"Non sapeva che cosa dire". La paura che ci attanaglia di fronte all'abisso della nostra debolezza, dell'assoluta inadeguatezza, quando la verità ci si spalanca dinnanzi e ci lascia di sasso. Infilzati alla paura. La sproporzione tra quello che dovremmo essere e quello che realmente siamo. Madri, padri, preti, assolutamente impreparati, infarciti di debolezze e peccati. Incoerenti e pieni di contraddizioni. La paura che ha intontolito i tre discepoli alla vista del loro Maestro trasfigurato. Una luce improvvisa, mai vista, lo sfolgorare d'una vita inattesa, proprio lì, da dentro la carne del loro amico. Impressionante. Uno squilibrio, un miracolo, s'era dato di nuovo il prodigio di quel giorno quando, sul Sinai, il Signore consegnò la Torah a Mosè. Il cielo sulla terra, avevano visto Dio, ed erano vivi. E allora subito tre tende, coagulare quel momento prodigioso e così bello nella precarietà della vita, come nella festa di Succot, issare le capanne, le tende quale segno della permanenza del popolo nel deserto, quando, tra una mormorazione e l'altra, tra le maglie di una debolezza infinita, ogni ebreo aveva fatto l'incomparabile esperienza di poter (e dover) vivere del solo cibo della Parola di Dio, capace di trasformare la roccia in acqua. Era stupendo quel momento, la Vita brillava tra i confini angusti di un corpo corruttibile. Come le icone orientali, la cui luce promana dal centro del dipinto e ti attira, e ti mette immediatamente in comunione con il soggetto, e ti fa interlocutore per lo squarcio di luce che ti raggiunge. Non a caso il primo soggetto che devono dipingere gli iconografi è proprio la Trasfigurazione.
Il miracolo più grande, immagine della vittoria sulla morte che di lì a poco Gesù avrebbe compiuto nell'esodo di cui discorreva con Mosè ed Elia. Legge e Profeti lo avevano annunziato. La luce della Pasqua nelle tenebre del sepolcro, lo splendore della vita immortale attraverso la stoltezza della predicazone del Vangelo. Il Vangelo è la Trasfigurazione, la Buona notizia che ha messo in cammino Abramo verso una terra che non conosceva, qualcosa di assolutamente nuovo, un pezzo di paradiso, la terra promessa qui sulla terra delle lacrime. Il Vangelo è la luce purissima nella carne votata alla morte. Tutto di noi ci parla di fine, di ineluttabilità, di morte. Prima o poi scenderà la saracinesca sul lavoro, sulla famiglia, sulla nostra stessa vita. E' la realtà alla quale tentiamo di sfuggire e che si ripresenta ad ogni angolo della nostra esistenza.
Stiamo andando a Gerusalemme. Ma è proprio nel cammino che ci conduce alla Croce che l'annunzio del Vangelo apre il cielo della Verità: per noi è preparata la vita che non muore, abbiamo in noi il seme della vita eterna, lo Spirito Santo effuso dal Signore risorto, la Sua stessa vita. E questa vita è la Parola del Vangelo, la buona notizia dell'amore infinito di Dio che risplende nel Suo mistero pasquale. La nostra vita trasfigurata è una vita evangelizzata, illuminata dalla Buona notizia. Il Vangelo nel paradosso delle nostre debolezze e inadeguatezze. Nel parallelo del Vangelo di Matteo Gesù dice ai discepoli: "ALZATEVI, NON ABBIATE PAURA". il Suo amore brilla esattamente nella nostra più totale debolezza. La luce della vita immortale, brilla in noi dalla ferità più infamante, il Suo perdono dov'è abbondato il peccato. E' questa la notizia che aspetta ogni uomo, capace di trasfigurare in una luce di Pasqua anche l'esistenza più compromessa. La notizia che strappa dalla morte e trasfigura il volto e il cuore del peccatore più incallito. Oggi, e ogni giorno, il Vangelo è la salvezza, è la Vita. Per noi e per ogni uomo.
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