (alme­no inizialmente) che la Bibbia degli israeliti: tutti elementi teologici e cultuali che non li distinguevano dal resto della popolazione di Gerusa­lemme e della Giudea. Che cosa al­lora era proprio, esclusivo, caratte­rizzante del Vangelo e della nuova realtà della Chiesa? Era il convinci­mento e l’annuncio pubblico che Gesù di Nazaret, il Crocifisso del Golgota, era risorto, era adesso vivo, era Signore. Questo è ciò che nel cri­stianesimo è ancora oggi proprio, e­sclusivo, caratterizzante. «Occorre a questo punto persuadersi che il cri­stianesimo fin dal suo contenuto primordiale è qualcosa di unico, di decisivo, di imparagonabile. Prima ancora che una religione, una mora­le, un culto, una filosofia, è un avve­nimento: l’avvenimento della risur- rezione di Gesù di Nazaret che si fa principio del rinnovamento degli uomini e delle cose. Perciò è intra­montabile: le dottrine nascono, fan­no fortuna, incantano per decenni e magari per secoli, poi decadono e muoiono. Il fatto cristiano resta, pro­prio perché è un fatto; e resta indi­pendentemente dall’accoglienza e dal numero delle adesioni che rice­ve. Tutte le religioni – oggi si sente dire sempre più spesso – hanno un loro valore che è giusto riconoscere.

E si può anche ammetterlo, purché non ci si dimentichi che la realtà cri­stiana in questo discorso non c’en­tra. Il cristianesimo, primariamente e per sé, non può essere ridotto a un sistema di convincimenti, di precet­ti, di riti che interpreta e regola i rap­porti tra le creature e il Creatore. Vale a dire, per quanto la frase possa ap­parire paradossale, primariamente e per sé, non può essere ridotto a 'una religione': collocarlo tra le religioni (anche soltanto per ragioni di siste­mazione e di metodo, o per la buona intenzione di favorire il dialogo in­terreligioso), se non si chiarisce l’in­trinseca ambiguità del collegamento o quanto meno il suo significato sol­tanto analogico, vuol dire travisarlo e precludersi ogni sua autentica comprensione.


Il libro
La Settimana 18 volte

Il mistero pasquale osservato da 18 punti di vista. Si potrebbe anche riassumere così il nuovo lavoro del cardinale Giacomo Biffi, che ne «La rivincita del crocifisso.

Riflessioni sull’avvenimento pasquale» (Edizioni Studio Domenicano, pp. 318, euro 16) propone una raccolta di tutte le omelie pronunciate durante le Settimane sante trascorse come arcivescovo di Bologna, dal 1985 al 2003.

Testi originali e profondi, come è nello stile dell’autore, del quale proponiamo in questa pagina un ampio stralcio dell’introduzione inedita.

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