XIV Domenica del Tempo Ordinario. Anno A







“Davanti alla loro ira, siate miti;
di fronte alla loro boria, siate umili”

sant’Ignazio d’Antiochia






L'ANNUNCIO
In quel tempo Gesù disse: 
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
 (Dal Vangelo secondo Matteo 11, 25-30)




Tempo di “mondiali”, tempo di fatica, sudore e passione; tempo di vittorie e sconfitte, gioie e delusioni. Tempo propizio, un vero kairos per la nostra conversione. Perché Dio ci parla attraverso tutto ciò che accade, ma proprio tutto, anche un mondiale di calcio. E la liturgia di questa domenica ci aiuta scoprire nella metafora la Parola che Dio ha preparato per noi. 

Ci facilita a penetrare la ricchezza del Vangelo una riflessione dell’allora Card. Ratzinger che aveva come tema proprio i mondiali di calcio: “nessun altro avvenimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche elemento primordiale dell’umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco… Si potrebbe rispondere, facendo riferimento alla Roma antica, che la richiesta di “pane e gioco” era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata… Il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al Paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello”.

Ecco, il Signore ci offre oggi proprio “la libera serietà” che il gioco del calcio ci mostra in questi giorni, appassionandoci tanto. E, guarda un po’, nel parallelo di Luca, il testo del Vangelo comincia presentandoci un’istantanea di Gesù che sembra scattata allo stadio. 

Dice, infatti, che Gesù “esultò”, proprio come se avesse appena siglato un gol da cineteca con cui ha decretato la vittoria della Coppa del mondo per la propria squadra. Un’esultanza che vibra sin dentro il più intimo di se stesso, “nello Spirito Santo”. 
Tutto sua Madre… Come Lei, di fronte allo stesso gol… Impossibile da credere tanto è bello, esteticamente bello. Sì, perché quel gol è un gesto celeste, nessun giocatore, fosse anche il più bravo di tutti i tempi, ne sarebbe stato capace.

In una partita, infatti, che cosa c’è di più bello, appassionante, coinvolgente di un tiro che ti spiazza con uno sguardo, mentre il pallone disegna una traiettoria impensabile insaccandosi dove meno te lo aspetti. Un gol impossibile, come si suole dire.

E Gesù aveva proprio segnato il gol decisivo, il più bello, “impossibile agli uomini ma non presso Dio”; aveva appena insaccato il pallone nella porta del demonio, eseguendo perfettamente ciò di cui il suo “Allenatore” si “compiaceva”; gli era riuscito alla perfezione quel gesto, accidenti, esattamente quello che il Padre gli aveva insegnato e “rivelato” dalla panchina del Cielo; secondo la sua “eudokia”, la benevola volontà di Dio che indirizza il pallone in gol, che fa cioè riuscire l’impossibile nella carne, aveva rivelato se stesso ai “piccoli”, svelando l’amore di Dio fatto carne perché potesse essere accolto da ogni carne. Il demonio non poteva prevedere un tiro simile… Sembrava un colpo da poco, invece… 

Lo stesso gol a cui aveva assistito, in visione privata nella sua casa di Nazaret, la Vergine Maria; da Lei, certamente, Gesù aveva imparato i primi rudimenti della volontà dell’Allenatore. E così da Lei avrà appreso anche ad “esultare” per gli schemi impensabili del Padre. Lo spirito della Madre, infatti, aveva “esultato in Dio suo Salvatore, perché aveva guardato all’umiliazione della sua serva” e, per questo “tutte le generazioni l’avrebbero chiamata beata”. 

Beata perché umiliata. Beata perché la sua vita era talmente in basso da dover guardare tutto e tutti all’insù. Beata perché ultima, la più piccola tra i piccoli, una “neonata” in mezzo a un mondo di adulti, “sapienti e intelligenti”. Tanto “piccola” da poter accogliere l’impossibile, l’infinito Dio nel suo grembo.

“Beata”, dunque, come i “piccoli” ai quali al Padre “è piaciuto rivelare le sue cose”, il segreto per vincere contro i grandi, i forti, i potenti. I piccoli come Davide, capace di vincere il gigante Golia con una comunissima fionda e cinque pietre; cinque, come i libri della Torah, la Parola che smaschera ogni parola che si presume sapiente e si fa forza con la menzogna. 

La Parola che sanno attendere e accogliere solo i “piccoli”, gli “infanti” secondo il greco originale, ovvero i bambini appena nati e incapaci di parlare. I “piccoli” che sanno solo piangere e, divezzati, addormentarsi tra le braccia della madre.

I “piccoli” che, come Maria, non hanno parole di fronte al mistero della vita, al male che li ferisce, alla storia difficile che vivono, ai problemi, agli errori e ai fallimenti. I “piccoli” che non hanno spiegazioni da offrire, soluzioni tascabili, risposte da consultare su wikipedia. La Parola di Dio, infatti, si era fatta carne per loro, per chi non ha parole, anche di fronte alle tentazioni, e cadono, precipitando rovinosamente nei peccati.

Tanto “piccoli” da non attirare nessun altro sguardo che quello del Padre. “Piccoli” come Gesù, il Servo di Yahwè disprezzato e umiliato, davanti al quale tutti si sono coperti la faccia, tanto era sfigurato il suo volto da non sembrare neanche un uomo. Nessuna bellezza, nessuno splendore, solo un’infinita piccolezza fatta peccato.

Ma di quella piccolezza senza parole di fronte a Caifa, Erode e Pilato, il Padre si è “compiaciuto”. In essa aveva visto ogni “piccolo” della terra. Nel segreto di quell’umiliazione, dello svuotamento che lo ha spinto ad offrire tutto se stesso sino alla fine, il Padre era con Lui, sussurrandogli le parole con cui gli svelava il “mistero” del suo amore riservato ai “piccoli”. 

Amore ferito, piagato, addolorato. Amore sporcato nel sangue. Amore sceso sino all’ultimo peccatore, amore umiliato sin dentro i sepolcri dei più “piccoli” della terra. Questo amore deposto in una tomba è il gol più bello della storia; il più atteso, capace di sciogliere la gola nel grido di esultanza per la liberazione insperata. 

Tutti noi aspettiamo da sempre un gol così, questo gol. Maria ne aveva intuito l’importanza nella sua carne immacolata, grembo vergine nel quale lo Spirito Santo aveva deposto Dio. Uno schianto deve essere stato, non toccare uomo e ritrovarsi incinta dell’Amore che non ha confini. 

Nel segreto della sua femminilità più pura, nella sua carne senza peccato aveva misteriosamente preparato Gesù a discendere nelle profondità del peccato di ogni uomo, un miracolo ancor più grande, un gol ancora più impossibile da immaginare. La misericordia doveva scendere, scendere, scendere ogni gradino della perversione, della concupiscenza, dell’avarizia, della menzogna, dell’invidia, dell’odio omicida. Dio doveva inabissarsi a cercare la pecora perduta, la più testarda e stolta, la più “piccola”.

E doveva andarci con una carne “piccola” perché nessun “piccolo” rimanesse escluso dal perdono e dalla risurrezione a una vita nuova. La carne “piccola” e “umiliata” che ha preso da Maria, “piccola” e “umiliata”.

E che “fatica e oppressione” per scendere sin laggiù, dove tu ed io siamo precipitati, “affaticati e oppressi” nella “serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane”, frutto amaro del peccato e della perdita del Paradiso. 
E anche oggi è pronto per noi il gol decisivo, del tutto immeritato. Dopo novanta, forse novantaquattro lunghissimi minuti spesi a correre e rincorrere pallone e avversari, senza uno schema di gioco degno e razionale; dopo una partita tutta improvvisazione e istinto, e scatti a destra e a sinistra dove, illudendoci, ci è sembrato potessimo trovare la via del gol; dopo aver sbattuto mille volte contro il muro degli avversari, e colpi bassi presi e dati, e ferite e sangue.

Ma, nonostante tutto, Qualcuno ci ha protetti impedendoci di capitolare. Oh sì, l’avversario ne ha presi di pali e traverse; e salvataggi sulla linea - ma Chi sarà stato? - proprio quando il pallone la stava varcando impietosamente. Non sappiamo come sia stato, ma siamo ancora in gioco, nonostante tutto. Nonostante abbiamo tradito il coniuge usando perversamente del sesso e dell’affetto, rubato sul lavoro, insultato e invidiato, usato a piacimento delle persone, mormorato e pensato male di Dio. 

Nonostante i giudizi ad esempio, che ci hanno catapultato tra “gli intelligenti” che pensano di sapere più degli altri e disprezzano; nonostante le leggi e i moralismi che, illudendoci di essere “sapienti”, abbiamo caricato sulle spalle degli altri e che noi non abbiamo mai compiuto; nonostante tutto il risultato è in bilico. Che si decida oggi? 

Forse sì, certamente sì, perché anche oggi potremmo morire, e la morte ci attende nelle parole e negli atteggiamenti degli altri. E potremmo perdere la partita decisiva, e rompere un’amicizia, avviarci al divorzio, tagliare con un figlio, divorziare, abortire o chiuderci alla vita impedendo così a un figlio di Dio di vedere la luce. 

Ma Gesù è pronto a scendere in campo, e giocare con te e per te la partita della tua vita. Sino ad ora, dal Cielo, Dio ti ha protetto secondo il suo amore. Ma oggi, in questo tempo favorevole, ti stai giocando i mondiali, lo sai? O ti basta partecipare, un po’ di soldi e la vetrina delle televisioni? 

La vita è seria, almeno tanto quanto la “fatica e oppressione” che hai accumulato. Perché non ce la fai più, vero? E’ troppo anche per te, il lavoro stressante e senza gratificazioni, i figli che non ti ascoltano, il clima generale che soffoca la verità; e i tuoi peccati ti fanno sentire uno schifo, e ti ritrovi solo. Ti senti “piccolo” e senza parole no? L’ultimo, ovunque, anche se ti agiti per farti vedere e posti foto e commenti su Facebook come un mitragliere. 

Sei “piccolo” di fronte alla grandezza dei “sapienti” e degli “intelligenti” del mondo. Ti hanno sedotto e ingannato, per lasciarti mezzo morto, a un passo dalla sconfitta. E il demonio è lì, al limite della tua area, e le tue gambe sono molli, la vista annebbiata, solo un miracolo potrebbe salvarti. Un gol nella porta del demonio. Un “giogo” che ti leghi a Cristo per andare in porta e beffare l’avversario.

Eccolo qua il segreto nascosto ai grandi, ed è preparato per te: è il tuo, personale. Ha le misure della tua storia, del tuo carattere, dei tuoi difetti; ed è uguale a quello di Cristo, che si è fatto in tutto come te, esclusi i peccati. Perché quelli li viene a prendere anche oggi, e farti scoprire che la il tuo "giogo", la tua Croce di oggi, quello che stai rifiutando, è proprio ciò che ti fa simile a Cristo, bello e pronto a donarsi nell’amore come Lui.

“Prendilo” allora, ascoltando e accogliendo questo Vangelo, mangiando del suo Corpo e del suo Sangue, lasciandoti perdonare. “Prendilo” nella Chiesa, dove puoi “imparare” da Lui, “mite e umile di cuore”. Non temere, bussa alle porte della Chiesa e chiedi a Cristo di giocare con te, per donarti la libertà perduta.

Lui ti “vuole rivelare chi sia il Padre”, i suoi schemi d’amore, con i quali segnare gol impossibili al demonio. Te lo “rivela” nella comunità cristiana alla quale ti ha chiamato”, la squadra più sgangherata che ci sia, che non vincerebbe neanche contro una squadra di dilettanti. Una squadra di “poveri”.

Ma ci gioca il migliore, il Fuoriclasse che nessuna squadra ha, perché è cresciuto nel vivaio del Cielo e si è fatto le ossa tra i “piccoli” dell'estrema periferia del mondo, che nessuno va a “visionare”. Nessuno degli squadroni lo conosce, e, se lo conoscesse, non lo prenderebbe. Lui gioca per perdere la vita, non resiste ai falli, alle simulazioni, agli insulti; e chi giocherebbe così?

Eppure è proprio questo l’unico schema vincente: un “giogo” sulle spalle, come il Cireneo, e il “ristoro” dopo la vittoria è sicuro. “Vieni” dunque, insieme a tutti i “piccoli” della terra, a “imparare” che la storia così com’è, il suo “giogo” che ti lega a Cristo, sta plasmando in te “l’umiltà e la mitezza”, le uniche capaci di resistere alla furia dell’avversario e condurti nella sua porta per alzare la coppa della Vita Eterna. Il “giogo” di Cristo, infatti, la Croce di ogni giorno, è l’unico adeguato a noi, e per questo è “dolce e leggero”, non ci “affatica e opprime” come quelli del mondo.

Con Cristo, infatti, non si “impara” a soffrire rassegnati perché non c’è niente da fare, come dice il mondo. Nella Chiesa, invece, “imparando da Lui”, si apprende a vivere “esultando” di gioia indicibile: la gioia di Maria, dei pastori nella notte di Betlemme, degli apostoli, i “piccoli” che annunciano il Vangelo e hanno i loro nomi scritti in Cielo e cha hanno visto il Signore risorto. La tua gioia, nella tua storia di ogni giorno, nella quale “riposare” perché perdonato, e “trovare ristoro per la tua anime” perché finalmente libera per amare. La gioia frutto della “vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata”.




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