Omelie di Giovanni Paolo II, nelle Domeniche in Albis




VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN PANCRAZIO A VIA AURELIA ANTICA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 22 aprile 1979

1. Oggi siamo sulle orme dell’antichissima tradizione della Chiesa, quella della seconda Domenica di Pasqua chiamata “in Albis” che è legata alla liturgia della Pasqua e soprattutto alla liturgia della Veglia Pasquale. Questa Veglia, come testimonia anche la sua forma contemporanea, rappresentava un grande giorno per i catecumeni, i quali durante la notte pasquale, per mezzo del Battesimo, venivano sepolti insieme a Cristo nella morte per poter camminare in una vita nuova, così come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre (cf. Rm 6,4).

In questa immagine suggestiva San Paolo ha presentato il mistero del Battesimo. I catecumeni ricevevano il Battesimo proprio durante la Veglia pasquale, come abbiamo avuto la fortuna di avere anche quest’anno, quando ho conferito il Battesimo a bambini e ad adulti dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa.

In questo modo la notte che precede la domenica della Risurrezione è diventata veramente per loro “Pasqua”, vale a dire il Passaggio dal peccato ossia dalla morte dello spirito alla Grazia, cioè alla Vita nello Spirito Santo. È stata la notte di una vera Risurrezione nello Spirito. Come segno della grazia santificante, i neobattezzati ricevevano durante il Battesimo una veste bianca che li distingueva per tutta l’ottava di Pasqua. In questo giorno della domenica seconda di Pasqua, deponevano tale veste; onde l’antichissimo nome di questo giorno: Domenica “in Albis depositis”.

Questa tradizione a Roma è legata alla chiesa di San Pancrazio. Proprio qui è oggi la stazione liturgica. Abbiamo perciò la fortuna di unire la visita pastorale della parrocchia alla tradizione romana della stazione di Domenica in Albis.

2. Oggi dunque desideriamo qui cantare insieme la gioia della Risurrezione del Signore così come l’annunzia la liturgia di questa domenica:

Celebrate il Signore perché è buono,
perché eterna è la sua misericordia...
Questo è il giorno fatto dal Signore:
rallegriamoci ed esultiamo in esso (Sal 118,1.24).

Desideriamo anche ringraziare per l’indicibile dono della fede, che è scesa nei nostri cuori e si rinforza costantemente mediante il mistero della Risurrezione del Signore. Della grandezza di questo dono ci parla oggi San Giovanni nelle potenti parole della sua lettera: “Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” (1Gv 5,4-5).

Noi ringraziamo dunque Cristo Risorto con una grande gioia nel cuore, poiché ci fa partecipare alla sua vittoria. Nello stesso tempo, lo supplichiamo umilmente perché non cessiamo mai di essere partecipi, con la fede, di questa vittoria: particolarmente nei momenti difficili e critici, nei momenti delle delusioni e delle sofferenze, quando siamo esposti alla tentazione e alle prove. Eppure conosciamo quanto scrive San Paolo: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2Tm 3,12). Ed ecco ancora le parole di San Pietro: “...Siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po’ di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo” (1Pt 1,6-7).

3. I cristiani delle prime generazioni della Chiesa si preparavano al Battesimo a lungo e a fondo. Era questo il periodo di catecumenato. le cui tradizioni sono riflesse ancora oggi nella liturgia della Quaresima. Queste tradizioni erano vive quando al Battesimo si preparavano gli adulti. Nella misura in cui si andò sviluppando la tradizione del Battesimo dei bambini il catecumenato in tale forma doveva sparire. I bambini ricevevano il Battesimo nella fede della Chiesa, di cui era garante tutta la comunità cristiana (che si chiama oggi “parrocchia”), e prima di tutto lo era la loro propria famiglia. La liturgia rinnovata del Battesimo dei bambini mette ancora più in risalto questo aspetto. I genitori con i padrini e le madrine professano la fede, fanno le promesse battesimali e si prendono la responsabilità dell’educazione cristiana del loro bambino.

In questo modo, il catecumenato si trasferisce in un certo modo in un periodo posteriore, al tempo del progressivo crescere e diventare adulti; allora il battezzato deve acquistare dai suoi più vicini e nella comunità parrocchiale della Chiesa una coscienza viva di quella fede, di cui già prima, mediante la grazia del Battesimo, è diventato partecipe. È difficile chiamare questo processo “catecumenato” nel senso primo e proprio della parola. Non di meno è l’equivalente dell’autentico catecumenato e deve svolgersi con la stessa serietà e lo stesso zelo di quello che una volta precedeva il Battesimo. In questo punto convergono e si uniscono i doveri della famiglia cristiana e della parrocchia. È necessario che, in questa odierna occasione, noi ce ne rendiamo conto con una chiarezza e forza particolari.

4. La parrocchia, come comunità fondamentale del Popolo di Dio e come parte organica della Chiesa, in un certo senso ha la sua origine nel Sacramento del Battesimo. È infatti la comunità dei battezzati. Mediante ogni Battesimo, la parrocchia partecipa in modo particolare al mistero della morte e della risurrezione di Cristo. L’intero suo sforzo pastorale e apostolico mira a che tutti i parrocchiani abbiano coscienza del Battesimo, affinché perseverino nella Grazia, cioè nello stato di Figli di Dio, e godano i frutti del Battesimo così nella vita personale come in quella familiare e sociale. Perciò è particolarmente necessario il rinnovamento della consapevolezza del Battesimo. Nella vita della parrocchia è un valore fondamentale l’intraprendere questo catecumenato – che manca adesso nella preparazione al Battesimo – e realizzarlo nelle diverse tappe della vita.

Proprio in questo consiste la funzione della catechesi, che deve estendersi non solo al periodo della scuola elementare, ma anche alle scuole superiori e ad ulteriori periodi della vita.

In particolare è indispensabile la catechesi sacramentale come preparazione alla Prima Comunione e alla Cresima; di grande importanza è la preparazione al Sacramento del Matrimonio.

Inoltre, l’uomo battezzato, se vuole essere cristiano nelle opere e nella verità, deve, nella sua esistenza, rimanere costantemente fedele alla catechesi ricevuta: essa infatti gli dice in che modo deve comprendere e attuare il suo cristianesimo nei diversi momenti e ambienti della vita professionale, sociale, culturale. Questo è il vasto compito della catechesi agli adulti.

Grazie a Dio, questa attività si sviluppa ampiamente nella vita della diocesi di Roma e della vostra parrocchia.

5. Sono al corrente, infatti, delle numerose iniziative di catechesi e di vita associativa, che le istituzioni parrocchiali svolgono con l’aiuto di numerose Famiglie Religiose, femminili e maschili, e di vari movimenti ecclesiali. Una particolare menzione spetta ai benemeriti Padri Carmelitani Scalzi, che si spendono per il progresso spirituale di questa parrocchia di San Pancrazio. La numerosa popolazione qui concentrata è solo uno stimolo in più per un indefesso impegno apostolico. La mia parola, pertanto, si fa esortazione e incoraggiamento sia ai responsabili parrocchiali perché proseguano gioiosamente nel loro servizio al Corpo di Cristo, sia a tutti i membri della Comunità, perché ritrovino sempre e coscientemente in essa il luogo migliore per la loro crescita nella fede, nella speranza e nell’amore da testimoniare al mondo.

6. Nella domenica “in Albis” la liturgia della Chiesa fa di noi dei testimoni dell’incontro del Cristo Risorto con gli apostoli nel Cenacolo di Gerusalemme. La nostra particolare attenzione attira sempre la figura dell’Apostolo Tommaso e il colloquio di Cristo con lui. Il Maestro Risorto permette a lui in modo singolare di riconoscere i segni della sua passione e così convincersi della realtà della Risurrezione. Allora San Tommaso, che prima non voleva credere, esprime la sua fede con le parole: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28). Gesù gli risponde: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20,29).

Mediante l’esperienza della Quaresima, toccando in un certo senso i segni della Passione di Cristo, e mediante la solennità della sua Risurrezione si rinnovi e si rafforzi la nostra fede – e anche la fede di coloro che sono diffidenti, tiepidi, indifferenti, lontani.

E la benedizione che il Risorto ha pronunciato nel colloquio con Tommaso, “Beati quelli che hanno creduto!”, rimanga con tutti noi.



CELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA DOMENICA «IN ALBIS»

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 23 aprile 1995

1. “Pace a voi!” (Gv 20, 19).

Gesù risorto pronunziò per due volte queste parole apparendo agli Undici nel cenacolo, la sera del giorno stesso in cui risuscitò dai morti. Il Signore, come attesta l’evangelista Giovanni, mostrò loro le mani e il costato, per confermare davanti ad essi l’identità del suo corpo, quasi a dire: Questo è lo stesso corpo che due giorni fa venne inchiodato alla croce e poi deposto nel sepolcro; il corpo che porta le ferite della crocifissione e del colpo di lancia; esso costituisce la prova diretta che io sono risorto e vivo.

Quella fu, dal punto di vista umano, una constatazione difficile da accettare, come dimostra la reazione di Tommaso. La sera della prima apparizione nel cenacolo, Tommaso era assente. E quando gli altri Apostoli gli raccontarono di aver visto il Signore, egli con fermezza si rifiutò di credere: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” (Gv 20, 25). Da queste parole si può capire quanto sia stata importante per la verità della resurrezione l’identità fisica del corpo di Cristo.

Quando il Signore Gesù, l’ottavo giorno – come oggi – venne nuovamente nel cenacolo, si rivolse direttamente a Tommaso, quasi ad esaudire la sua richiesta: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!” (Gv 20, 27). Di fronte a tale prova l’Apostolo non solo credette, ma trasse l’estrema conclusione di quanto aveva visto e sperimentato, e la manifestò con un’altissima quanto concisa professione di fede: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20, 28). Alla presenza del Risorto divenne evidente per Tommaso sia la verità della sua umanità sia quella della sua divinità. Colui che è risuscitato con la propria potenza è il Signore: “Non conosce la morte il Signore della vita” (da un canto pasquale polacco).

La confessione di Tommaso chiude il ciclo delle testimonianze sulla resurrezione di Cristo, che la Chiesa ripropone durante l’Ottava di Pasqua. “Mio Signore e mio Dio!”. Replicando a tali parole, Gesù in un certo senso schiude la realtà della sua resurrezione al futuro dell’intera storia umana. Dice infatti a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20, 29). Pensa a coloro che non Lo vedranno risorto alla maniera degli Apostoli, né mangeranno e berranno con Lui (cf. At 10, 41), eppure crederanno sulla base delle affermazioni dei testimoni oculari. Sono costoro, in modo particolare, ad essere chiamati da Cristo “beati”.

2. “Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente” (Ap 1, 17).

Esiste una certa analogia tra l’apparizione nel cenacolo – specialmente quella dell’ottavo giorno, in presenza di Tommaso – e la visione escatologica di cui parla San Giovanni nella seconda lettura tratta dall’Apocalisse. Nel cenacolo Cristo mostra agli Apostoli, e specialmente a Tommaso, le ferite delle mani, dei piedi e del costato, per confermare l’identità del suo corpo risorto e glorioso con quello crocifisso e deposto nella tomba. Nell’Apocalisse il Signore si presenta come il Primo e l’Ultimo, come Colui da cui inizia e con cui termina la storia del cosmo, Colui che è “generato prima di ogni creatura” (Col 1, 15), “il primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (Col 1, 18), principio e fine della storia dell’uomo.

Questa sua identità, che pervade perennemente la storia degli uomini, viene formulata con le parole “Io ero morto, ma ora vivo per sempre” (Ap 1, 18). Ed è come se dicesse: Ero morto nel tempo; ho accettato la morte per rimanere fedele fino alla fine all’incarnazione, per la quale, restando Figlio di Dio consostanziale al Padre, sono diventato vero uomo in tutto, fuorché nel peccato (cf. Eb 4, 15). I tre giorni della passione e morte, necessari all’opera della redenzione, rimangono in me e in voi. Ed ora io vivo in eterno e manifesto con la mia risurrezione la volontà di Dio che chiama ogni uomo a partecipare alla mia stessa vita immortale. Ho le chiavi della morte con le quali devo aprire i sepolcri terreni e mutare i cimiteri, da luoghi in cui regna la morte, a vasti spazi per la resurrezione.

3. “Non temere!”. Quando, nell’isola di Patmos, Gesù rivolge a Giovanni questa esortazione, rivela la sua vittoria sui molti timori che accompagnano l’uomo nella sua esistenza terrena, prima di tutto di fronte alla sofferenza e alla morte. Il timore per la morte concerne anche la grande incognita che essa rappresenta: si tratta forse di un totale annientamento dell’essere umano? Le severe parole: “Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai” (cf. Gen 3, 19) non esprimono pienamente la dura realtà della morte? L’uomo, dunque, ha seri motivi per provare timore di fronte al mistero della morte.

La civiltà contemporanea fa di tutto per distogliere la coscienza umana dall’ineluttabile realtà del morire, tentando di indurre l’uomo a vivere come se la morte non esistesse. E ciò s’esprime praticamente nel tentativo di distogliere la coscienza dell’uomo da Dio: farlo vivere come se Dio non esistesse! La realtà della morte però è evidente. Non è possibile farla tacere; non è possibile dissipare la paura che ad essa è legata.

L’uomo teme la morte così come teme ciò che viene dopo la morte. Teme il giudizio e la punizione, e questo timore ha un valore salvifico: esso non va cancellato nell’uomo. Quando Cristo dice: “Non temere!”, vuol dare risposta a ciò che costituisce la fonte più profonda delle paure esistenziali dell’essere umano. Egli intende dire: Non temere il male, poiché nella mia risurrezione il bene si è dimostrato più potente del male. Il mio Vangelo è verità vittoriosa. La morte e la vita si sono affrontate sul Calvario in un mirabile duello e la vita ne è uscita vittoriosa: “Dux vitae mortuus regnat vivus!”, “Io ero morto, ma ora vivo per sempre” (Ap 1, 18).

4. “La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo” (Sal 118, 22). Il versetto del Salmo responsoriale dell’odierna liturgia ci aiuta a comprendere la verità sulla risurrezione di Cristo. Esprime anche la verità sulla Divina Misericordia rivelatasi nella resurrezione: l’amore ha riportato la vittoria sul peccato, e la vita sulla morte. Questa verità costituisce in un certo senso l’essenza stessa della Buona Novella. Cristo pertanto può dire: “Non temere!”. E ripete tali parole ad ogni uomo, specialmente a chi è sofferente nel fisico o nello spirito. Può ripeterle con tutta fondatezza.

Intuì questo in modo particolare suor Faustina Kowalska, che ho avuto la gioia di beatificare due anni fa. Le sue esperienze mistiche si sono focalizzate tutte intorno al mistero di Cristo Misericordioso e costituiscono quasi un singolare commento alla parola di Dio presentataci dall’odierna liturgia domenicale. Suor Faustina non soltanto le ha annotate, ma ha cercato un artista capace di dipingere l’immagine di Cristo Misericordioso, così come ella lo vedeva. Immagine che insieme alla figura della Beata Faustina rappresenta una testimonianza eloquente di ciò che i teologi chiamano “condescendentia divina”. Dio si rende comprensibile ai suoi interlocutori umani. La Sacra Scrittura, e specialmente il Vangelo, ne sono la conferma.

Carissimi Fratelli e Sorelle! Su tale linea si colloca il messaggio di suor Faustina. Ma era soltanto di suor Faustina o, piuttosto, non si trattava allo stesso tempo di una testimonianza resa da parte di tutti coloro ai quali tale messaggio ha infuso coraggio nelle dure esperienze della seconda guerra mondiale, nei campi di concentramento, nello sterminio e nei bombardamenti? L’esperienza mistica della Beata Kowalska ed il richiamo a Cristo Misericordioso si inscrivono nel duro contesto della storia del nostro secolo. Noi, come uomini di questo secolo, che volge ormai al termine, desideriamo ringraziare il Signore per il messaggio della Divina Misericordia.

5. Oggi, in particolare, sono lieto di poter rendere grazie a Dio in questa Chiesa di Santo Spirito in Sassia, annessa all’omonimo ospedale e divenuta Centro specializzato per la pastorale degli infermi come pure per la promozione della spiritualità della Divina Misericordia. È molto significativo ed opportuno che proprio qui, accanto all’antichissimo ospedale, si preghi e si operi con costante sollecitudine per la salute del corpo e dello spirito. Mentre per questo esprimo rinnovato compiacimento al Cardinale Vicario, il mio grato pensiero va anche al Cardinale titolare Fiorenzo Angelini. Saluto il Vescovo del Settore Ovest, il Rettore e gli altri Sacerdoti, le Religiose e tutti voi, cari fedeli qui presenti. Vorrei, inoltre, inviare un fraterno pensiero ai degenti dell’Ospedale Santo Spirito, insieme pure ai medici, agli infermieri, alle Suore, ed a quanti quotidianamente li assistono. A tutti vorrei dire: Abbiate fiducia nel Signore! Siate apostoli della Divina Misericordia e, secondo l’invito e l’esempio della Beata Faustina, prendete cura di chi soffre nel corpo e specialmente nello spirito. Ad ognuno fate sperimentare l’amore misericordioso del Signore che consola e infonde gioia.

Sia Gesù la vostra pace!

“Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13, 8). Contemplandolo nel mistero della croce e della resurrezione, ripetiamo insieme alla liturgia dell’odierna domenica: “Celebrate il Signore, perché è buono!”

Celebrate il Signore, perché è misericordioso!


VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA
DI SAN GIUDA TADDEO AI CESSATI SPIRITI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

II Domenica di Pasqua, 6 aprile 1997

"1. Otto giorni dopo . . . venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse «Pace a voi!» (Gv 20, 19).

Il brano evangelico di oggi, "Domenica in albis", racconta la duplice apparizione del Risorto agli Apostoli il giorno stesso di Pasqua e otto giorni dopo. La sera del primo giorno dopo il sabato, mentre gli Apostoli si trovano riuniti in un unico luogo a porte chiuse per paura dei Giudei, viene Gesù e dice loro: "Pace a voi!" (cfr Gv 20, 19). Con tale saluto egli in realtà offre loro il dono dell'autentica pace, frutto della sua morte e risurrezione. Nel Mistero pasquale, infatti, si è compiuta quella definitiva riconciliazione dell'umanità con Dio che è la fonte di ogni vero progresso verso la piena pacificazione degli uomini e dei popoli fra di loro e con Dio.

Gesù trasmette poi agli Apostoli l'impegno di proseguire la sua missione salvifica, affinché attraverso il loro ministero la salvezza raggiunga tutti i luoghi e tutti i tempi della storia umana: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Gv 20, 21). All'affidamento della missione evangelizzatrice e del potere di rimettere i peccati è intimamente legato anche il dono dello Spirito, come indicano le successive parole di Gesù: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi" (Gv 21, 22-23).

Con queste parole è il ministero della misericordia che Gesù affida ai suoi discepoli. In effetti nel Mistero pasquale si manifesta pienamente l'amore salvifico di Dio, ricco di misericordia - "dives in misericordia" (cfr Ef 2, 4). In questa seconda domenica di Pasqua siamo invitati dalla Liturgia a riflettere in modo particolare sulla misericordia divina, che supera ogni umano limite e risplende sull'oscurità del male e del peccato. La Chiesa ci spinge ad accostarci con fiducia a Cristo, che con la sua morte e risurrezione rivela pienamente e definitivamente le straordinarie ricchezze dell'amore misericordioso di Dio.

2. All'apparizione del Risorto, avvenuta la sera di Pasqua, non era presente l'apostolo Tommaso. Informato di questo straordinario avvenimento, egli, incredulo dinanzi alla testimonianza degli altri Apostoli, pretende di verificare di persona la veridicità di quanto essi asseriscono.

Otto giorni dopo - cioè nell'ottava di Pasqua, proprio come oggi - si ripete l'apparizione: Gesù stesso viene incontro all'incredulità di Tommaso, offrendogli la possibilità di toccare con mano i segni della passione e invitandolo a passare dall'incredulità alla pienezza della fede pasquale.

Di fronte alla professione di fede di Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20, 28), Gesù pronuncia una beatitudine che allarga l'orizzonte verso la moltitudine dei futuri credenti: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Gv 20, 29). L'esperienza pasquale dell'apostolo Tommaso è stata più grande della sua stessa richiesta. Egli, infatti, non solo ha potuto costatare la veridicità dei segni della passione e della risurrezione ma, attraverso il contatto personale col Risorto, ha compreso il significato profondo della risurrezione di Gesù e, intimamente trasformato, ha dichiarato apertamente la sua piena e totale fede nel suo Signore risorto e presente in mezzo ai discepoli. Egli, dunque, ha potuto in un certo senso "vedere" la divina realtà del Signore Gesù, morto e risorto per noi. E il Risorto stesso è argomento definitivo della sua divinità e umanità insieme.

3. Anche tutti noi siamo invitati a vedere con gli occhi della fede Cristo vivo e presente nella Comunità cristiana. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di San Giuda Taddeo! Sono molto lieto di poter essere finalmente in mezzo a voi in questa vostra bella Parrocchia. Vi saluto tutti con grande affetto! Questa visita è stata un po' ritardata a causa di una malattia, ma alla fine è arrivata ed è arrrivata nel giorno più solenne possibile. Rivolgo un cordiale pensiero al Cardinale Vicario, a Mons. Vicegerente, al vostro zelante Parroco, Don Gabriele Zuccarini ed ai Sacerdoti che collaborano con lui nella cura pastorale della vostra Comunità.

Saluto, altresì, le Suore dell'Istituto Sorelle Misericordiose e le Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue. Estendo il mio pensiero agli abitanti del quartiere, specialmente a quanti per qualche impedimento non possono essere qui presenti. Penso in particolare agli ammalati, agli anziani ed a coloro che, per vari motivi, si trovano in difficoltà.

Carissimi Fratelli e Sorelle, nella vostra Parrocchia, dove è aumentato negli ultimi anni il numero delle persone anziane o sole ed è iniziato l'insediamento di una seconda giovane generazione di famiglie, è quanto mai necessaria un'opera capillare di nuova evangelizzazione. La sfida pastorale è, infatti, quella di aiutare tutte le famiglie, e soprattutto le più giovani, a scoprire la ricchezza del Vangelo ed a perseverare negli impegni della fede cristiana.

Affido in particolare a voi, cari fedeli aderenti ai tanti gruppi parrocchiali, il compito di essere veicoli di speranza, recando il Vangelo ai vostri fratelli che vivono nel quartiere. Non aspettate che essi vengano a voi, ma siate voi ad andare da loro, fidandovi della potenza della Parola che portate. La missione cittadina, infatti, con le sue molteplici iniziative attualmente in corso, chiama ogni cristiano di Roma a riscoprire il mandato missionario affidato da Gesù risorto a tutti i battezzati attraverso il ministero degli Apostoli. Secondo le notizie che ricevo dal Cardinale Vicario e dai Vescovi Ausiliari dei settori, sono molte le persone disposte a prendere parte alla missione cittadina. Sono persone che si presentano per partecipare attivamente alla nuova evangelizzazione di Roma.

4. L'evangelizzazione proposta dalla missione cittadina sarà, tuttavia, tanto più efficace quanto più l'opera dei missionari sarà sostenuta ed accompagnata dalla preghiera. Mi congratulo, pertanto, con voi per le numerose iniziative di preghiera e di adorazione eucaristica settimanale - anche notturna - che svolgete in questa bella Comunità. La preghiera è l'anima della missione. Perseverate, carissimi Fratelli e Sorelle, nel pregare, perché il contatto con Dio assicura autenticità all'attività apostolica.

Nei Vangeli leggiamo che Gesù stesso, pur prodigandosi a favore di tanti uomini e donne, si ritirava per lunghi periodi nella solitudine e pregava (cfr Mt 14, 23; Mc 1, 35; Lc 6, 12; 9, 18; 11, 1; Gv 6, 15; ecc.). Dobbiamo imitarlo ed incontrarlo nei momenti di solitudine e di silenzio dedicati alla preghiera. Queste provvidenziali soste spirituali aiuteranno tutti voi ad essere autentici missionari del Vangelo in questa nostra grande Città.

5. "La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuor solo ed un'anima sola" (At 4, 32).

La Comunità apostolica di Gerusalemme, descritta negli Atti degli Apostoli, è modello di ogni comunità cristiana. Anche noi che viviamo ormai alle soglie del Terzo Millennio cristiano dobbiamo diventare sempre più un cuor solo ed un'anima sola nell'azione liturgica, come nell'attività apostolica e nella testimonianza della carità. Dobbiamo impegnarci a testimoniare con grande forza (cfr At 4, 33), in comunione con i successori degli Apostoli, la risurrezione di Gesù.

"Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede", ci ha ricordato poc'anzi la prima Lettera di Giovanni (1 Gv 5, 4). Mediante la fede, che si realizza nell'osservanza dei comandamenti, anche noi siamo chiamati a sconfiggere le forze del male, per preparare fin d'ora col nostro apostolato la piena manifestazione del Regno di Dio.

Con le parole del Salmo responsoriale, vogliamo esprimere l'esultanza per le meraviglie che Dio continua a compiere anche nel nostro tempo. Nella Pasqua del suo Figlio, morto e risorto, Egli infatti viene incontro ad ogni uomo, manifestandogli le infinite ricchezze della sua misericordia senza limiti.

"Questo è il giorno fatto dal Signore; rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Sal 117, 24).

Amen. Alleluia!






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