P. R. Cantalamessa: E' RISORTO IN VERITA'. Commento per la III domenica di Pasqua, anno A

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Il Vangelo ci fa assistere a una delle tante apparizioni del Risorto. I discepoli di Emmaus sono appena arrivati trafelati a Gerusalemme e stanno raccontando quello che è capitato loro lungo la via, quando Gesù in persona compare in mezzo a loro dicendo “Pace e voi!”. Dapprima, spavento, come se vedessero un fantasma, poi stupore, incredulità, e infine gioia. Anzi incredulità e gioia insieme: “Per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti”.

La loro è una incredulità tutta speciale. È l’atteggiamento di chi crede già (se no, non ci sarebbe gioia), ma non sa capacitarsi. Come chi dice: troppo bello per essere vero! La possiamo chiamare, con un paradosso, una fede incredula. Per convincerli, Gesù chiede loro qualcosa da mangiare, perché non c’è nulla come il mangiare qualcosa insieme che rassicuri e crei comunione.

Tutto questo ci dice qualcosa di importante sulla risurrezione. Essa non è solo un grande miracolo, un argomento o una prova, a favore della verità di Cristo. È di più. È un mondo nuovo nel quale si entra con la fede accompagnata da stupore e gioia. La risurrezione di Cristo è la “nuova creazione”. Non si tratta solo di credere che Gesù è risorto; si tratta di conoscere e sperimentare “la potenza della sua risurrezione” (Filippesi 3, 10).

Questa dimensione più profonda della Pasqua è particolarmente sentita dai nostri fratelli ortodossi. Per essi la risurrezione di Cristo è tutto. Nel tempo pasquale, incontrando qualcuno, essi lo salutano dicendo: “Cristo è risorto!”, al che l’altro risponde: “È risorto in verità!”. Questa abitudine è talmente radicata nel popolo, che si racconta questo aneddoto accaduto agli inizi della rivoluzione bolscevica. Era stato organizzato un dibattito pubblico sulla risurrezione di Cristo. Prima aveva parlato l’ateo, demolendo per sempre, a suo parere, la fede dei cristiani nella risurrezione. Sceso lui, salì sul podio il prete ortodosso che doveva parlare in difesa. L’umile pope guardò la folla e disse semplicemente: “Cristo è risorto!” . Tutti in coro risposero, prima ancora di pensarci: “È risorto in verità!”. E il prete discese in silenzio dal podio.

Conosciamo come viene raffigurata la risurrezione nella tradizione occidentale, per esempio in Piero della Francesca. Gesù che esce dal sepolcro issando la croce come un vessillo di vittoria. Il volto ispira una straordinaria fiducia e sicurezza. La sua vittoria però è sui suoi nemici esterni, terreni. Le autorità avevano messo sigilli alla sua tomba e guardie a vigilare, ed ecco che i sigilli sono infranti e le guardie dormono. Gli uomini sono presenti solo come testimoni inerti e passivi; non prendono veramente parte alla risurrezione.

Nell’icona orientale la scena è tutta diversa. Non si svolge a cielo aperto, ma sottoterra. Gesù, nella risurrezione, non sale ma scende. Con straordinaria energia egli prende per mano Adamo ed Eva che aspettavano nel regno dei morti e li trascina con sé verso la vita e la risurrezione. Dietro i due progenitori, una folla innumerevole di uomini e donne che aspettano la redenzione. Gesù calpesta le porte degli inferi che ha appena scardinato e infranto lui stesso. La vittoria di Cristo non è tanto su nemici visibili, quanto su quelli invisibili, che sono i più tremendi: la morte, le tenebre, l’angoscia, il demonio.

Noi siamo coinvolti in questa rappresentazione. La risurrezione di Cristo è anche la nostra risurrezione. Ogni uomo che guarda è invitato a identificarsi con Adamo, ogni donna con Eva, e a protendere la sua mano per lasciarsi afferrare e trascinare da Cristo fuori dal sepolcro. È questo il nuovo universale esodo pasquale. Dio è venuto “con braccio potente e mano tesa” a liberare il suo popolo da una schiavitù ben più dura e universale di quella d’Egitto.

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