V Domenica del Tempo di Pasqua (Anno C). Commenti Patristici

1. Uomini nuovi in virtù del comandamento nuovo

Cristo ci ha dunque dato un nuovo comandamento, nel senso che ha detto di amarci l’un l’altro, così come egli ci ha amati. È questo amore che ci rinnova, affinché diveniamo uomini nuovi, eredi del Nuovo Testamento, cantori di un nuovo cantico. Questo amore, fratelli, ha rinnovato anche i giusti dei tempi antichi, i patriarchi e i profeti, come più tardi ha rinnovato i beati apostoli. Esso ora rinnova tutte le genti, e, di tutto il genere umano che è diffuso ovunque sulla terra, fa, riunendolo, un sol popolo nuovo, il corpo della nuova sposa del Figlio unigenito di Dio, della quale il Cantico dei Cantici dice: "Chi è colei che si alza splendente di candore?" (Ct 8,5 , secondo i LXX). Essa è splendente di candore perché è rinnovata: da che cosa, se non dal nuovo comandamento? Ecco perché i suoi membri sono solleciti l’uno per l’altro e se uno soffre, soffrono con lui tutti; se uno è glorificato, gioiscono con lui tutti gli altri (1Co 12,25-26). Essi ascoltano e praticano quanto dice il Signore: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», ma non come si amano quelli che cercano la corruzione, né come si amano gli uomini in quanto hanno la stessa natura umana, ma come si amano coloro che sono dèi e figli dell’Altissimo, e che mirano a divenire fratelli dell’unico Figlio suo, che si amano a vicenda dell’amore del quale egli li ha amati, che li porterà a giungere a quella meta dove egli sazierà tutti i loro desideri, nell’abbondanza di tutte le delizie (Ps 102,5). Allora, ogni desiderio sarà soddisfatto, quando Dio sarà tutto in tutti (1Co 15,28). Una tale meta non conoscerà fine. Nessuno muore là dove nessuno può giungere se prima non è morto per questo mondo, e non della comune morte nella quale il corpo è abbandonato dall’anima, ma della morte degli eletti. Quella morte che, mentre ancora siamo in questa carne mortale, eleva il cuore in alto nei cieli. È di questa morte che l’Apostolo dice: "Perché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3). Forse per la stessa ragione sta scritto: "L’amore è forte come la morte" (Ct 8,6).

È grazie a questo amore che, pur restando ancora prigionieri di questo corpo corruttibile, noi moriamo per questo mondo, e la nostra vita si nasconde con Cristo in Dio; o, meglio, questo stesso amore è la nostra morte per il mondo, ed è vita con Dio. Se infatti parliamo di morte quando l’anima esce dal corpo, perché non dobbiamo parlare di morte quando il nostro amore esce da questo mondo? L’amore è quindi davvero forte come la morte. Che cosa è più forte di questo amore che vince il mondo?

Ma non crediate, fratelli, che il Signore dicendo: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», abbia dimenticato quell’altro comandamento che ci è stato dato, che amiamo il Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutto il nostro spirito. Può sembrare che egli lo abbia dimenticato, in quanto dice soltanto: «che vi amiate gli uni gli altri», come se il primo comandamento non avesse rapporti con quello che ordina di amare "il prossimo tuo come te stesso" (Mt 12,37-40).

A "questi due comandamenti" - disse il Signore, come narra Matteo - "si riduce tutta la legge e i profeti ()". Ma per chi bene li intende, ciascuno dei due comandamenti si ritrova nell’altro. Infatti, chi ama Dio non può disprezzare Dio stesso quando egli ordina di amare il prossimo; e colui che ama il prossimo di un amore spirituale, chi ama in lui se non Dio? Questo è quell’amore liberato da ogni affetto terreno, che il Signore caratterizza aggiungendo le parole: «come io ho amato voi». Che cosa, se non Dio, il Signore amò in noi? Non perché già lo possedessimo, ma perché lo potessimo possedere; per condurci, come poco prima ho detto, là dove Dio sarà tutto in tutti. È in questo senso che, giustamente, si dice che il medico ama i suoi malati: e cosa ama in essi, se non quella salute che desidera ripristinare, e non certo la malattia che si sforza di scacciare?

Amiamoci dunque l’un l’altro, e, per quanto possiamo, a vicenda aiutiamoci a possedere Dio nei nostri cuori. Questo amore ci dona colui che ci dice: «Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri» (Jn 13,34). Egli ci ha amati per renderci capaci di amarci a vicenda; questo ci ha concesso amandoci, che ci stringiamo con mutuo amore e, uniti quali membra da un sì dolce vincolo, siamo il corpo di un tanto augusto capo.

"In questo appunto tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35). È come se avesse detto: Coloro che non sono miei discepoli, hanno in comune con voi altri doni, oltre la natura umana, la vita, i sensi, la ragione e tutti quei beni che sono propri anche degli animali; essi hanno anche il dono della conoscenza delle lingue, il potere di dare i sacramenti, quello di fare profezie; il dono della scienza o quello della fede, la capacità di distribuire ai poveri tutti i loro beni, e quella di sacrificare il loro corpo nelle fiamme. Ma se essi non hanno la carità, sono soltanto dei cembali squillanti: non sono niente, e tutti questi doni a loro niente giovano (1Co 13,1-3). Non è dunque in queste grazie, sia pure eccellenti, e che possono esser date anche a chi non è mio discepolo, ma è «in questo che tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».

Agostino, Comment. in Ioann., 65, 1-3


2. Fate in modo di non arrivare a Dio soli

Se credete d’aver fatto del progresso, tirate qualche altro con voi, cercate d’aver dei compagni nella via di Dio. Se uno di voi, fratelli, va al foro o alle terme e incontra uno che sta senza far niente, lo invita a fargli compagnia. E, allora, se andate verso Dio, fate in modo di non andarvi soli. Perciò fu scritto: "Chi ha sentito l’invito, dica a sua volta: Vieni!" (Ap 22,17), in modo che colui che ha sentito nel cuore il richiamo dell’amore divino, faccia sentire anche al suo prossimo la voce dell’invito. E può ben darsi ch’egli non abbia del pane da dare in elemosina, ma, se ha la lingua, ciò che può dare è molto di più. Val certo di più, infatti, ristorare con la parola un’anima immortale, che saziare con pane terreno una carne mortale. Fratelli, non negate al vostro prossimo l’elemosina della parola.

Gregorio Magno, Hom., 6, 6


3. La carità

Se anche tu desideri questa fede per prima otterrai la conoscenza del Padre. Dio, infatti, ha amato gli uomini. Per loro creò il mondo, a loro sottomise tutte le cose che sono sulla terra, a loro diede la parola e la ragione, solo a loro concesse di guardarlo, lo plasmò secondo la sua immagine (Gn 1,26-27), per loro mandò suo Figlio unigenito (cf. 1Jn 4,9), loro annunziò il regno nel cielo (Mt 25,34) e lo darà a quelli che l’hanno amato (Jc 2,5). Conosciutolo hai idea di qual gioia sarai colmato? Come non amerai colui che tanto ti ha amato? Ad amarlo diventerai imitatore della sua bontà e non ti meravigliare se un uomo può diventare imitatore di Dio: lo può volendolo lui (l’uomo). Non si è felici nell’opprimere il prossimo, nel voler ottenere più dei deboli, arricchirsi e tiranneggiare gli inferiori. In questo nessuno può imitare Dio sono cose lontane dalla sua grandezza! Ma chi prende su di sé il peso del prossimo (Ga 6,2) e in ciò che è superiore cerca di beneficare l’inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di Dio.

Ep. ad Diognetum, 10


4. Solitudine o Vita attiva?

Secondo la vostra capacità aiutatemi e date una mano a un oppresso, e che è per opposte vie attratto dall’istinto e dallo spirito. Quello suggerisce fuga, monti, solitudine, quiete del corpo e dell’anima, raccoglimento interiore e controllo dei sensi, in modo che, libero da ogni macchia, possa avere familiarità con Dio, brilli dello splendore dello Spirito, senza alcuna mescolanza di terreno turbamento, che impedisca la luce divina tanto che possiamo raggiungere la stessa fonte della luce e rimosso ogni specchio dalla verità, mettiamo fine a ogni nostro desiderio. Questo invece mi spinge a uscire, a provvedere alla pubblica utilità, a giovare a me stesso giovando agli altri, a far palese lo splendore di Dio e a portare a Dio un popolo eletto, una gente santa, un regale sacerdozio (1P 2,9)... e mi dice che uno non deve guardare solo al suo vantaggio, ma deve tener conto anche degli altri. Cristo, infatti, sebbene potesse rimanere nell’onore della sua divinità, non solo si svuotò fino a prendere la forma di un servo (Ph 2,7), ma senza badare alla sua umiliazione affrontò il supplizio della croce, per distruggere il peccato con le sue pene e debellare la morte con la sua morte (He 12,2). Le prime voci sono suggestioni dell’istinto personale, le seconde son segnalazioni dello Spirito.

Gregorio Nazianzeno, Sermo ad Patrem, 12, 4

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