Lino Cignelli. La Trasfigurazione di Gesù

Questa volta la meta del nostro pellegrinaggio spirituale è il Monte Tabor. Siamo chiamati a rivivervi un Mistero glorioso di cui si ha sempre bisogno. Da esso ci viene la forza necessaria per camminare, "dietro" a Gesù, sulla via della croce che porta alla gloria finale della Risurrezione (Mt 16, 21 ss).

1. Generalità.

Il Monte Tabor è una grandezza biblica. Viene ricordato più volte nell'Antico Testamento (cf. Gdc 4,6.12.14; 1Sam 10,3), dove compare come monte sacro e luogo di culto (Dt 33,18s; Os 5,1). Un salmista canta: Il Tabor e l'Ermon nel tuo nome esulteranno" (Sal 88,13 sec. Lxx). Una profezia della futura Trasfigurazione del Signore? Ad ogni modo è questo Mistero cristologico che ha reso famoso il Tabor.

Nel nuovo testamento il monte Tabor non è mai ricordato espressamente; però un'antica tradizione, attestata fra gli altri da S. Cirillo di Gerusalemme (Cat 12,16) e da S. Girolamo (Ep. 46,13), lo indica come il luogo del mistero della Trasfigurazione. Un'altra tradizione lo identifica col "monte" della Galilea su cui il Maestro parlò agli Apostoli dopo la risurrezione (Mt 28,7.16). Nel sec. IV‑V S. Giro]amo, residente in Palestina, pensava che il Tabor fosse anche il "monte" dove Gesù ha pronunciato il suo discorso inaugurale, detto appunto "Discorso della montagna" (Mt 5,1ss); ma questa opinione è rimasta senza seguito.

All'inizio del sec. XII un devoto pellegrino russo, Egumeno Daniil (=Daniele), scriveva: "Il monte Tabor è stato

plasmato da Dio in modo meraviglioso e straordinario, (è) di una bellezza indescrivibile, è stato disposto in modo

splendido ed è molto alto e grande..." (Itinerario in T. S., Città Nuova 1991, 149). La descrizione risente,

evidentemente, dell'esperienza mistica che il devoto pellegrino ha avuto visitando "quel santo monte" (ivi,
150).

A sua volta il Beato Frédéric Janssoone ofm, pellegrino e guida esemplare del secolo scorso, sentiva il Tabor come luogo di "ritiro" e di contemplazione per le anime che hanno fame e sete del mondo divino (Pages choisies.... par R. Légaré, Québec 1972, 75). Nello stesso senso si era già espresso un omileta greco anteriore al sec. XI.

Tra queste anime che anelano a Dio vogliamo esserci anche noi. Faremo un pellegrinaggio spirituale al Tabor, "sul monte santo" (2Pt 1,18), allo scopo di capire e accogliere meglio il Mistero glorioso che vi è perennemente attuale. Anch'esso "è stato scritto per nostra istruzione" (Rm 15,4). Ce lo ricorda S. Girolamo: "Ogni cosa fatta da Gesù è mistero, è nostra salvezza" (In Mare. 11, 1 ‑ 10). Uniamoci dunque ai primi spettatori della Trasfigurazione e affidiamoci alla guida di S. Matteo (17,1‑9) e, tramite lui, dello "Spirito di verità" che, solo, può rivelarci la persona e l'opera divina del Cristo.

Sul Tabor fu eretta per tempo una chiesa‑basilica a ricordo del mistero della Trasfigurazione. Così ce ne parla, nel sec.

X, Eutichio d'Alessandria: "La chiesa del monte Tabor sta a rendere testimonianza che Cristo salì su quel monte assieme a tre dei suoi discepoli, figli di Zebedeo, e che fu trasfigurato davanti a loro nella luce della sua divinità, sì che il suo volto divenne come il sole e le sue vesti candide come la luce...» (Libro della Dimostrazione, n. 323; tr. B. Pirone, SOC
Collectanea 23, 1990, 33s).

Entriamo in questa chiesa‑santuario, col Vangelo alla mano, per rivivere nella nostra "carne" il Mistero di gloria che vi è racchiuso e che ci attende tutti. La pagina evangelica relativa è come la voce del Luogo Santo, il suo messaggio vivificante (Gv 6,63). La vogliamo rileggere insieme. La lettura del Vangelo ‑ lo sappiamo ‑ ci fa contemporanei e presenti ai Misteri o atti salvifici del Dio‑Uomo: la fede ce ne fa ‑ deve farcene ‑ partecipi. Con la fede, atto supremo della nostra libertà, si accoglie e si vive il Mistero, si passa dalla teoria alla pratica, dalla conoscenza astratta alla conoscenza concreta e nutriente dell'evento di grazia che c'interpella.

Eccoci dunque anche noi sul Tabor davanti al Cristo trasfigurato, cioè totalmente bello e beato nella sua umanità personale. Lasciamoci coinvolgere nel Mistero. Questa l'intenzione ultima dell'evangelista stesso e, soprattutto, dello Spirito Santo che ci parla tramite lui. I Santi Padri ce lo ricordano con forza. Per es., Macario il Persiano (sec. IV) si rivolge al singolo fedele in questi termini: "Se Lo cerchi sul monte, ve lo trovi con Elia e Mosè" (Hom. 12,12). S. Girolamo, scrivendo ad amici romani, così li coinvolge nell'evento: «Saliremo sul Tabor, e sotto la tenda del Salvatore noi lo contempleremo in compagnia del Padre e dello Spirito Santo..." (EP 46,13).

Diamo prima il contesto e poi una lettura e commento del Vangelo della Trasfigurazione secondo Matteo.

Lino Cignelli, ofm)

2. Contesto della Trasfigurazione

L'episodio è legato con quanto precede e ne è lo sviluppo logico. Lo notava già S. Leone Magno (sec. V): "Con l'illuminazione della grazia divina raggiungeremo più facilmente tale comprensione ‑ del "grande Mistero" ‑, se facciamo attenzione al contesto evangelico che precede immediatamente" (Tr. 51,1). Per papa Leone il contesto in questione incomincia dalla confessione di Pietro (Mt 16,13ss). La Trasfigurazione fa quindi luce tanto sulla persona quanto sull'opera di Colui che è "il Cristo, il Figlio del Dio vivente".

Il Mistero del Tabor si compie "sei giorni dopo" (Mt 17, 1) la grande svolta nella vita pubblica di Gesù, svolta determinata dall'annuncio della Passione e dalla proposta della croce da parte del Maestro "ai suoi discepoli" (Mt 16,21 ss). Precisiamo i passi di questa svolta che segna "il culmine del ministero pubblico di Gesù" (Giovanni Paolo II, Omelia 11‑3‑1990, n. 2).

In Mt 16,21 il Maestro fa il primo annuncio del Mistero pasquale (passione ‑ morte ‑ risurrezione), sottolineando la fase negativa (molte sofferenze e uccisione da parte dei capi religiosi del popolo). La profezia suscita un'audace e... goffa reazione nel capo degli Apostoli (Mt 16,22). "La protesta di Pietro: 'Questo non ti accadrà mai" (Mt 16,22) ‑annota Giovanni Paolo Il ‑ si ripete anche oggi da parte di chi vorrebbe che la sofferenza non fosse presente nel destino umano".

Gesù respinge energicamente il tentativo del suo vice di distoglierlo dalla via tracciatagli da Dio Padre (Mt 16,23) e, per giunta, inculca ai discepoli il dovere sacrosanto di seguirlo sulla stessa via: la croce salva se è condivisa (Mt 16,24ss). Il discepolato cristiano si gioca precisamente su "la parola della croce": o la croce o la "perdizione"! (1Cor 1,18; Fil 3,18s; cf. Mt 10,38s; Lc 14,27). Ma dal contesto risulta che i discepoli, con Pietro a capo,

non si sono lasciati convincere dal Maestro. A questo punto e in questa situazione si verifica l'evento della Trasfigurazione, con l'intervento decisivo di Dio Padre.

Lino Cignelli, ofm)

3. Lettura e commento di Mt 17,1-9

Dal contesto passiamo al testo. Per forza di cose ci limitiamo ai dati principali, aderendo per quanto possibile alla lettera.

17, 1. "Sei giorni dopo (il primo annuncio della Passione) Gesù prese (lett. prende) con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse (lett. conduce) in disparte su un alto monte". Il presente storico ("prende", "conduce") serve all'attualizzazione, cioè a suscitare negli ascoltatori interesse e partecipazione all'evento salvifico che viene proclamato.

"Pietro, Giacomo e Giovanni": sono gli Apostoli prediletti, quelli a cui "Jesù... fè più carezza", al dire di Dante (Par 25,33). Il Signore dona e si dona "a ciascuno secondo la sua capacità" (Mt 25,15).

"in disparte": il Mistero si compie in un luogo solitario, in un ambiente di ritiro e di preghiera, come specifica S. Luca (9,28s). La teofania, la rivelazione divina, è atto d'amore e, come tale, esige raccoglimento e intimità amicale: non ci si ama e dona in vetrina, sotto gli occhi di tutti... Origene precisa che, oggi come ieri, la visione di Gesù "nella forma o natura divina" è riservata "ai figli della luce" (In Math. com. 2,64; cf. 6,77).

"su un alto monte": secondo la tradizione è il Tabor, come si è detto all'inizio (v. M.T. Petrozzi, Il M. Tabor e dintorni, Jerusalem 1976, 73ss). Nella Bibbia, il monte "è il luogo classico dell'autorivelazione divina e della preghiera (Lc 6,12; Mt 14,23)", annota J. Ernest (Il Vangelo sec. Luca 1, Morcellania 1985, 416).

17,2. "E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce". S. Luca aggiunge un particolare importante: "mentre pregava" (9,29). La preghiera è trasfigurante, fonte di bellezza e di gioia divina (Es 34,29). Suor Amata racconta di S. Chiara d'Assisi che "quando essa tornava da la orazione, la faccia sua pareva più bianca e più bella che 'l sole" (FF, n. 3002).

"Fu trasfigurato": è un passivo teologico, il completamento d'agente sottinteso è "da Dio (Padre)". E' lui il protagonista, invisibile ma presentissimo, di questo evento salvifico come degli altri eventi della vita terrena del Figlio fatto uomo (2Pt 1,17; Gv 8,29; 12,28). La Trasfigurazione è una prima, provvisoria, risposta del Padre buono alla fedeltà del Figlio diletto che predica e pratica per primo "La parola della croce" (1Cor 1,18). L'uomo Gesù diventa, per qualche istante, come sarà un giorno, e per sempre, dopo la Risurrezione: "il più bello tra i figli dell'uomo" (Sal 45,3), "riconoscibile fra mille e mille" e "tutto delizie" (Ct 5,10.16), l'icona perfetta dell'umanità redenta, ossia liberata e promossa al divino.

Anticipo della Risurrezione in un momento critico, la Trasfigurazione ci rivela insieme la misericordia e il senso pedagogico del Fratello maggiore e, in definitiva, del Padre celeste: dietro il Figlio c'è sempre il Padre (Gv 14,9ss). Loro sanno che noi uomini abbiamo bisogno di sentire e vedere qualcosa per poterci innamorare e impegnare, e così ci regalano quest'ora di paradiso, ci fanno gustare qualche preludio di cielo, in modo che possiamo dire con S. Paolo: "... le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà rivelarsi in noi" (Rm 8,18), e col Poverello d'Assisi: "Tanto è quel bene ch'io aspetto / che ogni pena m'è diletto!".

17,3. "Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia che conversavano con lui". S. Luca specifica l'oggetto della conversazione: "La sua dipartita (lett. il suo esodo) che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme" (9,31), cioè il Mistero pasquale di Gesù. "Mosè" simboleggia la Legge (Toràh), ed "Elia" i Profeti dell'antico testamento, spiegano i Padri della Chiesa. "La Legge e i Profeti ‑ che Gesù è venuto a completare (Mt 5,17) ‑ annunciano la Passione di Cristo", commenta S. Girolamo (In Marc. 9,4), e così S. Cirillo di Gerusalemme (Cat. 12,16) e tanti altri.

Effettivamente l'Antico Testamento preannuncia il Messia prima sofferente e poi glorioso (Is 52s; Sal 22), e si trova così in pieno accordo con la predicazione di Gesù. Non si può quindi rifiutare l'insegnamento del Cristo in nome dell'Antico Testamento. Il Mistero pasquale di Passione e Risurrezione predicato da Gesù non solo non è contro l'Antico Testamento, ma ne costituisce il messaggio essenziale (Lc 24,26s; 1Cor 15,3s).

17,4. "Pietro allora prese la parola e disse a Gesù: Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". S. Luca aggiunge finemente: "Egli non sapeva quel che diceva" (9,33; cf. Me 9,6), E' la verità. Altrettanto succede a noi: davanti alla sublimità di Gesù non siamo che dei nani e dei Gervasi...

Il Maestro sa dare alle cose l'importanza che hanno e perciò lascia cadere la proposta di Pietro. S. Agostino rileva che l'apostolo "voleva stare bene..." e non aveva ancora la "carità" pastorale (Serm. 78,3s).


17,5. "Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolge con la sua ombra". La "nuvola luminosa" è segno della presenza divina (Shekinàh) e della sua gloria (Es 24,15ss, 34,5). S. Ambrogio vede in questa "nuvola" un simbolo dello Spirito Santo (In Luc. exp. 7,19), e così Giovanni Paolo II (Omelia 11‑3‑1990, n. 2). In base a questa esegèsi, la teofania del Tabor risulta essere un evento trinitario (cf. Mt 3,16s).

‑ "Ed ecco una voce che diceva dalla nuvola: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!". Siamo nel cuore del Mistero. Questo intervento di Dio Padre segna il vertice della teofania del Tabor e dell'intero Vangelo di Matteo. il protagonista supremo della Storia della salvezza, il "Padre e Signore del cielo e della terra" come lo chiama il Figlio stesso (Mt 11,25), rompe di nuovo il silenzio e si fa sentire con forza. Sul Tabor Dio Padre "non solo conferma l'attestazione del Giordano: ‑ Questi è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3,17), ma aggiunge perentoriamente: Ascoltatelo! (Mt 17,5). Sempre. Anche quando parla della Croce"

La voce del Padre è veramente il fatto centrale del Mistero che stiamo rivivendo. Come si è ricordato, la Trasfigurazione avviene in un Momento critico: i discepoli di Gesù, con Pietro a capo, reagiscono all'annuncio della Passione redentrice, cioè al vero messianismo predicato e attuato dal Figlio diletto. Vorrebbero la Risurrezione, il trionfo e la gloria, senza la sofferenza e la morte violenta, più o meno come quei "nemici della croce di Cristo" contro cui insorgerà S. Paolo minacciando loro "La perdizione" eterna (Fil 3,18s). Interviene allora Dio Padre, la suprema autorità, a rompere ogni resistenza. La sua "voce" è chiara, precisa, potente come un "tuono" (Gv 12,28s; Es 19,19), e non ammette repliche: il messaggio e l'esempio del Figlio diletto vanno accettati in pieno, senza storie e senza smorfie, come spiega S. Agostino (In lo. tr. 34,8s). Un messianismo buontempone,

festaiolo, senza virtù e doveri è un assurdo, anzi è satanismo (Mt 16,23). Dio Padre e il Figlio diletto non ci salvano a modo nostro, ma a modo loro, unicamente a
modo loro...

Questa "voce" ammonitrice è sempre attuale. Il Padre ce la fa sentire ogni volta che rifiutiamo l'esempio e la parola del Figlio diletto per accodarci a maestri abusivi che vendono un vangelo più o meno "scontato" e accomodato alle pretese della "carne" o uomo vecchio (Gal 5, 19ss). Lui ci vuole e ci mette alla scuola del Fratello maggiore, nostro Maestro e modello unico (Mt 23,8‑10); ci vuole "conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29). E per noi accettare tanto Maestro e modello è dovere e soprattutto interesse, osserva acutamente S. Leone Magno (Tr. 51,6s). Chi infatti non ha quest'unico Maestro, ne avrà parecchi, e tutti più o meno interessati e oppressori, "ladri e briganti" (Gv 10,8). La storia, remota e recente, parla chiaro.

17,6. "All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore". La teofania dà le vertigini, ricorda Origene citando Esodo 33,20 (In Math. 12,43), come pure S. Cirillo di Gerusalemme (Cat. 10,7) e S. Cromazio di Aquileia (In Math. tr. 54A,8).

17,7. 'Ma Gesù si avvicinò e, toccandoli, disse: Alzatevi e non temete". Davanti alla prostrazione e allo spavento dei discepoli Gesù si comporta da fratello buono e delicato (cf. Es 20,20). Lo rileva bene S. Girolamo: "Siccome quelli stavano a terra e non potevano alzarsi, Lui dolcemente si avvicina e li tocca. Così, toccandoli, li libera dalla paura e ridà vigore alle membra debilitate..." (In Math. 17,7). Quello di Gesù è un tocco consolatore e guaritore (cf. In Marc. 1,30s; 8,22‑25).

17,8. "Sollevando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo". La teofania è bell'e finita. Il Maestro è tornato normale, non è più trasfigurato e sfavillante, ma è sempre Lui, "L'incomparabile" al dire di S. Ambrogio (De virg. 1,66), colui con il quale si ha "tutto" (Col 2,3; 3,11). S. Girolamo lo chiama appunto "il nostro tutto" (Ep. 66,8) e ne esalta il fascino e l'importanza assoluta, unica.

17,9. "E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: Non parlate a nessuno di questa visione finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti". La Trasfigurazione è in rapporto con la futura Risurrezione, ne è un saggio. Gesù, umile e realista, proibisce ai tre discepoli di far conoscere, prima del tempo, la visione goduta sul Tabor. Essi "credettero prestando ascolto ed ubbidendo a Cristo ", commenta Eutichio (o.c., n. 323). Ormai non rifiutano più "La parola della croce" (1Cor 1,18), anche se, fino alla Pentecoste, non riescono a portarla alla perfezione, come rileva S. Bernardo.

Lino Cignelli ofm dello S.B.F

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