P. Raniero Cantalamessa. la Chiesa, una "casa sollievo della sofferenza"

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Nel vangelo di questa domenica abbiamo la presentazione ufficiale del collegio apostolico: "I nomi dei dodici apostoli sono: primo Simone, chiamato Pietro…". C'è qui un accenno chiaro al primato di Pietro nel collegio degli apostoli. Non si dice infatti: "Primo Pietro, secondo Andrea, terzo Giacomo…", come se si trattasse di un semplice numero di serie. Pietro è detto primo nel senso forte che è a capo degli altri, il loro portaparola, che li rappresenta. Gesú specificherà più tardi, nello stesso vangelo di Matteo, il senso di quel "primo", quando dirà "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa…" .

Ma non è sul primato di Pietro che vorrei soffermarmi, quanto sul motivo che spinge Gesú a scegliere i dodici e a mandarli. Esso è descritto così: "Gesù vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore". Gesú vide le folle, ne sentì compassione: questo lo spinse a scegliere i dodici e a mandarli a predicare, guarire, liberare…

Si tratta di una indicazione preziosa. Vuol dire che la Chiesa non esiste per se stessa, per il proprio utile o la propria salvezza; esiste per gli altri, per il mondo, per la gente, soprattutto per gli affaticati e gli oppressi. Il Concilio Vaticano II ha dedicato un intero documento, la Gaudium et spes, a mettere in luce questo essere "per il mondo" della Chiesa. Esso comincia con le ben note parole: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore".

"Vedendo le folle, ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore". I pastori di oggi, dal papa all'ultimo parroco di paese, ci appaiono, in questa luce, come i depositari e i continuatori della compassione di Cristo. Il compianto cardinale vietnamita F.X. Van Thuan, che aveva trascorso tredici anni nelle prigioni comuniste del suo paese, in una meditazione tenuta davanti al papa e alla Curia romana disse: "Sogno una Chiesa che sia una 'Porta Santa' sempre aperta, che abbracci tutti, piena di compassione, che comprende le pene e le sofferenze dell'umanità, una Chiesa che protegge, consola e guida ogni nazione verso il Padre che ci ama".

La Chiesa deve continuare, dopo la sua scomparsa, la missione del Maestro che diceva: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò…". È il volto più umano della Chiesa, quello che più le riconcilia gli animi e fa perdonare tante sue deficienze e miserie. Padre Pio da Pietrelcina volle chiamare l'ospedale da lui fondato a S. Giovanni Rotondo "Casa sollievo della sofferenza": un nome bellissimo che si applica però a tutta la Chiesa. Tutta la Chiesa dovrebbe essere una "casa sollievo della sofferenza". In parte dobbiamo riconoscere che lo è, a meno di chiudere settariamente gli occhi sull'immensa opera di carità e di assistenza che la Chiesa svolge tra i più diseredati del mondo.

Apparentemente le folle che vediamo intorno a noi, almeno nei paesi ricchi, non sembrano affatto "stanche e sfinite" come al tempo di Gesù. Ma non ci inganniamo: dietro la facciata spensierata e opulenta, sotto i tetti delle nostre città, c'è spesso tanta stanchezza, solitudine, smarrimento, a volte perfino disperazione. Non sembriamo neppure folle "senza pastore", visto che tanti lottano in ogni nazione per diventare pastori del popolo, cioè capi e detentori del potere. Quanti di loro però sono disposti a mettere in pratica il requisito di Gesú: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date"?

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