L'icona della Trasfigurazione II


di Giovanna Ferraboschi

("Il Faro" luglio 2002)

La Trasfigurazione di Gesù è uno degli avvenimenti più misteriosi e significativi in cui Gesù è protagonista di fronte a due testimoni, Mosé, rappresentante della Legge di Israele, ed Elia, il profeta per eccellenza. Questi personaggi appaiono in una suggestiva visione, conversando tra di loro, a tre esterrefatti discepoli di Gesù: Pietro, Giovanni e Giacomo. Gesù si “trasfigura” davanti ai tre sul monte Tabor. Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce (Mt 17,2).

La Trasfigurazione è evento di comunione che si compie attraverso Cristo tra Vecchia e Nuova Alleanza (Mosè, Elia e i tre discepoli), tra l’uomo e tutto il creato (l’alta montagna).

Il tema fondamentale della Trasfigurazione è la luce, che risplende intensamente nel Cristo e si irraggia tutto intorno: Dio ha comunicato agli uomini la sua luce in Cristo, ha mostrato loro la Divinità di suo Figlio Gesù in terra prima della Resurrezione. E’ il mistero che rientra nella straordinarietà del disegno di Dio. E’ il tema della rivelazione trinitaria che risalta dal racconto sinottico (Mt 17,1-10; Mc 9,2-8; Lc 9,28-37).

La festa della Trasfigurazione, amatissima dall’Oriente cristiano e da lì assunta in Occidente a partire dal XII secolo, è celebrata il 6 Agosto, 40 giorni prima della festa dell’Esaltazione della S. Croce, e sottolinea la gloria di Cristo come prefigurazione della Sua Passione volontaria.

L’iconografia della Trasfigurazione conferma l’importanza della festa, è una delle Dodici Solennità del calendario liturgico di rito bizantino, sempre dipinte nelle iconostasi delle chiese orientali.

Lo “scrittore di icone” dipingeva per primo l’icona della Trasfigurazione perché essa dà significato a tutta la scrittura iconica poiché, come afferma lo studioso Florenskij, “a fondamento dell’icona c’è un’esperienza di luce e compito dell’icona è di riflettere la luce del Tabor”. Tutta l’icona della Trasfigurazione è luce, non vi è ombra, la luce però non è prodotta dalle consuete sorgenti luminose, ma dalla presenza abbagliante di Cristo. Attraverso la luce Cristo manifesta lo splendore della Gloria divina prima della dura prova della Croce.

Sin dalle origini lo schema iconografico riproduce il momento centrale del racconto sinottico: i due gruppi laterali mostrano rispettivamente la salita e la discesa dal Tabor, mentre nella zona superiore il Cristo campeggia tra Mosè ed Elia, i grandi veggenti dell’Antico Testamento, che sul Sinai e sul monte Carmelo, ebbero la visione di Dio, mentre i discepoli sbigottiti dalla visione cadono a terra ai loro piedi.

Accostiamoci all’immagine e, seguendo il principio per cui una icona non si guarda ma si contempla, cerchiamo di coglierne il significato. Questa icona era l’immagine patronale della cattedrale della Trasfigurazione di Pereslavl’-Zalesskij (Mosca). Dipinta nel 1403 si trova ora alla galleria Tret’jakov a Mosca. In essa troviamo i temi fondamentali dell’ascensione fisica e dell’elevazione spirituale dell’uomo, cui viene concessa la grazia di ammirare con i propri occhi l’intensità e la forza della luce trinitaria e la rivelazione del mistero pasquale. Per questo l’artista introduce nella composizione le scene dell’ascesa e della discesa di Cristo e dei discepoli dal monte. Sebbene il Tabor sia un monte dalla cima tondeggiante, nella scena della Trasfigurazione viene solitamente raffigurato in forma di tre picchi rocciosi e quindi assimilato al Sinai. Le due grotte sul pendio del monte, contrassegnate da arbusti, alludono alla permanenza di Mosè e di Elia sul Sinai. Monti e colline, in quanto luoghi elevati, sono simboli di realtà positive in contrapposizione ai luoghi bassi che indicano materialità e peccato. Elia (Profeta), Mosè (Legge), Cristo (perfezione del patto di Dio) sono posti appunto su tre cime di una stessa montagna alle cui pendici stanno gli Apostoli (uomini). La montagna scoscesa e difficile da scalare è quella della conoscenza di Dio, è il luogo della rivelazione, dove Dio parla al Suo popolo.

Al centro dell’icona, sfolgorante di luce, è il Cristo. Le Sue vesti sono quelle bianche della Resurrezione. Il biancore abbagliante delle vesti e dei raggi luminosi, che sprigionano da Gesù fino a fuoriuscire dall’immensità dei cieli (i cerchi concentrici dietro il Cristo), oscura l’oro del fondo e smorza la vivezza della mandorla rotonda azzurro chiaro. Da Cristo partono tre raggi, che rappresentano la Trinità, e colpiscono i discepoli, i quali caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore (Mt 17,6). Osserviamo come l’iconografo ha inteso differenziare la luce della divinità e quella che hanno visto gli Apostoli: il Signore è illuminato da una luce spirituale (bianca) mentre la luce vista dai discepoli (luce taborica) è resa con l’azzurro chiaro, essa è solo un’ombra della luce inaccessibile in cui abita il Signore (1Tm 6, 16). Nella mano sinistra Gesù tiene il rotolo, la ricevuta del peccato che egli è venuto a riscattare e sostituire con la Grazia. Il rotolo è in corrispondenza della tavola della Legge tenuta in mano da Mosè. La figura di Mosè è quella di destra, con la barba corta e il volto giovanile; reclinato leggermente nella persona, in atto di deferenza, sembra porgere al Cristo il volume della Legge. Il personaggio di sinistra è Elia, ha i capelli e la barba lunga, con la mano destra indica il Salvatore, il soggetto delle sue profezie. Tutta la metà inferiore dell’icona è occupata dai tre apostoli riversi a terra, incapaci di sostenere il bagliore divino. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con Lui (Lc 9,32). L’iconografo ha colto il momento in cui Pietro, colui che ha la mano levata, si rivolge a Gesù: Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia (Mc 17,4).

Termino con un pensiero dalla lettera pastorale 1999-2000 del Cardinale C. M. Martini “Quale bellezza salverà il mondo?”, che tratta della Trasfigurazione: E’ bello scommettere la propria esistenza su Colui che non solo è la Verità in persona, che non solo è il Bene più grande, ma è anche il solo che ci rivela la bellezza divina di cui il nostro cuore ha profonda nostalgia e intenso bisogno. Al cuore della Trasfigurazione vi è dunque la bellezza del dono di Dio da accogliere e vivere senza riserve.

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