R. CANTALAMESSA. LA DISCESA DAL MONTE TABOR

Di questa pagina cosí nota e familiare del Vangelo vorrei mettere a fuoco un momento che mi pare particolarmente fecondo per una riflessione quaresimale. Siamo sul Tabor. Davanti ai tre apostoli Pietro,Giacomo e Giovanni è apparsa la visione del Signore trasfigurato. Un'atmosfera di gloria e di indicibile pace è calata sul monte e li avvolge tutti. Per i tre apostoli,reduci da fatiche, dubbi e contrasti, è come sentirsi improvvisamente dentro un porto tranquillo dopo la tempesta. « E' bello per noi stare qui... ». Vogliono fermarsi; pensano già concretamente a come realizzare il progetto:«facciamo tre tende ». Ma ecco che Gesú si alza, li scuote e dice loro: « Alzatevi! » e, senza fiatare, anche se a malincuore, si avviano al piano, dove trovano la folla e gli altri apostoli, dove ritrovano la fatica, il dubbio e il contrasto. Questo momento del Vangelo illumina un'esperienza che ogni cristiano, prima o poi, deve fare nella sua vita. Arriva il momento che nell'esistenza di una persona o di una famiglia si stabilisce una certa calma, o addirittura la felicità. Le difficoltà si sono appianate, ci si intende, si è contenti del proprio lavoro, dei propri figli; la vita appare bella e piena di promesse per l'avvenire. Ci sembra di essere finalmente sul Tabor. La spinta ad adagiarci in questa situazione è irresistibile. Vorremmo non sentir parlare piú di dolore, di lutti intorno a noi; vorremmo andare avanti cosí all'indefinito. E' bello stare qui! Qualche volta il Signore, nei suoi piani, lascia l'uomo per parecchio tempo o per sempre in questo porto tranquillo. Gli occorre che ci siano anche segni di questo tipo nel mondo. Ma è l'eccezione. Il piú delle volte, ci viene vicino, ci scuote e dice anche a noi: Alzati! E ci ributta cosí nel vortice della vita, tra pene, contraddizioni, contrasti e malattie. Uno è costretto a fare salti mortali per far quadrare il bilancio familiare, uno si trascina da un ospedale all'altro al capezzale di un congiunto, uno infine è tradito nell'affetto, o è avvolto dal buio dell'incertezza.

Fin qui è il destino di ogni uomo, credente o non credente. Non è solo il discepolo di Gesú che passa per questa esperienza. In ciò siamo tutti uguali. Anche l'ateo ha il suo Tabor, dal quale deve scendere per salire il Calvario. La differenza è solo nell'atteggiamento che l'uomo assume di fronte a questa esperienza, nello spirito con cui la vive. Qui il discepolo di Gesú deve distinguersi dachi non ha la fede. Come distinguersi? Dalla risposta che darà a quell' « Alzati e cammina! ». Per Abramo, questa voce del Signore si espresse con le parole che abbiamo sentito nella prima lettura: « Esci dal tuo paese, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre ». Egli stava cosí bene tra i suoi; era felicemente sposato con Sara, non desiderava forse che avere numerosi figli, tanti armenti e giungere a tarda età circondato dalla schiera dei figli dei suoi figli. La voce misteriosa del Signore gli intima: « Alzati e va'! ». E' un comando doloroso, ma non gratuito o capriccioso, da parte di Dio,perché quello che gli promette è molto piú di quello chegli chiede: « In te saranno benedette tutte le famiglie della terra ». « Abramo parti, come il Signore gli aveva ordinato ». Questo momento della vita di Abramo è l'espressione plastica della fede; per questo noi continuiamo a considerare questo pastore caldeo di quattromila anni fa « nostro padre nella fede ». Dio lo chiamò, lo invitò; egli rispose sí, fidandosi di lui, anche se non sapeva esattamente cosa l'attendeva e anche se non aveva garanzie. Questo « eccomi » della fede noi l'abbiamo pronunciato nel Battesimo, in una fase cioè della nostra vita in cui non potevamo dargli subito un contenuto. Ecco perché la Chiesa ci chiama, a diverse riprese, a realizzare e rendere cosciente quella scelta. La Quaresima è l'occasione per eccellenza per riportare alla luce questo impegno che giace sepolto nella nostra infanzia e nell'opacità della vita quotidiana. Chiamandoci a conversione, la Chiesa ci chiama, in realtà, a ripetere e fare nostra l'esperienza di Abramo e quella degli apostoli sul Tabor:uscire, scendere, andare. Uscire dalla routine della vita - dalla nostra Ur di Caldea - in cui siamo confortevolmente installati, la mente piena di progetti e di desideri terreni. Andare « verso il paese che il Signore ci indica », cioè verso il futuro della fede, aprendoci alle promesse che Dio ci fa e alle opere che ci chiede. Il paese che Dio indica, per Abramo era la terra promessa, la Palestina; per noi è il Regno di Dio. Non solo il Regno di Dio dopo la morte, ma quello che è già « tra noi », in terra, e per l'avvento del quale preghiamo nel « Padre nostro »; quel Regno di Dio che altro non è se non la volontà di Dio su di me che aspetta di essere compiuta: « Venga il tuo regno », cioè « sia fatta la tua volontà ». Uscire da Ur di Caldea e scendere dalTabor altro non significa, dunque, che andare coraggiosamente incontro alla volontà di Dio. Se non vogliamo però rimanere sul piano delle parole e delle buone intenzioni, illudendo pericolosamente noi stessi, dobbiamo tradurre, in questo tempo, la nostra disponibilità con qualche gesto concreto che esprima il nostro « sí » a Dio. Alla gioia luminosa della Pasqua, i tre apostoli non sarebbero giunti se si fossero fermati sul Tabor, magari all'ombra delle tre tende. Anche noi non ci giungeremo se non seguendo coraggiosamente il Signore. Se abbiamo fede per riconoscerlo, questo è il momento in cui egli ci viene vicino, come a Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor, anzi viene dentro di noi e ci invita a seguirlo verso Gerusalemme. Ci dice: Alzatevi, andiamo!


Si trasfigurò davanti a loro

Perché la fede, le pratiche religiose sono in declino e non sembrano costituire, almeno per i più, il punto di forza nella vita? Perché la noia, la stanchezza, la fatica nell'assolvere i propri doveri di credenti? Perché i giovani non si sentono attirati? Perché, insomma, questo grigiore e questa mancanza di gioia tra i credenti in Cristo? L'episodio della trasfigurazione ci aiuta a dare una risposta a queste domande.

Cosa significò la trasfigurazione per i tre discepoli che assistettero ad essa? Finora essi avevano conosciuto Gesù nella sua apparenza esterna, un uomo non diverso dagli altri, di cui conoscevano la provenienza, le abitudini, il timbro di voce... Ora conoscono un altro Gesù, il vero Gesù, quello che non si riesce a vedere con gli occhi di tutti i giorni, alla luce normale del sole, ma è frutto di una rivelazione improvvisa, di un cambiamento, di un dono.

Perché le cose cambino anche per noi, come per quei tre discepoli sul Tabor, bisogna che succeda nella nostra vita qualcosa di simile a quello che capita a un giovane o a una ragazza quando si innamorano. Nell'innamoramento l'altro, l'amato, che prima era uno dei tanti, o forse uno sconosciuto, di colpo diventa l'unico, il solo al mondo che interessi. Tutto il resto indietreggia e si colloca come su uno sfondo neutro. Non si è capaci di pensare ad altro. Avviene una vera e propria trasfigurazione. La persona amata viene vista come in un alone luminoso. Tutto appare bello in lei, perfino i difetti. Se mai, ci si sente indegni di lei. L'amore vero genera umiltà. Qualcosa cambia anche concretamente nelle proprie abitudini di vita. Ho conosciuto ragazzi che al mattino i genitori non riuscivano a tirare fuori dal letto per far andare a scuola; se si trovava loro un lavoro, dopo un po' lo abbandonavano; oppure si trascinavano negli studi senza laurearsi mai... Poi, ecco che, una volta innamoratisi di qualcuno e diventati fidanzati, al mattino saltano dal letto, sono impazienti di terminare gli studi, se hanno un lavoro se lo tengono caro. Cosa è successo? Niente, semplicemente quello che prima facevano per costrizione, ora lo fanno per attrazione. E l'attrazione è capace di far fare cose che nessuna costrizione riesce a far fare; mette le ali ai piedi. "Ognuno, diceva il poeta Ovidio, è attratto dall'oggetto del proprio piacere".

Qualcosa del genere, dicevo, dovrebbe succedere una volta nella vita per diventare cristiani veri, convinti, gioiosi di esserlo. "Ma la ragazza o il ragazzo, si vede, si tocca!" Rispondo: Anche Gesù si vede e si tocca, però con altri occhi e con altre mani: quelli del cuore, della fede. Egli è risorto ed è vivo. È un essere concreto, non un'astrazione, per chi ne fa l'esperienza e la conoscenza. Anzi con Gesù le cose vanno ancora meglio. Nell'innamoramento umano, ci si inganna, attribuendo all'amato doti che forse non ha e con il tempo si è spesso costretti a ricredersi. Nel caso di Gesù, più si conosce e si sta insieme, più si scoprono nuovi motivi per essere innamorati di lui e confermati nella propria scelta.

Questo non vuol dire che bisogna starsene tranquilli ad aspettare, anche con Cristo il classico "colpo di fulmine". Se un ragazzo, o una ragazza, se ne sta tutto il tempo chiuso in casa, senza vedere nessuno, non succederà mai niente nella sua vita. Per innamorarsi bisogna frequentarsi! Se uno è convinto, o semplicemente comincia a pensare che è bello e vale la pena conoscere Gesù Cristo in questo modo diverso, trasfigurato, allora bisogna che cominci a "frequentarlo", a leggere i suoi scritti. Le sue lettere d'amore sono il Vangelo! È lì che egli si rivela, si "trasfigura". La sua casa è la Chiesa: è lì che lo si incontra.


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