XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. ANNO C




Gesù ci ha detto: Sono venuto per gettare fuoco alla terra 
e come desidererei che fosse già acceso. 
Origene ci ha trasmesso una parola del Signore: 
«Chi è vicino a me è vicino al fuoco». 
Il cristiano non deve essere tiepido. 
L’Apocalisse ci dice che questo è il più grande pericolo del cristiano: 
che non dica di no, ma un sì molto tiepido. 
Questa tiepidezza proprio discredita il cristianesimo. 
La fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, 
fiamma che realmente accende il mio essere, 
diventa grande passione del mio essere, 
e così accende il prossimo. 
Questo è il modo dell’evangelizzazione: 
«Accéndat ardor proximos», 
che la verità diventi in me carità e la carità accenda come fuoco anche l’altro.
Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della nostra carità, 
cresce realmente l’evangelizzazione, 
la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta.

Benedetto XVIMeditazione dell' 8 ottobre 2012




Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 12,49-53. 

Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!
C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.
D'ora innanzi in una casa di cinque persone
si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». 



Il commento


Dietro ad ogni “angoscia” sofferta dall’uomo vi è quella di Gesù in attesa che sia “compiuto” il “battesimo” per il quale si era incarnato. Non importa se siamo angosciati per un figlio, per il lavoro, per i risultati delle analisi cliniche o per la risposta della ragazza alla richiesta di fidanzarsi. In ogni nostra angoscia è vergata l’attesa del compimento per il quale siamo nati. Esse ci prendono quando alcuni eventi bruciano come sale sparso sulle ferite lasciate in dote dal peccato. Allora il dolore restringe il campo visivo ai luoghi dove crediamo si soffra di meno e ci spinge verso le persone apparentemente più affidabili.

Ma sappiamo per esperienza che nulla e nessuno può liberarci dall’angoscia; siamo nati per compiere la nostra vita e non per vederla scivolare nel sonno di un’anestesia. Per questo ci attende lo stesso “battesimo” che ha sepolto il Signore nella morte dalla quale risorgere vittorioso. Vi è in noi come una calamita che ci attrae verso ciò che seppellisca il nostro uomo vecchio, perché possiamo rinascere e camminare in una vita nuova. 

Nelle gocce di sangue che cadevano come tizzoni ardenti sulla terra del Getsemani , era l’“angoscia” accesa dal “fuoco” dell’amore che solcava il viso di Gesù. Era la sua vita che scivolava via offerta in riscatto per tutti, come il seme caduto in terra era destinato a morire per non restare solo. L’amore, infatti, dà compimento all’esistenza e trasforma l’angoscia in pace. Come già nel deserto quando furono esaurite le tentazioni, anche alla fine del combattimento nell’orto degli ulivi un angelo si è avvicinato a Gesù per confortarlo: Gesù entrava così nella sua Passione immerso in una pace che già sapeva di Paradiso.

Essa nasceva dal seno dell’angoscia, bruciava come fuoco purificatore, e si irrobustiva nella divisione portata dal Gesù. Non esiste pace, infatti, laddove non si assume, sino in fondo, la realtà. Questa ci dice che l’autore della “divisione” è il demonio, sin dall’inganno con cui ha sedotto Adamo ed Eva per separarli da Dio e tra di loro. Gesù non “porta la divisione” per infettare gli uomini, ma per debellarla e vaccinarli. Le vaccinazioni, infatti, si effettuano iniettando nel sangue proprio il virus dal quale ci si vuole difendere.

Per questo Gesù ha “portato” nella sua carne e nella sua anima la “divisione” che già covava nei cuori. Prendendola su di sé sino a lasciarsi uccidere, Gesù ha trasformato ogni divisione in un vaccino; iniettato nell’uomo attraverso l’annuncio del Vangelo e i sacramenti, ha il potere di sconfiggere il virus: è la carne crocifissa di Cristo che distrugge l’inimicizia, fa la pace, e riunisce chi si è diviso.

Le parole di Gesù non chiamano a una rivoluzione familiare, nello stile dei testimoni di Geova. Gesù annuncia invece il suo amore, che lo ha spinto tra le braccia assassine del rifiuto. Tu ed io siamo stati salvati nel momento in cui il nostro rifiuto ci ha “diviso” da Lui, spingendolo nella morte al posto nostro. Per caricarsi dei peccati e perdonarli, il Signore li ha dovuti smascherare e incendiare. Per donare la pace autentica, ha dovuto prima “portare la divisione”.

Se, a causa di Gesù, nelle nostre famiglie non si dividessero “il padre dal figlio, la madre dalla figlia e la suocera dalla nuora”, l’ipocrisia occulterebbe il virus che le avvelena, impedendo al Signore di salvarle. Per questo dovremo sperimentare la “divisione” dal figlio che non accetta più che gli si trasmetta la fede; o la “divisione” dalla figlia che si è infilata in una del tutto ipotetica età adulta, e guai a chi le contesta guardaroba e orari. Se non sapremo accettare la “divisione” significherà che amiamo più noi stessi che i nostri figli; se ci comporteremo con loro da amiconi, come il mondo insegna, facendo finta di nulla e tacendo il Vangelo, condanneremo i nostri figli alla schiavitù della carne, drogati dal pensiero unico che ammorba scuole e ogni dove. 

Cosa vogliamo somministrare alle persone che amiamo, placebo o vaccini? Il "fuoco" della Parola di Dio che "brucia tutto intorno i suoi nemici", o gli ansiolitici mondani? "La fede non è una cosa decorativa, ornamentale; vivere la fede non è decorare la vita con un po’ di religione, come se fosse una torta e la si decora con la panna... La fede comporta scegliere Dio come criterio-base della vita, e Dio non è vuoto, Dio non è neutro, Dio è sempre positivo, Dio è amore, e l’amore è positivo! Dio ha un volto concreto, ha un nome: Dio è misericordia, Dio è fedeltà, è vita che si dona a tutti noi" (Papa Francesco, Angelus del 18 agosto 2013). 

Siamo chiamati ogni giorno ad entrare con Cristo nel Getsemani, dove soffrire l’angoscia dell’amore autentico. Esso si incarna anche nei no e nei sì che “portano la divisione”; le parole in più spese per non soffrire il rifiuto dialogando e relativizzando il Vangelo, vengono dal maligno. Nella Chiesa, unica Madre realista e colma d’amore, impariamo a non temere le tensioni in famiglia: sono benedette perché spazzano via la pace di marmellata che il mondo vorrebbe darci e ci preparano a ricevere quella autentica, primizia della vittoria sul peccato e la morte: "ma questa pace non è la pace dei sepolcri, non è neutralità, Gesù non porta neutralità, questa pace non è un compromesso a tutti i costi. Seguire Gesù comporta rinunciare al male, all’egoismo e scegliere il bene, la verità, la giustizia, anche quando ciò richiede sacrificio e rinuncia ai propri interessi. E questo sì, divide; lo sappiamo, divide anche i legami più stretti. Ma attenzione: non è Gesù che divide! Lui pone il criterio: vivere per se stessi, o vivere per Dio e per gli altri; farsi servire, o servire; obbedire al proprio io, o obbedire a Dio" (Papa Francesco, ibid).

Il “fuoco” acceso da Gesù sulla Croce riduce in cenere i legami morbosi e ci fa liberi di osare, per amore, la fedeltà alla Verità sino a vederci rifiutati anche da chi ci ha dato la vita. Come Edith Stein, che, pur soffrendo la “divisione” nella sua carne, non ha esitato ad abbandonare religione e madre quando queste erano divenute "un nemico per l'uomo rigenerato" (S. Ilario). Ma sarà proprio nella camera a gas del suo martirio, dove offrirà tutta se stessa, ebrea e cristiana, che tutto si illuminerà e compirà: nell'amore che la consumava attirava e salvava anche ciò che aveva dovuto abbandonare.

L’amore che circoncide il cuore e desidera il bene dell’altro non è mai senza dolore. Il Signore lo sa, e per questo ci attira anche oggi nel suo “fuoco” che ci purifica; ogni giorno è per noi come per gli apostoli il mattino di Pentecoste: come fiamme scende su di noi lo Spirito Santo che Gesù ha conquistato e "portato" alla sua Chiesa. Esso imprime come un sigillo nei cuori la Parola di Dio donata nel fuoco sul Sinai, trasformandola in parola viva incarnata nella nostra vita; come accadde agli apostoli, potremo allora comprendere le lingue "angosciate" di chiunque sia accanto a noi, e parlare quelle dell'amore gratuito, le uniche che, chi soffre, è in grado di comprendere. Il "fuoco" dello Spirito Santo ci fa ardere della stessa compassione di Gesù, per discendere con Lui nel “battesimo” che ci immerge nel dolore del prossimo per deporvi il vaccino dell’amore di Cristo: "Sappiamo che il fuoco è all’inizio della cultura umana; il fuoco è luce, è calore, è forza di trasformazione... con il fuoco si può distruggere, ma con il fuoco si può trasformare, rinnovare. Il fuoco di Dio è fuoco trasformante, fuoco di passione - certamente - che distrugge anche tanto in noi, che porta a Dio, ma fuoco soprattutto che trasforma, rinnova e crea una novità dell’uomo, che diventa luce in Dio" (Benedetto XVI, Meditazione al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, 8 ottobre 2012).




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