Lc 5,1-11: Prendi il largo!

1. ASPETTO STORICO


Alcuni autori si chiedono se il racconto di Luca sia storico: “Il problema dell’origine di Lc 5,1-11 e soprattutto della sua portata storica rimane tuttora aperto. L’ipotesi di un racconto dal vero, ridato liberamente da Luca, si alterna con la supposizione di una ricostruzione o composizione allegorica edificante. (..) Si potrebbe parlare più che di un “racconto”, di una “parabola” ossia di una libera composizione per illustrare la missione apostolica, in particolare petrina, senza dimenticare la vocazione cristiana in genere”1. Altri ancora si domandano se sia un doppione di quello, postpasquale di Giovanni (Gv 21,1-23). In effetti i contatti fra i due racconti sono numerosi: si tratta sempre di una pesca miracolosa, seguita ad una notte di inutili fatiche. In entrambi gli episodi c’è un gruppo di persone con Simone-Pietro, e viene segnalato il suo stupore e richiesta o gesto di allontanamento di fronte al Signore. Alla pesca segue un appello: una prima chiamata ad essere pescatore di uomini in Luca, un incarico di pascere il gregge del Signore, in Giovanni. Nel quarto vangelo, tuttavia, l’episodio è postpasquale; Gesù mangia con i discepoli e chiede a Pietro non semplicemente l’obbedienza di seguirlo, ma l’amore; la presenza e l’azione degli apostoli è più evidente. Gli autori propendono per una indipendenza di Luca da Giovanni e viceversa2. Rispetto ai paralleli racconti di chiamata in Mt e Mc, in questo episodio di Luca non si nomina Andrea, ma egli appare nell’elenco lucano degli apostoli subito dopo Pietro e prima dei figli di Zebedeo (6,14), il che significa che per Luca deve essere stato chiamato insieme a Pietro (cfr. anche il plurale nei vv. 4ss). Non abbiamo ragioni per negare la portata storica del passo, anche se è una verità più profonda quella che ci nutre, e cioè la certezza che questo testo comunque ci dà Gesù e ci permette di incontrarlo.

2. OSSERVAZIONI SU ALCUNI TERMINI1


v. 1: lo premeva: il verbo epikéisthai appare solo due volte in Luca e riguarda sempre la folla: qui preme Gesù, in 23,23 premerà con la voce per gridare: “Crocifiggilo!”.

v. 4: prendi il largo: in Lc il verbo epanàghein appare due volte: nei vv. 3: scostarsi (da terra) e 4: prendere (il largo)2.

il largo: l’espressione appare nei vangeli solo nella parabola del seminatore (“il terreno non era profondo”, Mt 13,5). Si trova due volte in Rom: 8,39 e 11,33.

v. 5: padrone, maestro (epistàta): è un termine usato solo da Luca: cfr. anche 8,24.45; 9,33.49; (usato dai discepoli nei confronti di Gesù); 17,13 (i lebbrosi verso di lui). Ordinariamente però anche Luca usa didàskalos.

v. 7: prenderli (sullabèstai, cfr. anche v 9): com-prendere: è lo stesso verbo usato per Maria che con-cepisce, 1,31.

v. 8: peccatore: cfr. 5,32 p.

v. 10 a: compagni (koinonòi): da semplici soci della pesca (v. 7), Giacomo e Giovanni diventano “compagni”, che hanno in comune la stessa esperienza del Signore e sono eredi della sua promessa.

v. 10b: tu catturerai: il verbo zôgréin (ai vv. 4 e 9 c’è il sostantivo “cattura”: àgra) significa “prendere, catturare vivi”: suggerisce che bisognerà strappare gli uomini dal potere della morte, come è simboleggiato dalla moltitudine di pesci tratti dal mare, simbolo biblico del male. Questo verbo è usato nella traduzione greca dell’Antico Testamento, la Settanta, per indicare coloro che in una battaglia vanno salvati dalla morte e lasciati in vita3. Ciò che Gesù ha fatto e chiede ai discepoli di fare in suo nome è “salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).


v. 11: seguirono lui: il verbo akolouthein4 è composto da a = insieme; e da kéleuthos = via, sentiero, e significa: a) fare la stessa strada con qualcuno, accompagnare; b) andar dietro a, seguire o anche inseguire con intenzioni ostili. Con il senso letterale compare presto anche il senso figurato: “seguire il discorso, “comprendere”, “seguire l’opinione”, “concordare con” (Platone); “conformarsi a” (Tucidide). Alcuni filosofi greci il verbo aveva anche un senso religioso: seguire Dio significava “diventare della stessa natura tramite un perfetto adeguamento”, il che sottintende la concezione greca della naturale affinità dell’uomo con Dio.

Nell’A.T. si usa l’espressione andare dietro (halàk akharé) (1Re 19,20: Eliseo segue Elia come servitore), anche in senso dispregiativo: correr dietro (Os 2,7) agli amanti, ai falsi dei. Nella maggior parte dei casi è usato in senso materiale, senza particolare valore teologico (cfr. Rt 1,14). L’impiego tipico di akoloutheo nel NT non ha riscontro nell’AT. Ed anche quando si usano altri termini per indicare il fenomeno del seguire, solo con molta circospezione si riscontra una applicazione a JHWH (Dt 13,5; 1 Re 14,8) e mai nel senso di diventare simile, ma solo nella connotazione di obbedienza.

Tra i rabbini, si usa il verbo akolouthéo per esprimere il rapporto rabbi – discepolo: l’allievo si subordina spontaneamente al rabbi e lo segue dovunque come discepolo e come servitore, per giungere alla completa conoscenza e pratica della Torah.

Nel NT, il verbo akolouthéo si trova quasi solo nei Vangeli (56 volte nei sinottici; 14 in Gv, 3 in At 1 in Paolo e 6 in Ap). Nei sinottici il verbo appare:

  1. a. con valore neutro, quando si dice che la folla seguiva Gesù (cf. Mt 4,2);

  2. b. con valore forte, quando si riferisce a singoli individui: è spesso all’imperativo, sulla bocca di Gesù. Oppure denota la risposta attiva dell’uomo alla sua chiamata. In questo caso è chiamata al discepolato. In Gv si evidenzia il senso spirituale di comunione con il Risorto: “Se uno mi vuol servire, mi segua…” (12,26ss) e il verbo è sinonimo di credere.

  1. In At e Paolo il verbo non ha rilievo teologico, mentre in Ap 14,4 indica la comunione con l’Agnello: “Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l’Agnello dovunque va”.

C’è affinità con il rapporto rabbi-discepolo. Tuttavia:

  1. Gesù non attende una libera decisione, ma chiama con autorità divina;

  2. non chiama ad apprendere un comportamento chiesto dalla tradizione, ma indirizza all’imminente venuta del regno di Dio (Lc 9,59s);

  3. richiede un abbandono della condizione antica;

  4. la sequela di lui comporta sofferenza: il discepolo non è da più del maestro (cfr. Mc 8,34p).



3. PISTE DI INTERPRETAZIONE


La folla fa ressa

In Matteo, la compassione di Gesù per le folle precede la chiamata dei Dodici (cf. Mt 9,35). Questo aspetto si intravede anche in questo passo di Luca: Gesù è subissato dalle folle, desiderose di ascoltarlo. Questo già dice che lo scopo della chiamata non si esaurisce nel rapporto maestro-discepolo, ma mira alle folle, perché nasce dall’urgenza della loro ricerca della Parola. L’apostolo ha nel suo DNA questa compassione, non necessariamente e sempre sentita, ma sempre tradotta in opere.


Prendere le distanze

Lo scostarsi un poco di Gesù dalla folla non è solo fisico. Egli è per la folla, ma il suo rapporto fondante è col Padre. Così, potrà persistere nell’amore il giorno in cui la folla “premerà” la sua voce per chiedere la sua condanna (cfr. Lc 23,23), e in cui persino i suoi lo lasceranno: “Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo perché il Padre è con me” (Gv 16,32).

Sulla barca di Simone: il bisogno dell’altro

Gesù ha bisogno di un mezzo di apostolato per raggiungere più persone. Mentre offre, accetta di aver bisogno dell’aiuto della gente. Per questo chiederà poi ai discepoli di “non prendere nulla per il viaggio” (Lc 9,3).


Un gesto di solidarietà in una giornata “no”

Per Simone tutto è cominciato con un gesto di solidarietà in una mattina buia e nervosa, in cui le parole di Gesù alla folla solo a fatica si saranno fatte strada, tra la fatica e la delusione di una notte insonne e senza frutti. È continuato in un gesto di fiducia, forse nato dall’esperienza del proprio insuccesso. Quel “sulla tua parola” nasce da un’esperienza di povertà.


Mi portò al largo, perché mi vuol bene” (Sal 18 (17),20

Prendi il largo” è un comando unico nel NT, ma richiama analoghe realtà. Gesù buon Pastore conduce le pecore non nel recinto dell’ovile, ma le chiama dal chiuso e le conduce “fuori”, e “cammina innanzi a loro” (Gv 10,3-4). E così gli apostoli sono inviati “a tutte le genti” (Lc 24,46). Lo “stare in città” è solo in attesa di essere “rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49). Infatti, che cosa può temere al largo chi ha conosciuto e creduto all’amore di Cristo e chi più di lui può orare il largo?Dice Paolo: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze, né profondità, né alcun altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm: 8,39). “Largo” o “profondo” (è sempre lo stesso termine bàthos) è anche il cuore di Dio e forse viaggiare nel bàthos dell’umanità è anche il modo per mettersi in qualche modo all’unisono con le profondità dell’amore di Dio: “O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio!…” (Rm 11,33).

Ricevono tutto, per lasciare tutto

Poteva chiudersi lì, l’avventura di Simone e dei suoi con Gesù, in una pesca abbondante che compensava lo smacco della notte, in un buon guadagno che avrebbe fatto trascorrere lietamente il giorno, ringraziando Dio. La fede, spesso si riduce a questo: ad un beneficio chiesto ed ottenuto, nel senso della nostra vita di sempre. Ma nell’incontro con Gesù c’è altro, c’è un passo che resta. Il “nulla” (5) della notte era diventato un “pieno” di pesci e diventa un “tutto” lasciato (11). La sequela va nel senso dello spogliamento in nome di un “di più” incontrato.


D’ora in poi…” (10)

Trarre vivi gli uomini dal mare del male, preservarli per la vita è il contenuto della chiamata. È una chiamata al servizio della vita, una chiamata che ha come obiettivo uomini e donne nella loro interezza (“le anime” è un linguaggio successivo).


Seguirono lui” (11)

A differenza dei rabbini cui si associavano spontaneamente dei discepoli, la sequela di Gesù è frutto di un suo comando, un comando che è “parola di Dio” (1) e quindi ha potenza di creare ciò che significa (10).


5. PISTE DIATTUALIZZAZIONE


  • Scostarsi un poco” è il modo per contemplare un quadro. È anche il modo per solidarizzare davvero. Noi non siamo risolutivi per nessuno. Tra l’io e il tu, c’è un terzo, che è il primo: il Padre. Occorre lasciargli spazio, dirigere il rapporto verso di lui e rispettare il suo agire nel cuore e nella vita di ciascuno, attraverso e anche senza di noi. Prendere le distanze significa povertà, castità, obbedienza. Noi non “abbiamo” nulla: né i catechisti, né la missione, né il cammino delle singole persone che ci sono affidate.

  • È una delle esperienze più belle della missione il non premunirsi di tutto e dare al popolo la gioia di aiutare mentre è aiutato.

  • Chi riesce in tutto difficilmente avverte il bisogno di fidarsi di un altro. I momenti di disgrazia nella vita sono spesso lo stimolo a guardare in alto, perché abbiamo sperimentato il limite delle nostre capacità.

  • La sequela di Gesù si misura non da quanto abbiamo avuto da lui, ma da quanto abbiamo lasciato per lui.

  • La grazia senza sequela è presunzione. Dice Bonhoeffer in Sequela: “La grazia a buon mercato è una grazia senza sequela, una grazia senza la croce, una grazia senza il Gesù vivente e incarnato”.


  • Il rapporto Maestro-discepolo include il mondo: “L’amore di colui che segue Cristo è l’amore per un mondo da salvare” (O. Bruder)…

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