Benedetto XVI. Il Fariseo e il Pubblicano

Come abbiamo sentito, i figli d’Israele si dicevano l’un l’altro: «Affrettiamoci a conoscere il Signore». Essi si rincuoravano con queste parole, mentre si vedevano sommersi dalle tribolazioni. Queste erano cadute su di loro – spiega il profeta – perché vivevano nell’ignoranza di Dio; il loro cuore era povero d’amore. E il solo medico in grado di guarirlo era il Signore. Anzi, è stato proprio Lui, come buon medico, ad aprire la ferita, affinché la piaga guarisse. E il popolo si decide: «Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà» (Os 6,1). In questo modo hanno potuto incrociarsi la miseria umana e la Misericordia divina, la quale null’altro desidera se non accogliere i miseri.

Lo vediamo nella pagina del Vangelo proclamata: «Due uomini salirono al tempio a pregare»; di là, uno «tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro» (Lc 18,10 Lc 18,14). Quest’ultimo aveva esposto tutti i suoi meriti davanti a Dio, quasi facendo di Lui un suo debitore. In fondo, egli non sentiva il bisogno di Dio, anche se Lo ringraziava per avergli concesso di essere così perfetto e «non come questo pubblicano». Eppure sarà proprio il pubblicano a scendere a casa sua giustificato. Consapevole dei suoi peccati, che lo fanno rimanere a testa bassa – in realtà però egli è tutto proteso verso il Cielo –, egli aspetta ogni cosa dal Signore: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18,13). Egli bussa alla porta della Misericordia, la quale si apre e lo giustifica, «perché – conclude Gesù – chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14).

Di questo Dio, ricco di Misericordia, ci parla per esperienza personale san Paolo. Ecco la testimonianza che egli ci ha lasciato: «Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo io ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, affinché «fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in Lui per avere la vita eterna» (1Tm 1,15-16). E, con il passare dei secoli, il numero dei raggiunti dalla grazia non ha cessato di aumentare. Tu ed io siamo di loro. Rendiamo grazie a Dio perché ci ha chiamati ad entrare in questa processione dei tempi per farci avanzare verso il futuro. Seguendo coloro che hanno seguito Gesù, con loro seguiamo lo stesso Cristo e così entriamo nella Luce.

Fondamentale nella vita di Paolo è stato il suo incontro con Gesù, quando camminava per la strada verso Damasco: Cristo gli appare come luce abbagliante, gli parla, lo conquista. L’apostolo ha visto Gesù risorto, ossia l’uomo nella sua statura perfetta. Quindi si verifica in lui un’inversione di prospettiva, ed egli giunge a vedere ogni cosa a partire da questa statura finale dell’uomo in Gesù: ciò che prima gli sembrava essenziale e fondamentale, adesso per lui non vale più della «spazzatura»; non è più «guadagno» ma perdita, perché ora conta soltanto la vita in Cristo (cfr Fl 3, 7-8). Non si tratta di semplice maturazione dell’«io» di Paolo, ma di morte a se stesso e di risurrezione in Cristo: è morta in lui una forma di esistenza; una forma nuova è nata in lui con Gesù risorto.

Miei fratelli e amici, «affrettiamoci a conoscere il Signore» risorto! Come sapete, Gesù, uomo perfetto, è anche il nostro vero Dio. In Lui, Dio è diventato visibile ai nostri occhi, per farci partecipi della sua vita divina. In questo modo, viene inaugurata con Lui una nuova dimensione dell’essere, della vita, nella quale viene integrata anche la materia e mediante la quale sorge un mondo nuovo. Ma questo salto di qualità della storia universale che Gesù ha compiuto al nostro posto e per noi, in concreto come raggiunge l’essere umano, permeando la sua vita e trascinandola verso l’Alto? Raggiunge ciascuno di noi attraverso la fede e il Battesimo. Infatti, questo sacramento è morte e risurrezione, trasformazione in una vita nuova, a tal punto che la persona battezzata può affermare con Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Jl 2,20). Vivo io, ma già non più io. In certo modo, mi viene tolto il mio io, e viene integrato in un Io più grande; ho ancora il mio io, ma trasformato e aperto agli altri mediante il mio inserimento nell’Altro: in Cristo, acquisto il mio nuovo spazio di vita. Che cosa è dunque avvenuto di noi? Risponde Paolo: Voi siete diventati uno in Cristo Gesù (cfr Jl 3,28).

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