Corporeità e virtù in san Paolo

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Il corpo – è il caso di osservare - nella visione paolina non è né neutro né negativo, come riteneva una certa cultura greca. È portatore di dignità ed è costitutivo dell’uomo, non meno dello spirito. E insieme allo spirito compone l’uomo come immagine di Dio: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo?...Glorificate, dunque, Dio nel vostro corpo!» (1Cor 6, 19s).
La corporeità trova nella sessualità un mezzo per esprimersi e comunicare, sempre in una significativa parità di diritti fra uomo e donna, anche se molte espressioni paoline risentono delle culture maschiliste giudaica e greca (cf Ef 5, 22). Per Paolo, il matrimonio non solo è legittimo, ma è «grande mistero», perché nell’unione dei coniugi si attua il mistero salvifico dell’amore di Cristo capo e sposo, per la Chiesa suo corpo e sposa (cf Ef 5, 21-33).
Tuttavia – in un contesto di erotismo esasperato - l’apostolo è portato concretamente a valutazioni a prima vista rigoriste e pessimiste, quali: meglio non sposarsi, a meno di bruciare (cf 1Cor 7, 1s. 8s); l’astensione dai rapporti coniugali, per dedicarsi alla preghiera (cf 1Cor 7, 5); la verginità esaltata a scapito della coniugalità con le sue tribolazioni (cf 1Cor 7, 25-27).
Ciò non toglie che per Paolo matrimonio e verginità siano entrambi vocazioni di origine divina, carismi (cf 1Cor 7,7). La verginità è preferibile ed è consigliata come segno provocatorio che anticipa lo stato finale e definitivo dell’umanità risorta (che sarà «senza mogli né mariti»: Mt 22, 20) e che testimonia una libera e totale dedizione a Cristo e al servizio del prossimo: ideale di carità, cui deve tendere e che avvalora anche la condizione degli sposati (cf 1Cor 7, 29-35).

Le tre virtù – che poi la tradizione cristiana chiamerà ”virtù teologali” – sono le disposizioni e forze interiori, che orientano e plasmano tutta la vita dell’uomo nuovo; sono le nuove facoltà di chi si è incontrato e convertito a Cristo e ora – docile allo Spirito – liberamente e progressivamente conforma a Lui intelligenza e volontà, pensieri e azioni, rapporti e sentimenti.
A volte, Paolo le nomina tutte insieme: «Abbiamo ricevuto notizie della vostra fede in Cristo Gesù, e della carità che avete verso tutti i santi (i battezzati), in vista della speranza che vi attende nei cieli» (Col 1,3; cf 1Cor 13,13; Ef 1, 15-18). Sono inseparabili e da esse scaturiscono – come sorgenti – i singoli atti di fede, speranza, carità.

La «obbedienza della fede» (Rom 1, 5; 16, 26) è l’assenso totale che la libertà umana dà a Dio che in Cristo si dona tutto all’uomo. Abramo è «il padre di tutti i credenti» (Rom 8, 11. 18) e Paolo ne tesse l’elogio (cf Rom 4, 16-22); insieme al battesimo la fede è l’unica causa di giustificazione (cf Rom 3-6; Gal 3); la conoscenza di fede deve diventare ”sapienza” (cf Ef 1, 17s), crescendo nell’età (cf 1Cor 13, 11), fino alla visione perfetta (cf 1Cor 13, 12).
Da quella nuova creatura che è il cristiano, scaturisce un nuovo principio di conoscenza: «Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2, 16), «Siamo in Cristo Gesù, che per noi è sapienza» (1Cor 1,30). Ai Corinti Paolo insegna che esistono due ben diverse sapienze: quella del mondo e quella del cristiano (cf 1Cor 1, 17; 2, 16).
«La sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio», è «vana» (1Cor 3, 19s, Ef 5, 6) e Dio la disperde e l’annienta (cf 1Cor 1, 19-21); non può che ritenere follia la parola della croce (cf 1Cor 1, 18) e non arriva a conoscere Dio, se rimane chiusa nella sua orgogliosa autosufficienza (cf 1Cor 1, 20). È questa infatti la sapienza dell’uomo naturale, che si attiene unicamente alle risorse della sua natura (cf il «corpo psichico», 1Cor 15, 44).
La sapienza del cristiano, invece, proviene dallo Spirito di Dio (cf 1Cor 2, 10-13); è pienamente presente in Cristo nel quale si possono trovare «tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2, 3); con il dono di questa nuova sapienza, l’uomo ”spirituale” può conoscere i profondi segreti di Dio (cf 1Cor 2, 10s),«che Dio ha preparato per coloro che lo amano» (1Cor 2, 9); non c’è allora da stupirsi se questa sapienza, con un linguaggio insegnato dallo Spirito, esprime «cose spirituali in termini spirituali » (1Cor 2, 13); anzi, con essa «giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno» (1Cor 2, 15), che non sia anch’esso ”uomo spirituale”.

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