XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. ANNO C


Saranno allora sicuri coloro che ora non lo sono 
e viceversa avranno allora paura coloro che ora non vogliono averla. 
È per questa aspettativa e per questa speranza che siamo diventati cristiani. 
Non è forse vero che la nostra speranza non ha di mira questo mondo? 
Non dobbiamo amare il mondo. 
Siamo stati chiamati a separarci dall'amore di questo mondo, 
affinché speriamo e amiamo un altro mondo. 
In questo mondo dobbiamo astenerci da tutti gli illeciti desideri, 
ossia dobbiamo avere i fianchi cinti 
e dobbiamo essere pieni d'ardore e risplendere per le opere buone, cioè avere le lampade accese

S. Agostino, Discorso 108



Dal Vangelo secondo Luca 12, 32-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. 
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

Il commento

È “piccolo” il “gregge” del Signore, ma è inviato a salvare il mondo. È “piccolo”, ma non importa: non sono le statistiche che ne decidono qualità e importanza. A Gedeone pronto a combattere contro i Madianiti, il Signore disse che la gente che era con lui era troppo numerosa”; non voleva che Israele si vantasse dicendo “La mia mano mi ha salvato”. Ne bastarono trecento e i Madianiti furono sconfitti.

Così è anche oggi, forse più che in altri momenti: “Siamo a un enorme punto di svolta nell’evoluzione del genere umano... Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza creativa che rimetterà la fede al centro dell’esperienza... Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti” (J. Ratzinger).

Povera, proprio come desidera la Chiesa Papa Francesco; povera, eppure nulla le manca, perché gode degli unici beni ai quali “i ladri” non possono “arrivare” e che “il tarlo” non può “consumare”. I suoi pascoli, infatti, hanno il sapore dell’erba sempre fresca del Regno che il “Padre” ha voluto regalare a ciascuno dei suoi figli, la Parola e i sacramenti da gustare nella comunione con i fratelli. Anche se, durante il cammino, deve passare per le valli oscure dell’angoscia e del dolore, “non teme” alcun male, perché il Buon Pastore è sempre con lei preparandole una mensa davanti ai nemici, le tentazioni del demonio e il male incipiente.

Per questo i cristiani non hanno bisogno di “possedere” nulla: in Cristo hanno trovato tutto quello che il cuore desidera; possono “vendere” i propri beni e “darli in elemosina” perché hanno il loro “tesoro sicuro nei cieli”; è lì che Gesù ha preparato la loro dimora e ormai il loro “cuore” abita dove è l’Amato. Con Lui hanno vinto la morte che impedisce l’amore, per questo i loro corpi sono "borse che non invecchiano", scrigni incorruttibili che custodiscono la vita incorruttibile che li spinge a donarsi senza "temere": possono perdere la vita perché, in ogni circostanza, sanno di di conservarla per l'eternità.

E’ pur vero che, sedotti da una menzogna, abbiamo spesso vissuto obbligati a “servire” un “padrone” crudele. Ma il Signore è “giunto nel mezzo” della nostra “notte” di schiavitù, e ne ha fatto una Pasqua. Nel seno materno della Chiesa il “Padrone” autentico della nostra vita ci ha fatto parte del suo “gregge” donando anche a noi il suo Regno, dove il Primo si fa ultimo, e il Maestro fa “mettere a tavola” i suoi servi per “servirli”. 

Questo mistero si rinnova ogni giorno nella Chiesa dove il Signore parla “a noi” per salvare “tutti”. Ci chiede anche oggi se abbiamo “capito” che cosa Egli ha fatto nella nostra vita. Se sì, sapremo "attenderlo" con gioia, vivendo ogni istante come in una notte di Pasqua; “beati” noi se il nostro cuore “veglia” nell’ascolto della sua Parola; “beati” noi se sapremo attendere il Signore che “torna dalle nozze”, immagine del Mistero Pasquale dove ha riscattato ogni uomo; "beati" noi se, con il cuore "pronto" gli “apriremo subito”, quando “arriva e bussa” per entrare nei momenti difficili del matrimonio, nel rapporto con i figli, con i colleghi, gli amici, il fidanzato.

"Beati noi" se saremo “pronti” ad annunciare loro il Vangelo rinunciando ai criteri mondani; con “le vesti strette ai fianchi”, nella castità della carne e dello spirito che lascia liberi e non si appropria di nessuno nell’“attesa” che sia Dio, con i suoi tempi, a parlare ai cuori; con “le lampade accese” di Carità illuminata dalla Verità, senza compromessi. "Beati" noi se il Signore “ci troverà così”, celebrerà con tutti la sua Pasqua di vita e libertà, e ci farà "amministratori di tutti i suoi beni", nella piena gratuità della vita celeste.

Ogni “ora” può essere quella di Cristo che viene a compiersi in noi. Forse tra un momento, forse nella persona che “non immaginiamo”, la più cara; forse proprio la moglie che, stanca per una giornata di lavatrici e ferro da stiro, non comprende il nostro nervosismo innescato da un capufficio in vena di soprusi, e ci accoglie a casa con una lista di doglianze che, al confronto, i 60.000 Cahiers de doléances degli Stati Generali francesi sono bazzecole. 

Siamo, infatti, “amministratori” dei beni di Dio, non conduciamo noi la storia e il tempo non ci appartiene. Per questo non possiamo programmare eventi e incontri e stabilire come e quando presentare i conti dell'amministrazione. Siamo piuttosto chiamati alla “fedeltà” e alla “prudenza”, gli antidoti alle tentazioni del demonio che ci fa temere la croce mostrandocela come debolezza e impotenza di Dio che, è il ritornello subdolo del nemico, “ritarderà” di certo l’avvento. 

Ma non è così, la sofferenza ci purifica e “sala” i beni per impedirci di vivere “infedelmente”, “percuotendo” con parole e ricatti il prossimo al quale siamo inviati, per “mangiare, bere e ubriacarsi” saziando gli appetiti della carne. Lo "sappiamo" per esperienza, ci “è stato dato molto”, in amore e misericordia: per questo “ci è stato affidato molto”, la salvezza di questa generazione.

Ci è stata data la vita e il Vangelo che l’ha salvata, che costituiscono la “razione di cibo” che siamo chiamati a dare “a suo tempo” a moglie, marito, figli, colleghi, a tutti; attraverso di loro il Signore ci "chiede" il "molto" amore che ci è stato dato, proprio perché sia donato e così moltiplicato: "Questo è il vero "tesoro" dell’uomo. E l’amore di Dio non è qualcosa di vago, un sentimento generico; l’amore di Dio ha un nome e un volto: Gesù Cristo. E’ un amore che dà valore e bellezza a tutto il resto: alla famiglia, al lavoro, allo studio, all’amicizia, all’arte, ad ogni attività umana. E dà senso anche alle esperienze negative, perché ci permette di andare oltre, di non rimanere prigionieri del male, ci apre sempre alla speranza, all’orizzonte finale del nostro pellegrinaggio. Così anche le fatiche e le cadute trovano un senso" (Papa Francesco, Angelus dell'11 agosto 2013). 

In ogni persona che ci si avvicina il Signore ci "richiede" la testimonianza del Vangelo che ci è stato predicato perché lo annunciamo quando “gli uomini scopriranno di abitare un mondo di indescrivibile solitudine e avvertiranno l’orrore della loro povertà. Allora, e solo allora, vedranno quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto” (J. Ratzinger). 

Non c'è nulla da temere, anzi: la vita di ogni giorno è un cammino nel quale aprire il cuore a Cristo: “nel mezzo della notte o prima dell’alba” - che significa tutta la nostra esistenza spesa per il Vangelo, istante dopo istante - è preparata per noi la beatitudine riservata a chi “agirà” come agnello del “piccolo gregge” di Cristo, che segue il Pastore e con Lui dona se stesso senza riserve. 


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