L. Sabourin. La Trasfigurazone

Nell'inno di giubilo (Mt 11:25-27), Gesù aveva rivelato in parole qualcosa del suo mistero personale, principalmente la conoscenza diretta che egli ha del Padre, il quale gli rivela il mistero del suo proprio essere divino. Nella Trasfigurazione la gloria segreta della vita di Gesù fu visibilmente manifestata ai tre discepoli, i quali sarebbero stati più tardi i testimoni intimoriti della lotta di Gesù in preghiera nel Getsemani. La connessione tra la Trasfigurazione e la passione di Gesù appare pure da altre circostanze: quella misteriosa rivelazione si verifica subito dopo la prima profezia della passione ed ha ovviamente lo scopo di rafforzare il coraggio e la fede dei discepoli, sommersi dallo stupore e dalla paura di fronte alla prospettiva della sofferenza e della morte violenta (cfr. Mc 10:32). La Trasfigurazione avrebbe ri-chiamato la loro attenzione verso l'altra faccia del mistero, verso il lato luminoso di esso. Se la gloria della vita divina illumina così la persona di Gesù durante il suo ministero sulla terra, quale splendore avrà quando il Maestro sarà passato, attraverso la morte, alla luce della Pasqua! Numerosissime monografie di valore sono state dedicate alla Trasfigurazione. Noi abbiamo ritenuto per il nostro scopo soltanto ciò che, a nostro parere, è giovevole a capire meglio i testi del Vangelo, e più particolarmente la versione di Mt. Per facilitare l'esposizione dividiamo il commentario in sezioni, che trattano divari argomenti suggeriti dalla stessa narrazione.

Introduzione (v. 1)

Per Marco e Matteo la trasfigurazione avvenne «dopo seigiorni », che apparentemente debbono essere calcolati a partire dalla confessione di Cesarea di Filippo o dalla prima profezia dellapassione24. Luca, che, oltre a Mc, segue in questo episodio un'altra fonte, forse giovannea, colloca l'episodio esplicitamente «circa otto giorni dopo questi detti » (9:28) (A. Serra cerca nella tradizione giudaica la spiegazione della divergenza tra Mc/Mt e Lc: «L'indicazione cronologica di Matteo e Marco riesce invece comprensibile, se ammettiamo che già al loro tempo fosse conosciuta la tradizione presente nel Pseudo-Jonathan, la quale divideva in otto giorni i fatti di Esodo 19e 24, fissando al sesto la rivelazione di Jahweh a Mosè e il dono della Legge. Quest'ipotesi spiega inoltre perché Luca scriva: . Circa otto giorni dopo questi discorsi... ' in 9,28» («Le tradizioni della teofania sinaltica nel Targum dello pseudo-Jonathan Es. 19,24 e in Giov. 1,19 - 2,12 In Marianum33, 1971, p. 12).

Se Matteo parla di «un'alta montagna», seguendo apparentemente Mc, può alludere al racconto della tentazione (4:8). Infatti qualche com-mentatore pensa che Gesù ricevette alla Trasfigurazione la definitiva conferma che avrebbe compiuto la sua missione come il servo sofferente . Comunque, la visione della Trasfigurazione potrebbe rappresentare per i primi due evangelisti almeno il parziale adempimento della profezia che precede immediatamente: « In verità vi dico, che alcuni di quelli che sono qui, non morranno prima di aver veduto il Figlio dell'uomo venire nel suo regno » (Mt 16:28). Può essere che inizialmente « dopo sei giorni » avesse a che fare con il contesto dell'esodo, insieme con la presenza di Mosè ed Elia, due figure connesse al Sinai. E' infatti soltanto « dopo sei giorni » che Jahvè chiama Mosè della nuvola che avvolge la montagna (Es 24:16). E' possibile che eis to oros, « sulla montagna », di Luca, rappresenti la tradizione più primitiva, e ciò ha un significato speciale. La Trasfigurazione avviene sulla montagna della rivelazione, come era il Sinai, non sul Monte Sion, al quale secondo Isaia le nazioni sarebbero affluite nei tempi messianici (Is 2:2s). Soprattutto per Matteo (cfr. 4:12-16), è in Galilea, non in Giudea, che la proclamazione del Vangelo (5:1) e della missione universale ha luogo (28:16). Lì, il Cristo risorto manda i suoi seguaci a chia-mare tutte le nazioni dall'osservanza della sua legge arruolandosi nel discepolato (28:17-20). Tutto ciò viene, in un certo modo, anticipato sulla montagna della Trasfigurazione, dove una voce dal cielo proclama: « Questi è il mio diletto Figlio, ascoltatelo».

Secondo At 2:36, Dio fece Gesù « e Signore e Cristo» con la sua resurrezione/esaltazione, Mediante questo ed altri testi in vista, H. I Ziesenfeld ha proposto di vedere nella Trasfigurazione un'anticipazione dell'Intronizzazione messianica di Gesù. Egli trova nell'episodio gli elementi che tradizionalmente accompa-gnavano il cerimoniale dell'intronizzazione regale, o che succes-sivamente la rievocheranno in diversi contesti: la gloria, glia biti sacri, la nuvola divina, la capanna, la montagna, come pure le sofferenze rituali e le umiliazioni attraverso le quali il re, e più tardi il Messia, doveva passare per arrivare all'intronizza-zione. E' lecito domandarsi, comunque, se l'antica festa dell'in-tronizzazione, se mai esistette, sia veramente sopravissuta fino al tempo di Cristo, in maniera tale da poter essere utilizzata come scenario tradizionale nella descrizione della (futura) investitura messianica di Cristo. Oltre a ciò, è possibile spiegare in altri modigli elementi scenografici della Trasfigurazione: alcuni, come la montagna e la nube, appartengono al quadro immaginario usuale delle teofanie, mentre altri possono essere riferiti alla figurazione delle realtà celesti.

«Si trasfigurò davanti a loro... (v. 2)

Tanto Marco quanto Matteo usano il termine metamorphein per esprimere il cambiamento che caratterizzò l'apparizione di Gesù. Forse Luca ha omesso questo termine per paura che potesse essere inteso male, nel senso delle metamorfosi simboliche eseguite nei misteri ellenìstìci per esprimere la liberazione dalla servitù corporale e l'entrata nella condizione gloriosa o divina (vedi Gr. Less. 7, 491s). Nei Vangeli la Trasfigurazione di Gesù appare come l'opera di Dio - vi si trova il passivo teologico -, che preannuncia l'adempimento di profezie apocalittiche,quali la seguente: « I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre » (Dn 12:3).

Marco descrive la trasformazione in riferimento alle vesti di Gesù, mentre per gli altri due Sinottici anche il suo volto prese un'altro aspetto (Le 9:29) e divenne splendente come il sole (Mt17:2)2T. I risplendenti abiti bianchi, di cui parlano tutti e tre gli evangelisti - e Matteo aggiunge « come luce » - evocano la condizione degli esseri celesti (cfr. Apoc 1:14;4:4), vittoriosi sul male organizzato (19:11,20:11). Luca ha compendiato la Cristofania in una parola: «Videro la sua gloria a», e questo ha indotto interpreti posteriori a porre la visione della doxa di Gesù come la punta saliente del racconto. Possibilmente questo non è corretto, anche se trova una buona connessione con l'attuale contesto evangelico, dopo la profezia di Gesù secondo cui il Figlio dell'uomo verrà con i suoi angeli nella gloria del Padre suo (Mt 16:26).Infatti, i tratti del Figlio dell'uomo glorioso non mancano nel racconto della Trasfigurazione. D'altra parte, alcuni Padri della Chiesa hanno interpretato correttamente la Trasfigurazione come una prefigurazione della resurrezione di Gesù stesso, e anche della nostra, applicando ad ambedue i misteri questa di-chiarazione di S. Paolo: « La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale

attraverso la risurrezione trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere ,a sè tutte le cose» (Ph 3:20s). (Può darsi che Matteo rimandi discretamente il lettore a Mosé, il cui volto secondo la tradizione sacerdotale fu anche trasfigurato dalla gloria raggiante del Signore (Cf. ES 34:29-35 e 2 Cor 3:7-18). Tuttavia, nell'apocalittica giudaica questa specie di cambiamento era atteso col dono della salvezza escatologica: a l'aspetto del loro volto sarà trasformato in una raggiante bellezza . (Baruch sir. 51:3). Già 2 Pt 1:16-18 intende la Trasfigurazione di Gesù come. un segno prolettico della sua imminente gloria, anche se l'immediato scopo del passo in 2 Pt era insieme quello di autenticare la lettera come fosse di Pietro e mostrare che la credenza nel ritorno di Gesù in potenza e gloria poggia su avvenimenti attestati storicamente. Volto splendente, bianche vesti lucenti, nube luminosa, timore dei testimoni, sono caratteristiche comuni di scene che circondano il Figlio dell'uomo apocalittico o lo stato degli uomini che diventano celestiali attraverso la risurrezione).

Mosè ed Elia (v. 3)

La trasformazione di Gesù è connessa organicamente con l'apparizione di Mosè ed Elia, in quanto egli è così promosso fisicamente ad un grado di trascendenza appropriato per poter con-versare con la scorta celeste. Abbiamo già notato che la presenza di queste due figure bibliche è da riferire evidentemente alla loro speciale connessione con il Sinai (per Elia vedi 1 Re 19). E' probabile che, almeno per quanto riguarda Mt, esse rappresentino la legge e i profeti (5:17;11:13), o più precisamente la rivelazione dell'A.T., mentre Gesù stesso è il Figlio di Dio per mezzo del quale d'ora in poi viene tutta la rivelazione (cfr. Ebr 1:2). Mosè è lì per un'altra ragione ancora: egli aveva annunziato l'avvento del profeta escatologico che avrebbe rivelato la volontà di Dio al popolo messianico (Dt 18:15). Inoltre, nella tradizione giudaica era atteso il ritorno di Ella, che non era morto (cfr. Mal 4:4s, dove anche Mosè è menzionato) ; egli sarebbe venuto, si diceva, come precursore del Messia. Questa speranza appariva a molti realizzata nella persona e nel ministero di Giovanni Battista (vedi su Mt3:4), una idea che venne attribuita anche a Gesù, come vedremonella prossima pericopa (17:13). Si racconta che R. Jochanan ben Zacchai abbia detto: «Dio disse a Mosè: quando invierò Elia il profeta, voi due verrete insieme» (Dt rabba 3, 201c). Secondo Mc/Mt la figura di Giovanni Battista sarà evocata nel dialogo di Gesù con i discepoli dopo la Trasfigurazione. Luca non ne parla, ma nota che Mosè ed Elia parlavano dell'exodos di Gesù, « del suo transito che doveva compiere a Gerusalemme» (9:31) (Il Secondo Pesi&ta Rabbati 35,4, «tre giorni dopo la venuta del Messia, Elia verrà e si fermerà sulle montagne di Israele, piangerà e si lamenterà su di esse». I due testimoni di Ap 11 probabilmente rappresentano Pietro e Paolo, ma anch'essi richiamano il ministero di Elia e Mosé, e la loro rappresentazione simbolica della Legge e dei Profeti. In At 13:24 Luca descrive come un esodos l'entrata di Gesù in questomondo (Cf. Ebr 10:5).

Mentre per Marco questo episodio deve rimanere misterioso fino a dopo la risurrezione, in esso appare come una chiara prefigurazione dell'uscita di Gesù da questo mondo, attraverso la morte, la resurrezione e l'ascensione. Esso costituisce una drammatica rappresentazione di quello che sarà il commento posteriore: «Non doveva il Messia tali cose patire e così entrare alla sua gloria?» (Le 24:26).

Le tre tende e la nuvola (vv. 4-5a)

Tende (capanne) e nuvola in un contesto biblico ovviamente rievocano primariamente realtà dell'esodo. E' difficile sapere che cosa storicamente Pietro disse in quell'occasione, dato che la tradizione evangelica ha ritenuto ciò che era teologicamente importante per l'interpretazione dell'episodio. Così, per Me la proposta di Pietro di costruire tre tende fu fatta alquanto stupidamente mentre, sconvolto dalla paura, non sapeva che cosa stava dicendo. Comunque, queste tende hanno un significato; esse evocano Es33:7-11, dove si parla della tenda del convegno: là Dio conversava con Mosè, mentre la colonna di nube restava all'ingresso della tenda. Anche esseri celesti, come la sapienza personificata, abitano in tende (cfr. Sir 24:4-8), e il Verbo nella sua incarnazione ha piantato le tende tra gli uomini (Gv 1:14; eskénsen), adempiendo l'attesa secondo cui Dio avrebbe in futuro preso dimora tra gli uomini (cfr. Sal 85:10; 2 Cor 6:16). Più generalmente skénai aidniai, « tende eterne », sembra designare le dimore dei santi (cfr. Le 16:9). (Secondo Crisostomo Pietro voleva stabilirsi nella sicurezza di questa felicità temporanea ed anche impedire così il discendere a Gerusalemme verso la croce (Hom. in Mt, PG 58, c. 552). Per H. Riesenfeld, • è bene per noi stare qui • di Pietro esprime l'anapausis escatologica (Cf. Ebr 3-4), che era prefigurata nella Festa delle Capanne).

La nuvola menzionata nel racconto della Trasfigurazione non è quella che trasporta esseri celesti, come il Figlio dell'uomo (Dn7:13), ma la nuvola della presenza divina, o della tenda nel deserto (Es 40:33), o del tempio (1 Re 8:10-12)14. Questo simbolo del luogo dove Dio abita divenne nel giudaismo un appellativo, la shekinuh, un nome che indica la presenza divina, e perfino Dio stesso. Così, un'operazione divina, quale l'incarnazione,ha potuto essere descritta come « adombramento» (episkiazein), alla maniera di una nube che fa ombra. Solo Luca dice esplicitamente che i discepoli « entrarono nella nube » (9:34), mentre questo viene soltanto supposto nella altre versioni del racconto. Ciò può simbolicamente far pensare che, nel riunire una comunità attorno a Gesù, è la congregazione escatologica del popolo di Dio che sta formandosi, come era stato profetizzato da alcuni testi. n base al secondo libro dei Maccabei, Dio riunirà «la totalità del suo popolo... e si rivelerà la gloria del Signore nella nube, come appariva nel tempo di Mosè » (2:7s). (La Festa delle Capanne = è chiamata in aramaico • Festa dimetalayya. (• Festa di rifugi). La versione aramaica della sezione biblica in cui è istituita la Festa delle Capanne (Cf. Targ. Lev 23:34) mostra quanto strettamente sono associate le idee della capanna del giubilo e la divina presenza nella nube (vedi D. Daube, The New Testament and RabbinicJudaism, London 1956, p. 30).

La Voce dal Cielo (5b-8)

La punta saliente e la componente più significativa del racconto sono da ricercare nella voce dal cielo, in cui Dio proclama che Gesù, suo Figlio amato, il Servo nel quale si diletta (cfr. n.25), è il profeta escatologico che deve essere ascoltato e obbedito,anche quando insegna la dottrina della croce. Secondo Matteo, già al momento del battesimo di Gesù la dichiarazione della voce celeste era stata una proclamazione rivolta in terza persona non tanto a Gesù quanto a coloro che erano testimoni dell'avvenimento. L'aggiunta della parola « ascoltatelo » nella Trasfigurazione indica che Gesù non è soltanto il Figlio di Dio e il Servo ma anche il profeta escatologico, il cui avvento era stato annunciato. Il riferimento al Servo in ambedue i casi (vedi su 3:16) è fatto attraverso l'uso delle parole « in cui io mi compiaccio », citate da Is 42:1. Perciò la figura evocata non è precisamente il Servo sofferente (Is 53), ma più generalmente il Servo come modello nel compimento della missione di Dio (cfr. Mt 12:18-21). E' soltanto più tardi, in prossimità della passione,. che Matteo riferirà le parole con le quali Gesù interpreta la sua morte come offerta per molti, nei termini del Servo (20:28; 26:28). E' il suono della voce dal cielo che, per Matteo, fece sì che i discepoli si prostrassero per la paura. E Gesù li toccò dicendo: « Levatevi, e non temete». Questi tratti del racconto seguono uno schema apocalittico simile, per esempio, a ciò che troviamo in Dn10: mentre contemplava la sua visione - un uomo il cui volto brillava come un lampo -, Daniele udì la sua voce e cadde a terra privo di sensi. Poi una mano lo toccò e una voce disse: « Non temere». Non è possibile determinare quale ruolo tale modello letterario abbia avuto nella formazione del racconto della Trasfigurazione che è giunto a noi, ma questo non è un motivo per negare che si tratti di un avvenimento storico

Matteo accentua il fatto che quando essi si alzarono e si guardarono intorno, i discepoli non videro nessun altro che Gesù. Non hanno bisogno di nessun altro, hanno con loro il portatore della rivelazione di Dio, il. Figlio di Dio incarnato. Per compiere la volontà di Dio devono ascoltarlo e conformare la loro vita alla sua, seguendolo nel discepolato sulla via della croce.


Leopold Sabourin, Il Vangelo di Matteo, Marino, 1977, pp. 792-800




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