Ratzinger - Benedetto XVI. Il punto di partenza della fede nel Dio uno e trino



La dottrina trinitaria non è nata da una speculazione su Dio, da un tentativo del pensiero filosofico di appurare come si configura l’origine dell’essere, ma è scaturita dallo sforzo di elaborare delle esperienze storiche.
Nell’Antico Testamento la fede biblica aveva innanzitutto a che fare con Dio incontrato come padre d’Israele, come padre dei popoli, come creatore e signore del mondo. Nel tempo fondativo del Nuovo Testamento viene ad aggiungersi un evento completamente inatteso, grazie al quale Dio si mostra sotto un aspetto fino ad allora sconosciuto: in Gesù Cristo si incontra un uomo che sa di essere e si professa al contempo Figlio di Dio.
Si incontra Dio nella figura dell’inviato, il quale è veramente Dio e non un qualsiasi intermediario, eppure con noi dice a Dio ‘Padre’.
Ne consegue un autentico paradosso: da un lato quest’uomo chiama Dio suo Padre, a lui si rivolge come a un ‘tu’ che gli sta di fronte; ora, perché ciò non finisca per essere una mera finzione scenica, ma sia invece la verità, la sola degna di Dio, egli deve essere altro dal Padre, al quale egli si rivolge e al quale noi pure ci rivolgiamo.
Dall’altro lato però, egli stesso è la reale prossimità di Dio che noi incontriamo; la mediazione di Dio nei nostri confronti, e questo proprio in quanto è egli stesso Dio-Uomo, Dio nella forma e nella natura umana: il Dio con noi (Emmanuele). La sua mediazione si annullerebbe radicalmente, e diverrebbe una separazione anziché mediazione, qualora egli fosse altro da Dio, qualora fosse solo un essere intermedio. In tal caso egli non ci avvicinerebbe a Dio, ma ci allontanerebbe da lui. Ne viene che egli, in quanto mediatore, è insieme Dio e uomo, ambedue in maniera realmente ideale e totale. Ora, ciò significa che qui incontro Dio non come Padre, bensì come Figlio e mio fratello, con il risultato che – cosa inconcepibile e insieme totalmente concepibile - compare una dualità in Dio, Dio si manifesta al tempo stesso come Io e come Tu.

A questa nuova esperienza di Dio fa seguito, infine, come terza, l’esperienza dello Spirito, della presenza di Dio in noi, nel nostro intimo. E di nuovo ne consegue che questo ‘Spirito’ non si identifica né col Padre, né col Figlio, ma neppure forma un terzo fra Dio e noi; è invece la modalità in cui Dio stesso si dà a noi, in cui entra in noi, così da essere nell’uomo, pur restando sempre, anche nell’’inabitazione’, infinitamente al di sopra di lui.

Constatiamo quindi come la fede cristiana, nel corso della sua evoluzione storica, abbia a che fare, in primo luogo puramente di fatto, con Dio in questa triplice figura. E’ ovvio che essa dovesse subito incominciare a domandarsi come questi diversi dati si potessero conciliare fra loro. Dovette domandarsi come queste tre forme di incontro storico con Dio si rapportassero con la peculiarissima realtà di Dio stesso.
La triade delle forme di esperienza di Dio è forse solo una sua maschera storica, sotto la quale egli si avvicina all’uomo in ruoli diversi, ma restando pur sempre l’Unico?
Questa triade ci dice soltanto qualcosa sull’uomo e i suoi diversi modi di rapportarsi a Dio, oppure ci rivela qualcosa di come Dio è in se stesso? Quando noi oggi propendiamo sbrigativamente a ritenere pensabile soltanto la prima ipotesi, dando così per risolti tutti i problemi, prima di rifugiarci in questa scappatoia dovremmo invece renderci conto della portata della questione. Qui si tratta, infatti, di sapere se l’uomo, nel suo rapporto con Dio abbia a che fare solo con i riflessi della propria coscienza, o se invece gli è davvero dato di innalzarsi realmente al di sopra di sé sino ad incontrare Dio stesso. Le conseguenze sono in entrambe i casi di vasta portata: nella prima ipotesi, anche la preghiera diventa per l’uomo un puro occuparsi di se stesso, recidendo così la radice dell’autentica adorazione e, ugualmente, della preghiera di domanda – e questa è anche la conseguenza che viene tirata con maggior frequenza. Tanto più pressante è l’interrogativo se essa, in fondo, non si basi su un comodo atteggiamento del pensiero che, senza tanto arrovellarsi, prende la strada della minore resistenza. Se invece la risposta giusta è la seconda, adorazione e preghiera non sono soltanto possibili, ma addirittura obbligatorie, in quanto sono un postulato dell’essere ‘uomo’ aperto a Dio.
Chi sa vedere la profondità della questione comprenderà anche l’appassionata lotta che viene sostenuta nell’antica chiesa attorno a essa; capirà che la posta in gioco era qui tutt’altro che una semplice cavillosità concettuale e culto delle formule, come potrebbe a prima vista apparire ad un osservatore superficiale.
Si renderà anzi conto che la polemica di allora torna a riaccendersi anche oggi tale e quale – l’unica e perenne lotta dell’uomo attorno a Dio e a se stesso – e che noi non possiamo restare cristiani, se pensiamo di sbrigarcela oggi più facilmente di quanto avvenne allora.
Anticipiamo la risposta, grazie alla quale allora si è trovata la separazione fra la via della fede e una via che condurrebbe invece fatalmente ad una mera parvenza di fede: Dio è così come egli si mostra; Dio non si mostra come non è.
La relazione cristiana con Dio si fonda su questa affermazione, nella quale è posta la dottrina della Trinità, anzi, essa è tale dottrina
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Da "Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico", Edizioni Queriniana 2005

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