La Passione secondo Suor Maria d'Agreda. Dalla "Mistica Città di Dio"


Venerabile Suor Maria d'Agreda

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La Vergine apparve più volte, durante la sua vita, alla venerabile suor Maria di Gesù (1602-1665), badessa del convento di Agreda delle Francescane scalze concezioniste. Maria Coronel era nata il 2 aprile 1602 ad Agreda da una nobile famiglia decaduta; i suoi genitori erano Francisco Coronel e Catalina Arana. A otto anni fece voto di verginità; a dodici sua madre Caterina trasformò la sua casa in un convento, nel quale entrarono le sue due figlie e poi altre ragazze di Agreda.Nel 1627 la Madonna stessa disse a suor Maria che sarebbe diventata badessa del convento fondato dalla madre. Oltre alle visioni della Madonna col Bambino Gesù, suor Maria godette di altri straordinari favori divini: sentiva un soavissimo gusto nel ricevere l'Ostia santa; vedeva il Santissimo circondato da vivo splendore; ebbe visioni di gesù tutto coperto di piaghe che la incitava a soffrire per amore suo ed ebbe il dono della bilocazione grazie alla quale apparve numerose volte in America agli indiani (Xumanas e di altre tribù) per catechizzarli.Nel 1654 fu elevata alla visione della Santissima trinità, davanti al cui trono professò imitatrice e figlia della santa Vergine. I favori celesti di cui godette la Venerabile badessa non furono mai disgiunti da sofferenze fisiche e morali e da crudi attacchi del demonio. Nel 1627, lo stesso anno in cui fu nominata badessa, si sentì spinta da Dio a scrivere la vita della Madonna.Dopo aver atteso per dieci anni, nel 1637 scrisse "Mistica Città di Dio" ("Mística Ciudad de Dios"), ovvero la vita della Madonna. Nel 1654 tale opera fu data alle fiamme per ordine di un sacerdote, suo confessore temporaneo.Nel 1650 il suo nuovo confessore le comandò di scrivere una seconda volta la vita della Madonna, facendole mettere per iscritto pure la propria vita e le sue esperienze mistiche. L'opera fu terminata nel 1660 e divulgata sotto il titolo "Mistica Città di Dio". Approvata dall'Inquisizione spagnola nel 1686, proprio grazie al suo rigore teologico ed ai suoi edificanti contenuti, ebbe una grandissima diffusione, nonostante i tentativi più volte compiuti di messa all'indice da parte di avversari prevenuti.Madre Maria morì il giorno di Pentecoste del 24 maggio 1665 nel suo monastero di Agreda. Lo straordinario fenomeno della conservazione del suo corpo, rimasto inalterato dopo la morte della religiosa, è stato oggetto di quattordici riconoscimenti ufficiali. Con l’ultimo avvenuto il 20 maggio 1989, venne collocato nella Chiesa della Concezione ed esposto al pubblico.Madre Maria di Agreda è una figura femminile di eccezionale levatura, non solo per il suo tempo, che con i suoi insegnamenti, con le sue influenze spirituali e le sue straordinarie virtù ha saputo conquistare il mondo.

La Passione secondo Suor Maria d'Agreda. Dalla "Mistica Città di Dio"


CAPITOLO 7

Il mistero che precede il trionfo di Cristo a Gerusalemme, l'ingresso in città e l’accoglienza da parte degli abitanti.

1115. Tra le opere dell'Altissimo che vengono dette "ad extra", perché compiute da lui al di fuori di se stesso, la più grande è l'incarnazione, passione e morte per la salvezza di ogni uomo. L'intelligenza terrena non avrebbe potuto comprenderla, se proprio il suo autore non l'avesse manifestata con tante dimostrazioni e testimonianze. Nonostante questo, per molti sapienti secondo la carne è stato arduo convincersi del beneficio della propria redenzione; altri, benché l'abbiano creduto, non lo hanno fatto secondo la verità di ciò che avvenne; altri ancora poi, i cattolici, lo professano e lo conoscono con l'illuminazione che riguardo ad esso è data alla Chiesa. In questa adesione esplicita ai misteri rivelati, noi ammettiamo implicitamente anche quelli che sono racchiusi in essi e che non è stato conveniente rendere noti, in quanto non strettamente necessari. Dio ne riserva alcuni per il tempo opportuno ed altri per l'ultimo giorno, quando tutti i cuori saranno messi in luce alla presenza del retto giudice. Il suo intento nel comandarmi di narrare la presente Storia, come ho già detto altrove e ho capito spesso, è quello di svelarne qualcuno senza opinioni né congetture; così, ne ho riferiti molti che mi sono stati palesati, e so che ne rimangono ancora tanti, degni di considerevole ammirazione e venerazione. In ordine a questi, intendo disporre la pietà dei cristiani, poiché non sembrerà loro difficile ciò che è accessorio mentre sono persuasi con fede divina del fondamento dei dogmi sui quali si basa tutto quello che ho scritto e che scriverò sul resto di questo argomento, specialmente sui tormenti di sua Maestà.

1116. Il sabato dell'unzione di Betania, terminata la cena, il nostro Maestro si ritirò nella stanza che gli era stata preparata. Maria, lasciando Giuda nella sua ostinazione, si recò da lui per essergli accanto nelle suppliche e negli esercizi spirituali, come era solita fare. Egli stava già per intraprendere il combattimento più duro della sua vita, che, come dice Davide, aveva cominciato da un estremo del cielo per poi ritornarvi dopo avere vinto il diavolo, il peccato e la morte. L'obbedientissimo Signore, poiché andava liberamente verso il supplizio, al quale era già così prossimo, si abbandonò di nuovo al Padre: prostratosi, lo confessò e magnificò, pregando intensamente e affidandosi completamente a lui; accettava così gli oltraggi che lo attendevano, le pene, le ingiurie e la crocifissione, per la sua gloria e per il riscatto di tutti. La beata Madre stava in un angolo di quel sacro oratorio e accompagnava il suo diletto in tali invocazioni; entrambi le facevano salire tra le lacrime dall'intimo delle loro anime santissime.

1117. In questa occasione, prima di mezzanotte l'Onnipotente apparve in forma umana visibile, con lo Spirito e con un'innumerevole moltitudine di creature celesti, e approvò il sacrificio di Cristo, consentendo che si rivolgesse contro di lui il rigore della sua giustizia per perdonare tutti i rei. Subito, parlò così alla Regina: «Figlia e sposa nostra, chiedo che tu consegni ancora una volta colui che da te è stato generato, poiché anch'io lo faccio». L'umile e candida colomba rispose: «Eccomi, sono polvere e cenere, immeritevole che il vostro Unigenito sia mio. Rimettendomi, però, alla vostra ineffabile benignità, per la quale egli si è incarnato nel mio grembo, io lo offro e insieme a lui offro anche me stessa al vostro beneplacito. Vi imploro di accogliermi, affinché io patisca insieme al vostro e mio Figlio». Egli gradì anche il suo dono e, tirando su ambedue dal suolo, affermò: «Questo è il frutto benedetto della terra, che aspira ad adempiere la mia volontà». Subito innalzò il Verbo fino al suo trono e lo pose alla sua destra, dandogli la sua stessa autorità.

1118. La Vergine restò nel luogo in cui si trovava, ma fu trasformata ed elevata tutta, con mirabile giubilo e splendore. Contemplando il suo Gesù seduto vicino a lui, pronunciò l'inizio del salmo centonovesimo, nel quale era stato profetizzato tale arcano: Oracolo del Signore al mio Signore: «Siedi alla mia destra»; su questa espressione, quasi commentandola, ella compose un cantico misterioso a loro lode. Quando ebbe finito, l'Altissimo proclamò tutto il seguito, come eseguendo con il suo comando immutabile ciò che era contenuto in quelle profonde parole. Per me è molto difficoltoso comunicare con il mio linguaggio limitato quanto ho compreso a riguardo, ma dirò ugualmente qualcosa, come mi sarà concesso, affinché si capisca almeno in parte un'opera così eccelsa, e quello che fu rivelato a Maria e agli esseri spirituali che erano presenti.

1119. Egli, dunque, proseguì: «Finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». Poiché ti sei umiliato secondo il mio volere, ti sei reso degno di essere sollevato al di sopra di ogni altro e di regnare perennemente al mio fianco, nella natura che hai ricevuto. Per lo stesso motivo, metterò per sempre i tuoi nemici sotto i tuoi piedi e sotto il tuo dominio, in quanto sei loro sovrano e salvatore di tutti, così, anche coloro che non ti hanno obbedito e accettato vedranno sublimata la tua umanità, significata dai tuoi piedi. Mentre attendo che giunga al suo compimento il decreto della redenzione, desidero che i miei angeli scorgano già ora quello che poi scopriranno i demoni e gli abitanti del mondo, cioè che io ti colloco accanto a me nel momento del tuo abbassamento all'ignominia della croce e che, se ti abbandono ad essa e alle disposizioni della loro malvagità, ciò avviene per mia esaltazione e secondo le mie determinazioni, ed affinché essi in seguito, pieni di confusione, siano sottoposti a te. Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: «Domina in mezzo ai tuoi nemici». Come Dio onnipotente, io che sono colui che sono, vivo e vero, stenderò lo scettro del tuo potere imbattibile. Non voglio solo che le genti ti confessino come loro liberatore, guida e Signore dopo la tua vittoria e il loro riscatto, ma anche che fin da ora, prima della passione, tu consegua mirabilmente il trionfo, mentre complottano contro di te e ti disprezzano. Bramo che tu ti erga sulla loro perfidia e sulla morte stessa, che per la tua forza essi siano costretti ad onorarti sinceramente, e ti celebrino e adorino con venerazione e devozione, che i diavoli siano debellati e sconvolti, che i profeti e i giusti, i quali ti aspettano nel limbo, si rendano conto con i servitori della mia corte di questa meravigliosa glorificazione, da te guadagnata nella mia approvazione del tuo dono. «A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato». Nel giorno di questa tua potenza per sconfiggere i tuoi avversari, io sto in te e con te, come principio dal quale procedi per eterna generazione del mio fecondo intelletto, da prima che fosse formata la stella mattutina della grazia, con cui deliberammo di manifestarci alle creature; e sto in te e con te nello splendore di cui godranno i santi, quando saranno beatificati in noi. Anche come uomo sta con te il tuo principio, e sei stato generato nel giorno della tua potenza, perché, dall'istante in cui ti è stata data l'esistenza terrena per mezzo della generazione temporale di tua Madre, hai avuto il merito che adesso è in te e ti ottiene l'onore che deve coronare la tua potenza in questo giorno e in quello della mia eternità. Il Signore ha giurato e non si pente: «Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek». Io, il Signore, che posso adempiere tutto ciò che prometto, ho stabilito con la fermezza propria di un giuramento immutabile che tu sia il sommo sacerdote della nuova Chiesa e della nuova legge evangelica, secondo l'antico ordine di Melchisedek; sarai, infatti, l'autentico sacerdote, che farà l'offerta del pane e del vino, dei quali era figura la sua oblazione. Non mi pentirò della mia decisione, perché essa sarà pura e perfetta, e sarà per me un sacrificio di lode. Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel giorno della sua ira. Attraverso lo strumento della tua umanità, la cui destra è la divinità ad essa unita e per mezzo della quale tu devi realizzare le tue opere, io, che sono uno stesso Dio con te, annienterò la tirannia che i governanti e i principi delle tenebre e del mondo, sia spiriti apostati sia uomini, hanno dimostrato con il loro rifiuto di adorarti e di essere soggetti a te come a loro re. Lo feci quando Lucifero e i suoi alleati non ti riconobbero, poiché per essi fu allora il giorno della mia ira; poi, verrà quello in cui la rivolgerò contro i mortali che non ti avranno accolto e non avranno rispettato i tuoi ordinamenti. Li piegherò ed eliminerò tutti con il mio legittimo sdegno. Giudicherà i popoli: in mezzo a cadaveri ne stritolerà la testa su vasta terra. Dopo avere difeso la tua causa contro i discendenti di Adamo che non trarranno profitto dalla misericordia che usi con loro redimendoli gratuitamente dalla colpa e dalla dannazione, io giudicherò con rettitudine tutte le nazioni e, separando i probi dai peccatori, riempirò il vuoto delle rovine lasciate dagli angeli ribelli, che non conservarono il loro stato e le loro dimore. Così, schiaccerò sulla terra la testa dei superbi, che saranno molti per la loro depravata e ostinata volontà. Lungo il cammino si disseta al torrente e solleva alta la testa. La innalzerà lo stesso Dio delle vendette, che si leverà per pronunciare la sentenza e dare agli orgogliosi la loro retribuzione. Come avendo bevuto al torrente del suo furore, inebrierà le sue frecce del sangue dei suoi nemici e con la spada del suo castigo li confonderà per la strada attraverso la quale avrebbero dovuto ottenere il gaudio. Così, solleverà la tua testa al di sopra di quanti ti sono ostili, disobbediscono ai tuoi precetti e si scostano dalla tua verità e dai tuoi insegnamenti. Ciò sarà giustificato dal fiume di ingiurie ed oltraggi da te sorbito per il loro riscatto.

1120. La Regina ebbe queste e molte altre arcane rivelazioni sulle parole del salmo proclamato dal Padre; benché alcune di esse siano espresse in terza persona, egli le riferiva a sé e al Verbo incarnato. Tutti questi misteri si possono ricondurre a due punti principali: le minacce contro i malfattori, gli infedeli e i cattivi cristiani, che non confessano il Redentore o non osservano i suoi decreti; le assicurazioni date dall'Eterno al Figlio di magnificare il suo nome contro i suoi oppositori e al di sopra di loro. Come caparra e segno di questa esaltazione universale dopo la sua ascensione, e soprattutto nel giudizio finale, comandò che al suo ingresso in Gerusalemme ricevesse quel plauso che all'indomani gli fu tributato da coloro che lì risiedevano. Quando la visione fu terminata, egli scomparve insieme allo Spirito Santo e agli esseri celesti che avevano assistito stupiti. Gesù e Maria passarono tutto il resto di quella felicissima notte immersi in colloqui sublimi.

1121. Giunto il giorno corrispondente alla domenica delle palme, il Maestro si diresse con i suoi verso la città, accompagnato da molti custodi, che lo celebravano scorgendolo tanto innamorato degli uomini e tanto sollecito della loro beatitudine. Dopo circa due leghe, a Bètfage, inviò due discepoli alla vicina casa di un ricco ed essi, con il consenso di questi, gli portarono due giumenti, uno dei quali non era ancora stato usato né cavalcato da nessuno. Quindi proseguì, e gli apostoli stesero i loro mantelli sull'asinello e sul puledro, perché egli in questa occasione si servì di entrambi, come molti secoli prima avevano predetto Isaia e Zaccaria, affinché i sacerdoti e gli scribi non potessero addurre come pretesto l'ignoranza. I quattro evangelisti descrissero questo meraviglioso corteo raccontando quello che fu palese agli occhi dei presenti. Lungo il percorso i suoi seguaci, e con essi tutto il popolo, piccoli e grandi, si misero ad acclamarlo come vero Messia, figlio di Davide, re e salvatore. Alcuni dicevano: «Pace in cielo e gloria nelle altezze, benedetto colui che viene come re nel nome del Signore»; altri: «Osanna al figlio di Davide: salvaci; sia benedetto il suo regno, che è già venuto». Gli uni e gli altri tagliavano palme e rami dagli alberi in segno di vittoria e di letizia, e con i mantelli li gettavano per la via dove passava il dominatore delle battaglie.

1122. Tutte queste opere e le nobili dimostrazioni di culto che gli erano date manifestavano il potere della sua divinità, e ancor di più ciò accadde in seguito, quando era atteso e cercato per essere ucciso. Se, infatti, costoro non fossero stati provocati interiormente dalla sua eccezionale virtù nel fare miracoli, non sarebbe stato possibile che tanta gente insieme, in gran parte composta di gentili e di avversari dichiarati, inneggiasse in tal modo a lui e si sottomettesse a una persona povera, umile, perseguitata e che non veniva con un apparato di armi né con potenza terrena né su carri trionfali né su cavalli superbi e con abbondanti averi. In apparenza gli mancava tutto ed entrava su un asinello, vile e disprezzabile per il fasto e la vanità mondana tranne che per il suo aspetto, che era grave, sereno e pieno di maestà corrispondente alla sua dignità occulta; ma il resto era estraneo e contrario a ciò che generalmente si applaude e solennizza. E così era evidente negli effetti la forza soprannaturale che spingeva ad assoggettarsi al Creatore e redentore.

1123. Ci fu commozione nell'intera Gerusalemme, per la luce che scese a rischiarare tutti affinché lo riconoscessero. Questa esaltazione si estese a ogni essere, o almeno ai più capaci di ragione, e così si adempì quello che l'Altissimo aveva promesso al suo Unigenito. L’arcangelo Michele fu mandato a portare la notizia di questo mistero ai santi padri e profeti che erano nel limbo. Fu fatto loro vedere quanto succedeva ed essi, dal posto in cui si trovavano, confessarono e venerarono Cristo come vero Dio, elevandogli nuovi cantici perché aveva mirabilmente trionfato sulla morte, sul peccato e sull'inferno. Ovunque fu toccato il cuore di molti e coloro che avevano fede in lui o ne avevano sentito parlare, non solo entro i confini della Palestina ma anche in Egitto e in altri regni, in quel momento furono mossi ad adorarlo in spirito. Lo fecero sperimentando uno straordinario giubilo, dovuto all'illuminazione che ricevettero per questo, anche se non ne seppero né la causa né il fine; ciò non fu inutile per le loro anime, perché progredirono molto nel credere e nel compiere il bene. Affinché la sconfitta della morte avvenisse in maniera più insigne, fu stabilito inoltre che in quella giornata essa non avesse alcuna efficacia contro la vita; quindi non perì nessuno, mentre diversamente sarebbero stati in tanti a farlo.

1124. A tale disfatta seguì quella dell'inferno, che fu ancora più magnifica, anche se più nascosta: appena cominciò ad essere invocato come salvatore e re che veniva nel nome del Signore, Gesù rivolse contro i demoni il vigore della sua destra, facendoli precipitare tutti negli abissi. Vi caddero con considerevole rabbia e terrore e, nel breve tempo in cui ancora si prolungò il viaggio, neanche uno di loro uscì dalle profonde caverne; da allora si accrebbe in essi il sospetto che il Messia fosse già arrivato e subito si misero a discuterne. La processione continuò fino al suo ingresso nelle mura, mentre i custodi, che lo contemplavano e scortavano, intonavano con ammirevole armonia lodi per lui. Oltrepassata la porta in mezzo all'esultanza del popolo, smontò dal giumento e si incamminò verso il tempio con passo leggiadro e severo. Lì, tra lo stupore di tutti, si verificò quello che i Vangeli riferiscono: rovesciò i tavoli dei venditori, divorato dallo zelo per la casa di suo Padre, e cacciò fuori chi la rendeva un mercato e una spelonca di ladri. Poi, il braccio dell'Onnipotente sospese il suo influsso nell'intimo dei cittadini: molti furono resi giusti e quanti già lo erano divennero migliori, ma gli altri tornarono allo stato precedente, tra i vizi, le cattive abitudini e le imperfezioni, perché non trassero profitto dalle ispirazioni inviate loro; così, anche se tanti avevano acclamato il nostro Maestro come sovrano di Gerusalemme, nessuno fu disposto ad ospitarlo e ad accoglierlo presso di sé.

1125. Il Figlio si trattenne ad insegnare e predicare fino a tardi, e per attestare il rispetto che conveniva a quel luogo santo, che era casa di preghiera, non consentì che gli recassero neppure da bere. Senza questo né altro ristoro, quella stessa sera si ritirò a Betania, da dove era venuto, e in tal modo fece nei giorni seguenti, fino alla sua passione. Maria beatissima rimase in questa località, in disparte, e da qui conobbe tutto attraverso una visione particolare. Osservò quello che facevano gli angeli nel cielo e gli uomini sulla terra, quello che accadeva ai diavoli nei loro antri e come in queste meraviglie si realizzasse quanto era stato assicurato al Verbo incarnato, che otteneva potere su tutti i suoi nemici. Scorse anche ciò che questi operò nel tempio; udì la voce che venne dall'alto in presenza di alcune persone, con la quale Dio disse: «Ti ho glorificato e di nuovo ti glorificherò», rispondendo a lui e manifestando con questa espressione che, come aveva fatto allora e nelle altre occasioni delle quali ho già parlato, lo avrebbe innalzato anche in futuro dopo la crocifissione. Tali parole abbracciano tutto questo e così le intese la Madre, con grande letizia del suo purissimo spirito.

Insegnamento della Regina del cielo

1126. Carissima, hai narrato qualcosa, e capito ben oltre, dei reconditi misteri del trionfo del mio Unigenito quando entrò nella città santa e di quanto lo precedette; assai di più, però, è quello che ti sarà svelato quassù, perché supera le facoltà dei mortali. Nonostante questo, in ciò che è stato palesato loro hanno un ammaestramento sufficiente per vincere l'illusione in cui si trovano e considerare quanto i giudizi del Signore siano sublimi e sovrastino i pensieri delle creature. Egli guarda il loro cuore , dove è riposta la bellezza della figlia del re; esse, invece, guardano l'apparenza. Perciò, agli occhi della sua sapienza, i retti sono apprezzati e sollevati quando si umiliano, mentre i superbi sono disprezzati e abbassati quando si esaltano. Questo viene compreso da pochi e così i figli delle tenebre non sanno aspirare ad altro onore che a quello che dà loro il mondo. I figli della Chiesa, anche se lo professano vano e inconsistente, non più duraturo del fiore e dell'erba, non mettono in pratica tale verità. Non ricevendo fedele testimonianza delle virtù e della luce della grazia dalla coscienza, cercano credito presso i loro simili e anelano al riconoscimento che questi possono conferire loro, anche se esso è falso e menzognero, perché solo l'Altissimo eleva senza inganno chi si è guadagnato ciò. Il mondo, invece, generalmente inverte le parti e tributa stima a chi ne è meno degno o a chi la sollecita e se la procura con più sagacia e ambizione.

1127. Allontanati da tale abbaglio, non ti attaccare al piacere che gli elogi procurano e non permettere adulazioni. Da' a ciascuna cosa il nome e il valore che le spetta, perché in questo i figli delle tenebre procedono come accecati. Nessuno può meritare plauso quanto il mio Gesù e, tuttavia, egli trascurò e disdegnò quello che ebbe al suo ingresso in Gerusalemme. Esso doveva servire solo a rivelare la sua potenza e rendere poi più ignominiosa la sua passione, a insegnare che non bisogna accettare omaggi visibili per se stessi, se non c'è un fine superiore a cui ricondurli a gloria di Dio; altrimenti, sono inutili e infruttuosi, poiché non contengono in sé l'autentica felicità di chi è capace di quella eterna. Dal momento che sei ansiosa di apprendere la ragione per cui non assistetti a tale evento, rispondo al tuo desiderio ricordandoti quanto hai esposto ripetutamente in questa Storia riguardo alla mia visione degli atti interiori del mio diletto nello specchio tersissimo del suo intimo, con la quale io ravvisavo nella sua volontà quando e perché determinasse di separarsi da me. Subito, ai suoi piedi, lo supplicavo di confidarmi il suo beneplacito e quello che gli era gradito quanto a ciò che ero tenuta a fare. Sua Maestà a volte me lo comandava esplicitamente, mentre altre volte voleva che fossi io a scegliere, attraverso l'illuminazione e la prudenza che mi aveva concesso. Così avvenne quando decise di ergersi in tal modo sui suoi avversari e lasciò che fossi io a stabilire se accompagnarlo oppure restare a Betania. Gli chiesi licenza di non essergli accanto in tale circostanza e lo implorai di portarmi con sé quando sarebbe tornato là per essere ucciso; ritenni, infatti, più sicuro e di suo maggior compiacimento offrirmi per soffrire ingiurie e dolori piuttosto che condividere tale trionfo, che se fossi stata con lui avrebbe toccato anche me in una certa misura, come sua madre, nota a quelli che lo benedivano e celebravano. Inoltre, sapevo che egli aveva ordinato tali acclamazioni, che peraltro non mi allettavano, a dimostrare la sua divinità e il suo potere infinito; in questo non sarei stata partecipe e, con la lode che mi avrebbero dato allora, non sarebbe aumentata quella che era dovuta a lui come unico salvatore. Per goderne in segreto e per magnificare il Signore nei suoi prodigi, contemplai e penetrai nel mio ritiro quello che hai scritto. Questo ti sarà di istruzione perché tu mi imiti: segui i miei umili passi, distogli i tuoi affetti da tutto ciò che è terreno e levali in alto; così fuggirai e spregerai gli onori umani, conoscendo con la luce superna che sono vanità di vanità` e afflizione per lo spirito.

CAPITOLO 8

I demoni si riuniscono all'inferno per parlare del trionfo di Cristo, nostro redentore, e prendono alcune decisioni; i sacerdoti e i farisei si radunano in Gerusalemme.



1128. Come ho detto, tutti i misteri contenuti nel trionfo del nostro Salvatore furono grandi e mirabili, ma, nel suo genere, non lo è meno quello in ordine all'oppressione che sperimentò l'inferno quando i demoni vi furono fatti piombare al suo ingresso nella città santa. Per due giorni interi, dalla domenica in cui questo accadde sino al martedì, rimasero nell'umiliazione in cui li aveva posti la destra dell'Altissimo, pieni di penoso e confuso furore. Con strida orribili lo manifestavano alla turbolenta schiera dei dannati, che ricevettero terrore e strazio maggiori di quelli che soffrivano solitamente. Lucifero, il principe delle tenebre, più sbalordito di tutti, convocò i suoi seguaci e da una posizione elevata, come loro capo, affermò:

1129. «Non è possibile che chi ci angustia in questo modo, abbattendo le nostre forze, sia soltanto un profeta: Mosè, Elia, Eliseo e altri nostri antichi nemici non ci hanno mai vinto con tanta violenza, nonostante i loro prodigi. Del resto, mai di alcuno mi sono state celate tante opere; in particolare, arrivo a sapere ben poco dei suoi atti interiori. Come un semplice uomo avrebbe potuto fare tutto questo e rivelare sulle cose un'autorità pari a quella resa evidente dalle sue azioni? Egli, inoltre, accoglie imperturbabile e senza superbia le lodi e la gloria che per esse gli vengono tributate. Peraltro, in questa esaltazione che ha ottenuto ha dimostrato un nuovo potere contro di noi e così ho minori energie per fare quanto desidero, cioè ucciderlo e cancellare completamente il suo nome dalla terra dei viventi. Lo hanno celebrato e acclamato come beato non solo i suoi, ma anche molti che io tenevo in mio dominio; lo hanno chiamato Messia, riconoscendolo come colui che è stato promesso nella loro legge, ed egli ha costretto tutti a venerarlo e adorarlo. Ciò è molto per una normale creatura e, se egli non è di più, bisogna dedurre che nessun altro ha avuto come lui l'Eterno dalla sua parte, per cui ci fa e ci farà enormi danni; da quando siamo stati scacciati dall'empireo, infatti, non abbiamo mai subito tale rovina né incontrato tanti ostacoli come da quando egli è venuto nel mondo. Se poi per caso è il Verbo incarnato, come temiamo, è necessario ponderare attentamente questa situazione, perché, se non lo eliminiamo, con il suo esempio e il suo insegnamento attirerà tutti dietro di sé. Per l'odio che ho verso di lui, ho provato ripetutamente ad ammazzarlo, senza riuscirci: una prima volta nella sua patria feci in modo che cercassero di gettarlo giù da un precipizio, ma egli con il suo potere si prese gioco di coloro che lo stavano per fare; un'altra disposi che fosse lapidato in Gerusalemme, ma egli si nascose dai farisei».

1130. «Ora ho un'opportunità migliore, perché ho inviato una suggestione a Giuda, suo discepolo e nostro amico, spingendolo a mettere il suo Maestro nelle mani di costoro, che ho preparato accendendoli di furiosa invidia; senza dubbio, lo condanneranno a una pena molto crudele, come bramano. Aspettano solo le condizioni propizie che sto approntando con tutta la mia astuzia e diligenza, perché il traditore, gli scribi e i sacerdoti faranno esattamente quello che proporrò loro, ma nonostante questo ho una grave difficoltà, che richiede molta cautela. Se, infatti, egli è l'Atteso, offrirà i suoi dolori per la redenzione, guadagnando meriti infiniti a vantaggio di tutti. Aprirà il cielo e i salvati ascenderanno a godere il premio che ci è stato tolto; ciò sarà per noi un altro aspro tormento, se non ci affrettiamo a impedirlo. Egli, inoltre, con le sue sofferenze sarà uno straordinario modello di sopportazione per gli altri, perché è estremamente mite e umile di cuore, e non lo abbiamo mai visto impaziente o turbato. Educherà tutti a queste virtù, che sono quelle che più detesto perché offendono pesantemente me e chi si attiene ai miei dettami, per cui è conveniente per i nostri obiettivi parlare di quanto dobbiamo fare nel perseguitare questo Cristo e uomo nuovo, e bisogna che mi diciate che cosa ne pensate».

1131. Essi discussero ampiamente su simili considerazioni, infuriandosi con inimmaginabile sdegno contro Gesù e lamentandosi dell'inganno in cui giudicavano di essere incorsi nel pretendere la sua soppressione con tanta scaltrezza. Così, con questa stessa malizia raddoppiata si sforzarono da allora in poi di tornare indietro e di evitare che egli perisse, essendosi già confermati nel sospetto che fosse il Messia, anche se non erano giunti ad esserne sicuri. Questo dubbio fu per satana motivo di tale sconcerto e affanno che, approvando il decreto con il quale si stabiliva ciò, concluse il conciliabolo proclamando: «Credetemi, compagni: se questa persona è anche Dio vero, con la sua passione distruggerà il nostro impero, riscatterà i mortali, li innalzerà a mai sperimentata felicità e darà loro maggiori risorse contro di noi; abbiamo sbagliato molto nel procurare il suo assassinio, sbrighiamoci a riparare a questa sciagura». 1132. Con tale risoluzione, tutti i suoi ministri salirono in superficie e misero ogni impegno nel sottrarre sua Maestà al supplizio, intervenendo presso Pilato e sua moglie, come consta dai Vangeli, e in parecchi altri modi, in essi non riportati ma ugualmente certi. Prima di tutto assalirono Giuda con ulteriori istigazioni per farlo recedere dalla consegna concertata, senza essere però in grado di muoverlo a rinunciare ai suoi intenti e a desistere da essi. Pertanto, il demonio stesso gli apparve in forma corporale e tentò di farlo riflettere e di indurlo a interrompere le trattative; essendo informato della smisurata ingordigia di quell'avaro, con una sollecitudine più grande di quella che aveva impiegato per incitarlo a vendere il suo Signore, ardente di amore per tutti, gli porse molto denaro affinché non lo desse in balìa dei suoi nemici.

1133. Ma, ahimè, tristezza della nostra miseria! Egli, che si era sottomesso al drago per obbedirgli nella perfidia, non poté farlo per ravvedersi! L'avversario, infatti, non aveva dalla sua parte la forza della grazia, senza la quale è vana ogni fatica per convincere ad abbandonare il peccato e seguire il bene. L'Altissimo non era nell'impossibilità di strapparlo dalla sua slealtà e ricondurlo a sé, ma per questo non erano un mezzo confacente le manovre di persuasione di Lucifero, che lo aveva fatto cadere; per di più, nella sua ineffabile equità riteneva di non dovergli somministrare altri aiuti, perché era arrivato a così dura ostinazione mentre si trovava alla scuola del divin Maestro, ponendo tante volte intralcio ai suoi ammonimenti, alle sue ispirazioni e ai suoi immensi favori. Costui, inoltre, aveva disprezzato con inammissibile temerarietà i suoi consigli e quelli della santissima e dolcissima Regina, come anche la luminosità della vita loro e degli altri apostoli. A tutto questo nella sua empietà aveva resistito con pertinacia propria di un diavolo, più che di un uomo libero di compiere opere rette. Dopo essere rimasto tanto a lungo nel male, era ormai in uno stato tale che l'odio concepito contro il suo Salvatore e contro la Madre della clemenza lo aveva reso incapace di domandare misericordia, indegno della luce per conoscerla e come insensibile alla voce della stessa ragione e della stessa legge naturale, che lo avrebbero potuto trattenere dal danneggiare l'innocente dalle cui mani aveva ricevuto tanti benefici. Si tratta di un raro esempio e di una istruzione pratica per la fragilità e la stoltezza di quanti, non temendoli, possono incorrere in pericoli simili e scivolare in una condizione così sventurata e deplorevole.

1134. Quei serpenti lo lasciarono, senza più speranza di fargli cambiare idea, e andarono dai farisei per ottenere la medesima cosa attraverso molte suggestioni, che comunicarono loro affinché non opprimessero l'Unigenito; avvenne, però, lo stesso e non poterono farli retrocedere dal piano malvagio che avevano escogitato. Alcuni scribi, per cause terrene, presero a valutare con maggiore equilibrio se davvero convenisse loro quello che avevano deciso, ma, poiché non erano assistiti dal cielo, tornarono subito a essere vinti dal rancore e dall'invidia. Allora, il maligno e i suoi si diressero verso Pilato e la sua consorte, la quale, come ci è tramandato, fu stimolata a mettere in guardia con pietà femminile il marito da ogni coinvolgimento nella condanna di quel giusto. Per questa e somiglianti vie, lo spronarono a cercare numerosi espedienti per non pronunciare la sentenza capitale, ma non raggiunsero il loro scopo e, senza più fiducia di avere successo, mutarono progetto. Si eccitarono nuovamente contro Cristo e, non potendone impedire la morte, per provocare la sua inalterabile pazienza sobillarono i capi e i carnefici a dargliela al più presto e a tormentarlo con la spietata crudeltà che poi usarono. Gesù stesso permise questo per i sublimi fini della redenzione, anche se proibì alcune atrocità meno decenti che erano suggerite contro la sua venerabile persona e umanità.

1135. Il martedì dopo l'ingresso in Gerusalemme, quando egli restò a Betania, i suoi oppositori si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote per macchinare un tranello per eliminarlo; la loro stizza, infatti, si era ancora accresciuta per il plauso che gli era stato tributato da tutti gli abitanti della città. Nella discussione si interessarono anche del miracolo della risurrezione di Lazzaro e di altri prodigi realizzati in quei giorni nel tempio. Avendo stabilito che era necessario sopprimerlo, celarono questa scelleratezza sotto il pretesto del bene comune, del quale parlò Caifa, profetizzando il contrario di ciò che intendeva. Satana, che li vide risoluti, istigò alcuni di essi a non attuare il loro disegno durante la festa, perché non ci fossero tumulti fra il popolo, che riveriva il Signore come Messia o grande profeta. Agì in questa maniera per rendersi conto se, ritardando l'uccisione, sarebbe potuto riuscire a evitarla, ma Giuda, già completamente in balìa della sua stessa insaziabilità e perversità, privo della grazia di cui aveva bisogno per ravvedersi, si presentò loro molto turbato e inquieto per prendere accordi sulla vendita della sua guida. Per non perdere l'occasione, passarono sopra l'inconveniente della concomitanza con la Pasqua e gli fissarono trenta monete d'argento, prezzo del quale egli si accontentò per colui che racchiude in sé tutti i tesori dell'universo, come era stato decretato dalla sapienza infinita che disponeva ogni cosa.

1136. Nello stesso momento, come riferisce Matteo, sua Maestà disse ai suoi: «Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso». L'infame discepolo, che non era presente, venne subito da loro con il furore del tradimento e, perfido e miscredente, cominciò a informarsi presso i compagni, la beatissima Madre e il Salvatore stesso sul luogo in cui si sarebbero recati e su quanto quest'ultimo si proponesse di fare. Indagava tutto ciò con volontà di inganno, per organizzare meglio quello che aveva contrattato. Fingendo e dissimulando, da ipocrita, pretendeva di nascondere la sua fellonia; ma la sua doppiezza e il suo intento depravato erano chiari non solo al Maestro, ma anche alla prudentissima Vergine, alla quale i messaggeri celesti avevano immediatamente dato notizia della trattativa da lui conclusa. Costui le chiese dove avrebbero celebrato la vicina solennità ed ella, con stupefacente mitezza, rispose: «Chi può comprendere i giudizi e i segreti dell'Altissimo?». Da allora cessò di ammonirlo e di esortarlo a convertirsi, anche se, come il suo Unigenito, continuò sempre a sopportarlo, finché fu egli stesso a disperare della possibilità del perdono e del gaudio eterno. La mansuetissima colomba, però, discernendone l'irreparabile rovina e avendo coscienza che suo Figlio stava per essere consegnato ai suoi nemici, pianse teneramente insieme ai custodi; non poteva, infatti, condividere la sua intima pena con alcun'altra creatura. Con essi solcava il mare della sua amarezza ed esprimeva i suoi sentimenti con parole molto ponderate e sagge, suscitando la loro ammirazione di fronte a un modo tanto nuovo e perfetto di reagire in una simile tribolazione e in un dolore a tal punto profondo.

Insegnamento della Regina del cielo

1137. Carissima, quello che hai imparato e scritto in questo capitolo contiene importanti insegnamenti ed eccelsi misteri a beneficio di tutti, se si considerano diligentemente. Innanzitutto, devi meditare bene che, essendo Cristo venuto per distruggere le opere del demonio e per vincerlo affinché non avesse più lo stesso potere, fu opportuno che, pur lasciandolo nella sua condizione di angelo e nella corrispondente conoscenza abituale, gli tacesse molte cose; così, quando egli in seguito le apprese, la sua malignità fu repressa nella maniera più conveniente alla provvidenza soave e forte di Dio. Gli fu occultata l'unione ipostatica ed egli in ordine a ciò procedette tanto confusamente che si imbrogliò e andò variando ragionamenti e decisioni fallaci, finché, al tempo propizio, Gesù fece in modo che capisse che la sua anima divinizzata era stata gloriosa fin dall'istante del concepimento. Parimenti, sottrasse alla sua vista certi miracoli della propria vita santissima, mostrandogliene altri. Questo accade anche con alcune persone, delle quali, per conseguire i suoi elevati fini a loro vantaggio, egli non permette che Lucifero scorga tutte le azioni, mentre diversamente lo potrebbe; in seguito, consente che le ravvisi, per suo maggiore sconcerto, come si verificò negli avvenimenti della redenzione, che gli furono manifestati perché il suo tormento crescesse. Per questo il drago infernale spia gli uomini per investigare i loro atti, e non solo quelli interiori. Tanto è l'amore del Signore verso di loro, per i quali è nato e morto!

1138. Questo favore sarebbe più diffuso e costante, se molti non lo impedissero rendendosene immeritevoli e assoggettandosi al proprio avversario, attraverso l'ascolto delle sue suggestioni mendaci e piene di malizia. I retti e coloro che si distinguono nella virtù divengono strumenti nelle mani dell'Onnipotente, che li guida e orienta egli stesso senza tollerare che sia alcun altro a farlo, perché essi si abbandonano al suo beneplacito. Al contrario molti reprobi, immemori di colui che li ha plasmati e riscattati, con numerose trasgressioni si sottomettono al diavolo, che li spinge e trascina a ogni perversità, sfruttandoli per tutto quello che la sua scelleratezza desidera, come nel caso del traditore e dei farisei, uccisori del loro stesso Salvatore. Nessuno è esente da responsabilità in questo, come appunto non lo furono Giuda e i sacerdoti. Con la loro libera volontà non accolsero il consiglio di satana di smettere di perseguitare sua Maestà e per essi sarebbe stato molto più facile non prestargli attenzione quando costui li istigava ad accordarsi contro di lui; in questa tentazione, infatti, furono assistiti dalla grazia, con la quale avrebbero potuto cooperare, mentre per determinare se recedere dalla loro crudele deliberazione si valsero esclusivamente del proprio arbitrio e delle proprie tendenze malvagie. Se in quell'occasione mancò loro la mozione dello Spirito Santo, ciò fu giusto, perché si erano asserviti al principe delle tenebre, obbedendogli in ogni abiezione e facendosi dirigere solo dal suo iniquo volere, senza riguardo alla bontà e all'autorità del loro Autore.

1139. Da questo intenderai come il serpente non abbia alcuna facoltà di sollecitare al bene, ma ne abbia senz'altro di sviare da esso, se non si è accorti e non si previene il pericolo. Figlia mia, in verità ti dico che, se i discendenti di Adamo lo conoscessero con la debita ponderazione, ne avrebbero estrema paura; quando, infatti, qualcuno si piega al peccato, non vi è potenza creata che lo possa trattenere dal precipitare di abisso in abisso e, dopo la caduta dei progenitori, la natura umana è attirata dal male come la pietra dalla terra, attraverso la concupiscenza e l'irascibilità. A ciò si aggiungono le inclinazioni dei cattivi costumi, nonché il vigore che il seduttore acquista contro chi gli cede e la tirannia con la quale esercita il proprio dominio. Tenuto conto di questo, chi sarà mai così nemico di se stesso da non tremare? Soltanto la destra di chi tutto può è in grado di far trovare scampo. La gente, tuttavia, sta sicura e indifferente nella propria perdizione, come se avesse la capacità di revocarla e di porvi rimedio a suo piacimento. Molti, pur confessando l'impossibilità di rialzarsi dal loro stato rovinoso senza l'aiuto dell'energico braccio dell'Altissimo, invece di muoverlo a soccorrerli, lo irritano e pretendono che li aspetti con la sua misericordia fino a quando si saranno stancati di violare i suoi precetti o non potranno estendere oltre la loro depravazione e la loro ingrata stoltezza.

1140. Paventa questo terribile rischio e guardati dalla prima colpa, che ti porterebbe a resistere meno alla seconda e darebbe a colui che ti minaccia più forza contro di te. Considera che possiedi un tesoro prezioso in un vaso fragile e che puoi rimanerne completamente priva a causa di un solo errore. Il demonio usa grande sagacia nei tuoi confronti e tu sei meno astuta di lui. Per questo, ti conviene renderti insensibile a tutto ciò che è visibile e ritirare il tuo cuore nel castello della protezione e del rifugio dell'Eterno, da dove farai fronte alla feroce battaglia con la quale egli prova ad angariarti. Per temere nel modo dovuto, ti basti meditare la punizione che si procurò il discepolo infedele, come hai compreso. Il resto ti sia di esempio per imitarmi nello scusare coloro che ti detestano e ti fanno torto, nell'averli cari, nel sopportarli con mitezza e benevolenza e nel pregare per loro sospirandone sinceramente la salvezza, come io feci con tale Apostolo. Ti ho già ammonito molte volte su queste qualità, poiché bramo che tu sia perfetta in esse e che le insegni anche alle tue sorelle, praticandole con loro e con quelli con cui entrerai in rapporto. Davanti alla pazienza e alla dolcezza che caratterizzarono il mio Unigenito e me, infatti, sarà intollerabile la confusione degli empi e di tutti i mortali che non avranno indulgenza gli uni verso gli altri con carità fraterna. Nel giorno del giudizio l'odio e la vendetta saranno castigati con maggiore indignazione e nel tempo presente essi costituiscono ciò che più allontana dagli uomini la clemenza infinita, per loro dannazione, se non si emendano con dolore. Quelli che sono blandi e delicati con chi li offende e maltratta, e dimenticano le ingiurie, assomigliano al Verbo incarnato, che sempre cercava, perdonava e beneficava i traviati. Ricalcando le sue orme in questa benignità e mansuetudine di agnello, l'anima si dispone ad una prerogativa generata dall'amore di Dio e del prossimo, che la fa idonea a ricevere gli influssi della grazia e i favori celesti.


CAPITOLO 9

Il giovedì della cena, a Betania, il Redentore prende congedo dall'augusta Signora per andare verso la croce; ella gli chiede di poter ricevere la comunione al momento stabilito, e lo segue a Gerusalemme con Maria di Màgdala e altre sante donne.

1141. Continuando a narrare questa Storia, ricordo che abbiamo lasciato Cristo a Betania, dopo il ritorno da Gerusalemme alla sera del suo trionfo. Ho già anticipato quello che fecero i demoni prima che egli fosse consegnato ed altre cose che conseguirono dal loro conciliabolo infernale, nonché dal tradimento di Giuda e dal consiglio dei farisei. Torniamo ora a ciò che avvenne in tale località, dove, nei tre giorni che passarono dalla domenica delle palme al giovedì, la Vergine assistette e servì sua Maestà. Questi trascorse con lei tutto il tempo, eccetto quello che impiegò a predicare nel tempio il lunedì e il martedì; il mercoledì, infatti, non vi salì, come ho già detto. Durante tali ultimi viaggi istruì più diffusamente e in maniera più chiara i discepoli circa i misteri della redenzione. Ciascuno di essi, però, pur udendo gli insegnamenti e gli avvertimenti del suo Maestro, non corrispondeva se non secondo la disposizione con cui li accoglieva e secondo gli effetti suscitati nel proprio intimo. Rimanevano sempre piuttosto lenti nel capire e, deboli quali erano, dopo il suo arresto non misero in atto ciò che si erano offerti di fare.

1142. Nell'imminenza della sua uccisione, il Signore si intrattenne con Maria beatissima su quanto stava per realizzare e sulla legge di grazia, comunicandole arcani così sublimi che molti di essi ci resteranno nascosti finché non lo vedremo nella patria celeste. Di quelli che ho conosciuto, posso esprimere assai poco; asserisco, però, che egli depositò nelle profondità della prudentissima colomba tutto ciò che Davide definisce sapienza di Dio, cioè la sua opera "ad extra" più mirabile, il nostro riscatto e la glorificazione degli eletti, ad esaltazione del suo nome. Le ordinò quanto avrebbe dovuto fare durante il suo supplizio e al momento della morte che andava ad accettare per noi, e la preparò con nuove illuminazioni. In questi colloqui, l'Unigenito prese a rivolgersi a lei nel modo grave e solenne proprio di un sovrano, data l'importanza di ciò di cui trattavano, facendo cessare del tutto le manifestazioni di affetto caratteristiche del figlio e dello sposo. L'attaccamento naturale della dolce Regina e la sua ardente carità erano ormai a un grado eccelso, troppo elevato per la comprensione terrena; così, è impossibile palesare quali fossero, all'avvicinarsi della fine di quella calda conversazione, la tenerezza e l'affanno del candidissimo cuore di una simile madre, nonché i gemiti che ella emetteva dai suoi recessi, come tortora che già cominciava a sentire la sua solitudine, tale da non poter essere riempita da tutte le creature dell'intero universo.

1143. Arrivò il giovedì, vigilia della crocifissione di Gesù, il quale prima del sorgere del sole chiamò la sua diletta, che prostrandosi davanti a lui come al solito gli rispose: «Parlate, la vostra serva vi ascolta». Egli la fece rialzare e con grande amore e serenità proclamò: «È giunta l'ora stabilita da sempre nei decreti di mio Padre per la salvezza del mondo, che la sua volontà venerabile e gradita mi ha affidato; la ragione richiede che ci spogliamo della nostra, che tante volte abbiamo presentato in dono. Permettetemi di andare a dare la vita per i miei fratelli e, come mia autentica genitrice, considerate un bene che io mi consegni ai miei nemici per essere docile all'Altissimo. Per questa stessa obbedienza, acconsentite a collaborare con me, poiché è dal vostro ventre castissimo che ho ricevuto la forma passibile nella quale deve essere soddisfatta la giustizia superna. Come avete pronunciato il "fiat" per la mia incarnazione, bramo che facciate lo stesso anche per la mia passione; così, darete all'Onnipotente il contraccambio al privilegio di essere stata scelta per concepirmi. Egli, infatti, mi ha inviato per ritrovare, mediante lo strazio del mio corpo, le pecorelle perdute della sua casa, cioè i discendenti di Adamo».

1144. Queste ed altre affermazioni trapassarono l'anima infiammata della Signora e la sottoposero al più comprimente torchio di dolore che avesse mai sopportato. Quell'ora era già prossima e la sua angoscia non poteva appellarsi né al tempo né ad alcun altro tribunale superiore contro la decisione immutabile dell'Eterno, che aveva fissato quel termine per l'immolazione del Figlio. Da una parte, ella lo guardava come vero Dio, infinito negli attributi e nelle perfezioni, nonché come vero uomo, con la sua umanità congiunta alla persona del Verbo e santificata dai suoi influssi; contemplandolo in tale incomparabile dignità, ripensava alla sottomissione che le aveva mostrato quando lo aveva allevato e ai molti tesori che ella aveva avuto dalla sua generosità nel lungo periodo passato con lui. Dall'altra parte, rifletteva su come presto sarebbe rimasta priva di tali ricchezze, della bellezza del suo volto e della soavità delle sue efficaci parole; per di più, ciò non le veniva meno in un attimo, ma era ella stessa che lo abbandonava a tormenti ignominiosi e al sacrificio cruento, mettendolo in balìa dei più empi e spietati avversari. Tutte queste considerazioni, che si prospettavano ben vivide nella mente della Vergine, penetrarono il suo cuore sensibile e appassionato, dandole una sofferenza realmente inesplicabile. Tuttavia, con la magnanimità di una regina, ella, superando la sua invincibile afflizione, si stese ancora ai piedi del Maestro e, baciandoli con somma riverenza, disse:

1145. «Dominatore di ogni essere, io sono vostra ancella, sebbene voi siate nato dal mio grembo, poiché con incomparabile bontà vi siete chinato a sollevarmi dalla polvere a questo onore. È dunque giusto che io, vile vermiciattolo, sia grata alla vostra liberale clemenza e mi conformi al volere del Padre e vostro. Mi rimetto al suo beneplacito, perché esso si compia in me come in voi. La rinuncia maggiore per me è quella di non perire con voi, poiché farlo sul vostro modello e insieme a voi darebbe immenso sollievo alle mie pene, che mi diverrebbero tutte dolci di fronte alle vostre, ma mi basterà l'angustia di non potervi dimenticare in quanto dovrete sostenere. Eccovi, o mia letizia, i miei desideri e il mio cruccio di dover restare viva e vedere morire voi, che siete agnello senza macchia e impronta della divina sostanza. Accettate la mia tribolazione allo scorgere la terribile crudeltà delle colpe punita in voi, che siete assolutamente innocente, per mano di quanti vi odiano. Cieli ed elementi, e voi creature che siete in essi contenute, spiriti sovrani, patriarchi e profeti, aiutatemi tutti a piangere la morte del mio adorato, che vi ha tratto all'esistenza. Unitevi, poi, ai miei singhiozzi per la triste miseria di coloro che ne saranno causa: saranno esclusi dal gaudio perenne che egli deve guadagnare loro e non vorranno ricavare alcun vantaggio da un simile beneficio. Oh, infelici dannati! Felici invece voi, predestinati, perché le vostre vesti saranno lavate nel sangue dell'agnello! Voi, che avete saputo approfittare di questo favore, lodate il Signore. O mio Unigenito e mio bene incommensurabile, date vigore a questa donna affranta e ammettetela come discepola e compagna a condividere il vostro martirio, affinché anch'io presenti con voi il mio».

1146. Ella gli rispose così e con altre espressioni che non sono in grado di riportare, disposta ad imitare la sua passione e ad aver parte in essa, come coadiutrice della nostra redenzione. Subito, domandò di poter far conoscere un altro suo anelito ed avanzare una richiesta che già da molto teneva pronta nel suo intimo, perché le era noto tutto quello che sua Maestà avrebbe dovuto operare alla conclusione dei suoi giorni. Questi acconsentì e Maria purissima riprese: «Mio diletto, luce dei miei occhi, io non sono all'altezza di ciò per cui sono ansiosa di supplicarvi; ma voi siete il respiro della mia speranza e con questa fiducia vi imploro di volermi fare partecipe, se vi è gradito, dell'ineffabile sacramento del vostro corpo e sangue sacratissimo, che avete determinato di istituire come pegno della vostra gloria. Così, quando vi riaccoglierò dentro di me, mi saranno comunicati gli effetti di un mistero tanto unico e mirabile. Sono consapevole che nessuno può essere degno di siffatta grazia, ordinata dalla vostra sola magnificenza; per vincolarla a me, posso offrirvi solo voi stesso, con i vostri meriti infiniti. Se l'umanità beatissima alla quale li legate mi dà qualche diritto per il fatto che l'avete avuta dalle mie viscere, questo varrà per me non tanto perché voi siate mio nell'eucaristia, quanto piuttosto perché io sia vostra mediante il diverso modo di possedervi ricevendovi, così da tornare a stare alla vostra amabile presenza. A questa santissima comunione ho dedicato le mie azioni e i miei sospiri fin dal momento in cui avete avuto la compiacenza di darmene cognizione e di informarmi della vostra volontà e della decisione di rimanere per mezzo di essa nella vostra Chiesa. Venite, dunque, alla vostra prima e antica dimora, quella della vostra Madre, amica e serva, che voi faceste esente dal peccato comune a tutti perché potesse custodirvi nel suo ventre. Ospiterò in me quanto io stessa vi ho trasmesso e staremo avvinti in un nuovo e strettissimo amplesso, che avrà la forza di rinfrancare il mio cuore e di infiammarne i sentimenti, perché io non stia mai lontana da voi, che siete la delizia inesauribile e tutta la gioia della mia anima».

1147. In tale occasione, la nostra Signora pronunciò molte parole cariche di immensa tenerezza e venerazione, perché parlò con meraviglioso slancio nel pregare Gesù di farla accostare alle specie del pane e del vino consacrati. Questi le si rivolse con soavità anche maggiore, accordandole ciò e promettendole di concederglielo fin dal principio. Già da allora ella, con rinnovato abbandono, cominciò a fare profondi atti di umiltà, di gratitudine, di riverenza e di viva fede per trovarsi preparata.

1148. Cristo ingiunse agli angeli della Vergine che da quell'istante in poi la assistessero visibilmente e la consolassero nella sofferenza e nella solitudine, come in effetti fecero. Comandò, poi, a lei che alla sua partenza per Gerusalemme gli andasse dietro a breve distanza con le pie donne che lo accompagnavano fin dalla Galilea, istruendole e animandole affinché non venissero meno per lo scandalo di osservarlo morire in maniera così infame. Al termine di tale colloquio, il Figlio dell'eterno Padre le dette la sua benedizione, congedandosi da lei per il viaggio che lo portava alla croce. Il dolore che in questo commiato li trafisse supera ogni pensiero terreno, perché fu pari al loro reciproco affetto, ed esso era proporzionato alla condizione e alla dignità delle loro persone; tuttavia, se possiamo dirne assai poco, non siamo dispensati dal ponderarlo e dal prendervi parte con la massima compassione della quale siamo capaci, per non essere ripresi come irriconoscenti e insensibili.

1149. Dopo aver salutato la sua dolce Madre e accorata sposa, egli uscì con i suoi da Betania per salire per 1'ultima volta alla città santa. Era il giovedì della cena, verso mezzogiorno. Appena fatto qualche passo, levò lo sguardo all'Altissimo e, magnificandolo e dandogli grazie, con accesa carità e con prontissima obbedienza donò ancora tutto se stesso per il riscatto del genere umano. Con straordinario fervore e con tanta fermezza di spirito che non posso esprimerla senza venir meno alla verità e al mio desiderio, fece questa orazione: «Dio mio, per vostro beneplacito e per amore vostro vado a sottopormi ad atroci tormenti per la libertà dei miei fratelli, plasmati dalle vostre mani. Vado a consegnare me stesso per la loro salvezza e per riunire insieme quelli che sono dispersi e divisi per la colpa di Adamo. Vado a disporre i tesori con i quali essi, fatti a vostra immagine e somiglianza, devono essere adornati e arricchiti per essere riammessi alla vostra familiarità e alla felicità perpetua, e perché il vostro nome sia da tutti celebrato ed esaltato. Per quanto dipende da voi e da me, nessuno rimarrà senza rimedio abbondantissimo, tale che la vostra inviolabile equità sia giustificata verso quelli che lo disprezzeranno».

1150. Per seguire l'Autore della vita, Maria si mise subito in cammino con Maria di Màgdala e le altre. Come il divino Maestro illuminava e formava i Dodici affinché non soccombessero durante la sua passione per le ignominie che lo avrebbero visto subire e per l'occulta tentazione di satana, anche la Regina della virtù confortava e rinvigoriva le discepole che erano con lei perché non si turbassero scorgendolo spirare dopo essere stato vergognosamente flagellato. Queste, benché per natura più fragili degli apostoli, furono più salde di alcuni di essi nel serbare con cura gli insegnamenti di lei. Quella che progredì di più fu Maria di Màgdala, come raccontano gli evangelisti, perché la fiamma che la consumava la rendeva totalmente ardente e, inoltre, per la sua indole ella era magnanima, coraggiosa e tenace, sollecita e premurosa. Tra tutti, fu lei che si assunse come proprio dovere quello di prestare continuamente aiuto e sostegno alla Signora in quei terribili giorni, senza mai allontanarsene; e così fece, come amante fedelissima.

1151. Gesù fu imitato dalla Vergine anche nella preghiera e nell'offerta fatta in questa circostanza; ella, infatti, mirava tutte le sue azioni nel terso specchio del chiarore superno, allo scopo di emularle. Veniva servita e scortata dai suoi custodi, che le si manifestavano in forma umana visibile, come sua Maestà aveva stabilito. Con loro conversava sul sublime mistero del suo Unigenito, che né le sue compagne né alcun'altra creatura di quaggiù potevano comprendere. Solo essi percepivano e giudicavano adeguatamente l'incendio che divampava senza misura nel suo cuore puro e candido, nonché la forza con cui la attraevano dietro di sé i profumi inebrianti' del legame che la univa al suo Figlio, sposo e salvatore, e presentavano all'Onnipotente il sacrificio di lode ed espiazione della sua diletta e primogenita. Poiché tutti i mortali ignoravano la grandezza del beneficio della redenzione e quanto li obbligasse la carità del Signore e sua, ella stessa ingiungeva agli angeli di dare gloria e onore alla Trinità, e questi lo facevano secondo la sua volontà.

1152. Mi fanno difetto le parole adatte, nonché il dolore e i sentimenti convenienti, per riferire quanto capii relativamente alla loro ammirazione. Da una parte osservavano il Verbo e la loro Principessa tutti intenti alla propria opera, spinti dall'incontenibile amore che avevano ed hanno per gli uomini, e dall'altra la viltà, l'ingratitudine, la pigrizia e la durezza di questi nel confessare il proprio debito e nel ritenersi tenuti a ringraziare per un favore tale che avrebbe mosso a riconoscenza gli stessi demoni, se fossero stati capaci di esso. Non solo se ne stupivano, ma rimproveravano la nostra intollerabile mancanza. Io sono una debole donna e valgo meno di un vermiciattolo; tuttavia, in questa luce che mi è stata data, vorrei alzare la voce così da farla udire nell'intero universo, per risvegliare quanti sono inclini alla vanità e cercano la menzogna, ricordando loro questo vincolo e chiedendo a tutti, prostrata con la faccia al suolo, di non voler essere tanto insensibili e crudeli nemici di se stessi, ma di rigettare piuttosto tale sonno da spensierati che seppellisce nel pericolo della dannazione e tiene distanti dalla beatitudine celestiale che Cristo ci ha meritato con un'agonia oltremodo acerba.

Insegnamento della regina del cielo, Maria santissima

1153. Carissima, ora che la tua anima è stata rischiarata con concessioni così straordinarie, ti invito nuovamente a entrare nel profondo pelago degli arcani riguardanti la passione. Ordina le tue facoltà e fa' uso di tutte le tue energie interiori per essere degna di intendere almeno un po', di ponderare e di sentire le onte e le sofferenze delle quali il Figlio stesso dell'eterno Padre accettò di caricarsi, umiliandosi fino ad essere crocifisso per riscattare tutti, nonché ciò che io feci e sopportai standogli accanto. Bramo che tu studi e apprenda questa scienza tanto dimenticata, per seguire il tuo sposo e per prendere esempio da me, tua madre e maestra. Bramo che, scrivendo e provando intanto nel tuo animo quanto io ti insegnerò, ti spogli completamente di ogni attaccamento terreno e di te medesima, per ricalcare povera e distaccata i nostri passi distolta da ogni realtà materiale. Adesso, con un privilegio speciale, ti chiamo totalmente sola all'adempimento del beneplacito di Gesù e mio, desiderando istruire anche altri per mezzo tuo. Dunque, è necessario che ti dichiari obbligata per tutto questo come se si trattasse di un dono elargito esclusivamente a te e come se dovesse rimanere assolutamente inutile se non ne trai vantaggio tu. Lo devi apprezzare fino a questo punto perché, per l'amore con cui il mio Unigenito dette se stesso per te, ti guardò con affetto così intenso come se soltanto tu fossi bisognosa della sua morte per la tua salvezza.

1154. È con questa regola che devi stimare il tuo debito. Il Creatore medesimo, incarnato, è perito per i suoi fratelli, ma questi mostrano un'esecrabile e rischiosa smemoratezza. Procura, allora, di compensare tale ingiuria adorandolo per tutti, come se il pagamento fosse affidato unicamente a te e alla tua fedeltà. Contemporaneamente, affliggiti per la cieca stoltezza di costoro nel disdegnare la loro felicità senza fine e nell'attirare contro di sé l'ira di sua Maestà, togliendo efficacia alle più grandi prove del suo immenso bene verso il mondo. È per questo che ti rivelo tanti segreti e la pena senza pari che sostenni fin dal mio commiato da lui, quando egli si stava avviando al proprio sacrificio. Non ci sono termini in grado di esprimere la mia amarezza; perciò, di fronte ad essa, non devi considerare pesante nessuna tribolazione né ambire riposo o piacere naturale di alcun tipo, ma solo anelare di patire con il Signore. Unisciti ai miei travagli, corrispondendo con diligenza ai miei numerosi benefici.

1155. Voglio anche che tu mediti quanto siano detestabili agli occhi dell'Altissimo e ai miei, nonché a quelli di tutti i cittadini del cielo, la negligenza e il disprezzo nell'accostarsi alla santa comunione, come anche la carenza di disposizione e di fervore con cui lo si fa. Perché tu comprenda e comunichi questo ammonimento, ti ho manifestato ciò che feci io, preparandomi per tanti anni al momento in cui avrei accolto Cristo nel sacramento, oltre a quello che riferirai in seguito per vostro ammaestramento e a vostra vergogna. Se io, senza colpa alcuna che mi fosse di impedimento e piena di tutte le grazie, feci in modo di accrescere in me l'ardore, l'umiltà e la gratitudine, che cosa dovreste fare voi, figli della Chiesa, che ogni giorno cadete in nuovi peccati, per giungere a ricevere degnamente la bellezza della sua stessa divinità e umanità? Che conto dovranno rendere i cattolici nel giudizio? Essi hanno con sé, nell'eucaristia, il medesimo Dio, che aspetta che vengano a lui per ricolmarli dell'abbondanza delle sue benedizioni, eppure trascurano questo ineffabile favore per abbandonarsi perdutamente ad effimere delizie, facendosi schiavi di ciò che non è che apparente e fallace. Meravigliati, come gli angeli e i beati, per tanta insensatezza e sta' ben in guardia dall'incorrervi anche tu.


CAPITOLO 10

Cristo, nostro salvatore, celebra con i suoi discepoli l'ultima cena secondo la legge e lava loro i piedi, la sua Madre santissima conosce e comprende tutti questi misteri.

1156. Nel primo pomeriggio del giovedì precedente la sua morte, il nostro Redentore proseguiva il suo cammino verso Gerusalemme. I discepoli, nei colloqui che egli teneva con loro riguardo agli arcani sui quali li stava istruendo, gli esposero alcuni dubbi su ciò che non intendevano. Egli rispose a tutti come maestro della sapienza e padre premuroso, con parole piene di dolcissima luce, che penetrava il loro intimo; infatti, avendoli sempre amati, in quelle ultime ore della sua esistenza terrena, come cigno divino, manifestava con più forza la soavità della sua voce e del suo affetto. La sua imminente passione e la cognizione dei tanti tormenti che lo aspettavano non gli impedivano di farlo; anzi, come il calore concentrato per l'opposizione del freddo torna ad uscire con tutta la sua efficacia, l'incendio che ardeva senza misura nel suo cuore divampava con maggiore tenerezza e impeto ad accendere quegli stessi che cercavano di estinguerlo, cominciando a ferire i più vicini con le sue fiamme. Noi discendenti di Adamo, eccetto Cristo e la sua Madre beatissima, solitamente siamo resi impazienti dalla persecuzione, irritati dalle ingiurie e sconcertati dalle pene. Ogni cosa avversa ci turba, disanima e inasprisce contro chi ci offende, così che reputiamo grande virtù il non vendicarci all'istante. La carità di Gesù, però, non si alterò per le ingiurie che prevedeva e non si stancò per l'ignoranza dei suoi e per l'infedeltà che stava per sperimentare in loro.

1157. Lo interrogarono su dove volesse consumare la Pasqua; i giudei, infatti, in quella notte cenavano e festeggiavano tale ricorrenza molto importante. Nella loro legge era la figura più chiara dello stesso Signore e di quanto in lui e attraverso di lui si sarebbe dovuto operare, anche se gli apostoli non erano ancora in grado di conoscerlo sufficientemente. Egli, allora, inviò in città Pietro e Giovanni davanti agli altri: avrebbero visto entrare in una casa un servo con una brocca d'acqua e là avrebbero dovuto chiedere in suo nome al padrone che gli approntasse una stanza per stare a tavola con loro. Questi, una delle persone più ricche e rinomate del luogo, gli era devoto e aveva creduto nella sua dottrina e nei suoi miracoli. A motivo della sua pietà meritò che l'Autore della vita scegliesse la sua abitazione per consacrarla, con ciò che vi realizzò, come tempio santo per quanto ancora lì si sarebbe compiuto in seguito. Essi andarono subito e, individuati i segni che erano stati dati loro, pregarono quel tale di accoglierlo e di riceverlo come suo ospite per la solennità degli Azzimi; così, infatti, si chiamava quella Pasqua.

1158. Costui fu illuminato nell'animo con un favore speciale ed offrì generosamente la sua dimora, con il necessario per eseguire tutto secondo l'uso comune. Immediatamente destinò loro una sala assai ampia, addobbata e adornata come conveniva al mistero tanto venerabile che sarebbe stato istituito, anche se né egli stesso né i due ne erano al corrente. Quando tutto fu pronto arrivarono sua Maestà e gli altri, e poco dopo giunsero anche Maria e le donne che la seguivano. Senza indugio l'umile Regina, stesa al suolo, adorò come di consueto suo Figlio, gli domandò la benedizione e lo implorò di comandarle ciò che avrebbe dovuto fare. Le fu detto di appartarsi in una piccola stanza e di contemplare da lì quanto la Provvidenza aveva determinato di effettuare in tale sera, confortando le sue compagne e rischiarandole diligentemente su quello di cui era opportuno avvertirle. Ella obbedì e si ritirò con esse ingiungendo loro di perseverare nella fede e nell'orazione; intanto, continuava ad attendere con fervore la comunione, della quale sapeva vicino il momento, stando sempre attenta con lo sguardo interiore a tutto ciò che il suo Unigenito faceva.

1159. Il nostro Salvatore, quando la purissima Vergine si fu allontanata, si introdusse con i Dodici e con altri nell'ambiente allestito per loro. Mangiò con essi l'agnello, osservando tutte le prescrizioni senza tralasciare niente di quanto egli stesso aveva deliberato per mezzo di Mosè. In quest'ultima cena, spiegò ai presenti di che cosa fossero figura quei riti e rivelò loro che erano stati dati ai patriarchi e ai profeti per significare quello che stava adempiendo e doveva adempiere come redentore del mondo. Affermò che l'antica legge e le sue figure avrebbero perso il loro valore con l'avvento della verità; infatti, non potevano più restare le ombre, essendo già venuta in lui la luce e la nuova legge di grazia, nella quale sarebbero rimasti soltanto i precetti di quella naturale, fissata perpetuamente. Questi sarebbero stati elevati e perfezionati dagli altri suoi dettami e consigli; inoltre, con la forza che avrebbe conferito ai nuovi sacramenti, gli antichi sarebbero cessati, in quanto inefficaci e solo figura degli altri. Per tali scopi egli faceva quella celebrazione, con la quale dava termine al loro culto e ai loro costumi, che dovevano preparare a ciò che ora stava attuando; conseguito il fine, si interrompeva l'utilizzo dei mezzi.

1160. Con questi ammaestramenti, gli apostoli compresero ineffabili segreti di tali profondi arcani, mentre i semplici discepoli non capirono molto. Giuda intese poco o nulla, meno di tutti, perché era posseduto dall'avarizia e badava solo all'infame fellonìa che aveva tramato, stando completamente immerso nel pensiero di perpetrarla di nascosto. Anche Gesù manteneva il silenzio su di essa, perché così si addiceva alla sua equità e all'ordine dei suoi altissimi giudizi. Non volle escluderlo da niente, finché non si trasse fuori egli stesso per la sua perversa volontà, e lo trattò sempre come suo discepolo, apostolo e ministro, non smettendo di rispettarlo. Con il suo esempio educò i figli della Chiesa ad avere un considerevole ossequio verso i sacerdoti e a custodirne con zelo l'onore, senza divulgare i loro peccati e le debolezze che scorgono in essi, come in uomini di fragile natura. Dobbiamo supporre che non ci sarà alcuno peggiore di quel perfido; del resto, il nostro credo ci insegna che nessuno sarà come il Signore, né avrà tanta autorità e tanto potere. Dunque, non sarà mai legittimo che i mortali, tutti infinitamente da meno rispetto a quest'ultimo, si comportino con i pastori, migliori del traditore benché malvagi, come egli stesso non fece con lui. La questione non cambia nel caso dei superiori, dato che anche sua Maestà lo era eppure lo tollerò e proseguì a riverirlo.

1161. In questa occasione, il Figlio compose un cantico impenetrabile a lode del Padre, perché si erano compiute le figure della legge antica, a sua gloria. Prostrato a terra, umiliandosi secondo la sua santissima umanità, confessò e adorò la Divinità come enormemente più grande di lui. Parlandogli, elevò intimamente una sublime e fervida preghiera:

1162. «Dio immenso, il vostro celeste ed immutabile beneplacito decretò di formare la mia vera umanità, stabilendo che in essa io fossi primogenito di tutti i predestinati, per vostra esaltazione e loro interminabile gaudio, e che per mio mezzo essi si disponessero ad ottenere la beatitudine; per questo, per riscattare i discendenti di Adamo, ho vissuto con loro per trentatré anni. È giunta l'ora, opportuna e a voi gradita, che il vostro nome si manifesti e sia conosciuto e magnificato da ogni nazione attraverso la predicazione, che palesi a tutti la vostra imperscrutabile eccellenza. È tempo che venga aperto il libro sigillato con sette sigilli consegnatomi dalla vostra sapienza' e che venga posta felicemente fine all'immolazione di animali, che ha significato quello che io volontariamente ho ormai intenzione di donare di me stesso per le membra del corpo del quale sono il capo, le pecorelle del vostro gregge, che vi supplico di guardare con misericordia. Se essa placava il vostro sdegno grazie a ciò che preannunciava, è ragionevole che questo si concluda totalmente. Adesso mi offro con prontezza in sacrificio per essere crocifisso per tutti e mi pongo come olocausto nel fuoco del mio stesso amore. Si mitighi a questo punto il rigore della vostra giustizia e mostrate clemenza verso di essi. Diamo loro una norma di salvezza, attraverso la quale si aprano le porte del paradiso, finora sbarrate per la disobbedienza, e ritrovino un cammino sicuro per entrare con me ad ammirarvi, se vorranno seguire i miei comandamenti e ricalcare le mie orme».

1163. L'Onnipotente accettò questa invocazione e inviò subito dalle altezze innumerevoli eserciti di angeli, affinché assistessero nel cenacolo ai prodigi che il suo Unigenito stava per realizzare. Frattanto, Maria nel suo ritiro era assorta in somma contemplazione, ravvisando ogni cosa distintamente e con chiarezza, come se fosse stata presente. Collaborava in tutto con lui come le veniva dettato dalla sua eccezionale saggezza. Faceva atti eroici ed eccelsi di ognuna delle virtù, con le quali doveva corrispondere alle sue; queste, infatti, le risuonavano nel petto castissimo, dove con eco arcana venivano ripetute. Ella, nel modo a lei conveniente, innalzava le stesse orazioni, ed inoltre stupendi inni per ciò che l'umanità santissima nella persona del Verbo stava facendo per adempiere il volere superno e dare termine alle antiche figure della legge.

1164. La singolare armonia delle doti e delle azioni della nostra Signora, se ora la percepissimo, sarebbe meritevole di ogni meraviglia anche per noi, come lo fu per gli spiriti sovrani e lo sarà per tutti nell'aldilà. Esse stavano ordinate nel suo cuore come in un coro, senza confondersi né impedirsi le une con le altre, e in tale circostanza erano attive, tutte e ciascuna, con maggiore forza. Sapeva come in Cristo tutto si compiva ed era sostituito dalla nuova legge e da sacramenti più nobili ed efficaci; osservava il frutto sovrabbondante della redenzione negli eletti, la rovina dei dannati, la glorificazione del Creatore e della santissima umanità di Gesù, la fede e la cognizione universale della Divinità, che veniva preparata a beneficio del mondo; vedeva spalancarsi il cielo, chiuso da tanti secoli, affinché i mortali vi avessero subito accesso attraverso lo stabilirsi e il progredire della Chiesa, fondata sul Vangelo, e di tutti i suoi misteri. Ne era artefice mirabile e prudente suo Figlio, tra il plauso e lo stupore degli abitanti del regno di Dio, che ella benediceva con rendimenti di grazie, senza tralasciare neppure un apice, gioendo e consolandosi con incomparabile giubilo.

1165. Nel contempo, però, discerneva che queste opere ineffabili sarebbero costate a sua Maestà dolori, ignominie, ingiurie e tormenti, e infine il supplizio più duro e aspro. Era cosciente che egli avrebbe dovuto soffrire tutto ciò nella carne ricevuta da lei e che, nonostante questo, tanti gli sarebbero stati ingrati e non ne avrebbero tratto profitto. Tale consapevolezza riempiva di desolante amarezza il candidissimo animo della pietosa Madre, ma questi moti interiori potevano essere contenuti nel suo nobile intimo, dal momento che ella era ritratto vivo e proporzionato di lui. Non si turbava o alterava e non mancava di sollevare e di educare le pie donne che erano con lei. Senza perdere la sublimità delle rivelazioni che le erano date, discendeva esternamente ad istruirle e confortarle con consigli salutari e con parole di vita eterna. O straordinaria Maestra ed esempio grandissimo, ben degno di essere imitato da noi! Purtroppo è vero che i nostri doni, se paragonati con quel pelago di grazia e di luce, sono impercettibili; ma è vero anche che le nostre pene e tribolazioni, a confronto delle sue, sono quasi apparenti e di poco peso, poiché ella da sola sopportò più di tutti gli altri messi insieme. Eppure, non sappiamo sostenere con pazienza la minima avversità, né per emularla e dimostrarle il nostro amore, né per la nostra beatitudine senza fine. Tutte le contrarietà ci inquietano, ci irritano e sono accolte da noi con disappunto: quando sopraggiungono, sciogliamo il freno alle passioni, resistiamo con ira, reagiamo con tristezza, abbandoniamo indocili la ragione, e tutti gli impulsi cattivi si scompigliano stando pronti a farci precipitare. Anche la prosperità ci diletta e ci rovina; insomma, non possiamo confidare in niente nella nostra natura macchiata e corrotta. In queste occasioni ricordiamoci, dunque, della nostra Regina, per rimettere al loro posto i nostri disordini.

1166. Conclusa la cena prescritta, dopo avere bene insegnato tutto agli apostoli, l'Unigenito si accinse a lavare loro i piedi, conformemente al racconto di Giovanni. Prima di cominciare, si rivolse ancora all'Altissimo, stendendosi al suo cospetto come aveva fatto all'inizio. Questa implorazione non fu vocale, ma egli disse mentalmente: «Padre mio, autore dell'intero universo, io sono vostra immagine, generato dal vostro intelletto e impronta della vostra sostanza. Essendomi offerto secondo la disposizione della vostra volontà perfetta per riscattare tutti con la mia crocifissione, bramo, per vostro beneplacito, di arrivare ad essa abbassandomi fino alla polvere, affinché la smisurata superbia di Lucifero venga confusa dalla semplicità del vostro diletto. Per lasciare una testimonianza di tale virtù ai Dodici e alla comunità ecclesiale, che si deve edificare su questo sicuro basamento, intendo lavare i piedi dei miei discepoli, anche quelli di Giuda, inferiore a tutti per la malvagità che ha tramato. Inginocchiandomi davanti a lui con sincera e profonda umiltà, gli manifesterò la mia amicizia e la possibilità di salvezza. Egli è il più acerrimo nemico che ho tra i mortali, ma non gli negherò la mia pietà e il perdono del suo tradimento; così, se lo rifiuterà, il cielo e la terra sapranno che io gli ho allargato le braccia della mia clemenza ed egli l'ha disprezzata con ostinazione».

1167. Fece quest'orazione per compiere tale gesto. Non ci sono termini e paragoni per comunicare qualcosa dell'impeto con il quale il suo ardore determinava e faceva tutto ciò: è lenta l'attività del fuoco, la corrente del mare, la caduta della pietra e ugualmente inadeguati sono gli altri movimenti immaginabili negli elementi; non possiamo, però, ignorare che solo la sua carità e la sua sapienza poterono pensare tale espressione di modestia. Egli, nella sua divinità e umanità, si piegò fino alla parte più bassa dell'uomo, i piedi, e addirittura fino a quelli del peggiore tra tutti. Colui che era la Parola di Dio pose la sua bocca su quanto era meno decoroso e più spregevole. Colui che era il Santo dei santi e la stessa bontà per essenza, Signore dei signori e re dei re, si chinò davanti alla persona più scellerata perché potesse essere redenta, se avesse voluto comprendere e accettare questo beneficio, che non è mai sufficientemente ponderato e magnificato.

1168. Dopo aver pregato si alzò e, con un aspetto bellissimo, sereno e affabile, comandò ai suoi di sedersi tutti ordinatamente, come se fossero stati tanti magnati e lui il loro servo. Quindi, si tolse il mantello che teneva sopra la tunica inconsutile, che gli giungeva ai calcagni pur senza coprirli. In quel momento portava dei sandali, quantunque in certe circostanze se li levasse per predicare scalzo. Erano sempre gli stessi che Maria gli aveva messo per la prima volta in Egitto e che da quel giorno erano cresciuti lentamente come i suoi piedi. Spogliatosi dunque del mantello, al quale si riferisce l'Evangelista parlando di vesti, prese una lunga stoffa e si cinse con una parte di essa, facendo pendere l'altra estremità. Versò poi dell'acqua in un catino, mentre tutti, pieni di meraviglia, stavano attenti a quello che veniva eseguito.

1169. Si avvicinò al capo degli apostoli per iniziare da lui, ma questi nel suo fervore, quando vide prostrato davanti a sé lo stesso Cristo che aveva confessato come Figlio del Dio vivente, rinnovando nel suo intimo questa fede con la luce che allora lo illuminava e ravvisando con grande consapevolezza la propria bassezza, turbato e sorpreso domandò: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Il nostro bene replicò con incomparabile mansuetudine: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Ciò significava: «Conformati adesso al mio volere e non anteporre il tuo giudizio, perché così perverti l'ordine delle virtù e le separi. Prima devi soggiogare il tuo intelletto e credere che è conveniente quanto io faccio; solo dopo afferrerai i misteri nascosti nelle mie opere, perché all'intelligenza di essi devi accedere attraverso la porta dell'obbedienza, senza la quale la tua umiltà non può essere veramente tale, ma orgoglio. Del resto, la tua non si può porre innanzi alla mia; infatti, io mi sono umiliato fino alla morte, e per farlo in questa misura ho obbedito, mentre tu, che sei mio discepolo, non ti attieni al mio insegnamento e sotto un'apparenza di umiltà sei disobbediente. Se inverti tali qualità dando retta alla tua presunzione, ti privi di entrambe».

1170. Egli non intese questo ammaestramento, racchiuso nella risposta, perché, pur stando alla sua scuola, non era arrivato a sperimentare gli influssi celesti della lavanda alla quale l'Autore della vita si accingeva e del contatto con lui. Imbarazzato dalla propria inopportuna riverenza, ribatté: «Non mi laverai mai i piedi!». Fu ammonito con più durezza: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Con questa frase severa, sua Maestà canonizzò la sicurezza dell'obbedienza. Secondo la logica terrena pare che Pietro avesse delle valide motivazioni per opporsi ad un'azione tanto inaudita e tale da essere ritenuta molto audace, come era il consentire, uomo vile e non immune da colpe, che gli stesse inginocchiato dinanzi Dio stesso, da lui riconosciuto e adorato come tale. Questa giustificazione, però, non fu considerata buona, perché Gesù non poteva sbagliare in quello che faceva e, quando non ci risulta palese l'errore in chi ha autorità, l'obbedienza deve essere cieca e non, cercare ragioni per resistere. Il Salvatore voleva dare rimedio alla ribellione dei nostri progenitori, Adamo ed Eva, per mezzo della quale il peccato era entrato nel mondo Per la somiglianza che l'atteggiamento del pescatore aveva con essa, della quale partecipava, il Signore gli fece temere una punizione simile, affermando che se non si fosse assoggettato non avrebbe avuto parte con lui. Ciò corrispondeva a escluderlo dai suoi meriti e dal frutto della redenzione, per la quale siamo fatti capaci e degni della sua amicizia e della sua gloria. Lo minacciò pure di negargli il suo corpo e il suo sangue, che stava per consacrare sotto le specie del pane e del vino. Anche se in queste desiderava donarsi interamente, e non diviso, e anelava ardentemente di comunicarsi in tale modo arcano, l'indocilità avrebbe potuto sottrarre a costui l'amoroso beneficio se avesse perseverato in essa.

1171. Alle parole dell'Unigenito, il principe del collegio apostolico rimase tanto castigato e istruito che, con eccellente abbandono, esclamò subito: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Ciò equivaleva a dire: «Offro i miei piedi per correre verso l'obbedienza, le mie mani per esercitarla e il mio capo per non seguire il mio proprio giudizio contro di essa». Cristo accettò questo atto di sottomissione e dichiarò: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti»; infatti, uno di loro era completamente immondo. Proclamò questo perché i suoi, tranne Giuda, erano stati resi giusti dalle sue esortazioni; essi avevano solo bisogno di lavare le imperfezioni e le pecche leggere, per ricevere l'eucaristia con disposizione migliore, come è necessario per ottenerne gli effetti soprannaturali e per conseguire grazia più copiosa, piena ed efficace. Le mancanze veniali, le distrazioni e la tiepidezza nell'accostarsi ad essa, difatti, sono di enorme intralcio. Così, Pietro venne purificato e dopo di lui anche gli altri, tra lo stupore e le lacrime, perché erano tutti rischiarati e colmati di nuovi favori.

1172. Il Maestro passò al traditore, la cui slealtà e perfidia non poté estinguere la sua carità, né impedirgli attestazioni di affetto maggiori che ai suoi compagni. Senza manifestare pubblicamente questi particolari segni di tenerezza, li fece evidenti a lui in due maniere: innanzitutto, nell'amabilità e nella delicatezza con cui si mise ai suoi piedi, li bagnò, li baciò e li strinse al petto; poi, nelle sublimi ispirazioni con le quali toccò il suo intimo, nella misura richiesta dalla debolezza e miseria di quell'animo depravato, cioè dandogli aiuti molto più larghi che agli altri. La sua condizione, però, era pessima, i suoi vizi estremamente radicati in lui, la sua ostinazione indurita e le sue facoltà turbate e debilitate. Egli si era allontanato in tutto e per tutto dall'Altissimo e si era dato in potere al demonio, che stava in lui come in un trono della sua perversità, e pertanto ostacolò ogni soccorso e ogni impulso positivo. Si aggiunse inoltre la paura di ciò che gli avrebbero fatto gli scribi e i farisei se non avesse rispettato l'accordo. Alla presenza di sua Maestà e per l'energia interiore del sostegno che gli era concesso, la luce dell'intelletto lo voleva muovere; per questo, si sollevò nella sua coscienza tenebrosa una burrasca turbolenta, che lo riempì di confusione e di astio, lo infiammò di rabbia, lo gettò nella disperazione, lo spinse distante dal medico che intendeva applicargli la cura salutare, e convertì questa in veleno mortale e in fiele amarissimo della malvagità dalla quale era pervaso e posseduto.

1173. La sua iniquità si oppose alla forza del contatto con le mani divine nelle quali l'eterno Padre aveva posto ogni tesoro, nonché la possibilità di compiere cose mirabili e di arricchire tutte le creature. Anche se la sua pertinacia non avesse avuto altri ausili che quelli portati ordinariamente dalla visione del Redentore, la sua malignità sarebbe stata superiore ad ogni immaginazione. Il corpo di Gesù era assolutamente perfetto e armonioso; il suo aspetto era composto e sereno, bello, piacevole e soave; i suoi capelli, tra il biondo e il castano, erano tagliati pari secondo l'uso di Nazaret; i suoi occhi erano grandi e sommamente graziosi e nobili; la bocca, il naso e le altre parti del suo viso erano ben proporzionate. In tutto, poi, appariva tanto affabile e leggiadro che chiunque lo mirava senza malizia era spinto a rispettarlo e ad amarlo. Inoltre, la sua vista provocava vivo giubilo, con singolare illuminazione delle anime, generava in esse pensieri celesti e produceva altri influssi. Giuda ebbe ai suoi piedi questa persona così incantevole e venerabile, che gli dava inconsuete dimostrazioni di cortesia, peraltro con stimoli più abbondanti di quelli comuni. La sua scelleratezza, però, fu tale che niente poté piegare o ammorbidire il suo cuore di pietra; anzi, si sdegnò della dolcezza di lui e non volle guardarlo in faccia, né porgli attenzione. Dal momento in cui aveva perso la fede e la grazia, infatti, aveva cominciato a provare questo odio contro di lui e contro la sua Madre santissima, e non li fissava mai in volto. Più spaventoso fu il terrore che della vicinanza di Cristo ebbe Lucifero. Come ho spiegato, questi se ne stava nel vile discepolo e, non tollerando l'umiltà che il Salvatore usava con gli apostoli, cercò di uscire da colui che dominava e dal cenacolo; ma il vigore del braccio onnipotente non permise che se ne andasse, per schiacciare la sua superbia. In seguito, però, il demonio venne scacciato di là, pieno di furore e di sospetti che costui fosse vero Dio.

1174. Terminata la lavanda e ripreso il suo mantello, l'Unigenito si mise a sedere in mezzo ai suoi e fece loro il lungo discorso che ci riferisce il quarto evangelista, iniziando con queste parole: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato». Proseguì rivelando loro eccelsi misteri, istruendoli, ammonendoli e formandoli; non mi trattengo qui a ripetere questo, rimettendomi al testo sacro. Tale discorso li rischiarò ancora sulla beatissima Trinità e sull'incarnazione, li dispose ulteriormente all'eucaristia e li confermò in quanto già sapevano della profondità della sua predicazione e dei suoi miracoli. Fra tutti, quelli che lo penetrarono di più furono Giovanni e Pietro, perché ciascuno ebbe una comprensione diversa, maggiore o minore in base alla propria condizione spirituale e alla volontà celeste. Il primo racconta ciò parlando della domanda che rivolse circa il traditore a sua Maestà; questi stesso durante la cena, quando egli si reclinò sul suo petto, gli svelò chi era. Il secondo lo aveva sollecitato a farlo perché desiderava esserne informato per vendicare il suo Signore o impedirne la consegna, mosso dal fervore che gli ardeva dentro e che era solito manifestare più degli altri. Giovanni, però, non glielo disse, pur avendolo conosciuto dal segno indicatogli, cioè dal boccone offerto a quell'infame: tacque e mantenne il segreto, esercitando la carità che gli era stata comunicata e insegnata alla scuola del suo Maestro.

1175. Fu privilegiato in questo favore e in molti altri quando poggiò il capo sul petto di Gesù, dove apprese sublimi arcani riguardanti la sua divinità e umanità nonché la Regina. In tale occasione, quest'ultima gli fu affidata, affinché ne avesse cura; dalla croce, infatti, non gli fu proclamato: «Ella sarà tua madre», né a lei: «Egli sarà tuo figlio». Il Redentore non lo decise allora, ma dichiarò pubblicamente quello che già prima aveva raccomandato e ordinato. Di tutti gli atti che eseguì nella lavanda dei piedi e delle sue espressioni la purissima Vergine aveva straordinaria cognizione e visione, come già altrove si è asseri to, e per tutto ella compose cantici a lode e gloria dell'Altissimo. Quando in seguito furono compiute le sue meraviglie, le osservava non come venendo a scoprire qualcosa di nuovo, prima ignorato, ma come scorgendo realizzare quello che già sapeva e che teneva scritto nel suo intimo, così come nelle tavole di Mosè erano incisi i comandamenti. Intanto, illuminava le pie donne che erano con lei su quanto era conveniente, serbando per sé ciò che non erano capaci di intendere.

Insegnamento della Regina del cielo

1176. Carissima, pretendo che tu eccella nelle tre virtù principali di mio Figlio, da me affrontate nel presente capitolo, imitandolo in esse come sua sposa e mia diletta discepola. Queste sono la carità, l'umiltà e l'obbedienza, nelle quali egli al concludersi della sua esistenza terrena si volle distinguere di più. Senza dubbio, mostrò sempre il suo affetto verso gli uomini, poiché per loro e a loro vantaggio fece tante e così mirabili azioni, dall'istante in cui fu concepito nel mio seno per intervento dello Spirito Santo. Al termine dei suoi giorni, però, quando stabilì la legge evangelica e il Nuovo Testamento, la fiamma dell'accesa carità che bruciava in lui si palesò con più forza, agendo in tale circostanza con tutta la sua efficacia. Da parte sua concorsero i dolori della morte, che lo circondavano, e da parte dei discendenti di Adamo l'avversione a patire e ad accettare il bene, la somma ingratitudine e la perversità. Questi, infatti, tentavano di disonorarlo e togliere la vita a chi la dava loro e preparava per tutti la beatitudine senza fine. Con una simile contraddizione, crebbe l'amore che non si doveva spegnere; così, egli fu più ingegnoso per conservarsi nelle sue opere, determinò come restare tra i suoi, dovendosi allontanare da loro, e fece capire con l'esempio, le esortazioni ed i gesti quali fossero i mezzi validi e certi per essere partecipi dei suoi effetti.

1177. In quest'arte di amare il prossimo per Dio, voglio che tu sia molto saggia e solerte. Lo sarai se anche le pene e le ingiurie risveglieranno in te l'impeto della carità. Devi valutare attentamente che essa è sicura e senza sospetti quando non viene sollecitata con regali o lusinghe. È un debito amare chi ti fa del bene, ma, se rifletti, devi convenire che in quel caso non sai se lo ami per Dio o per ciò che ti è dato. In questa seconda ipotesi, si tratterebbe di amore verso l'interesse o verso te stessa, non verso il tuo prossimo per Dio. Chi ama per altre finalità o per motivi allettanti non conosce la carità, perché è posseduto dal cieco amor proprio del suo piacere. Se, invece, ami chi non ti spinge a questo per tali vie, la causa e l'oggetto principale è il Signore stesso, che ami nella sua creatura, qualunque essa sia. Poiché, poi, non puoi praticare la carità corporale tanto quanto quella spirituale, sebbene tu debba abbracciarle entrambe in base alle tue possibilità ed alle opportunità che ti si presenteranno, in quest'ultima devi estenderti continuamente a cose grandi, come brama l'Onnipotente, con preghiere, invocazioni, esercizi e anche con ammonimenti prudenti e santi, procurando in tal modo la salvezza. Ricordati che il mio Unigenito non fece a nessuno un favore temporale senza accompagnarlo ad uno spirituale. I suoi atti non sarebbero stati perfetti se non fossero stati fatti con questa pienezza. Da ciò comprenderai quanto i benefici dell'anima siano da preferire a quelli esteriori: chiedili sempre dando loro la priorità, quantunque la gente mondana ordinariamente cerchi con sconsideratezza quelli caduchi, dimenticando le ricchezze imperiture e riguardanti la vera amicizia e grazia dell'Eterno.

1178. L'umiltà e l'obbedienza furono esaltate nel mio Gesù da quello che egli fece e insegnò lavando i piedi ai suoi; se non scenderai più giù della polvere, con la luce interiore che hai di questo raro modello, il tuo cuore sarà assai duro e indocile alle sue parole. D'ora in poi, dunque, sii ben persuasa che non potrai mai dire o immaginare di esserti umiliata adeguatamente, benché tu venga disprezzata al di sotto di tutti, per quanto peccatori; nessuno, infatti, sarà peggiore di Giuda, né tu puoi essere come il tuo Maestro. Nonostante questo, se meriterai che egli ti faccia omaggio di tale virtù, ciò ti darà una specie di eccellenza e proporzione con la quale divenire degna del titolo di sua sposa e in qualche maniera simile a lui stesso. Senza di essa, nessuno può essere sublimato tanto: quello che è alto deve prima essere abbassato ed è chi si abbassato che può e deve essere innalzato; si è sempre sollevati in corrispondenza di quanto ci si mortifica.

1179. Affinché tu non smarrisca la gioia dell'umiltà pensando di custodirla, ti avverto che non va anteposta all'obbedienza, né va regolata secondo il proprio senno, ma secondo quello del superiore; altrimenti, sotto un'opposta apparenza, vivi da superba, perché non solo non ti collochi all'ultimo posto, ma ti elevi al di sopra della volontà di chi ti governa. Questo ti dimostra come tu ti possa ingannare, avvilendoti come Pietro per non accogliere la generosità di Cristo. Così ti privi non solo dei tesori ai quali resisti, ma anche della stessa umiltà, che è il più eccelso, della riconoscenza da te dovuta a lui per i suoi sommi fini e della glorificazione del suo nome. Non tocca a te penetrare i suoi imperscrutabili giudizi, né correggerli con le tue argomentazioni, per le quali ti ritieni non idonea a ricevere dei doni o a fare alcune opere. Tutto ciò è semenza dell'orgoglio di Lucifero, nascosto da una falsa modestia: con essa egli tenta di renderti incapace di aver parte del Signore, delle sue elargizioni e della sua familiarità, che tanto desideri. Sia, dunque, per te legge inviolabile credere, accettare, stimare e gradire con riverenza le sue concessioni, appena i tuoi confessori e superiori le avranno approvate. Allora, non cominciare a perderti in ragionamenti cavillosi, con nuovi dubbi e timori; agisci piuttosto con fervore, e sarai umile, obbediente e mansueta.


CAPITOLO 11

Cristo, nostro salvatore, celebra la cena sacramentale ed istituisce l'eucaristia, consacrando il pane e il vino nel suo sacratissimo e vero corpo e sangue: le preghiere e le invocazioni che fece; come comunicò la sua santissima Madre, ed altri misteriosi prodigi che avvennero in questa occasione.

1180. Con gran timore mi accingo a trattare del Sacramento dei sacramenti, l'ineffabile eucaristia, e di ciò che fu necessario per la sua istituzione. Difatti, sollevando gli occhi dell'anima per ricevere la luce divina che mi guida e mi assiste in quest'Opera, la scienza che mi viene infusa su tante meraviglie e su misteri così eccelsi è tale che ho paura della mia piccolezza, rivelatami nello specchio della stessa luce. Le mie facoltà sono confuse, e non trovo né posso trovare parole congruenti per spiegare ciò che vedo e per dichiarare il mio pensiero, benché tanto inferiore all'oggetto dell'intelletto. Tuttavia parlerò come ignorante, lacunosa nei termini e inabile nelle capacità, per non mancare all'obbedienza e per tessere questa Storia, continuando a raccontare ciò che in queste meraviglie operò la gran signora del mondo, Maria santissima. Se non mi esprimerò con la competenza che richiede la materia, mi facciano da scusante la mia misera condizione e il mio stupore, perché non è facile discendere alle parole appropriate, quando la volontà desidera solo con i sentimenti supplire il limite della capacità di intendere e brama di godere in disparte ciò che non può né conviene manifestare.

1181. Cristo, nostro bene, celebrò la cena prevista dalla legge, come era suo solito, adagiato in terra con gli apostoli, sopra una mensa o predella che si alzava dal suolo poco più di sei o sette dita, conformemente all'usanza dei giudei. Terminata la lavanda dei piedi, sua Maestà ordinò di preparare un'altra mensa più alta, simile a quella che oggi usiamo per mangiare. Con questa cerimonia pose fine alle cene ed alle rappresentazioni sommesse e figurative, e diede inizio al nuovo convito in cui istituì la legge di grazia. Da qui prese avvio la consuetudine, che permane nella Chiesa cattolica, di consacrare su una mensa o su un altare. I santi apostoli coprirono la nuova mensa con una tovaglia molto preziosa e sopra di essa posero un piatto o sottocoppa ed una coppa grande a forma di calice, sufficiente a ricevere il vino necessario, secondo il volere di Cristo nostro salvatore che con la sua potenza e divina sapienza preveniva e disponeva tutto. Il padrone di quella casa mosso da un grande impulso gli offrì questi vasi preziosi, ricchi di pietra simile a smeraldo. In seguito, furono usati dai santi discepoli per la consacrazione, quando riconobbero il tempo più opportuno e conveniente per celebrare. Gesù si sedette a mensa con i Dodici e con altri seguaci, e chiese che gli portassero del pane genuino, senza lievito, che pose sul piatto, e del vino puro con il quale riempì il calice della quantità necessaria.

1182. Il Maestro della vita fece un dolcissimo discorso agli apostoli: le sue divine parole, che sempre penetravano sino all'intimo del cuore, in questo sermone furono come raggi accesi dal fuoco della carità, che scaldarono di questa dolce fiamma gli animi dei discepoli. Egli manifestò loro nuovi ed altissimi misteri sulla sua divinità e umanità, e sulle opere della sua redenzione; raccomandò la pace e l'unione della scambievole carità, che lasciò vincolata a quel sacro mistero che aveva stabilito di operare; promise ad essi che, se si fossero amati gli uni gli altri, il suo eterno Padre li avrebbe amati come amava lui, e infuse in loro la sapienza per comprendere questa promessa ed avere la cognizione di essere stati eletti per istituire la nuova Chiesa e la legge di grazia. Infine, rinnovò l'illuminazione, che già avevano, circa la suprema dignità, l'eccellenza e i privilegi della sua purissima Madre. Su tutti questi misteri san Giovanni ricevette una maggiore luce a causa del ministero a cui era destinato. Dalla stanza dove era ritirata in divina contemplazione, la celeste Signora vedeva tutto quello che il suo santissimo Figlio operava nel cenacolo, e con profonda intelligenza lo penetrava ed intendeva più di tutti gli apostoli, e perfino degli stessi angeli che assistevano, come si è detto sopra, in forma corporea, adorando il loro vero Signore, re e creatore. Dal luogo dove stavano, Enoch ed Elia furono trasportati nel cenacolo dagli angeli, perché il Signore aveva disposto che questi due padri, uno della legge naturale e l'altro di quella scritta, si trovassero presenti alla meravigliosa istituzione della nuova legge e fossero partecipi dei suoi mirabili misteri.

1183. Mentre tutti questi personaggi che ho nominato si trovavano assieme, aspettando con stupore ciò che stava per fare l'Autore della vita, apparvero nel cenacolo le persone dell'eterno Padre e dello Spirito Santo, come era accaduto al Giordano e sul Tabor. Quantunque tutti gli apostoli e i discepoli sentissero qualche effetto di questa visione, solo alcuni l'avvertirono, e tra questi in modo speciale l'evangelista san Giovanni, che nei divini misteri ebbe sempre il privilegio di un acume penetrante come la vista di un'aquila. Tutto il cielo si trasferì nel cenacolo di Gerusalemme. Tanto doveva essere e fu magnifica l'opera con la quale si istituì la Chiesa del Nuovo Testamento, si stabilì la legge di grazia e si preparò la nostra eterna salvezza! Per comprendere quanto operò il Verbo incarnato, desidero sottolineare che avendo egli due nature, divina e umana, presenti entrambe nella sua stessa persona, le azioni di ambedue le nature si dichiarano e si predicano attribuendole ad un'unica persona, quella del vero Dio e vero uomo. Conformemente a ciò, quando dico che il Verbo incarnato parlava e pregava il suo eterno Padre, non si deve intendere che egli parlasse e pregasse con la natura divina, nella quale era uguale al Padre, ma con quella umana, in cui era inferiore e costituito come noi di anima e corpo. In questa forma Cristo, nostro bene, nel cenacolo rese onore, magnificenza e lode all'Onnipotente per la sua divinità e per il suo essere infinito, ed intercedendo a favore del genere umano pregò dicendo:

1184. «Padre mio e Dio eterno, io vi onoro, vi lodo e vi magnifico nell'essere infinito della vostra divinità inaccessibile, nella quale sono una medesima cosa con voi e con lo Spirito Santo, perché sono stato generato "ab aeterno" dal vostro intelletto, come impronta della vostra sostanza ed immagine della vostra stessa indivisibile natura. Io voglio portare a termine l'opera della redenzione umana che mi avete affidato nella natura che presi nel grembo verginale di mia Madre; desidero espletarla nel modo più perfetto e con la pienezza del vostro divino consenso e così passare da questo mondo alla vostra destra portandovi tutti quelli che mi avete dato senza che alcuno vada perduto, per quanto dipenda dalla nostra volontà e dalla forza stessa della redenzione. Ho posto le mie delizie tra i figli degli uomini che in mia assenza resteranno orfani e soli, se li lascio senza assistenza. Voglio, perciò, Padre mio, lasciare loro un pegno certo e sicuro del mio inestinguibile amore e del premio eterno che per essi ho preparato. Voglio lasciare loro un ricordo indefettibile di ciò che ho operato e patito per essi. Voglio che ritrovino nei miei meriti un facile ed efficace rimedio al peccato, di cui furono partecipi per la disobbedienza del primo uomo; e voglio restituire ad essi copiosamente il diritto, che perdettero, di prender parte alla felicità eterna, per la quale furono creati».

1185. «E proprio perché saranno pochi coloro che accederanno a questo stato di perfezione, è necessario che rimangano altri mezzi di riscatto con cui riacquistarlo, ricevendo nuovi doni e grandissimi favori dalla vostra ineffabile clemenza, per restare giustificati e santificati tramite diverse vie, durante il loro pericoloso pellegrinaggio terreno. La nostra volontà eterna, con la quale decretammo la creazione dell'uomo dal nulla, affinché egli prendesse esistenza e la conservasse, fu al fine di donargli le perfezioni e la beatitudine della nostra divinità; ma il vostro amore, che mi obbligò a nascere con un corpo corruttibile e ad umiliarmi per gli uomini fino alla morte di crocee, non resta soddisfatto se non trova nuove maniere di comunicarsi ad essi, secondo la loro capacità e la nostra sapienza. Ciò deve avvenire con segni visibili e sensibili, percepibili dalla natura fisica dei mortali, ma che abbiano effetti invisibili, di cui sia partecipe il loro spirito immortale».

1186. «Per il fine altissimo della vostra esaltazione e della vostra gloria chiedo, Signore e Padre mio, il "fiat" della vostra eterna volontà, nel nome mio e di tutti i figli poveri ed afflitti di Adamo. E se le loro colpe provocano la vostra giustizia, la loro condizione di miseria e di bisogno invoca la vostra infinita misericordia, accanto alla quale io interpongo le opere della mia umanità unita con vincolo indissolubile alla mia divinità: l'obbedienza con la quale accettai di essere passibile sino alla morte; l'umiltà con la quale mi assoggettai agli uomini ed ai loro depravati giudizi; la povertà e le sofferenze della mia vita; le ignominie, la passione e morte; e infine l'amore con cui accettai tutto ciò per la vostra gloria, e perché voi siate riconosciuto ed adorato da tutte le creature capaci di ricevere la vostra grazia e di magnificarvi. Voi, Signore e Padre mio, mi rendeste fratello degli uomini e capo di tutti gli eletti che devono godere con noi per sempre della nostra divinità, affinché come figli siano eredi con me dei vostri beni eterni e come membra partecipino dell'influsso del capo: effetto che io bramo di comunicare loro, per l'amore che come per fratelli ho verso di essi. E per quanto mi riguarda, voglio condurli tutti con me alla vostra amicizia e comunione, per la quale furono formati nel loro capo naturale, il primo uomo, da cui discendono».

1187. «Con questo amore immenso dispongo, Signore e Padre mio, che tutti i mortali da questo momento possano essere rigenerati nella pienezza della vostra amicizia e della vostra grazia con il sacramento del battesimo. Essi lo possono ricevere subito dopo essere venuti alla luce, senza volere proprio, manifestandolo altri per loro, affinché rinascano nella vostra accettazione. Da quel momento in poi saranno eredi della vostra gloria; resteranno contrassegnati come figli della Chiesa con un carattere indelebile, che non potranno mai più perdere; rimarranno purificati dalla macchia del peccato originale; e riceveranno i doni delle virtù teologali, fede, speranza e carità, con le quali potranno operare come figli, riconoscendovi Signore, sperando in voi ed amandovi per voi stesso. Gli uomini riceveranno anche le virtù con cui frenare e governare le passioni disordinate del peccato, e sapranno discernere senza inganno il bene ed il male. Il battesimo sia il vestibolo d'ingresso alla mia Chiesa, e la porta che apre l'accesso agli altri sacramenti ed ai nuovi benefici della grazia. Dispongo ancora che dopo questo sacramento ne ricevano un altro, dal quale siano corroborati e confermati nella santa fede che hanno professato, e che devono professare e difendere con fortezza arrivando all'uso della ragione. E poiché gli uomini per la loro fragilità mancheranno facilmente nell'osservanza della mia legge, e la mia carità non sopporta che vengano lasciati senza un rimedio facile ed opportuno, voglio che serva a questo fine la penitenza. Per suo mezzo i figli della Chiesa, riconoscendo le loro colpe con dolore e confessandole, potranno ritornare nello stato di giustizia e raggiungere la gloria che ho promesso loro. Lucifero e i suoi seguaci in tal modo non riporteranno il trionfo di averli allontanati dallo stato di grazia e di sicurezza in cui li aveva posti il battesimo».

1188. «1 mortali giustificati per mezzo di questi sacramenti si ritroveranno abilitati ad amare in sommo grado e ad essere in piena comunione con me, durante l'esilio della loro vita terrena: unione che stabiliranno ricevendomi in un modo del tutto ineffabile nelle specie del pane e del vino in cui lascerò il mio corpo e il mio sangue. Ed in ciascuno sarò presente tutto, realmente e veramente, attraverso il misterioso sacramento dell'eucaristia, perché mi dono in forma di alimento proporzionato alla condizione umana ed allo stato dei viatori, per i quali opero queste meraviglie e con i quali sarò presente in questo modo tutti i giorni fino alla fine del mondo. Ed affinché gli uomini abbiano un altro mezzo che li purifichi e li difenda, quando giungeranno al termine della vita, istituisco per essi l'estrema unzione, che sarà anche una specie di pegno della loro risurrezione nei medesimi corpi segnati da questo sacro sigillo. Tutti questi sacramenti sono indirizzati a santificare le membra del corpo mistico della mia Chiesa, nella quale si deve osservare in modo sommo l'ordine e la concordia, dando a ciascuno l'autorità corrispondente al proprio ufficio. Voglio così che coloro che li conferiscono siano ordinati mediante un altro sacramento che li collochi nel supremo grado di sacerdoti rispetto a tutti gli altri fedeli: a tale effetto serva l'ordine, perché li contrassegni, li distingua e li santifichi in modo speciale ed eminente. E benché tutti ricevano da me questa eccellente investitura, dispongo che ciò avvenga per mezzo di un capo che sia mio vicario, rappresenti la mia persona, e sia il supremo sacerdote nella cui volontà deposito le chiavi del cielo ed al quale tutti devono ubbidire sulla terra. Infine, per una più alta perfezione della mia Chiesa istituisco il matrimonio, perché santifichi il vincolo naturale ordinato alla procreazione umana. Per effetto di questi sacramenti tutti i gradi della Chiesa saranno così arricchiti ed ornati dei miei infiniti meriti. Questa, eterno Padre, è la mia ultima volontà, con la quale faccio tutti i mortali eredi dei miei tesori, che vincolo alla mia nuova Chiesa, in cui li lascio depositati».

1189. Cristo, nostro redentore, fece questa preghiera solamente in presenza degli apostoli. Ma la beatissima Regina, che dal luogo dove stava ritirata l'osservava e l'accompagnava con le sue orazioni, si prostrò a terra ed offrì, come madre, all'eterno Padre le suppliche del Figlio. E quantunque non potesse intensificare, con tutte le sue forze, le opere del nostro Salvatore, alla richiesta che egli presentava all'Onnipotente concorse anch'ella, come sua coadiutrice, similmente a quanto aveva fatto in altre occasioni, fomentando da parte sua la divina misericordia, affinché l'eterno Padre non guardasse mai il suo Unigenito da solo, ma sempre in compagnia di sua Madre. E così fece l'Onnipotente, guardando entrambi con tenerezza ed attenzione, ed accettando le preghiere e le suppliche del Figlio e della Madre per la salvezza degli uomini. In quest'occasione la Regina operò anche un'altra cosa, perché il suo santissimo Figlio la affidò a lei. Per intendere questo è opportuno considerare che Lucifero si trovò presente alla lavanda degli apostoli, come si è già detto nel precedente capitolo; egli, pertanto, non avendo avuto il permesso di uscire dal cenacolo, da ciò che vide fare a Cristo nostro bene, arguì con astuzia che volesse operare qualcosa di portentoso a beneficio dei Dodici. E benché il dragone si riconoscesse molto debilitato e senza forze per lottare contro il Redentore, con implacabile furore e superbia volle investigare quei misteri per escogitare qualche malvagità. La gran Signora vide questo estremo tentativo di Lucifero e che il suo santissimo Figlio rimetteva a lei questa causa; pertanto accesa di zelo e di amore per la gloria dell'Altissimo, con autorevolezza di regina ordinò al dragone e a tutte le sue schiere che proprio in quello stesso momento uscissero dal cenacolo e sprofondassero nell'inferno.

1190. In questa impresa, per la pertinacia del principe delle tenebre, il braccio dell'Onnipotente diede a Maria santissima una nuova forza a cui non resistette nessuno dei demoni. Furono così ricacciati nelle caverne infernali fino a quando ebbero il nuovo permesso di uscire e di trovarsi presenti alla passione e morte del nostro Redentore, con la quale dovevano rimanere del tutto vinti ed accertati che Cristo fosse effettivamente il Messia e il salvatore del mondo, vero Dio e vero uomo. Da ciò si può comprendere il motivo per cui Lucifero e i suoi seguaci furono presenti alla cena prevista dalla legge, alla lavanda degli apostoli e poi a tutta la passione, ma non si trovarono all'istituzione della santa eucaristia né alla comunione che i discepoli ricevettero dalle mani dello stesso Cristo, nostro Signore. Subito dopo, la gran Regina si elevò all'adempimento di un più sublime esercizio e alla contemplazione dei misteri che si preparavano. I santi angeli la magnificarono come valorosa e nuova Giuditta cantandole inni di gloria per il trionfo riportato contro il dragone infernale. Nello stesso tempo Cristo, nostro bene, compose un altro cantico in onore dell'eterno Padre, rendendogli grazie per i favori concessi a beneficio degli uomini.

1191. Dopo quanto si è detto, il divin Maestro prese nelle sue venerabili mani il pane che era sul piatto, chiedendo interiormente al Padre quasi il permesso e il beneplacito per farsi veramente e realmente presente nell'ostia, sia in quell'ora che anche dopo nella santa Chiesa, in virtù delle parole che stava per pronunciare. In atto di obbedienza, alzò allora gli occhi al cielo con tanta maestosità da suscitare negli apostoli, negli angeli e nella stessa Vergine un nuovo timore riverenziale. In seguito proferì le parole della consacrazione sopra il pane, lasciandolo mutato transustanzialmente nel suo vero corpo, e sopra il calice del vino, convertendolo nel suo vero sangue. Nel momento in cui Cristo nostro Signore terminò di pronunziare la formula, risuonò la voce dell'eterno Padre che diceva: «Questi è il mio Figlio dilettissimo, in cui è e sarà il mio compiacimento sino alla fine del mondo; egli starà con gli uomini per tutto il tempo che durerà il loro esilio terreno». Questa stessa dichiarazione fu confermata anche dallo Spirito Santo. La santissima umanità di Cristo, nella persona del Verbo, fece un profondo inchino alla divinità presente nel suo corpo e nel suo stesso sangue. La vergine Madre, che se ne stava ritirata e raccolta in preghiera, in quell'istante si prostrò a terra e adorò il suo Figlio sacramentato con incomparabile rispetto; similmente fecero anche gli angeli assegnati alla sua custodia, tutti gli spiriti celesti, ed infine Enoch ed Elia in nome loro e degli antichi patriarchi e profeti delle leggi naturale e scritta.

1192. Tutti gli apostoli e i discepoli prestarono fede a questo eccelso mistero - eccetto Giuda il traditore - e lo adorarono con profonda umiltà e venerazione, ciascuno secondo la propria disposizione. Quindi il nostro gran sacerdote Cristo innalzò il suo corpo e il suo sangue, affinché lo adorassero tutti coloro che assistevano a questa prima Messa: e così avvenne. In questa solenne elevazione furono illuminati interiormente più degli altri la sua purissima Madre, san Giovanni, Enoch ed Elia perché conoscessero in modo sublime come nelle specie del pane fosse presente il sacratissimo corpo, in quelle del vino il sangue, ed in entrambe tutto Cristo vivo e vero, per l'unione inseparabile della sua santissima anima con il suo corpo e il suo sangue. Essi avrebbero compreso anche come in questo sacramento vi fosse la presenza dell'intera Divinità, come nella persona del Verbo stessero quelle del Padre e dello Spirito Santo, e come in modo mirabile e misterioso per mezzo di queste unioni, di queste esistenze inseparabili e concomitanti restassero presenti nell'eucaristia tutte e tre le Persone con la perfetta umanità di Cristo nostro Signore. La divina Signora penetrò profondamente tutto ciò, mentre gli altri lo capirono nella misura a ciascuno conveniente. Tutti coloro che erano presenti a questo prodigioso evento poterono comprendere anche l'efficacia delle parole della consacrazione, e come queste fossero già cariche della forza divina affinché, pronunziate con l'intenzione di Cristo da qualsiasi sacerdote presente e futuro sui rispettivi elementi, convertissero la sostanza del pane nel suo corpo e quella del vino nel suo sangue, lasciando gli accidenti senza soggetto e con una nuova maniera di sussistere, senza andare perduti. Tutto ciò riporta una certezza così assoluta ed infallibile che scompariranno il cielo e la terra prima che manchi l'efficacia di questa formula di consacrazione, purché venga debitamente pronunziata dal ministro e sacerdote di Cristo.

1193. La nostra divina Regina conobbe anche, con speciale visione, come il sacro corpo di Cristo nostro Signore stesse nascosto sotto gli accidenti del pane e del vino senza alterarli, né essere alterato da loro: difatti, né il corpo può essere soggetto di essi né essi possono essere forme del corpo. Le specie stanno con la stessa estensione e con le stesse qualità prima e dopo la consacrazione, occupando il medesimo spazio, come si vede nell'ostia consacrata. Il sacratissimo corpo, benché abbia tutta la sua grandezza, vi è presente in modo indiscutibile senza che una parte si confonda con l'altra: Cristo è tutto in tutta l'ostia, e tutto in qualunque parte di essa, senza che l'ostia dilati o limiti il corpo né il corpo l'ostia, perché né l'estensione propria del corpo ha relazione con quella delle specie accidentali, né quella delle specie dipende dal santissimo corpo. E così hanno un diverso modo di esistenza. Il corpo compenetra la quantità degli accidenti senza che questi lo impediscano. E sebbene in natura con la sua estensione la testa ricerchi luogo e spazio diversi dalle mani e queste dal petto e dalle altre membra, con la potenza divina il corpo consacrato si pone con tutta la sua grandezza in un medesimo spazio, perché non ha alcuna relazione con l'area che naturalmente occupa, dispensandosi da tutti questi rapporti e risultando senza di essi un corpo quantitativo. Né si trova presente in un luogo solo, né in una sola ostia, ma in molte nello stesso tempo, quantunque le particole consacrate siano di numero infinito.

1194. Comprese, similmente, la nostra Signora che il corpo e il sangue, benché non avessero dipendenza naturale dagli accidenti nel modo sopraddetto, non si sarebbero conservati in essi sacramentati al di là del tempo in cui le specie sarebbero durate, senza decomporsi, disponendo così la santissima volontà di Cristo, autore di queste meraviglie. E questo fu espressione di una dipendenza volontaria dell'esistenza miracolosa del suo corpo e del suo sangue dall'esistenza incorrotta del pane e del vino. E nel momento in cui questi si corrompono e vengono distrutti o alterati dalle cause naturali - come accade per azione del calore dello stomaco dopo aver ricevuto il Santissimo Sacramento, oppure come succede per altre cause che possono produrre lo stesso effetto - allora Iddio crea un'altra nuova sostanza, nell'istante in cui le specie stanno per subire l'ultima trasformazione. Con questa sostanza, in cui non esiste più il sacro corpo, si attua la nutrizione del fisico, che in tal modo si alimenta lasciando subentrare la forma umana che è l'anima. Questo evento meraviglioso della creazione di una nuova sostanza, che riceva gli accidenti alterati e decomposti, scaturisce da una parte dalla volontà divina, che ha stabilito che il corpo non perduri con l'alterazione delle specie, e dall'altra dall'ordine di natura, perché il fisico dell'uomo, incline ad alimentarsi, non può aumentare la propria massa se non con un'altra nuova sostanza che le si aggiunga senza che gli accidenti continuino ad avere in essa le loro proprietà.

1195. La destra dell'Onnipotente racchiuse in questo Santissimo Sacramento questi ed altri misteri. La Signora del cielo e della terra li penetrò tutti profondamente, mentre san Giovanni, i due padri dell'antica legge, che si trovavano nel cenacolo, e gli apostoli ne capirono una buona parte nel modo a loro confacente. La purissima Regina non solo comprese questo beneficio così comune ed altrettanto grande, ma venne a conoscenza anche dell'ingratitudine con cui i mortali si sarebbero comportati verso un mistero così ineffabile, istituito a loro rimedio. Decise, allora, da quel momento in poi, di considerare suo dovere il compito di compensare e supplire con tutte le sue forze la nostra villania e noncuranza, rendendo grazie all'eterno Padre ed al suo santissimo Figlio per una meraviglia così rara, creata in favore del genere umano. E nutrì questa speciale attenzione per tutto il tempo della vita; e molte volte eseguiva questo esercizio spargendo lacrime di sangue dal suo ardentissimo cuore al fine di riparare la nostra riprensibile e vergognosa dimenticanza.

1196. Un'ammirazione ancor più grande mi desta quel che successe a Gesù; egli dopo aver innalzato il Santissimo Sacramento affinché - come ho già detto - i discepoli lo adorassero, lo spezzò con le sue sacre mani, comunicando innanzitutto se stesso, come primo e sommo sacerdote. E riconoscendosi, in quanto uomo, inferiore alla Divinità che egli riceveva nel suo stesso corpo e sangue, si umiliò, si prostrò fino all'annientamento ed ebbe come un tremore nella parte sensitiva, manifestando, con ciò, due cose: l'una, la riverenza con cui si doveva ricevere il suo sacratissimo corpo; l'altra, il dolore che sentiva per la temerità e l'audacia con cui molti uomini avrebbero ardito accostarsi a questo altissimo ed eminente sacramento per riceverlo o toccarlo. Gli effetti che produsse in Cristo, nostro bene, la comunione furono mirabilmente divini, perché per un breve lasso di tempo ridondò in tutto il suo corpo lo splendore della gloria della sua santissima anima, come sul Tabor. Questa meraviglia fu manifestata pienamente alla sua purissima Madre e ne compresero solo qualcosa san Giovanni, Enoch ed Elia. Con questo privilegio la santissima umanità si dispensò dal ricevere sollievo o dal nutrire sino alla morte qualche desiderio. La vergine Madre vide anche con speciale visione come il suo santissimo Figlio ricevesse se stesso sacramentato e rimanesse così nel suo divin petto. Tutto ciò provocò magnifici effetti nella nostra Regina.

1197. Cristo, nostro bene, nel comunicarsi elevò un canto di lode all'eterno Padre ed offrì se stesso sacramentato per la salvezza di tutti i mortali. Immediatamente dopo, spezzò un'altra parte del pane consacrato e la consegnò all'arcangelo Gabriele, perché la portasse a Maria santissima e la comunicasse. I santi angeli, per questo privilegio, rimasero soddisfatti e ripagati dalla delusione che la dignità sacerdotale, così eccelsa, fosse spettata agli uomini e non a loro. Infatti, solo l'aver tenuto nelle loro mani il corpo sacramentato del Signore e vero Dio suscitò in essi una nuova e grande letizia. La divina Signora, versando copiose lacrime, stava già in attesa della santa comunione, quando giunse san Gabriele con una schiera innumerevole di angeli; ella così ricevette questo particolare beneficio dalla mano del santo principe, e fu la prima a comunicarsi dopo il suo santissimo Figlio, imitandolo nell'umiliazione, nella riverenza e nel santo timore. Il Santissimo Sacramento restò depositato nel petto di Maria santissima, dentro il suo cuore, come in un legittimo sacrario e tabernacolo dell'Altissimo. Questa dimora dell'eucaristia durò per tutto il tempo che intercorse tra quella notte e il momento in cui, dopo la risurrezione, san Pietro celebrò la prima Messa, come si dirà in seguito. L'onnipotente Signore dispose questa meraviglia per consolare la celeste Regina, ed anche per adempiere, anticipatamente, la promessa fatta alla sua Chiesa: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Difatti, dopo la sua morte la sua santissima umanità non poteva essere presente nella Chiesa in un'altra maniera che non fosse quella di restare depositata in Maria purissima: arca viva che conteneva la vera manna con tutta la legge evangelica, allo stesso modo dell'arca di Mosè che aveva anticamente custodito le figure. Nel petto della Signora e regina del cielo fino alla nuova consacrazione le specie sacramentali non si consumarono né si alterarono.

1198. La celeste Principessa, ricevuta la santa comunione, rese grazie all'eterno Padre ed al suo santissimo Figlio con nuovi cantici, ad imitazione di ciò che aveva fatto il Verbo divino incarnato. Subito dopo il nostro Salvatore diede il pane sacramentato agli apostoli ed ordinò che lo distribuissero fra loro e lo mangiassero. Con questo comando conferì loro la dignità sacerdotale, che essi prontamente cominciarono ad esercitare, comunicando ciascuno se stesso, con somma riverenza, versando copiose lacrime e rendendo culto al corpo ed al sangue del Redentore, che avevano ricevuto. Nel ministero del sacerdozio ebbero così la preminenza più antica, come si addiceva a coloro che dovevano essere fondatori della Chiesa. San Pietro, per ordine di Cristo, prese altre particole consacrate e comunicò i due antichi padri, Enoch ed Elia; e così con il giubilo e per gli effetti della santa eucaristia questi rimasero nuovamente confortati ed esortati a pazientare sino alla fine del mondo nell'attesa della visione beatifica, che per tanti secoli viene loro rimandata dalla divina volontà. I due patriarchi, per questo beneficio, elevarono ferventi lodi e resero umili grazie all'Onnipotente; furono così riportati al loro luogo per ministero dei santi angeli. Il Signore dispose questa meraviglia per rendere partecipi della sua incarnazione, e della redenzione e risurrezione generale, tutti coloro che erano vincolati alle due leggi, naturale e scritta. Infatti il sacramento dell'eucaristia, che racchiudeva in sé tutti questi misteri, venendo comunicato ai due santi uomini Enoch ed Elia, che si ritrovavano vivi in carne mortale, si estendeva nella comunione ai due stati della legge, naturale e scritta, perché gli altri che lo ricevettero appartenevano alla nuova legge di grazia, i cui padri erano gli apostoli. I santi Enoch ed Elia conobbero tutto ciò, ed in nome degli altri santi delle loro rispettive leggi resero lode al loro e nostro Redentore per questo arcano privilegio.

1199. Mentre gli apostoli ricevevano il Santissimo Sacramento accadde anche un altro miracolo, rimasto nel segreto: il perfido traditore, Giuda, vedendo che il divin Maestro ordinava loro di comunicarsi, decise come uomo infedele di non farlo e, se avesse potuto, di conservare il sacro corpo, per poi portarlo nascostamente ai sacerdoti e ai farisei e farne così un capo d'accusa. Il suo proposito era quello di riferire a questi che il divin Maestro asseriva che quel pane era il suo stesso corpo, affinché essi gli imputassero ciò come un grave delitto. E se per caso non avesse potuto raggiungere tale scopo, avrebbe ordito qualche altro vituperio al divin Sacramento. La Signora e regina del cielo, la quale per visione chiarissima stava osservando tutto ciò che succedeva - sia la predisposizione con cui gli apostoli internamente ed esternamente ricevevano la santa comunione, sia gli effetti di questa e i loro sentimenti - si accorse anche degli esecrabili intenti dell'ostinato Giuda. Come madre, sposa e figlia si accese allora di zelo per la gloria del suo Signore e, conoscendo che era volontà divina che usasse in quell'occasione l'autorità di regina, ordinò ai suoi angeli che estraessero di bocca al malvagio discepolo il pane e il vino consacrati subito dopo che li ebbe ricevuti, e li ponessero dove stava il rimanente. In quella circostanza spettava a lei difendere l'onore del suo santissimo Figlio, affinché Giuda non lo ingiuriasse come sperava con quella nuova ignominia che aveva macchinato. Gli angeli ubbidirono e, quando il peggiore dei viventi giunse a comunicarsi, gli tolsero di bocca le specie sacramentali. Le purificarono di ciò di cui si erano impregnate nell'immondissimo luogo della sua bocca, le riportarono nello stato di prima e le posero nascostamente fra le altre, mentre il Signore zelava l'onore del suo nemico ed ostinato Apostolo. Queste specie furono poi ricevute da coloro che si comunicarono dopo Giuda, secondo l'ordine di anzianità, poiché egli non fu né il primo né l'ultimo a prenderle. I santi angeli eseguirono tutto in pochissimo tempo. Il nostro Salvatore, in seguito, rese grazie all'eterno Padre e così diede compimento ai misteri della cena sacramentale, prevista dalla legge, e dette inizio a quelli della sua passione, che io riferirò nei successivi capitoli. La Regina dei cieli continuava a ponderarli e ad ammirarli tutti, e ad intonare inni di lode e di magnificenza all'altissimo Signore.

Insegnamento della Regina del cielo

1200. Oh, figlia mia, se coloro che professano la fede cattolica aprissero i cuori induriti e ostinati alla vera conoscenza del misterioso beneficio della santa eucaristia! Oh, se distaccandosi e alienandosi dagli affetti terreni, e moderando le loro passioni, si applicassero con viva fede a comprendere nella divina luce il felice privilegio di avere sempre presente in mezzo a loro l'eterno Dio sacramentato e di poterlo ricevere e frequentare, rendendosi partecipi degli effetti di questa manna del cielo! Oh, se conoscessero degnamente questo grande dono; se stimassero questo tesoro; se gustassero la sua dolcezza; se in esso avessero parte delle virtù nascoste del loro Dio onnipotente! Essi non avrebbero più nulla da desiderare né da temere durante questo esilio terreno. I mortali non devono lamentarsi nel tempo propizio della legge di grazia di essere afflitti dalle passioni e dalla loro fragilità, perché in questo pane del cielo hanno in mano la salvezza e la fortezza. Né devono risentirsi di essere tentati e perseguitati dal demonio, perché lo vinceranno con il buon uso di questo ineffabile sacramento, ed accostandovisi degnamente. I fedeli hanno la colpa di non attendere a questo divino mistero, e di non valersi della sua infinita potenza per tutti i loro bisogni e travagli, in risposta e a rimedio dei quali lo istituì il mio santissimo Figlio. In verità ti dico, o carissima, che Lucifero e i suoi demoni hanno un tale timore alla presenza dell'eucaristia che il solo avvicinarsi ad essa provoca loro maggiori tormenti che stare nell'inferno. E sebbene entrino nelle chiese per tentare i credenti, in realtà violentano se stessi, perché per precipitare un'anima, obbligandola o attirandola a commettere un peccato principalmente nei luoghi sacri ed alla presenza dell'eucaristia, vengono a patire crudeli pene. Ma è lo sdegno che nutrono contro Dio e contro le anime che li spinge ad usare tutte le loro forze, sebbene si debbano esporre al nuovo tormento di stare vicini a Cristo sacramentato.

1201. Quando il Santissimo Sacramento viene condotto per le strade in processione, i demoni ordinariamente fuggono e si allontanano in tutta fretta, e non ardirebbero accostarsi a coloro che lo accompagnano se non fosse per l'abilità e per la lunga esperienza che hanno di vincerne alcuni, inducendoli a mancare di rispetto al Signore. Per questo fine, essi si affaticano tanto a ordire insidie nei templi, perché sanno quanto grave sia in questi luoghi sacri l'ingiuria al Signore, il quale vi si trova sacramentato per amore, aspettando gli uomini per santificarli ed attendendo che gli rendano il contraccambio del dolcissimo amore che egli dimostra loro con tante finezze. Da quanto ti ho detto potrai comprendere quale potere possieda chi riceve degnamente questo sacro pane degli angeli, e come i demoni temerebbero gli uomini, se questi lo frequentassero con devozione e purezza di cuore, cercando di conservarsi in questo stato fino alla comunione successiva. Ma sono molto pochi quelli che vivono con questa sollecitudine, mentre il nemico è sempre in agguato, spiando e cercando che subito i mortali si trascurino, si intiepidiscano e si distraggano affinché non si valgano contro di lui di armi così poderose. Imprimi nel tuo cuore questo insegnamento; e poiché, senza che tu lo meriti, l'Altissimo ha disposto che tu riceva ogni giorno, per obbedienza, il Santissimo Sacramento, cerca con tutte le forze di mantenerti nello stato in cui ti disponi per la comunione sino a quando non farai la successiva. La volontà del mio Signore - e anche la mia - è che con questa spada tu combatta le guerre dell'Altissimo, in nome della santa Chiesa, contro i nemici invisibili che oggi affliggono e contristano la Signora delle genti, senza che vi sia chi la consoli o chi degnamente consideri ciò. Piangi per questa causa e il tuo cuore si spezzi per il dolore perché, nonostante l'onnipotente e giusto giudice sia sdegnato contro i cattolici per avere essi provocato la sua giustizia con peccati così continui e smisurati - malgrado la fede che professano -, non vi è chi consideri, ponderi e tema un danno così grande. E non vi è neppure chi si disponga ad un sincero pentimento: rimedio che i fedeli potrebbero subito sollecitare con il buon uso del divino sacramento dell'eucaristia, con l'accostarvisi e con la mia intercessione.

1202. In questa colpa, gravissima in tutti i figli della Chiesa, sono più riprensibili i sacerdoti indegni e cattivi, perché dall'irriverenza con cui trattano il Santissimo Sacramento dell'altare gli altri cattolici hanno attinto l'occasione per disprezzarlo. Difatti, se il popolo cristiano vedesse i presbiteri accostarsi ai divini misteri con timore e tremore riverenziale, ben comprenderebbe che con lo stesso timore e tremore tutti dovrebbero trattare e ricevere il loro Dio sacramentato. Coloro che si comportano conformemente a quanto detto risplendono nel cielo come il sole tra le stelle, perché dalla gloria del mio santissimo Figlio ridonda su quelli che lo accolgono con riverenza una luce speciale, che non possiedono quelli che non frequentano con devozione la santa eucaristia. Inoltre i corpi gloriosi di questi zelanti fedeli porteranno sul petto, dove lo ricevettero, un segno o uno stemma brillantissimo e bellissimo a testimonianza del fatto che furono degni tabernacoli del Santissimo Sacramento. Ciò sarà, a loro insaputa, motivo di gaudio e di godimento per essi, di giubilo e lode per gli angeli e di ammirazione per tutti. Essi riceveranno anche un altro premio accidentale, perché conosceranno e vedranno con speciale intelligenza il modo in cui il mio santissimo Figlio è presente nell'eucaristia, e tutti i miracoli che si racchiudono in essa. Ciò desterà in loro un gaudio così grande che basterebbe a ricrearli eternamente, quando non ne avessero altro nel cielo. Anzi, la gloria di coloro che si saranno comunicati con degna devozione e purezza di cuore uguaglierà e addirittura supererà quella di alcuni martiri che non ricevettero l'eucaristia.

1203. Voglio ancora, figlia mia, che proprio dalla mia bocca tu ascolti ciò che io reputavo di me stessa, quando durante il mio pellegrinaggio terreno dovevo ricevere il mio figlio e Signore sacramentato. Ed affinché tu lo capisca meglio, rinnova nella tua memoria tutto quello che hai inteso della mia vita, nella misura in cui io te l'ho manifestato: fui preservata nella mia concezione dalla colpa originale; superai in amore i supremi serafini; non commisi mai peccati; esercitai sempre tutte le virtù eroicamente, avendo in ogni mia opera un altissimo fine; imitai il mio santissimo Figlio con somma perfezione; lavorai fedelmente; patii con coraggio e cooperai a tutte le opere del Redentore nella misura che mi spettava; e non cessai mai di amarlo e di conseguire la pienezza di grazia e di gloria in grado eminentissimo. Eppure ritenni che tutti questi meriti mi fossero degnamente ricompensati con il ricevere una sola volta il suo sacratissimo corpo nell'eucaristia, non stimandomi all'altezza di un così grande beneficio. Considera adesso, figlia mia, ciò che tu e gli altri figli di Adamo dovete meditare quando vi accostate a ricevere questo mirabile sacramento. E se per il più grande dei santi sarebbe premio sovrabbondante una sola comunione, che cosa dovrebbero sentire e fare i sacerdoti e i fedeli che la frequentano? Apri i tuoi occhi tra le dense tenebre e la cecità degli uomini, e innalzati verso la divina luce per penetrare questi misteri. Giudica le tue opere piccole e misere, i tuoi meriti molto limitati, le tue fatiche leggerissime, e considera la tua gratitudine molto scarsa ed esigua rispetto ad un beneficio così raro qual è quello che la santa Chiesa abbia Cristo, il mio santissimo figlio, sacramentato e desideroso che tutti lo ricevano per arricchirli. E poiché per questo bene non hai da offrirgli una degna retribuzione, almeno umiliati sino a lambire la polvere e giudicati indegna con tutta la verità del cuore. Magnifica l'Altissimo, benedicilo e lodalo, mantenendoti sempre pronta e disposta con fervidi affetti a riceverlo e a patire molte sofferenze al fine di conseguire un bene così grande.


CAPITOLO 12

La preghiera che il nostro Salvatore recitò nell'orto; tutti i misteri che l'avvolsero e ciò che conobbe di questi la sua santissima Madre.

1204. Il nostro Salvatore, con le meraviglie e i prodigi che aveva operato nel cenacolo, lasciava già ben sistemato ed ordinato il regno che l'eterno Padre con la sua immutabile volontà gli aveva affidato. Subentrata la notte seguente il giovedì della cena, sua Maestà decise di uscire dalla casa dove aveva celebrato gli straordinari misteri per entrare nella dolorosa lotta della sua passione e morte, per mezzo della quale si doveva compiere la redenzione umana. Nello stesso tempo anche Maria lasciò il luogo dove si era ritirata in preghiera, per incontrarsi con lui. Quando il Principe dell'eternità e la Regina furono di fronte, la spada del dolore trapassò il cuore di entrambi ferendoli, nel medesimo istante, in un modo così intenso da superare ogni pensiero umano ed angelico. L'addolorata Madre si prostrò a terra adorando Gesù come suo vero Dio e redentore ed egli, rimirandola con volto austero e grato per essere figlio suo, le parlò dicendo: «Madre mia, mi troverò nella tribolazione assieme a voi; facciamo la volontà del mio eterno Padre e portiamo a compimento la salvezza degli uomini». La gran Regina si offrì al sacrificio con tutto il cuore, chiese la benedizione a sua Maestà e avendola ricevuta si ritirò nuovamente nella sua stanza, dove il Signore le concesse di vedere tutto quello che accadeva e quanto il suo santissimo Figlio stava per operare, affinché ella potesse accompagnarlo e cooperare in ogni cosa nella misura che le spettava. Il padrone di quella casa, presente a questo congedo, per impulso divino la offrì subito con tutto quello che vi era dentro alla Signora del cielo, affinché se ne servisse durante la sua permanenza a Gerusalemme. Maria l'accettò con umile riconoscenza e vi rimase in compagnia dei mille angeli dediti alla sua custodia, che l'assistevano sempre in forma visibile solo a lei, e di alcune delle pie donne che aveva condotto con sé.

1205. Il nostro Redentore e maestro uscì dal cenacolo con tutti gli uomini che avevano assistito alla cena e alla celebrazione dei suoi misteri. Subito molti di questi si congedarono, incamminandosi per diverse strade, al fine di dedicarsi ciascuno alle proprie occupazioni. Sua Maestà, seguito solo dai dodici apostoli, diresse i suoi passi verso il monte degli Ulivi, situato appena fuori della città di Gerusalemme, dalla parte orientale. Da ciò Giuda, reso dalla rea perfidia più che mai accorto e sollecito nel consegnare ai farisei il divin Maestro, congetturò che vi andasse a trascorrere la notte in preghiera, come di solito faceva. Quell'occasione gli parve molto opportuna per metterlo nelle mani degli scribi e dei farisei, suoi alleati. Con questa infelice decisione seguì Gesù, fermandosi ogni tanto e lasciandolo andare avanti con gli altri apostoli, senza che questi peraltro se ne accorgessero. Nel momento in cui li perdette di vista, si lanciò in tutta fretta verso il precipizio della sua rovina: camminava ansioso, pieno di gran timore e turbamento, segno della malvagità che doveva commettere. E invaso da questa inquieta sollecitudine, come chi abbia la coscienza tarlata dal rimorso, correndo giunse sbalordito alla casa dei sommi sacerdoti. Accadde allora che Lucifero, il quale nutriva il sospetto che Cristo nostro bene fosse il vero Messia - come si disse nel capitolo decimo -, scorgendo la fretta di Giuda nel procurare a questi la morte, andò incontro al traditore sotto l'aspetto di un suo amico, un uomo molto malvagio, a cui l'empio discepolo aveva confidato la sua delittuosa azione. Sotto quelle sembianze il dragone gli parlò, senza essere da lui conosciuto, e gli disse che, sebbene quell'intento di vendere il suo Maestro in principio gli fosse sembrato buono, per le malvagità che aveva sentito da lui stesso narrare, in seguito riflettendovi sopra aveva preso in esame un'alternativa migliore e più sicura. E soggiunse che gli sembrava opportuno che non lo consegnasse ai sommi sacerdoti ed ai farisei, perché dopotutto Gesù non era poi così cattivo come pensava e glielo aveva descritto, né meritava la morte; e inoltre lo preavvertì del fatto che successivamente sarebbe potuta cadere addosso a lui qualche grande disgrazia, se il Salvatore avesse operato dei miracoli in virtù dei quali si fosse liberato.

1206. Lucifero ordì questa insidiosa trama per revocare con un più forte timore le suggestioni, che aveva precedentemente infuso nel perfido cuore del discepolo traditore contro l'Autore della vita. Ma la sua nuova malizia gli riuscì vana, perché Giuda, che volontariamente aveva perduto la fede e non nutriva i violenti sospetti del demonio, volle mettersi a rischio cercando la morte del suo Maestro piuttosto che esporsi allo sdegno dei farisei se lo avesse lasciato in vita. Invaso dal terrore, per la sua abominevole ingordigia non fece caso al consiglio di Lucifero, benché reputasse che questi fosse l'uomo di cui aveva assunto l'aspetto. E siccome egli era già stato abbandonato dalla grazia divina, non volle né poté lasciarsi persuadere dal consiglio del demonio a retrocedere dalla sua cattiveria. Ora, mentre l'Autore della vita si trovava a Gerusalemme, i sommi sacerdoti si stavano consultando sul modo in cui Giuda avrebbe adempiuto la promessa di consegnarlo ad essi. In quel momento entrò il traditore, e riferì loro che il suo Maestro si era recato con gli altri discepoli sul monte degli Ulivi e quella notte gli sembrava la migliore occasione per catturarlo, qualora essi fossero andati con cautela e preparati, affinché non sfuggisse dalle loro mani con gli artifici e gli stratagemmi che egli ben conosceva. I sacrileghi sacerdoti si rallegrarono tanto e si affrettarono a reclutare gente armata per catturare l'innocentissimo Agnello.

1207. Sua Maestà stava intanto discutendo, con gli undici apostoli, della salvezza eterna di tutti noi e degli stessi che tramavano la sua morte. Oh, inaudita e mirabile contesa della malizia umana e dell'immensa bontà e carità divina! Se sin dal primo uomo incominciò questa lotta del bene e del male nel mondo, nella morte del nostro Redentore i due estremi giunsero al sommo grado a cui potevano arrivare, poiché ciascuno di essi operò in presenza dell'altro nel modo supremo che gli fu possibile: gli uomini con la propria malizia togliendo la vita al loro stesso Creatore e redentore, e questi dandola per essi con immensa carità. In tale occasione fu necessario - a nostro modo di intendere - che l'anima santissima di Cristo nostro bene volgesse la sua attenzione sulla sua santissima Madre, e facesse lo stesso la sua divinità, al fine di trovare fra le creature qualche oggetto di compiacimento in cui far dimorare il suo amore ed arrestare la sua giustizia. Difatti, solo in quella pura creatura scorgeva degnissimamente consumata la passione e morte che gli veniva preparata dagli uomini; solo in quella santità senza limiti la giustizia divina si ritrovava in parte compensata della malizia umana. Nell'umiltà e nella fedelissima carità di questa celeste Signora restavano depositati i tesori dei meriti di Cristo nostro Signore, affinché in virtù di questi e della sua morte rinascesse in seguito la Chiesa come nuova fenice da cenere ardente. Questo compiacimento, che l'umanità del nostro Redentore riceveva dalla vista della santità di Maria, gli dava sostegno e coraggio per vincere la malizia dei mortali, poiché reputava giustamente spesa la sua pazienza nel soffrire tali pene, avendo tra gli uomini la sua amantissima e degna Madre.

1208. La gran Signora dal luogo dove se ne stava ritirata in preghiera vedeva tutto quello che andava succedendo: i pensieri dell'ostinato Giuda e il modo in cui si appartò dal collegio apostolico; come gli parlò Lucifero sotto l'aspetto di quell'uomo, suo conoscente; quello che avvenne quando il discepolo traditore si recò dai sommi sacerdoti, e ciò che questi disposero e operarono per catturare in fretta il Signore. La nostra capacità non è sufficiente a spiegare il dolore che, per questa conoscenza infusa, penetrava il purissimo cuore della vergine Madre, gli atti di virtù che ella esercitava alla vista di tali malvagità e il modo in cui si comportava dinanzi a questi avvenimenti: basti dire che tutto successe con pienezza di sapienza, di santità e di compiacimento della santissima Trinità. Maria sentì pure compassione per Giuda e pianse la perdita di quel perverso discepolo, compensando la sua empietà con l'adorazione, la confessione, l'amore e la lode dello stesso Signore, che egli aveva venduto con un tradimento così ingiurioso e sleale; sarebbe stata disposta e pronta a morire per la sua salvezza, se fosse stato necessario. La prudentissima Signora pregò anche per coloro che stavano tramando la cattura e la morte del suo Agnello divino, poiché li rimirava; li stimava e li reputava come oggetti che si dovevano acquistare ed apprezzare con il valore inestimabile di una vita e di un sangue preziosi, quali erano quelli di un Dio incarnato.

1209. Il nostro Salvatore proseguì il suo cammino verso il monte degli Ulivi e, passando il torrente Cedron, entrò nell'orto del Getsèmani. Ivi, parlando a tutti gli apostoli che lo seguivano, disse: «Sedetevi qui, mentre io vado a pregare; e pregate anche voi per non entrare in tentazione». Gesù diede loro questo avvertimento affinché fossero perseveranti e forti nella fede di fronte alle tentazioni che aveva predetto nella cena: essi si sarebbero scandalizzati in quella notte al vederlo patire, e tutti quanti sarebbero stati investiti da satana per essere gettati nell'inquietudine e nel turbamento con false suggestioni, come era stato profetizzato che il pastore doveva essere maltrattato e percosso, e le pecorelle dovevano essere disperse. Il Maestro della vita, quindi, lasciando gli altri otto apostoli insieme, prese con sé san Pietro, san Giovanni e san Giacomo, e con loro si appartò in un luogo, dove non pote va essere visto né sentito dai rimanenti. Restando con questi tre, alzò gli occhi verso l'eterno Padre, lo adorò e lodò come era solito fare, e nel suo intimo elevò una preghiera e una supplica perché si adempisse la profezia di Zaccaria. Egli permetteva, così, alla morte di avvicinarsi a lui, che era innocentissimo e senza peccato, e comandava alla spada della giustizia divina di risvegliarsi sul pastore e sull'uomo, che era anche vero Dio, per riversare su di lui tutta la sua asprezza, trafiggendolo fino a togliergli la vita. A tal fine Gesù si offrì di nuovo al Padre per soddisfare la sua giustizia, a riscatto di tutto il genere umano; inoltre diede consenso ai tormenti della passione e morte di affliggerlo proprio nella parte in cui la sua santissima umanità era sensibile. Da quel momento in poi respinse ogni consolazione e ogni sollievo che gli sarebbe potuto traboccare dalla parte insensibile, affinché con questa rinuncia le sue pene e i suoi dolori giungessero al sommo grado del patire. E l'Onnipotente concesse ed approvò tutto, secondo la volontà della santissima umanità del Verbo.

1210. Questa supplica di Cristo espresse l'assenso che apri le porte al mare della passione e dell'amarezza, perché entrassero con impeto nella sua anima, come egli aveva detto per bocca di Davide. E così incominciò a sentire paura ed angoscia, e tutto preso da questi sentimenti disse ai tre apostoli: «La mia anima è triste fino alla morte». E poiché queste parole e questa tristezza del nostro Redentore racchiudono tanti misteri, fonte di insegnamento per noi, riferirò nel modo in cui l'ho compreso qualcosa di ciò che mi è stato dichiarato. Sua Maestà permise che la sua mestizia raggiungesse, sia per natura che per miracolo, il sommo grado, proporzionatamente a tutta la parte sensibile della sua umanità. E per il naturale desiderio di vivere non si rattristò solo nella parte inferiore del suo essere, ma anche nella parte superiore, con la quale considerava la riprovazione degli innumerevoli uomini per cui doveva morire, conoscendola dai giudizi e dai decreti imperscrutabili della giustizia divina. Questa fu la causa della sua maggiore tristezza, come dirò in seguito. E non disse che era mesto per la morte, ma fino alla morte, perché fu meno la tristezza causata in lui dal naturale desiderio di vivere in vista della morte così vicina che non quella di vedere la perdita dei reprobi. In verità, a prescindere dalla necessità di questa morte per la redenzione umana, la sua santissima volontà era pronta a vincere questa naturale brama per lasciarci un insegnamento: si riteneva obbligato a patire per ricambiare il beneficio di quella gloria che aveva ricevuto la sua umanità durante la vita terrena, nel corso della trasfigurazione. In tal modo quello che aveva ricevuto sarebbe stato bilanciato da quello che avrebbe pagato. Noi così saremmo stati istruiti da questa dottrina per mezzo dei tre apostoli, testimoni di quella gloria e di questa angoscia e scelti proprio a tal fine: divulgare l'uno e l'altro mistero, che compresero con una illuminazione particolare, data loro appositamente.

1211. Perché rimanesse soddisfatto l'immenso amore che il nostro salvatore Gesù nutriva per noi, fu necessario che questa misteriosa tristezza lo inondasse profondamente, in modo da farlo patire fino al sommo grado; difatti, se così non fosse stato non sarebbe rimasta appagata la sua carità, né si sarebbe potuto comprendere chiaramente che questa non era estinguibile dalle molte acque delle tribolazioni'°. Ed in uno stato di tale sofferenza il divin Maestro esercitò questa carità verso i tre apostoli condotti con sé, i quali erano turbati perché sapevano che già si avvicinava l'ora in cui egli doveva patire e morire, secondo quello che aveva dichiarato loro in tanti modi e per via di molte predicazioni. La viltà che essi soffrivano li confondeva e li faceva vergognare, senza che avessero il coraggio di manifestarla. Ma l'amantissimo Signore li prevenne palesando loro la mestizia che avrebbe sofferto fino alla morte, affinché essi vedendolo afflitto e pieno di angosce non si vergognassero di sentire le loro pene e i timori da cui erano assaliti. La manifestazione della tristezza del Signore a Pietro, Giovanni e Giacomo racchiudeva tuttavia un altro mistero: essi, tra tutti gli altri, erano pieni di meraviglia, ammirando il dominio che il loro Maestro aveva sopra le creature, e nutrivano un concetto più sublime della sua divinità e della sua eccellenza come anche della grandezza della sua dottrina, della santità delle sue opere e della sua prodigiosa potenza nei miracoli. E perché fossero confermati nella fede che egli era uomo vero e sensibile, fu conveniente che questi tre apostoli fossero privilegiati dal favore di vederlo mesto ed afflitto, come un semplice mortale, affinché nella loro testimonianza la santa Chiesa fosse istruita contro gli errori che il demonio pretendeva di seminare in seno ad essa sulla verità dell'umanità di Cristo nostro salvatore, e noi fedeli ricevessimo questa consolazione quando ci avessero afflitto le tribolazioni e fossimo stati oppressi dall'amarezza.

1212. Illuminati interiormente i tre apostoli con questa dottrina, l'Autore della vita soggiunse: «Restate qui e vegliate con me». Con questo invito insegnava ad essi a mettere in pratica tutti gli avvertimenti che aveva loro dato, e li ammoniva a rimanere saldi nei suoi precetti e perseveranti nella fede; a non piegare dalla parte del nemico e ad essere attenti e vigilanti per riconoscerlo e resistergli, nell'attesa di vedere, superate le ignominie della passione, l'esaltazione del suo nome. Il Signore, pronunciati questi consigli, si allontanò per un certo tratto dal luogo dove si trovavano Pietro, Giovanni e Giacomo, e prostratosi a terra con il suo divin volto pregò il Padre eterno dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!». Cristo, nostro bene, elevò questa preghiera dopo essere sceso dal cielo con la piena volontà di morire e patire per gli uomini; e quindi abbracciò volontariamente la sua passione non curandosi dell'atroce pena che gli avrebbe provocato e della gioia che gli era posta innanzi. Corse così con ardentissimo amore verso la morte, gli obbrobri, i dolori e le afflizioni, stimando in sommo grado gli uomini, che aveva deciso di riacquistare con il prezzo del suo sangue. Ora, poiché con la sua divina ed umana sapienza e con la sua inestimabile carità dominava il timore naturale della morte, non sembra che questa sola paura potesse motivare tale richiesta. Questo ho compreso nella luce che mi è stata data intorno agli arcani misteri della preghiera del nostro Salvatore.

1213. E per manifestare ciò che ho inteso, rendo noto che in tale occasione il nostro redentore Gesù e l'eterno Padre trattavano dell'impresa più ardua che Cristo dovesse svolgere, quale era la redenzione umana, frutto della passione e della sua morte di croce, per l'occulta predestinazione dei santi. Ed in questa preghiera il divin Maestro presentò all'Onnipotente i suoi tormenti, il suo sangue preziosissimo e la sua morte, che offriva per tutti i mortali, come prezzo sovrabbondante per ciascuno di quelli già nati e di quelli che sarebbero nati sino alla fine del mondo. Da parte del genere umano presentò tutti i peccati, le infedeltà, le ingratitudini e gli oltraggi che i malvagi avrebbero commesso per rendere inutile la sua obbrobriosa morte, da lui accettata e sofferta per loro e per quelli che in effetti sarebbero stati condannati alla pena eterna per non aver approfittato della sua clemenza. E benché morire per gli amici e per i predestinati fosse al nostro Salvatore benaccetto, e come desiderabile, patire e morire per i reprobi gli era molto amaro e penoso, poiché per loro non vi era un fine per cui il Signore soffrisse fino alla morte. Sua Maestà chiamò questo dolore calice: il nome con cui gli ebrei designavano ciò che era causa di molta angoscia e di grande pena. Difatti, lo stesso Gesù ne aveva fatto uso, con questo significato, parlando con i figli di Zebedeo, quando aveva chiesto loro se anch'essi avrebbero potuto bere il calice come egli avrebbe dovuto fare. Questo calice per Cristo nostro bene fu molto più amaro, in quanto comprese che la sua passione e morte per i reprobi non solo sarebbe stata senza frutto, ma occasione di scandalo ridondando per loro in maggior pena e castigo per averla disprezzata e per non averne tratto il frutto che avrebbero dovuto.

1214. Ho dunque compreso che la preghiera di Cristo nostro Signore consistette nel chiedere al Padre che passasse da lui il calice amarissimo di morire per i reprobi e che - essendo ormai inevitabile la morte - nessuno, se fosse stato possibile, si perdesse. La redenzione che egli offriva era sovrabbondante per tutti, e per quanto dipendeva dalla sua volontà egli l'applicava a tutti affinché a tutti giovasse efficacemente. Ma se ciò non fosse stato possibile rimetteva la sua santissima volontà in quella dell'eterno Padre. Il nostro Salvatore ripeté questa supplica per tre volte`, ad intervalli, pregando a lungo in preda all'angoscia, come dice san Luca, e come richiedeva la grandezza e l'importanza del caso trattato. A nostro modo di intendere si verificò in questo frangente una specie di contesa tra la santissima umanità di Cristo e la sua divinità: l'una, per l'intimo amore che portava agli uomini della sua stessa natura, desiderava che tutti per mezzo della sua passione conseguissero la salvezza eterna; l'altra faceva presente che, per i suoi altissimi giudizi, era già prestabilito il numero dei predestinati, e conformemente all'equità della sua giustizia non si doveva concedere il beneficio a chi tanto lo disprezzava con libera volontà e si rendeva indegno della vita dell'anima, resistendo a chi gliela procurava ed offriva. Da questo conflitto scaturirono l'amarezza di Cristo e la lunga preghiera che recitò invocando il potere del suo eterno Padre, essendo tutte le cose possibili alla sua infinita maestà e grandezza.

1215. L'agonia del nostro Salvatore si intensificò in virtù del grande amore che nutriva per noi e della resistenza che prevedeva sarebbe stata posta al conferimento a tutti gli uomini dei frutti della sua passione e morte. Ed allora arrivò a sudare abbondantemente grosse gocce di sangue, che caddero fino a terra. E benché la sua supplica fosse condizionata e non gli fosse concesso ciò che chiedeva, in particolare per i reprobi, ottenne che gli aiuti fossero grandi e frequenti per tutti i mortali e si moltiplicassero in chi li avesse accolti senza frapporre ostacolo. Inoltre ottenne che i giusti e i santi partecipassero con sovrabbondanza del frutto della redenzione e fossero arricchiti copiosamente di doni e grazie di cui i reprobi si sarebbero resi indegni. Pertanto la volontà umana di Cristo conformandosi a quella divina accettò la passione per tutti: per i reprobi, in modo sufficiente, perché fossero loro dati gli aiuti necessari, se avessero voluto approfittarne; per i predestinati, nella forma più piena ed efficace, perché avrebbero cooperato alla grazia. Così restò predisposta e quasi effettuata la salvezza del corpo mistico della santa Chiesa, sotto il suo capo e suo artefice, Cristo nostro bene.

1216. Ora, a compimento di questo divino decreto, poiché sua Maestà si trovava per la terza volta a pregare in preda all'angoscia, l'eterno Padre inviò il santo arcangelo Michele affinché lo confortasse nei sensi corporali, dichiarandogli sensibilmente ciò che lo stesso Signore già sapeva con la scienza della sua santissima anima. Difatti, niente avrebbe potuto dirgli l'angelo che il Signore non sapesse, come anche nessun altro effetto avrebbe potuto operare nel suo intimo per questo suo intento. Tuttavia, come si è già detto, poiché Cristo aveva sospeso il sollievo che dalla sua onniscienza sarebbe potuto ridondare nella sua santissima umanità, lasciandola per quanto possibile patire in sommo grado come poi egli disse sulla croce, ricevette allora un altro conforto nella parte sensitiva con il messaggio del santo arcangelo. E questo conforto fu un'esperienza nuova che mosse in lui i sensi e le facoltà naturali. Ciò che san Michele disse da parte dell'eterno Padre consistette nel dichiarare e far percepire a Gesù che non era possibile - come sua Maestà sapeva - che si salvassero coloro che non lo volevano. Nella giustificazione divina aveva tanta rilevanza il numero dei predestinati, benché fosse minore di quello dei reprobi; e tra quelli era compresa la sua santissima Madre, la quale era degno frutto della sua redenzione e oggetto di invocazione dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei martiri, delle vergini e dei confessori, i quali si sarebbero molto distinti nel suo amore ed avrebbero operato strepitosi prodigi per esaltare il santo nome dell'Altissimo. Tra tutti questi l'angelo gli nominò, dopo gli apostoli, anche i fondatori degli ordini religiosi, con il carisma proprio a ciascuno; inoltre gli manifestò o riferì altri grandi ed arcani misteri, che non è necessario dichiarare, né io ho l'ordine di farlo, poiché quanto ho già detto è sufficiente per proseguire la narrazione di questa Storia.

1217. Gli evangelisti riportano che nel recitare quest'accorata supplica, durante le pause, il nostro Salvatore si recava a visitare gli apostoli e ad esortarli che vegliassero, pregassero e non entrassero in tentazione. Egli fece ciò per sollecitare i prelati della sua Chiesa a pascere il gregge loro affidato. E difatti, se per aver cura di essi il vigilantissimo pastore lasciò la preghiera che gli stava tanto a cuore, in questa sua premura rimane implicitamente dichiarato quello che devono fare i prelati e quanto debbano posporre gli affari e gli interessi alla salvezza dei fedeli. E perché si comprenda il bisogno che avevano gli apostoli di essere visitati da sua Maestà, avverto che il dragone infernale dopo che fu cacciato dal cenacolo, come ho detto sopra, rimase per qualche tempo afflitto e affranto nelle voragini dell'abisso; poi ebbe però il permesso di uscirne, perché la sua malizia doveva servire per l'esecuzione dei decreti del Signore. Immediatamente con molti demoni si avventò su Giuda per impedirgli - nel modo che ho già esposto - la vendita di Gesù, ma non potendo dissuaderlo si diresse contro gli apostoli, perché sospettava che nel cenacolo questi avessero ricevuto dal loro Maestro grandi favori, che egli desiderava scoprire per distruggerli, se avesse potuto. Il nostro Salvatore vide la crudeltà e il furore del principe delle tenebre e dei suoi ministri, e come padre amantissimo, supremo e vigilante si premurò di avvertire i suoi piccoli figli, seguaci alle prime armi, quali erano gli apostoli. Li svegliò e comandò loro che pregassero e stessero desti contro i nemici, perché non cadessero nella tentazione che nascostamente li minacciava e che essi non prevedevano né avvertivano.

1218. Il divin Maestro ritornò, dunque, nel luogo dove stavano i tre apostoli, ma li trovò che dormivano per essersi lasciati vincere dal tedio e dalla tristezza che pativano, nonostante come uomini prescelti fossero maggiormente tenuti a stare svegli e ad imitarlo. Vennero a cadere invece in quella tiepidezza di spirito in cui furono vinti dal sonno e dalla pigrizia. Prima di svegliarli per parlare con loro, sua Maestà si fermò a guardarli e pianse un po' vedendoli, per la loro negligenza, sepolti ed oppressi da quell'ombra di morte, mentre appunto Lucifero stava in agguato su di essi. Disse allora a Pietro: «Simone, così dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola con me?». E quindi soggiunse a lui ed agli altri: «Vegliate e pregate per non entrare in tentazione, perché i miei e vostri nemici non dormono come fate voi». Cristo nostro bene riprese san Pietro non solamente perché egli era capo ed eletto come superiore di tutti gli altri, e perché tra loro si era distinto nel protestare con fervore, dicendo che sarebbe stato disposto anche a morire per lui e che non lo avrebbe rinnegato quando anche tutti gli altri scandalizzati fossero stati sul punto di abiurare, ma anche perché con quei propositi e con quelle offerte, che allora egli aveva fatto di vero cuore, aveva meritato fra tutti di essere ripreso ed avvertito. Il Signore senza dubbio corregge quelli che amai' e si compiace sempre dei buoni propositi, anche se possono venir meno nell'esecuzione come accadde a san Pietro, il più fervoroso dei Dodici. Nel capitolo seguente parlerò della terza volta in cui Cristo nostro salvatore tornò di nuovo indietro a svegliare tutti gli apostoli, cioè di quando Giuda era prossimo a consegnarlo ai suoi nemici.

1219. Frattanto, la Signora dei cieli si era ritirata nel cenacolo in compagnia delle pie donne, e nella divina luce vedeva con somma chiarezza tutte le opere e i misteri del suo santissimo Figlio nell'orto, senza che le fosse nascosta alcuna cosa. Nello stesso tempo in cui il Signore si ritirò con i tre apostoli, Pietro, Giovanni e Giacomo, anche la divina Regina si appartò in una stanza con le tre Marie. Lasciò così il resto delle sante donne, di cui Maria Maddalena era stata designata come superiora, esortandole a pregare ed a vegliare per non cadere in tentazione. Con le tre donne a lei più familiari supplicò invece l'eterno Padre che le sospendesse ogni sollievo e ogni consolazione che le impedisse di patire in sommo grado, sia nella parte fisica che in quella spirituale, a imitazione del suo santissimo Figlio, affinché nel suo corpo verginale avvertisse lo strazio delle piaghe e dei tormenti che lo stesso Gesù doveva patire. Questa richiesta fu esaudita dalla santissima Trinità; pertanto la Madre sentì tutti i dolori del proprio Figlio, come si dirà in seguito. E benché da una parte questi fossero tali da farla più volte morire, se la destra dell'Altissimo non l'avesse miracolosamente preservata, dall'altra, siccome furono dati a lei dalla mano del Signore, agirono da sostegno e conforto della sua vita, perché nel suo ardente e sconfinato amore sarebbe stata più violenta la pena di veder patire e morire il suo benedetto Unigenito senza soffrire con lui.

1220. La Regina scelse le tre Marie perché l'accompagnassero e l'assistessero nella passione, e a tal fine esse furono istruite sui misteri di Cristo con grazia e cognizione maggiore rispetto alle altre donne. Ritiratasi con queste tre, la purissima Madre incominciò nuovamente a sentire tristezza ed angoscia e disse: «L'anima mia è afflitta perché deve patire e morire il mio amato figlio e Signore, ed io non posso morire con lui e con gli stessi tormenti. Pregate, o amiche mie, affinché non vi sorprenda la tentazione». Proferite queste parole, si allontanò un poco da loro e, accompagnando la preghiera del nostro Salvatore nell'orto, elevò la stessa supplica nel modo che conveniva a lei e conformemente a quanto conosceva della volontà umana del suo santissimo Figlio. Ma la Regina dei cieli, sapendo lo sdegno che il dragone nutriva anche contro le tre donne, ritornava, come Cristo con gli apostoli, ad esortarle per continuare poi l'orazione del Salvatore, vivendo la sua stessa agonia. Pianse anche la condanna dei reprobi, perché le furono manifestati grandi misteri sull'eterna predestinazione e riprovazione. E per imitare in tutto il Redentore del mondo, e cooperare con lui, la divina Signora giunse ad avere un sudore di sangue, simile a quello di Cristo. Per disposizione della santissima Trinità le fu così inviato l'arcangelo san Gabriele per confortarla, come fu mandato san Michele al nostro Salvatore. Il santo principe dichiarò a Maria la volontà dell'Altissimo con le stesse parole che san Michele proferì a Gesù. E così la Madre ed il Figlio furono simili nell'operare e nel conoscere, nella misura che conveniva a ciascuno, poiché in entrambi furono identiche la preghiera e la causa del dolore e della tristezza che soffrirono. Ho compreso che in questa circostanza la prudentissima Signora teneva pronti dei teli per tutto ciò che nella passione doveva succedere al suo amantissimo Figlio; ed allora inviò nell'orto, dove il Signore stava sudando sangue, alcuni dei suoi angeli perché, con uno di questi panni, asciugassero e tergessero il suo venerabile viso. I ministri dell'Altissimo poterono eseguire tale compito poiché sua Maestà per amore e maggior merito della Madre accondiscese a questo pietoso e tenero affetto. Giunta poi l'ora in cui il nostro Salvatore doveva essere catturato, l'addolorata Madre avvisò le tre Marie: tutte ne fecero lamento con amarissimo pianto, ma si distinse in modo particolare la Maddalena, perché più delle altre era infiammata di amore e di fervorosa carità.

Insegnamento della Regina del cielo

1221. Figlia mia, tutto quello che hai inteso e raccolto in questo capitolo è un richiamo e un avviso di somma importanza per tutti i mortali e per te, se saprai trarre ed applicare la giusta considerazione. Rifletti, dunque, e medita nel tuo intimo quanto debba stare a cuore la questione della predestinazione o riprovazione eterna delle anime che il mio santissimo Figlio trattò con tanta ponderazione. Difatti, la difficoltà o l'impossibilità che tutti gli uomini fossero salvi e beati gli rese oltremodo amara la passione e morte che accettò e patì per la redenzione di tutti. In questo conflitto interiore, egli manifestò il valore e l'importanza di questa impresa; e perciò moltiplicò le preghiere e le suppliche al suo eterno Padre, spingendosi per amore degli uomini fino a sudare copiosamente il suo sangue d'inestimabile prezzo, perché la sua morte non avrebbe potuto essere applicata fruttuosamente a tutti, per la malizia con la quale i reprobi se ne sarebbero resi indegni. Il mio figlio e Signore ha giustificato la sua causa nell'aver procurato a tutti la salvezza senza limiti, con il suo sconfinato amore e con i suoi meriti; e l'eterno Padre l'ha giustificata nell'aver dato al mondo la redenzione, che ha posto in potere di ciascuno, affinché chiunque, a suo libero arbitrio, stenda la mano o alla vita o alla morte, o all'acqua o al fuoco conoscendo la distanza che intercorre fra loro.

1222. Ma quale scusa o discolpa pretenderanno di presentare gli uomini per essersi dimenticati della propria eterna salvezza, quando mio Figlio ed io con l'Onnipotente la desiderammo ardentemente per essi e ci prodigammo con tanta cura ed affetto affinché l'accettassero? E se nessuno dei mortali trova giustificazione per la propria accidia e la propria stoltezza, ancor meno la troveranno nel giorno del giudizio i figli della santa Chiesa, che hanno ricevuto la fede in questi mirabili sacramenti e che durante la vita differiscono solo di poco dagli infedeli e dai pagani. Non credere, figlia mia, che sia stato scritto invano che molti sono i chiamati e pochi gli eletti. Temi questa sentenza, e rinnova nel tuo cuore la sollecitudine e lo zelo per la tua salvezza, considerandoti ancor più obbligata per la maggior conoscenza che hai ricevuto su misteri così eccelsi. Ed anche se tu non avessi alcun interesse per la vita eterna e per la tua felicità, ciononostante dovresti sentirti mossa a corrispondere all'amorevolezza con la quale ti manifesto tanti e così divini segreti. E poiché ti chiamo mia figlia e sposa del mio Signore, devi comprendere che il tuo compito deve essere amare e patire senza alcuna attenzione alle cose visibili. Io, che sempre impiegai le mie facoltà con grande zelo in queste due azioni, ti invito ad imitarmi e, affinché tu giunga a seguirmi, voglio che la tua preghiera sia continua, senza sosta, e che vegli un'ora con me. E quest'ora deve essere tutto il tempo della vita mortale, perché paragonata all'eternità è meno che un'ora, anzi un momento. Con questa disposizione, voglio che tu prosegua nella venerazione dei misteri della passione, e che li scriva, li senta e li imprima nel tuo cuore.


CAPITOLO 13

La cattura e la consegna del nostro Salvatore, dovute al tradimento di Giuda; ciò che fece in quest'occasione Maria santissima ed alcuni misteri riguardo a questo fatto.

1223. Mentre il nostro salvatore Gesù si trovava presso l'orto degli Ulivi, pregando il suo eterno Padre e sollecitando la salvezza di tutto il genere umano, Giuda si affrettava a farlo catturare e a consegnarlo ai sommi sacerdoti ed ai farisei. E poiché Lucifero con i suoi demoni non poté dissuadere la perversa volontà del malvagio discepolo e degli altri dall'intento di togliere la vita al loro Creatore e maestro, la sua antica superbia mutò disegno, ed agendo con nuova malizia infuse empie suggestioni nei giudei, affinché con maggior crudeltà e con atrocissime ingiurie tormentassero Cristo. Il dragone - come si è detto finora - già nutriva il pieno sospetto che quell'uomo così eccezionale fosse il Messia e vero Dio. Per non rimanere in questo dubbio, cercava allora nuove prove contro il Signore per mezzo di violenti insulti, che riversò nell'immaginazione dei giudei e dei loro ministri, comunicando ad essi la sua indicibile invidia. In quest'occasione tutto si adempì conformemente a quanto lasciò scritto Salomone nel libro della Sapienza. Il demonio, infatti, pensò che se Cristo non era Dio, ma semplice uomo, avrebbe ceduto alla persecuzione ed ai tormenti, ed egli così lo avrebbe vinto; se invece lo era, avrebbe manifestato la sua identità liberandosi e operando nuovi prodigi.

1224. L'empia temerarietà di Lucifero accese ardentemente l'invidia dei sommi sacerdoti e degli scribi. Essi adunarono rapidamente una turba di gente e designando Giuda come capo condottiero lo fornirono di un distaccamento di soldati gentili, di un tribuno e di molti altri giudei, affinché tutti quanti andassero a prendere l'innocentissimo Agnello. Sua Maestà stava proprio attendendo quell'evento, leggendo i pensieri ed osservando i disegni dei sacrileghi sommi sacerdoti, come aveva espressamente profetizzato Geremia. Quegli esemplari di malvagità uscirono allora dalla città e si avviarono verso il monte degli Ulivi con fiaccole accese e lanterne, armati e muniti di funi e catene, come l'ideatore del tradimento aveva consigliato loro, temendo nella perfidia e nella slealtà di cui era intriso che il suo mansuetissimo Maestro, da lui reputato stregone e mago, operasse qualche miracolo per sfuggirgli dalle mani. Di certo, contro la divina potenza non sarebbero stati efficaci le armi e i preparativi degli uomini, qualora il Signore avesse voluto far uso di essa, come avrebbe potuto e come aveva fatto in altre occasioni prima di giungere a quell'ora stabilita per consegnarsi di propria volontà alla passione, alle ignominie ed alla morte di croce.

1225. Mentre quelli si avvicinavano, sua Maestà ritornò per la terza volta dai suoi discepoli e, trovandoli di nuovo addormentati, disse loro: «Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino». Il Maestro della santità disse queste parole ai tre apostoli prediletti, con somma pazienza, mansuetudine e dolcezza. E quelli, trovandosi confusi, come dice il sacro testo, non sapevano che cosa rispondergli. Subito si alzarono ed il Salvatore con loro tre tornò ad unirsi agli altri otto, nel luogo dove li aveva lasciati; ma trovò pure loro addormentati, vinti ed oppressi dal sonno per la grande tristezza che soffrivano. Comandò allora che tutti uniti sotto il loro Capo, in forma di congregazione e di corpo mistico, andassero incontro ai nemici. In questo modo insegnava loro la virtù che deve esercitare una comunità perfetta per vincere il demonio e i suoi seguaci e non essere sopraffatta; difatti, una cordicella a tre capi, come dice il libro del Qoèlet, non si rompe tanto presto ed a colui che contro di uno è potente due potranno resistere: questo è il vantaggio del vivere in compagnia di altri. Il Signore ammonì di nuovo tutti gli apostoli e li avvertì su quanto stava per accadere. E subito si sentì lo strepito dei soldati e degli anziani che venivano a prenderlo. Sua Maestà avanzò di alcuni passi per andare loro incontro, ed iniziando un intimo monologo con ammirevole affetto, maestoso valore e suprema pietà disse: «Passione desiderata dall'anima mia, dolori, piaghe, obbrobri, pene, afflizioni ed ignominiosa morte venite ormai! Venite, venite presto, perché l'ardente amore che porto agli uomini, per la loro salvezza, vi attende. Avvicinatevi all'innocente fra tutte le creature, a chi conosce il vostro valore e vi ha tanto cercato, desiderato e sollecitato, e vi riceve con gaudio e di propria volontà: vi ho comprato con le mie brame di possedervi e vi apprezzo per quanto meritate. Voglio riparare al disprezzo che di voi si ha e nobilitarvi, elevandovi a dignità molto eminente. Venga la morte, affinché io, accettandola senza meritarla, riporti il trionfo su di essa e meriti la vita a coloro ai quali fu data per castigo del peccato. Permetto che mi abbandonino i miei amici, perché io solo voglio e posso entrare in battaglia, per guadagnare a tutti il trionfo e la vittoria».

1226. Mentre Gesù diceva queste ed altre parole, gli si accostò per primo Giuda, dando a tutti quelli che lo avevano seguito il segnale prestabilito: il Maestro era colui al quale si sarebbe avvicinato per salutarlo, dandogli il finto bacio di pace, come era solito fare. Quindi avrebbero potuto catturarlo subito, senza scambiarlo per un altro. L'infelice discepolo prese tutte queste precauzioni non solo per l'avidità del denaro e per l'odio che nutriva verso sua Maestà, ma anche per il timore che aveva. Lo sciagurato reputò, infatti, che, se Cristo non fosse morto, per lui sarebbe stato impossibile ritornare alla sua presenza e stargli dinanzi. Temendo allora questa confusione più della morte della sua anima e del suo divin Maestro, per non vedersi in quello stato vergognoso, bramava di portare subito a compimento il suo tradimento e far morire l'Autore della vita per mano dei suoi nemici. Si avvicinò, dunque, il traditore al mansuetissimo Signore e, come insigne artefice d'ipocrisia, dissimulando l'inimicizia, gli diede un bacio sul viso e gli disse: «Dio ti salvi, Maestro». E con questo perfido atto terminò l'istruzione del processo della perdizione di Giuda che si giustificò senza più l'intervento di Dio, perché d'allora in poi gli venissero sempre meno la grazia e gli aiuti divini. La sfrontatezza e la temerarietà del malvagio discepolo giunsero fino al sommo grado della malizia, perché egli negando interiormente, anzi misconoscendo, la sapienza increata di Cristo nostro Signore riguardo alla conoscenza del suo tradimento, e il potere che aveva di annichilirlo, pretese di nascondere la sua malvagità con la finta amicizia di vero discepolo: e ciò al fine di consegnare ad una morte tanto vergognosa e crudele il suo Creatore e maestro, da cui aveva ricevuto grandi benefici e verso il quale si trovava tanto obbligato. Questo tradimento fu il compendio di tanti gravi peccati scaturiti da una malizia di calibro ineguagliabile: egli fu infedele, omicida, sacrilego, ingrato, disumano, disubbidiente, falso, mendace, avido, empio, antesignano di tutti gli ipocriti, e come tale si comportò verso la persona del Dio incarnato.

1227. Da parte del Signore restarono sempre giustificate la sua ineffabile misericordia e l'equità della sua giustizia, con cui adempì eminentemente le parole di Davide: Troppo io ho dimorato con chi detesta la pace. Io sono per la pace, ma quando ne parlo, essi vogliono la guerra. Sua Maestà espletò ciò in modo così eccelso che all'avvicinarsi di Giuda, con la dolcissima risposta che gli diede - «Amico, per questo sei qui!» - e per intercessione della sua santissima Madre, inviò al suo cuore una nuova illuminazione. Egli ebbe modo così di conoscere l'atrocissima perversità del suo tradimento e le pene che per essa lo aspettavano, se non si fosse ravveduto con una vera penitenza che - se avesse voluto farla - gli avrebbe fatto ritrovare misericordia e perdono nella divina clemenza. Queste parole di Cristo, nostro bene, risuonarono nel cuore di Giuda come un'ammonizione che possiamo formulare con l'espressione: «Amico, riconosci che ti perdi e ti rendi inutile, con questo tradimento, la mia liberale mansuetudine. Se vuoi la mia amicizia non te la negherò, appena sentirai il dolore del tuo peccato. Considera la tua temerarietà nel tradirmi con un finto gesto di pace, e con un bacio di falsa amicizia. Ricordati dei benefici ricevuti dal mio amore; ricordati che sono figlio della Vergine, dalla quale sei stato tanto vezzeggiato ed aiutato, durante il mio apostolato, con gli avvertimenti e i consigli di madre amorosa. Per lei sola non avresti dovuto commettere un tradimento tale qual è quello di vendere e consegnare il Figlio suo: ella non ti offese mai, e la sua dolcissima carità e la sua mansuetudine non meritano che tu commetta un oltraggio così enorme. E sebbene tu lo abbia fatto, non disprezzare la sua intercessione, poiché questa sola sarà potente presso di me, e per lei io ti offro il perdono e la vita che per te molte volte ella mi ha chiesto. Persuaditi che ti amiamo, e sappi che ti trovi ancora in un luogo di speranza e che non ti negheremo la nostra amicizia, se tu lo vorrai. Altrimenti meriterai il nostro disprezzo, il tuo castigo e la tua eterna pena». Queste parole così sublimi non fecero presa sullo sciagurato cuore dell'infelice discepolo, più duro di un diamante e più disumano di una belva; egli opponendo resistenza alla divina clemenza giunse a quella disperazione di cui parlerò nel capitolo seguente.

1228. Quando l'Autore della vita, che si trovava con i suoi discepoli, fu baciato da Giuda, la truppa dei soldati, avuto il segno di riconoscimento, si mosse per arrestarlo. Vennero a trovarsi faccia a faccia, gli uni dirimpetto agli altri, come i due squadroni più opposti e contrari che mai vi siano stati al mondo. Da una parte vi era Cristo, nostro Signore, vero Dio e vero uomo, come capo di tutti i giusti, accompagnato dagli undici apostoli, che erano e dovevano essere gli uomini migliori e più valorosi della sua Chiesa; era assistito anche da una innumerevole schiera di spiriti angelici che, meravigliati dello spettacolo, lo benedivano ed adoravano. Dall'altra parte si faceva avanti, seguito da molti gentili e dagli anziani giudei, Giuda, autore del tradimento, armato d'ipocrisia e di ogni malvagità, pronto a metterle in atto con ferocia. In questo squadrone avanzava anche, con un gran numero di demoni, Lucifero, incitando ed addestrando Giuda e i suoi alleati, perché intrepidi mettessero le sacrileghe mani addosso al loro Creatore. Sua Maestà parlò ai soldati con grande coraggio ed autorità e con una incredibile propensione al patire dicendo: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». In questa risposta d'incomparabile valore e felicità per il genere umano, Cristo si dichiarò nostro salvatore, dandoci il pegno sicuro della nostra redenzione e la ferma speranza dell'eterna salvezza, la quale dipendeva solamente dall'offrirsi di propria volontà alla passione e alla morte di croce.

1229. I nemici non poterono intendere tale mistero, né capire il legittimo senso delle sue parole, ma lo compresero la sua beatissima Madre, gli angeli e in gran parte anche gli apostoli. E fu come quando l'Onnipotente disse al profeta Mosè: «Io sono colui che sono!, perché sono da me stesso, e tutte le creature ricevono da me il loro essere e la loro esistenza. Sono eterno, immenso, infinito, uno nella sostanza e negli attributi, e mi sono fatto uomo nascondendo la mia gloria per operare, per mezzo della passione e morte che mi volete dare, la redenzione del mondo». Quando il Signore pronunziò quella parola in virtù della sua divinità, i nemici non gli poterono resistere. Entrata nelle loro orecchie, caddero tutti con la testa e col dorso a terra; e non solo furono scaraventati i soldati, ma anche i cani che conducevano ed alcuni cavalli che montavano: tutti caddero a terra, restando immobili come pietre. Lucifero e i suoi demoni furono anch'essi atterrati e rovesciati, patendo nuovamente confusione e tormento. In questo stato rimasero quasi mezzo quarto d'ora, senza segno di vita, come se fossero stati morti. Oh, misteriosa parola della sapienza divina, più che invincibile nella potenza! Non si vanti alla tua presenza il saggio della sua saggezza e della sua astuzia, e non si vanti il forte della sua forza; si umilii la vanità e l'arroganza dei figli di Babilonia, poiché una sola parola della bocca del Signore, proferita con tanta mansuetudine ed umiltà, confonde, annienta e distrugge tutto il potere degli uomini e dell'inferno. Comprendiamo, figli della Chiesa, che le vittorie di Cristo si ottengono confessando la verità, bandendo l'ira, praticando la sua mitezza e la sua umiltà di cuore e vincendo con l'essere vinti, con semplicità di colombe, con la quiete e la sottomissione delle pecorelle, senza la resistenza dei lupi rabbiosi e sanguinari.

1230. Il nostro Salvatore, con gli undici apostoli, rimase ad osservare l'effetto della sua divina parola nella rovina di quegli uomini, esemplari di malvagità. Sua Maestà con viso addolorato vide riflesso in essi il castigo dei reprobi, ed ascoltando l'intercessione della sua dolcissima Madre li lasciò rialzare, poiché tutto questo aveva disposto l'eterna volontà. E quando quelli ritornarono in sé, egli pregò l'onnipotente Dio e disse: «Padre mio, nelle mie mani avete posto tutte le cose, e nella mia volontà la redenzione umana che la vostra giustizia vuole. Io intendo soddisfarla pienamente con tutto me stesso, e consegnarmi alla morte per guadagnare ai miei fratelli la partecipazione dei vostri tesori e l'eterna felicità che avete preparato per loro». Con la forza di questa volontà l'Altissimo lasciò che tutta quella canaglia di uomini, demoni ed altri animali si alzasse per ritornare nello stato in cui si trovava prima di cascare a terra. E il nostro Salvatore domandò loro per la seconda volta: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». Con queste parole permise ai soldati che lo prendessero, ed eseguissero il suo volere, incomprensibile ad essi: caricare sulla sua divina persona tutti i nostri dolori e tutte le nostre sofferenze.

1231. Il primo uomo che villanamente avanzò per mettere le mani addosso all'Autore della vita e catturarlo fu un servo dei sommi sacerdoti, chiamato Malco. E benché tutti gli altri apostoli fossero turbati ed afflitti dal timore, ciò non impedì a san Pietro di accendersi tutto di zelo per onorare e difendere il suo divin Maestro. Sfoderando una spada, tirò un colpo a Malco e gli recise un orecchio troncandoglielo del tutto. La sferzata avrebbe causato una maggior ferita se la provvidenza divina - del Maestro della pazienza e della mansuetudine non l'avesse deviata. Sua Maestà non permise però che in quell'occasione subentrassero la sofferenza o la morte di qualcun'altro all'infuori delle sue, delle sue piaghe e del suo sangue, poiché egli veniva a redimere tutto il genere umano, dando a tutti la vita eterna se avessero voluto accettarla. Non rientrava, infatti, nella sua volontà e nella sua dottrina che la sua persona fosse difesa con armi offensive, e che restasse questo esempio nella sua Chiesa come modo primario per difenderla. A conferma di tutto ciò e di quanto aveva insegnato, prese l'orecchio reciso e lo restituì al servo Malco, rimettendoglielo al suo posto perfettamente sano, anzi ancor meglio di prima. Gesù allora si volse a riprendere san Pietro dicendogli: «Rimetti la tua spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada per ferire periranno di spada. Non vuoi che io beva il calice che mi ha dato mio Padre? Pensi forse che io non gli possa domandare molte legioni di angeli in mia difesa, e che egli non me le invierebbe subito? Ma come si adempirebbero allora le Scritture e le profezie?».

1232. Da questa dolce correzione san Pietro fu illuminato ed istruito per fondare e difendere la Chiesa, di cui era capo, con le armi spirituali, poiché la legge del Vangelo non insegnava a combattere né a vincere con armi materiali, ma con l'umiltà, la pazienza, la mansuetudine e la perfetta carità, superando il demonio, il mondo e la carne. Mediante queste vittorie la forza divina trionfa sui suoi nemici, sulla potenza e sull'astuzia di questo mondo, dal momento che difendersi e offendere con le armi non è dei seguaci di Cristo nostro Signore, ma dei principi della terra bramosi di nuove conquiste: il coltello della Chiesa deve essere quello spirituale, che tocchi le anime anziché i corpi. Quindi Cristo nostro Signore si volse verso i suoi nemici e i capi dei giudei e, parlando loro con grande autorevolezza, disse: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare e predicare, e non mi avete arrestato. Ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre». Tutte le parole del nostro Salvatore, specialmente quelle che proferì in occasione della sua passione e morte, erano di notevole spessore per gli arcani misteri che racchiudevano, e non è possibile comprenderle tutte né dichiararle.

1233. Questi uomini avvezzi al peccato con il rimprovero del divin Maestro avrebbero ben potuto addolcirsi e confondersi, ma non lo fecero, perché erano terra maledetta e sterile, priva della rugiada delle virtù e della vera pietà. Tuttavia l'Autore della vita volle riprenderli ed insegnar ad essi la verità, perché la loro perfidia fosse meno scusabile, e alla presenza della somma santità e giustizia quel peccato ed altri commessi non restassero senza ammonimento ed essi non andassero via senza quella benefica medicina, se fossero stati disposti ad accettarla. Inoltre questa riprensione sarebbe servita a far conoscere che egli sapeva tutto quanto doveva succedere e che di sua spontanea volontà si abbandonava alla morte, consegnandosi liberamente nelle mani di coloro che gliela procuravano. Per tutto questo e per altri altissimi fini, sua Maestà pronunciò quelle parole, parlando al cuore di quegli uomini malvagi come colui che aveva la capacità di penetrarlo e di scovare la loro malizia, l'odio che contro di lui avevano concepito e la causa della loro invidia. Questa era stata particolarmente scatenata dall'aver ripreso i vizi dei sacerdoti e dei farisei, dall'aver insegnato al popolo la verità e il cammino della vita eterna, dall'aver attirato con la sua dottrina, con il suo esempio e con i suoi miracoli la volontà di tutti gli uomini umili e pii, e dall'aver ricondotto molti peccatori alla sua amicizia e alla sua grazia. Quindi era chiaro che colui che aveva il potere di operare queste cose in pubblico l'avrebbe avuto anche per far sì che senza la sua volontà non lo potessero prendere nel Getsèmani. Egli, infatti, non aveva lasciato che lo prendessero nel tempio e nella città dove predicava, non essendo arrivata l'ora stabilita dalla sua volontà per dare il permesso agli uomini ed ai demoni. E proprio perché aveva loro concesso in quel preciso momento di essere catturato, disprezzato, afflitto e maltrattato disse: «Questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre». E fu come se avesse detto loro: «Sinora è stato necessario che io dimorassi con voi come maestro per vostro insegnamento, e perciò non ho consentito che mi toglieste la vita. Ma ora voglio compiere con la mia morte l'opera della redenzione umana, che il mio eterno Padre mi ha commissionato; e perciò vi permetto di catturarmi e di eseguire su di me la vostra volontà». Così presero il mansuetissimo agnello e, assalendolo come tigri feroci, lo legarono, lo strinsero con funi e catene e lo condussero alla casa del sommo sacerdote, come dirò in seguito.

1234. La purissima Madre era attentissima a quello che succedeva nella cattura di Cristo nostro bene, mediante la chiara visione che le rendeva tutto manifesto come se fosse stata presente con il corpo. Ella per la sapienza infusa penetrava tutti i misteri racchiusi nelle parole del suo santissimo Figlio e le opere che egli eseguiva. Quando vide che quello squadrone di soldati, seguito dalla folla, si era diretto verso la casa del sommo sacerdote, la prudentissima Signora, prevedendo le irriverenze e gli oltraggi che tutti costoro avrebbero compiuto verso il Creatore e redentore, invitò i suoi e molti altri angeli affinché assieme a lei rendessero culto di adorazione e di lode al Signore delle creature, per riparare le ingiurie e le offese con cui avrebbe dovuto essere trattato da quegli uomini malvagi, principi delle tenebre. Diede lo stesso avviso alle donne che con lei stavano pregando, e manifestò loro come appunto in quell'ora il suo santissimo Figlio consentisse ai suoi nemici che lo prendessero e lo maltrattassero, eseguendo tutto ciò con deplorevole empietà e crudeltà di peccatori. Con l'assistenza dei santi angeli e delle pie donne, la religiosa Regina fece mirabili atti di fede, di amore e di devozione internamente ed esternamente, confessando, lodando, adorando e magnificando la divinità infinita e l'umanità santissima di Gesù. E così le sante donne la imitavano nelle genuflessioni e prostrazioni che faceva, e gli spiriti celesti rispondevano ai cantici con i quali ella onorava il suo amantissimo Figlio. E mentre da un lato i figli della malvagità offendevano sua Maestà con ingiurie ed irriverenze, dall'altro la pietosa Madre lo ripagava con lodi e venerazione. Nello stesso tempo ella placava anche la divina giustizia, affinché non si accendesse di sdegno e d'ira contro i persecutori di Cristo, e non li distruggesse; difatti, solamente Maria santissima poté trattenere il castigo di quelle offese.

1235. La gran Signora con la sua intercessione non solo poté spegnere lo sdegno del giusto giudice, ma riuscì ad ottenere anche favori e privilegi per quegli uomini che lo irritavano, e a far sì che la divina clemenza rendesse loro bene per male, mentre essi recavano a Cristo nostro Signore male per bene, in retribuzione della sua dottrina e dei suoi benefici. Questa misericordia giunse al sommo grado per lo sleale ed ostinato Giuda. Difatti, vedendo la divina Madre che egli lo tradiva con il bacio di finta amicizia e che con la sua immondissima bocca, dove poco prima era stato lo stesso Signore sacramentato, si permetteva di toccare il venerabile volto di Gesù, trapassata dal dolore e vinta dalla carità pregò il medesimo Signore di dare un nuovo aiuto a Giuda. E così, se lo avesse accettato, non si sarebbe perduto chi era arrivato a tale felicità, qual era quella di toccare in quel modo il viso che desiderano guardare perfino gli angeli. Alla richiesta di Maria santissima, suo Figlio inviò grandi benefici al discepolo traditore che - come già si è detto - li ricevette al momento della consegna del Maestro. E se lo sciagurato li avesse accolti ed avesse incominciato a corrispondervi, questa Madre di misericordia gliene avrebbe ottenuti molti di più, e infine anche il perdono della sua malvagità, come fa con altri grandi peccatori che a lei desiderano dare questa gloria e guadagnare per sé quella eterna. Ma Giuda non giunse a questa sapienza e perse tutto, come dirò nel capitolo seguente.

1236. Quando la Regina dei cieli vide che in forza della parola divina caddero a terra tutti gli anziani e i soldati, venuti a prendere Gesù, compose con gli angeli un altro maestoso cantico, in cui esaltava la potenza infinita e le virtù della santissima umanità di Cristo. In questo inno elogiava la vittoria riportata dall'Altissimo quando aveva sommerso nel Mar Rosso il faraone con tutte le sue truppe, e lodava il proprio figlio e vero Dio, che come Signore degli eserciti e delle vittorie voleva darsi in preda ai patimenti ed alla morte per redimere nel più mirabile modo il genere umano dalla schiavitù di Lucifero. Maria poi elevò una preghiera al Signore, chiedendogli di rialzare e far ritornare in sé tutti coloro che erano stati rovesciati ed atterrati. Ella lo fece in primo luogo perché mossa dalla sua liberalissima pietà e dalla fervorosa compassione per quegli uomini, che il Signore aveva creato a propria immagine e somiglianza; secondariamente perché avrebbe adempiuto la legge della carità insegnata e praticata dal suo Figlio e maestro: perdonare ai nemici e fare del bene ai persecutori; infine perché si dovevano compiere le profezie e le scritture relative al mistero della redenzione umana. E benché tutto questo fosse infallibile, non vi è alcuna contraddizione nel fatto che Maria santissima lo chiedesse e che per le sue preghiere l'Altissimo si sentisse sollecitato a dispensare questi benefici: nella sapienza infinita e nei decreti della sua eterna volontà tutto era previsto ed ordinato per tali mezzi e suppliche. Non è necessario che io mi trattenga ancora a dare ulteriori spiegazioni, perché certo non vi sarebbe stato un modo più conveniente per ottenere l'intervento della divina provvidenza. Nel momento in cui i soldati presero e legarono il nostro Salvatore, la purissima Madre sentì nelle sue mani i dolori delle corde e delle catene, come se fosse stata legata e stretta anch'ella; e lo stesso accadde riguardo ai colpi ed ai tormenti che andava ricevendo il Signore. Questa pena che avvertiva nel corpo, concessale in forma di privilegio - come è stato detto sopra e come si vedrà nel corso della passione -, le fu in parte di sollievo, perché l'amore gliene avrebbe arrecato una più grande nell'anima, se ella non avesse patito assieme al proprio Figlio in quel modo.

Insegnamento della Regina del cielo

1237. Figlia mia, con tutto quello che vai scrivendo e comprendendo per mezzo del mio insegnamento, ti appresti ad istruire il processo contro tutti i mortali, e contro di te se come loro non ti spoglierai della rozzezza e della villania, e non supererai l'ingratitudine, meditando giorno e notte la passione, i dolori e la morte di Gesù crocifisso. Questa è la sapienza dei santi, ignorata dagli uomini del mondo; questo è il pane della vita e dell'intelletto, che sazia i piccoli e dà loro scienza, lasciando vuoti e famelici i superbi amatori del secolo. In tale dottrina desidero che tu sia sollecita e sapiente, poiché da essa ti verranno tutti i beni. Il mio figlio e Signore insegnò l'ordine di questo arcano mistero quando disse: «lo sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Dimmi ora, o carissima: se il mio divin Maestro si fece via e vita degli uomini, per mezzo della passione e morte che patì per loro, non è forse necessario che, per seguire il suo stesso cammino e professare la sua verità, tutti passino per Cristo crocifisso, afflitto, flagellato e disonorato? Considera, dunque, l'ignoranza dei mortali: vogliono giungere al Padre senza passare per il suo Unigenito; vogliono regnare con sua Maestà senza aver patito e aver preso parte alle sue pene, e senza neppure ricordare la sua passione e morte, provandola in qualche modo o mostrandone una vera gratitudine. E vorrebbero allora che essa giovasse loro per poter godere, nella vita presente ed in quella eterna, i piaceri e la gloria, mentre il Creatore ha patito fortissimi dolori e atroci sofferenze per entrarvi ed ha lasciato questo esempio per aprire ad essi la strada della luce.

1238. Il riposo non è compatibile con la vergogna di non aver lavorato, per chi avrebbe dovuto acquistarlo solo con questo mezzo. Non è vero figlio colui che non imita il proprio padre, né servo fedele chi non obbedisce al proprio padrone, né discepolo chi non segue il proprio maestro, né io reputo come mio devoto colui che non prende parte a quanto abbiamo sofferto mio Figlio ed io. Anzi l'amore con cui noi procuriamo la salvezza eterna agli uomini ci obbliga, vedendoli così dimentichi di questa verità e tanto avversi al patire, ad inviare loro tribolazioni e pene, affinché se non le amano spontaneamente, almeno le accettino e soffrano forzatamente: solamente per questa via entreranno nel cammino sicuro di quel riposo eterno che tanto desiderano. Eppure ciò non basta: l'inclinazione e l'amore cieco per le cose visibili e terrene trattengono i mortali, li ostacolano e li rendono tardi e duri di cuore, assopendo in essi la memoria, l'attenzione e gli affetti, e impedendo che si innalzino al di sopra di se stessi e di tutto ciò che è transeunte. Da qui scaturisce la motivazione per cui non trovano serenità nelle tribolazioni, né sollievo nei travagli, né consolazione nelle pene, né quiete nelle avversità, perché aborriscono tutto ciò e non cercano niente che sia penoso, come invece bramavano i santi, che si gloriavano nelle tribolazioni come chi arrivasse al coronamento dei propri desideri. In molti fedeli questa insipienza va anche oltre, perché alcuni chiedono di essere infiammati dell'amore di Dio, altri che siano loro perdonate molte colpe, altri ancora che vengano loro concessi grandi benefici: richieste che non possono essere esaudite perché non le domandano nel nome di Cristo mio Signore, imitandolo ed accompagnandolo nella sua passione.

1239. Abbraccia dunque, figlia mia, la croce, e senza di essa non accettare alcuna consolazione nella tua vita mortale. Imitami, secondo la luce che hai e l'obbligo in cui ti pongo di sentire e meditare la passione del Signore: per tale via ascenderai alla vetta della perfezione e guadagnerai l'amore di sposa. Benedici e magnifica il mio santissimo Figlio per l'amore con cui si consegnò per la salvezza dell'umanità. I mortali riflettono poco su questo mistero, ma io come testimone ti avverto che il mio santissimo Figlio, se tralasci il suo ardente desiderio di salire alla destra dell'eterno Padre, nessuna cosa gradiva e bramava tanto quanto quella di offrirsi ai patimenti della morte di croce, dandosi a tal fine in potere dei nemici. Voglio anche che deplori, con intimo dolore, che Giuda nelle sue scelleratezze e perfidie abbia più seguaci di Cristo. Molti sono gli infedeli, molti i cattivi cattolici, molti gli ipocriti che con il nome di cristiani vendono e tradiscono, e nuovamente vogliono crocifiggere il mio santissimo Figlio. Piangi per tutti questi mali che senti e conosci, affinché anche in ciò tu mi possa imitare e seguire.


CAPITOLO 14

La fuga e la dispersione degli apostoli dopo la cattura del Maestro; la conoscenza che ne ebbe la sua santissima Madre e ciò che fece in questa occasione; la dannazione di Giuda e il turbamento dei demoni per quello che venivano a sapere.

1240. Eseguita la cattura di Gesù - come è già stato narrato - si adempì ciò che egli aveva predetto nell'ultima cena: in quella notte tutti si sarebbero fortemente scandalizzati a causa della sua persona, e satana li avrebbe assaltati per vagliarli come il grano. Gli apostoli, afflitti, restarono confusi e disorientati quando videro che il Maestro veniva catturato e legato, e si accorsero che né la sua mansuetudine né le sue parole tanto dolci e potenti né i suoi miracoli né il suo innocentissimo conversare avevano potuto placare l'ira della folla e mitigare l'invidia dei sommi sacerdoti e dei farisei. Per naturale timore si avvilirono, perdendo il coraggio e dimenticando i consigli di Cristo. Incominciarono così a vacillare nella fede e ciascuno di essi, vedendo quello che stava succedendo a sua Maestà, pensava a come mettersi in salvo dal pericolo che incombeva. Subito lo squadrone dei soldati, con tutta la turba di gente che gli andava dietro, si accinse ad arrestare e ad incatenare il mansuetissimo Agnello, contro il quale tutti fremevano di sdegno. Gli Undici, approfittando allora dell'occasione, fuggirono senza essere scorti dai giudei, sebbene questi - se lo avesse permesso l'Autore della vita - senza dubbio li avrebbero catturati poiché scappavano come codardi e rei, ma non era opportuno che fossero presi e patissero in quel momento. E difatti, il nostro Redentore aveva manifestato questa sua volontà dicendo alle guardie, venute ad arrestarlo, che se cercavano lui lasciassero liberi coloro che lo accompagnavano: così accadde con la forza della sua divina provvidenza. Frattanto, anche contro i suoi seguaci si estendeva l'odio dei sommi sacerdoti e dei farisei che volevano farla finita in un colpo solo con tutti loro, se ne avessero avuto la possibilità. E proprio per questo il pontefice Anna interrogò il Salvatore riguardo ai suoi discepoli e al suo annuncio.

1241. Lucifero dinanzi a tale fuga si ritrovò confuso e perplesso, incrementando la sua malizia per vari fini. Egli bramava di estinguere l'insegnamento del Messia e di sterminare tutti i suoi compagni fino a spegnere il loro ricordo, e agognava che essi fossero presi ed uccisi. Tuttavia, non gli sembrò facile conseguire questo disegno, e riconoscendone la difficoltà cercò di turbare gli apostoli spronandoli a scappare, affinché non vedessero la pazienza del Signore nella passione, né fossero testimoni di ciò che in questa sarebbe accaduto. Temette che essi, con il sublime esempio e la nuova dottrina che avrebbero potuto apprendere, sarebbero divenuti più forti e più saldi nella fede tanto da resistere alle sue seduzioni. Gli parve che se da allora avessero incominciato a titubare, in seguito li avrebbe potuti far cadere con nuove persecuzioni, servendosi dei giudei, i quali sarebbero stati sempre pronti ad insultarli, per l'odio che portavano all'Unigenito. Con questa malvagia considerazione il diavolo si ingannò da se stesso, e quando si accorse che essi erano intimoriti, codardi e abbattuti per la tristezza, reputò che quella fosse la migliore disposizione d'animo per tentarli. Li assaltò così con furiosa rabbia, proponendo loro grandi dubbi e sospetti, perché abbandonassero il loro Maestro. Ed essi riguardo alla fuga non resistettero come invece avevano fatto dinanzi a tante false suggestioni contro la fede, benché anche in questa avessero mancato: gli uni più gli altri meno, giacché non furono tutti parimenti turbati e scandalizzati.

1242. I discepoli si divisero tra loro correndo verso luoghi diversi, dato che era difficile nascondersi insieme, sebbene in quel momento lo desiderassero. Solo Pietro e Giovanni si unirono per seguire da lontano Gesù con l'intento di vedere la conclusione del suo supplizio. Intanto essi erano tutti presi nell'intimo da un turbamento di sommo dolore e di forte tribolazione, che metteva sotto torchio il loro cuore senza lasciare consolazione e riposo. Da una parte erano combattuti dalla ragione, dalla grazia, dall'amore e dalla verità, dall'altra dalla seduzione, dal sospetto, dal timore e dallo sconforto. Ma la ragione e la luce della verità li riprendevano dall'incostanza e dall'infedeltà per aver lasciato Cristo, schivando come vigliacchi il pericolo, dopo essere stati avvisati e aver fatto sfoggio, poco prima, del loro coraggio nel voler morire con lui, se fosse stato necessario. Si ricordarono della negligente disobbedienza e della trascuratezza nel pregare, e nel prepararsi contro le tentazioni, come sua Maestà aveva loro ordinato. l‘affetto che gli portavano, per la sua amabile conversazione e il suo dolce tratto, per la sua dottrina e le sue meraviglie, e il pensiero che egli era vero Dio li animavano e li spronavano a ritornare a cercarlo e ad offrirsi al martirio come servi fedeli. A tutto ciò si univano la preoccupazione per Maria santissima, e la considerazione delle sue incomparabili pene e del bisogno di conforto che avrebbe avuto. E così da un lato volevano andarla a trovare per assisterla nel suo tormento, dall'altro invece erano lacerati e combattuti dalla paura di finire in pasto alla crudeltà dei giudei, abbandonandosi alla morte, alla confusione e alla persecuzione. Ma riguardo alla scelta di presentarsi dinanzi all'addolorata Madre li affliggeva anche l'idea che ella li avrebbe obbligati a ritornare nel luogo in cui stava il suo Unigenito; inoltre temevano che se fossero rimasti con lei sarebbero stati poco sicuri, perché avrebbero potuto essere ricercati nella sua casa. Tutto questo era sovrastato dalle empie e terribili seduzioni del dragone, che inculcava nella loro mente immagini atroci: il suicidio; l'impossibilità del Maestro di liberare se stesso e di strappare loro dalle mani dei sommi sacerdoti, che in quell'occasione lo avrebbero ucciso; e la fine di tutta la loro dipendenza da lui, perché non lo avrebbero più visto. Inoltre erano avvinti anche dall'insidia che, sebbene la sua vita fosse esente da colpe, egli proclamando dottrine molto dure ed aspre sino ad allora mai praticate veniva odiato dai capi del popolo e dalla gente: ragion per cui era troppo drastico seguire un uomo che doveva essere condannato ad una fine infame e vergognosa.

1243. Questa lotta interiore negli apostoli si trasmetteva da un cuore all'altro. Satana, infondendo queste ed altre malvagie convinzioni, pretendeva che essi dubitassero dell'insegnamento del Signore e delle profezie inerenti ai suoi misteri e alla sua passione. Siccome nel dolore di questo conflitto non avevano speranza che il Messia uscisse vivo dalle potenti mani dei sommi sacerdoti, lo sgomento suscitò in loro una profonda tristezza e malinconia, per cui risolsero di schivare il pericolo e salvarsi. Fuggirono con tale pusillanimità e codardia che in nessun posto si consideravano sicuri in quella notte, spaventati da qualsiasi ombra e da ogni rumore. Un terrore più grande fu provocato in essi dalla slealtà di Giuda, giacché egli avrebbe potuto istigare anche contro di loro l'ira degli anziani, poiché, dopo aver eseguito la sua perfidia e il suo tradimento, non si era più fatto vedere da nessuno. San Pietro e san Giovanni, tra i più fervorosi nell'amore di Gesù, resistettero più degli altri al demonio e restando uniti vollero andare dietro a sua Maestà da lontano. Furono molto aiutati a prendere questa decisione dal fatto che san Giovanni conoscesse Anna, il quale con Caifa, sommo sacerdote in quell'anno, si alternava nel ministero del pontificato. Caifa era anche colui che nel sinedrio aveva consigliato ai giudei: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo». La familiarità di Giovanni con Anna scaturiva dalla buona reputazione dell'Apostolo, considerato una persona distinta, cortese, affabile, di nobile origine e di virtù molto amabili. Fiduciosi di questo, i due proseguirono meno timorosi il loro cammino. Essi portavano nei loro cuori la gran Regina del cielo; afflitti per la sua amarezza, erano desiderosi della sua presenza per sollevarla e consolarla, distinguendosi particolarmente in questo devoto affetto l'Evangelista.

1244. In tale occasione la Principessa, dal cenacolo, per mezzo di una sublime illuminazione non solo rimirava il proprio Figlio nei tormenti della cattura, ma anche veniva a sapere tutto quello che accadeva agli Undici, interiormente ed esteriormente. Vedeva la loro tribolazione e le loro tentazioni, scrutava i loro pensieri, le loro determinazioni, ciò che ciascuno faceva ed il luogo in cui si trovava. E sebbene tutto le fosse noto, ella non si sdegnò né rinfacciò ad essi la slealtà che avevano commesso, ma anzi si rese principio e strumento della loro salvezza, come racconterò in seguito. D'allora in poi incominciò a pregare, e con dolcissima carità e compassione di madre diceva nel suo intimo: «Pecorelle semplici ed elette, perché lasciate il vostro Pastore, che aveva cura di voi e vi conduceva al pascolo, dandovi il cibo della vita eterna? Perché, pur essendo seguaci di una dottrina così verace, abbandonate il datore di ogni vostro bene? Come potete dimenticare il suo comportamento così amoroso che vi attirava a lui? Perché ascoltate il maestro della menzogna, il lupo sanguinario che pretende la vostra rovina? O tesoro mio dolcissimo e pazientissimo, quanto mansueto, benigno e misericordioso vi rende l'amore degli uomini! Estendete la vostra pietà a questo piccolo gregge, che il furore del serpente ha turbato e disperso. Non date in pasto alle bestie le anime che vi hanno lodato. Enormi portenti avete operato con i vostri discepoli, ma enorme sofferenza siete solito dare a quelli che scegliete come vostri servi. Non riprovate coloro che la vostra volontà elesse a fondamento della Chiesa: non si perda tanta gloria! Non si vanti Lucifero di aver trionfato dinanzi a voi sulla parte migliore della vostra casa e famiglia. Guardate il vostro amato Giovanni, osservate Pietro e Giacomo da voi prediletti con singolare affetto. Volgete gli occhi della vostra clemenza anche verso tutti gli altri e schiacciate la superbia del dragone, che con implacabile crudeltà li ha turbati».

1245. In questa circostanza la grandezza di Maria, con la sua intercessione e con la pienezza di santità che manifestò all'Altissimo, superò ogni capacità umana ed angelica. Ella, oltre a sentire nel corpo e nello spirito gli strazi del suo Unigenito e le ingiurie vergognose che subiva nella sua persona, da lei stimata e ossequiata in sommo grado, avvertì e comprese anche l'angoscia dello smarrimento degli apostoli. Guardava la fragilità e la dimenticanza che essi avevano mostrato riguardo ai favori, agli avvertimenti e alle ammonizioni del loro Maestro: defezione che si era verificata in loro in brevissimo tempo dopo il sermone che egli aveva loro proferito nell'ultima cena, e l'eucaristia che aveva loro amministrato innalzandoli e vincolandoli alla dignità di sacerdoti. Conosceva anche il pericolo a cui erano esposti di cadere in peccati più gravi per l'astuzia con la quale il principe delle tenebre si affaticava a rovinarli, e l'inavvertenza, dovuta alla paura, che teneva più o meno in possesso il loro animo. Per tutto questo la Vergine moltiplicò le suppliche a Cristo sollecitandone gli aiuti fino a quando avesse guadagnato per essi il riscatto e il perdono, affinché rientrassero nell'amicizia e nella grazia superna, di cui ella si rendeva strumento efficace e potente. L'eccelsa Signora raccoglieva così nel suo cuore tutta la fede, la santità, il culto e la venerazione dell'intera comunità ecclesiale che stava in lei come in un'arca incorruttibile, conservando e racchiudendo in sé la legge evangelica, il sacrificio, il tempio ed il santuario. Ella sola credeva, amava, sperava e onorava il Verbo incarnato per sé, per gli Undici e per tutto il genere umano, in modo da compensare, per quanto era possibile ad una semplice creatura, l'incredulità e le omissioni di tutto il resto del corpo mistico. Faceva eroici atti di fede, speranza e carità, e celebrava la divinità e l'umanità del proprio figlio e vero Dio; con prostrazioni e genuflessioni lo adorava e con mirabili cantici lo benediva, senza che l'intima sofferenza e l'amarezza della sua anima sconvolgessero la forza della sua mediazione, accordata dalla mano dell'Onnipotente. Per questa sovrana non si addice quello che è affermato nel Siracide che la musica è importuna nel dolore, perché solo ella poté e seppe in mezzo alle sue pene accrescere la dolce armonia delle virtù.

1246. Lasciando gli apostoli nello stato che ho descritto, mi volgo a raccontare l'infelicissima fine di Giuda, anticipando quanto gli accadde nella sua miserevole e disgraziata sorte, per fare poi nuovamente ritorno alla narrazione della passione. Il traditore, con il distaccamento di soldati e la turba di gente che aveva condotto dal nostro Redentore, giunse prima a casa di Anna e poi a quella dell'altro sommo sacerdote Caifa, dove era atteso anche dagli scribi e dai farisei; e siccome Gesù era tanto maltrattato con percosse ed insultato con bestemmie sotto i suoi occhi, sopportando tutto con silenzio, mansuetudine e mirabile pazienza, il sacrilego discepolo incominciò a mettere in discussione dentro di sé la sua perfidia. Egli riconosceva che essa era l'unica causa dell'ingiusta crudeltà con cui quell'uomo tanto innocente veniva trattato, senza che lo meritasse. Si ricordò dei miracoli che aveva visto, dell'insegnamento che aveva udito e dei benefici che aveva ricevuto da lui; gli si presentarono dinanzi la pietà e la mitezza della Regina, la carità con cui ella aveva sollecitato la sua salvezza e la malvagità ostinata con la quale egli aveva offeso entrambi per un vilissimo interesse: l'insieme di tutte le trasgressioni che aveva commesso gli si pose davanti come un caso impenetrabile e come un alto monte che lo schiacciava.

1247. Giuda - come si è detto sopra - dopo essere andato incontro al Messia e averlo consegnato con il finto bacio, si trovava fuori dalla divina grazia. Ma per gli imperscrutabili disegni celesti, benché stesse in balia del proprio consiglio, fece i ragionamenti permessi dalla divina giustizia nella sua naturale coscienza; e li fece con tutte le suggestioni di satana che lo assisteva. Quantunque riflettesse tra sé e formulasse un retto giudizio riguardo a ciò che si è riferito, quando era il padre della menzogna a propinargli i discorsi egli si ritrovava più che mai confuso e turbato. Difatti, il diavolo alla veracità dei suoi ricordi accoppiava false ed ingannevoli congetture, affinché ne venisse a dedurre non già il suo riscatto e il desiderio di conseguirlo, ma al contrario l'impossibilità di ottenerlo, fino alla disperazione, come appunto accadde. Il demonio gli risvegliò così una profonda contrizione delle sue colpe, e non già per un buon fine, né per il motivo di aver offeso la verità, ma per il disonore che avrebbe avuto presso gli uomini e per il male che il Maestro, potente in miracoli, gli avrebbe potuto fare: in tutto il mondo perciò non gli sarebbe stato possibile sfuggire dalle sue mani, perché il sangue del giusto avrebbe gridato contro di lui. Con questo ed altri pensieri che gli suggerì, il traditore rimase in preda alla confusione e all'odio rabbioso verso se stesso. E ritiratosi da tutti stava per buttarsi giù da un punto molto elevato del palazzo di Caifa, ma non poté farlo. Dopo questo tentativo, come una fiera, sdegnato contro se stesso si mordeva le braccia e le mani, si dava durissimi colpi in testa tirandosi i capelli e, parlando in modo spropositato, si mandava maledizioni ed esecrazioni, come il più infelice e sfortunato tra i mortali.

1248. Il serpente, vedendolo così avvilito, gli propose di andare dai sacerdoti per confessare il suo peccato e restituire il loro denaro. Egli lo fece con celerità e ad alta voce rivolse loro queste parole: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente»; ma essi, per nulla impietositi, gli risposero che avrebbe dovuto considerarlo prima. L'intento del drago era quello di provare ad impedire che il Salvatore fosse ammazzato, per le motivazioni che ho esposto sopra e che dirò in seguito. Con questa ripulsa datagli dagli anziani del popolo, così piena di empissima crudeltà, Giuda non ebbe più dubbi e si persuase che non fosse più possibile evitare tale uccisione. Reputò così anche il principe del male, non tralasciando però di mettere in atto altre strategie per mezzo di Pilato. Egli allora, ritenendo che il discepolo malvagio ormai non gli sarebbe più potuto servire per realizzare il suo intento, accrebbe in lui la tristezza e la collera, convincendolo a togliersi la vita per non aspettarsi una condanna più dura. Questi accettò l'inganno e uscito dalla città andò ad impiccarsi: si fece omicida di se stesso colui che si era fatto deicida del suo Creatore. Ciò accadde il venerdì alle dodici, lo stesso giorno della crocifissione di Cristo, ma prima che questi spirasse, perché non era opportuno che la morte di Gesù e l'opera della nostra redenzione cadessero immediatamente sopra l'esecrabile morte di Giuda, che con somma malizia le aveva disprezzate.

1249. I diavoli subito ricevettero la sua anima e la portarono all'inferno; il suo corpo invece restò impiccato e poi si squarciò nel mezzo e si sparsero fuori le viscere con meraviglia e spavento di tutti, al vedere che quel tradimento aveva avuto un castigo così terribile. Per tre giorni egli restò appeso ed esposto al pubblico. Nello stesso tempo i giudei tentarono di tirarlo via dall'albero e di seppellirlo nascostamente, perché da un simile spettacolo ridondava gran confusione ai sacerdoti e ai farisei, che non potevano contraddire quella testimonianza della loro ferocia. Tuttavia, nonostante si dessero da fare, non riuscirono a smentirla né furono capaci di staccare le sue membra da dove si era impiccato, sino a quando, trascorsi tre giorni, per disposizione superna gli stessi demoni lo tolsero dalla forca e lo portarono via per unirlo alla sua anima, affinché nel profondo dei loro antri pagasse eternamente il suo peccato. E poiché è degno di spaventoso stupore ciò che ho conosciuto delle pene che gli furono inflitte, lo riferirò nel modo e nell'ordine in cui mi è stato mostrato. Tra le oscure caverne degli infernali ergastoli ve ne era una libera, molto grande e di maggior tormento rispetto alle altre; i principi delle tenebre non avevano potuto precipitarvi nessuno, benché la loro efferatezza avesse cercato di farlo fin da Caino. Ognuno di essi, ignorando il segreto, si meravigliava di questa impossibilità fino a quando arrivò l'anima di Giuda che con facilità fu fatta sprofondare in quella fossa, mai occupata da alcun dannato. Il motivo di tale difficoltà consisteva nel fatto che dalla creazione del mondo quella caverna era stata assegnata a coloro che, pur avendo ricevuto il battesimo, si sarebbero perduti per non aver saputo usufruire dei sacramenti, dell'insegnamento, della passione e morte di sua Maestà, e dell'intercessione della sua santissima Madre. E siccome egli fu il primo ad essere partecipe di tali benefici a vantaggio della sua salvezza che orribilmente li disprezzò, fu anche il primo a provare quel luogo e tutte quelle punizioni predisposte per lui e per chi lo avrebbe emulato e seguito.

1250. A me è stato ordinato di esporre dettagliatamente questo mistero per ammonire ed istruire tutti i cristiani e specialmente i sacerdoti, i prelati e i religiosi, i quali per il loro servizio toccano più frequentemente e familiarmente il santissimo corpo e sangue del Signore. Per non essere ripresa, vorrei trovare i termini e le ragioni con cui dare ad esso rilevanza e devozione, cercando di compensare l'insensibile durezza umana, affinché tutti possano trarne profitto e temere il castigo che sovrasta i cattivi credenti, secondo lo stato di ciascuno. I diavoli torturarono il traditore con inesplicabile crudeltà, perché non aveva rinunciato a vendere il proprio Maestro, per il cui martirio essi sarebbero rimasti vinti e spodestati dalla terra. Il nuovo sdegno, che per tale motivo essi concepirono contro Gesù e Maria, viene messo in atto contro tutti quelli che imitano quel perfido e cooperano con lui nel disprezzare la dottrina evangelica, i sacramenti della legge di grazia e il frutto del riscatto. A buon diritto allora Lucifero e i suoi riversano la propria vendetta su quei battezzati che non vogliono seguire Cristo, loro capo, e volontariamente si separano dalla Chiesa dandosi in potere ad essi, che con implacabile superbia la aborriscono e la maledicono e come strumenti della divina giustizia castigano le ingratitudini dei redenti verso il loro Redentore. Considerino attentamente i fedeli questa verità! Se la tenessero presente sentirebbero palpitare i loro cuori e otterrebbero l'aiuto necessario per allontanarsi da un pericolo così deplorevole.

1251. Durante il tempo della passione il drago, con tutta la sua malvagia schiera, rimase sempre attento e in agguato per finire di accertarsi se il Nazareno fosse il Messia e il salvatore del mondo. Difatti alcune volte era persuaso dai miracoli, altre volte invece veniva dissuaso dalle azioni e dagli affanni della debolezza umana che egli assunse per noi, ma moltiplicò maggiormente i suoi sospetti nell'orto degli Ulivi, dove sperimentò l'autorità di quella parola pronunciata dall'Unigenito: «Sono io!», da cui fu rovesciato e fatto cadere a terra con i suoi ministri. Era trascorso poco tempo da quando, accompagnato dalle sue legioni, era uscito dall'inferno, dove era stato scaraventato durante l'ultima cena. E benché in quella occasione fosse stato precipitato dal cenacolo solamente dalla Vergine - come ho affermato precedentemente - egli si soffermò a riflettere, reputando che quella potenza messa in atto dal Figlio e dalla Madre fosse del tutto nuova, mai sperimentata prima contro di loro. Quando gli fu permesso di rialzarsi, parlò agli altri dicendo: «Non è possibile che una simile forza sia di un semplice uomo, senza dubbio questi è insieme Dio e uomo. Se egli muore come noi disponiamo, è certo che per questa via opererà la redenzione, adempirà il volere dell'Altissimo, e resterà distrutto il nostro impero e delusa ogni nostra speranza di vittoria. Ci siamo malamente consigliati nel procurargli la morte. Ma se non possiamo impedire che perisca, vediamo di provare fino a dove arrivi la sua pazienza, istigando i suoi mortali nemici a tormentarlo con empia crudeltà. Aizziamoli contro di lui, suscitiamo in loro sentimenti di disprezzo, persuadiamoli a compiere sulla sua persona oltraggi e ignominie; spingiamoli ad usare il loro sdegno per affliggerlo, e stiamo attenti agli effetti che tutte queste cose produrranno in lui». I demoni quanto proposero tanto intentarono. Non riuscirono però ad ottenere tutto quello che avevano tramato, come sarà manifestato nel corso della passione, e ciò per gli imperscrutabili arcani che riferirò e che in parte ho già esposto. Essi provocarono quei criminali perché decidessero di angustiare sua Maestà con atrocissime sevizie, che tuttavia non vennero concretizzate, perché egli non ne permise altre all'infuori di quelle che rientravano nel suo volere e nella necessità di patire, lasciando che fosse espresso in queste tutto il loro furore.

1252. Ad impedire l'insolente malizia del serpente intervenne nuovamente la Signora, a cui erano manifesti tutti i suoi sforzi. Alcune volte con l'autorità di sovrana gli ostacolava molti intenti, affinché non li consigliasse agli esecutori della passione; altre volte, riguardo a quelli che egli proponeva, chiedeva all'Eterno che non permettesse che fossero eseguiti, e per mezzo dei suoi angeli concorreva a distogliere e a far svanire quei malefici progetti; altre ancora, per quelli che rientravano nella volontà di patire del suo Unigenito - come ella penetrava nella sua infinita sapienza - interrompeva la sua intercessione: in tutto veniva così eseguito il beneplacito divino. Similmente, venne a conoscenza di quanto accadde nell'infelice morte e nei tormenti di Giuda, del luogo che gli fu assegnato negli inferi e della sede di fuoco che avrebbe occupato per tutta l'eternità, come maestro d'ipocrisia e precursore di chi avrebbe rinnegato il Signore con la mente e con le azioni. Questi sono coloro - come dice Geremia - che abbandonano la fonte di acqua viva per essere scritti nella polvere ed allontanati dal cielo dove stanno scritti i nomi dei predestinati. La Regina di misericordia conobbe tutto, pianse amaramente e pregò per la salvezza degli uomini, supplicando che fossero rimossi da una cecità, da un precipizio e da una rovina così grandi; però si conformò sempre agli insondabili e giusti giudizi della Provvidenza.

Insegnamento della Regina del cielo

1253. Carissima, sei rimasta meravigliata, e non senza ragione, di ciò che hai inteso e narrato dell'infelice sorte di Giuda e della caduta dei suoi compagni. Essi vennero a mancare pur essendo discepoli di Gesù, nutriti con il latte della sua dottrina, della sua vita, dei suoi miracoli, ed aiutati dalla sua dolce e mite parola, dalla mia intercessione, dai miei consigli e da altri benefici ottenuti per mezzo di me. In verità ti dico che se tutti i fedeli avessero l'accortezza di imitare l'esempio lasciato da Cristo ritroverebbero un salutare consiglio ed una pratica istruzione per coltivare il timore di Dio durante il loro pericoloso pellegrinaggio. Essi ricevono tanti privilegi, ma tutto questo può non essere tenuto presente come vivo esempio di santità, alla stessa maniera degli apostoli. E difatti io li ammonii in vari modi e pregai affinché fossero elargiti loro gli ausili necessari; inoltre con la mia dolce e innocente conversazione comunicai loro la carità che dall'Altissimo e dal Salvatore rifluiva in me, ma essi, pur trovandosi dinanzi al loro Maestro, dimenticarono tanti favori e il dovere di corrispondervi. E allora chi sarà così presuntuoso nell'esistenza terrena da non paventare il pericolo della rovina, per quanti doni abbia avuto? I Dodici erano uomini prescelti e ugualmente uno arrivò a cadere come il più infelice tra tutti, e gli altri giunsero a venir meno nella fede, che è il fondamento di ogni virtù; questo fu conforme all'equità ed agli imperscrutabili disegni dell'Onnipotente. Dunque, come mai non hanno paura coloro che non sono apostoli né hanno operato come questi alla scuola di mio Figlio, e non meritano la mia intercessione?

1254. Della perdizione del traditore e del suo giustissimo castigo esponi quanto basta perché si comprenda a quale stato possano arrivare e condurre i vizi, e dove la volontà perversa possa trasportare una persona che si dia in preda ad essi e a satana, disdegnando le chiamate e gli aiuti della grazia. Su ciò che hai scritto ti invito ad osservare che non solo le pene che patisce costui, ma anche quelle di molti cristiani - che si dannano con lui e scendono al medesimo luogo, che fu loro destinato sin dagli inizi del mondo - superano i tormenti di molti demoni. Difatti, sua Maestà non morì per gli angeli malvagi, ma per gli uomini, né ai primi spettarono il frutto e gli effetti del riscatto che ai secondi sono dati nei sacramenti. Perciò disprezzare tale incomparabile beneficio non è tanto colpa di Lucifero, quanto dei credenti ai quali riguardo a questo è dovuta una punizione del tutto nuova e diversa. L'inganno in cui caddero il principe delle tenebre e i suoi ministri non riconoscendo Gesù, come vero Dio e redentore sino alla sua morte attanaglia sempre il loro intimo, e ciò fa scaturire in essi altro sdegno verso coloro che sono stati salvati e soprattutto verso coloro per i quali è stato versato in modo particolare il sangue dell'Agnello. Si affaticano allora con veemenza per far sì che ci si dimentichi dell'opera della redenzione, rendendola infruttuosa. Nell'inferno poi si mostrano più adirati e furibondi contro i cattivi cristiani, e senza alcuna pietà infliggerebbero a questi maggiori tribolazioni se la giustizia del Signore non disponesse con equità che le pene siano proporzionate alle colpe, non lasciando ciò all'arbitrio dei diavoli, ma attenuandolo con la sua potenza e la sua infinita sapienza, poiché tanto si estende la sua bontà.

1255. Desidero inoltre che riguardo alla caduta degli apostoli consideri il pericolo della fragilità umana, poiché anche questa dinanzi alle elargizioni celesti facilmente si assuefa ad essere villana, torpida ed ingrata, come successe loro quando fuggirono dal Maestro e nella loro incredulità lo abbandonarono. Tale debolezza negli uomini trova la sua origine nell'essere tanto sensibili ed inclini a tutto ciò che è terreno e sottomesso ai sensi, nel rimanere ben radicati a queste depravate tendenze per il peccato e nell'abituarsi a vivere e ad agire secondo la carne, piuttosto che secondo lo spirito. Ne consegue che trattano ed amano sensibilmente anche gli stessi doni dell'Altissimo e, quando questi vengono a mancare, subito si rivolgono ad altri oggetti sensibili, si affannano per essi e trascurano la vita spirituale, che praticavano solo in superficie. Per questa inavvertenza e torpidezza caddero gli Undici, benché fossero tanto favoriti dal mio Unigenito e da me. I miracoli, le parole e gli esempi che ricevettero erano sensibili, ma essi, benché perfetti e giusti, erano attaccati unicamente a quello che percepivano; così, appena questo venne a mancar loro si turbarono con la tentazione e vi caddero avendo poco penetrato quanto avevano visto ed udito alla scuola del Messia. Con questo insegnamento potrai orientarti sulla strada della mia sequela come discepola spirituale e non terrena, non assuefacendoti al sensibile, benché si tratti di grazie dell'Eterno e mie. E quando ti verranno concesse non soffermarti sulla materia, ma solleva la tua mente al sublime che si percepisce solo con la luce e la scienza interiore". E se il sensibile può impedire la vita spirituale, che cosa non farà ciò che appartiene alla vita terrena, animale e carnale? Voglio, dunque, da te - e tu stessa lo osservi chiaramente - che dimentichi e cancelli dalle tue facoltà ogni immagine e ogni specie di creatura, affinché ti ritrovi sempre idonea ad imitarmi e ad intendere la mia salutare dottrina.


CAPITOLO 15

Si narra che il nostro salvatore Gesù venne condotto incatenato al palazzo del sommo sacerdote Anna; ciò che accadde in quell'occasione e ciò che patì la stia santissima Madre.

1256. Degna cosa sarebbe parlare della passione, delle ignominie e dei tormenti di Gesù con parole così vive ed efficaci da penetrare più di una spada a doppio taglio, fino a dividere con intensa sofferenza la parte più intima di noi stessi. Difatti, le pene che gli furono inflitte non furono comuni: non si troverà mai dolore simile al suo dolore ! La sua persona non era come quella degli altri uomini; inoltre egli non patì per sé né per le sue colpe, ma per noi e per i nostri peccati. È opportuno, dunque, che descriviamo i travagli del suo martirio non in modo usuale, ma forte ed incisivo, così da proporli ai nostri sensi. Me infelice, che non posso dar efficacia alle mie espressioni, né trovare quelle che l'anima mia desidera per manifestare questo segreto! Esporrò solo ciò che arriverò a comprendere e mi spiegherò come potrò e mi sarà propinato, benché la scarsezza del mio talento coarti e limiti la grandezza dell'illuminazione, e i termini inadeguati non arrivino a dichiarare il concetto più nascosto del cuore. Supplisca a tale lacuna la vitalità della fede che noi, membri della Chiesa, professiamo. E se i vocaboli sono ordinari, siano. straordinari l'afflizione e il sentimento, sia altissimo il giudizio, veemente la comprensione, profonda la riflessione, cordiale la riconoscenza e fervente l'amore, poiché tutto sarà meno della verità dell'oggetto e meno di quanto noi dovremmo corrispondere come servi, amici e figli adottati per mezzo della morte di Cristo, nostro bene.

1257. Il mansuetissimo Agnello, catturato e legato, fu condotto dall'orto degli Ulivi al palazzo dei sommi sacerdoti, e per primo a quello di Anna. Quel turbolento squadrone di soldati e di ministri camminava preavvisato dai consigli del discepolo traditore che aveva raccomandato a tutti loro di non fidarsi del Maestro, ma di arrestarlo sotto buona scorta, ben stretto con corde, perché come uno stregone sarebbe potuto sfuggire dalle loro mani. Questi esecutori di malvagità erano anche irritati e provocati occultamente da Lucifero e dai principi del suo regno di tenebre, affinché trattassero il Signore empiamente, senza umanità né dignità. E, come strumenti obbedienti alla volontà del dragone, non lasciarono cadere niente di quanto venne permesso di eseguire contro di lui. Lo legarono con una catena di grossi anelli di ferro, in maniera tale che dopo avergli circondato i fianchi e il collo venivano a sopravanzare i due estremi. A questi attaccarono delle manette con le quali bloccarono quelle divine mani che avevano creato l'intero universo: strette in questo modo gliele posero non al petto, ma al dorso. Avevano preso la catena dalla casa di Anna, dove serviva per alzare la porta di un carcere, fatta a saliscendi; con l'intento di catturare il Salvatore l'avevano tolta di là e accomodata con le manette mediante dei lucchetti. Tuttavia, dopo che lo ebbero serrato in questa morsa inaudita, non rimasero né soddisfatti né sicuri, poiché subito lo avvolsero con due corde molto lunghe: una gliela gettarono al collo e incrociandogliela sul petto gliela girarono intorno al corpo, stringendolo con forti nodi e lasciando pendenti le estremità, affinché due di loro lo trascinassero; con la seconda, invece, gli legarono le braccia e le mani dietro alla schiena lasciandone ugualmente pendere due lunghi capi, dai quali altri due di loro potessero trascinarlo.

1258. L'Onnipotente e il Santo così ridotto si lasciò catturare e sottomettere, come se fosse stato il più facinoroso ed il più svigorito dei nati, avendo preso su di sé l'iniquità di tutti noi e, per operare il bene, la debolezza e l'impotenza con cui siamo incorsi nel peccato. I soldati lo legarono nel Getsèmani, tormentandolo anche con insulti: come velenosi serpenti con bestemmie, ingiurie ed inauditi obbrobri sputarono il sacrilego veleno, che avevano dentro, contro colui che è adorato e magnificato da ogni essere vivente in cielo e sulla terra. Partirono allora tutti quanti dal monte degli Ulivi con clamori e gran tumulto, conducendo in mezzo a loro il Redentore, tirandolo alcuni per le corde dinanzi ed altri per quelle che portava al dorso, attaccate ai polsi. E con questa inconcepibile brutalità a volte lo facevano camminare in fretta, precipitosamente, altre lo tiravano indietro e trattenevano, altre ancora lo strattonavano da un lato e dall'altro, dove la forza diabolica li spingeva. Questi ministri di empietà spesso lo buttavano anche al suolo dove egli, avendo le mani incatenate, sbatteva con il suo venerabile volto, rimanendo malconcio, pieno di polvere e riportando molte ferite. Quando cadeva gli si gettavano addosso, dandogli calci, calpestandolo, passando sopra la sua regale persona e calcandogli la faccia. Ed elevando vituperi con urla e scherni, lo saziavano di umiliazioni, come deplorò Geremia.

1259. Satana, in mezzo al furore violento che aveva acceso in costoro, stava molto attento alle opere di sua Maestà, pretendendo di irritarne la pazienza al fine di comprendere se fosse veramente un semplice uomo. E difatti questo dubbio angustiava la sua acerrima superbia più di tutte le sue grandi pene. Ma quando riconobbe la mansuetudine, la tolleranza e la dolcezza che egli mostrava fra tanti oltraggi e affronti, e quando vide che li riceveva con volto sereno e austero senza turbamento né alterazione, si infuriò ancor di più. E come impazzito ed imbestialito, tentò di prendere le corde per tirarlo assieme ai suoi demoni con maggiore violenza di quella che mettevano in atto gli stessi manigoldi, al fine di provocare con più crudeltà la sua mitezza. Questo intento, però, fu impedito da Maria santissima, la quale dal luogo dove stava ritirata osservava scrupolosamente, con la chiara visione che aveva, tutto quello che si andava eseguendo contro suo Figlio. Di fronte all'ardimento di Lucifero, usò il potere di regina e gli comandò di non accostarsi ad offenderlo come aveva determinato. Nel contempo, le forze di questo nemico vennero meno ed egli non poté realizzare il suo desiderio, perché non era conveniente che la sua malvagità si frapponesse in quella maniera nella passione di Gesù. Tuttavia, gli fu permesso per disposizione divina di provocare i suoi contro di lui e di incitare i giudei, poiché erano fautori della sua morte e detentori delle sue sorti. Così fece e, rivoltosi ai principi delle tenebre, disse: «Chi è mai costui che, venuto al mondo, con la sua pazienza e le sue opere ci tormenta e distrugge in tal modo? Nessuno, da Adamo fino ad oggi, ha conservato tale imperturbabilità in mezzo ad una sofferenza così atroce, e non si sono mai viste tra i mortali un'umiltà e una mansuetudine simili. Dunque, come potremo starcene quieti con un esempio tanto raro e potente da attirare tutti dietro di sé? Se questi è il Messia, senza dubbio aprirà il cielo e chiuderà la strada per la quale conduciamo i mortali alla perdizione, e noi resteremo vinti e delusi nei nostri propositi. E quand'anche non fosse che un uomo, io non posso accettare che venga lasciato un modello tale di pazienza. Venite, dunque, esecutori della mia perfidia, e perseguitiamolo per mezzo dei suoi nemici che, obbedienti alla mia autorità, hanno indirizzato contro di lui la furiosa invidia che ho loro comunicato».

1260. L'Autore della nostra salvezza si assoggettò allo spietato sdegno che il drago risvegliò e fomentò in quello squadrone di giudei, nascondendo il potere con il quale li avrebbe potuti reprimere o annichilire, e tutto ciò affinché la nostra redenzione fosse più copiosa. I soldati, maltrattandolo, lo condussero legato al palazzo di Anna, alla cui presenza lo posero come malfattore, degno di condanna a morte. Era usanza presentare così incatenati i delinquenti che meritavano il castigo capitale, e proprio quei legacci ne erano una testimonianza. In tal modo lo tiravano come se gli intimassero la sentenza prima che la pronunziasse il giudice. Il sacrilego sacerdote, pieno di superbia e di arroganza, uscì in una sala e si sedette sulla sedia o tribunale che vi si trovava. Subito un'immensa moltitudine di demoni lo circondò, mentre satana gli si pose accanto. I ministri e i soldati gli mostrarono Gesù incatenato, dichiarando: «Ecco, signore, conduciamo qui quest'uomo cattivo, che con i suoi incantesimi e con le sue malvagità ha turbato tutta Gerusalemme e l'intera Giudea; ma questa volta non gli ha giovato l'arte magica per sfuggire dalle nostre mani».

1261. Il Signore era assistito da innumerevoli angeli che lo riconoscevano e adoravano, i quali erano meravigliati degli imperscrutabili giudizi della sua sapienza, poiché egli consentiva di essere presentato come peccatore, mentre l'iniquo sacerdote si mostrava giusto e zelante dell'onore che empiamente pretendeva di strappargli insieme alla vita. Intanto 1'amantissimo Agnello taceva senza aprire bocca, come aveva predetto il profeta Isaia, ed allora Anna con tono imperioso lo interrogò riguardo ai suoi discepoli e a quello che egli predicava, al fine di calunniare la risposta, se avesse contenuto qualche parola che desse motivo di accusa; ma il Maestro della santità, che regge ed emenda i più saggi, offrì all'Eterno l'umiliazione di essere portato come reo dinanzi al sommo sacerdote, e di venire interrogato da lui come delinquente ed autore di una falsa dottrina. Alla domanda sul suo insegnamento, egli replicò con volto umile e lieto: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito citi che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Difese così il suo ammaestramento e la sua credibilità, rimettendosi ai suoi ascoltatori. D'altra parte la verità e la virtù si accreditano e si garantiscono da se stesse, anche tra i peggiori nemici.

1262. Riguardo ai suoi seguaci non disse nulla, sia perché non era opportuno, sia perché questi non si trovavano allora nella disposizione d'animo da poter essere da lui lodati. Quantunque la risposta che aveva dato fosse stata così sapiente e consona alla domanda, una delle guardie si mosse con inconcepibile audacia e, alzando la mano, colpì il suo sacro e venerabile volto e nel percuoterlo lo riprese: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Sua Maestà ricevette questa ingiuria e pregò il Padre per colui che lo aveva offeso, stando pronto a voltarsi per offrire l'altra guancia e prendere, se fosse stato necessario, un altro schiaffo, adempiendo così ciò che egli stesso aveva insegnato; ma, affinché quell'insolente non restasse soddisfatto ed imperturbato per quell'atto di inaudita malvagità, ripeté con grande serenità e mansuetudine: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Oh, spettacolo di nuova meraviglia per gli spiriti sovrani! Oh, come a saperlo non dovrebbe tremare il cielo e spaventarsi tutto il firmamento? Costui è colui di cui disse Giobbe: non solo è saggio di mente, ma tanto potente e forte che nessuno resistendogli può con ciò aver pace; sposta i monti con il suo furore, prima che essi possano accorgersene; scuote la terra dal suo posto e sbatte le sue colonne le une contro le altre; comanda al sole che non sorga e pone alle stelle il suo sigillo; egli è colui che fa cose grandi ed incomprensibili; è colui alla cui ira nessuno può far fronte e dinanzi al quale si piegano quelli che sostengono il mondo. Questi è colui che per amore dei medesimi uomini tollera di essere percosso da un ministro scellerato con uno schiaffo sul volto!

1263. Il sacrilego servo per l'umile ed efficace risposta di Gesù restò come disorientato nella sua malvagità. Tuttavia né questa confusione né quella in cui poté entrare il sommo sacerdote, a motivo di tale insolenza commessasi alla sua presenza, mosse lui e i giudei a moderarsi, in qualche modo, contro l'Autore della vita. Mentre continuavano a ricoprirlo di vituperi, giunse alla casa di Anna san Pietro insieme a san Giovanni che, essendo conosciuto, si introdusse facilmente nel palazzo. L'altro, invece, rimase fuori, fino a quando la portinaia, una serva del sommo sacerdote, alla richiesta di Giovanni, non lo lasciò entrare perché vedesse quello che stava succedendo al Redentore. I due si trovarono davanti alla sala del sommo sacerdote e, poiché in quella notte faceva freddo, Pietro si accostò al fuoco preparato dai soldati. La serva lo guardò allora con attenzione e, riconoscendolo come uno dei seguaci di Cristo, si avvicinò dicendogli: «Forse anche tu sei dei discepoli di quest'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». La domanda gli fu rivolta con una specie di disprezzo e di rimprovero, tanto che egli con debolezza e viltà si vergognò. Quindi si appartò dalla conversazione ed uscì fuori, anche se immediatamente dopo, seguendo il Maestro, si sarebbe diretto verso l'abitazione di Caifa, dove per altre due volte avrebbe negato di conoscerlo.

1264. Per il nostro Salvatore fu più grande questa sofferenza che quella dello schiaffo, essendo la colpa odiosa e nemica della sua immensa carità e le pene amabili e dolci, perché con esse avrebbe vinto i nostri peccati. Al primo rinnegamento pregò l'Eterno per il suo futuro vicario e dispose che, per mezzo dell'intercessione di Maria santissima, gli venisse elargita la grazia dopo le tre negazioni. Intanto ella dal suo oratorio osservava tutto ciò che avveniva e, serbando in se stessa il propiziatorio e il-sacrificio, cioè il suo stesso Unigenito sacramentato, si rivolgeva a lui per le sue richieste e i suoi affetti amorosi: esercitava così eroici atti di compassione, culto e adorazione. Allorché fu messa al corrente del rinnegamento di san Pietro pianse amaramente e non smise sino a quando non ebbe l'illuminazione che l'Altissimo non gli avrebbe ricusato gli aiuti e lo avrebbe rialzato dalla caduta. La purissima Principessa sentì nel suo corpo verginale tutte le percosse e i tormenti del suo diletto, nelle stesse parti in cui egli veniva maltrattato. Non appena sua Maestà venne stretto con le corde e le catene, ella avvertì nei polsi un dolore tanto atroce che le fuoriuscì il sangue dalle mani, come se queste fossero state realmente legate, e lo stesso accadde in tutti gli altri patimenti. Siccome a tale angoscia si univa quella del cuore, nel vedere soffrire il Verbo incarnato ella giunse a versare lacrime di sangue: il braccio dell'onnipotente era l'artefice di questa meraviglia! Sentì anche il colpo dello schiaffo come se nel contempo quella mano sacrilega avesse percosso insieme il Figlio e la Madre. Dinanzi a questo atto oltraggioso e in mezzo a tutte queste bestemmie ed irriverenze, invitò gli spiriti celesti a magnificare e ad adorare con lei il Creatore, come ricompensa degli obbrobri che egli subiva dai peccatori. E con prudentissime parole - ma molto lamentevoli e dolorose - discuteva con essi della causa della sua amara compassione e del suo pianto.

Insegnamento della Regina del cielo

1265. Carissima, a cose grandi ti chiama e t'invita la divina luce che vai ricevendo circa i misteri del Signore e miei su ciò che patimmo per il genere umano e che continuiamo a patire per il cattivo contraccambio che esso ci rende, come irriconoscente ed ingrato verso tanti benefici. Tu vivi nella carne peritura e sei soggetta a queste ignoranze e miserie, ma con la forza di quanto comprendi si generano e si risvegliano in te innumerevoli atti di ammirazione e di afflizione sia per la dimenticanza e la poca partecipazione ed attenzione dei mortali ad arcani così eccelsi, sia per i beni che essi perdono a causa della loro accidia e della loro tiepidezza. Dunque, quale sarà la sentenza che esprimeranno su tutto ciò gli angeli e i santi? Quale sarà quella che presenterò io al cospetto del sommo sovrano, nel vedere il mondo e ancor più i fedeli in una condizione così pericolosa di spaventosa spensieratezza, dopo che il mio Unigenito è morto per loro, dopo che hanno ottenuto me come madre e avvocata e hanno avuto come esempio la sua purissima vita e la mia? In verità ti dico: solo la mia intercessione e i meriti che porto dinanzi all'Altissimo, del Figlio mio e suo, possono sospendere il castigo e placare il suo giusto sdegno, perché non distrugga la terra e non flagelli duramente i membri della comunità ecclesiale che, pur conoscendo la sua volontà, non l'adempiono. Io però sono molto disgustata nel trovare così poche persone che piangono con me e consolano il Redentore nelle sue pene. Questa durezza per i cattivi cristiani nel giorno del giudizio sarà la punizione di maggior turbamento, perché si accorgeranno allora con dolore irreparabile che non solo furono ingrati, ma disumani e crudeli verso di lui, verso di me e verso se stessi.

1266. Considera dunque il tuo dovere: innalzati sopra ogni cosa terrena e sopra te medesima, perché io ti ho chiamata ed eletta affinché ricalchi le mie orme e mi accompagni in quello in cui mi lasciano sola le creature che il Maestro ed io abbiamo tanto beneficato e obbligato. Pondera diligentemente quanto costò al mio Unigenito riconciliare gli uomini con il suo eterno Padre e guadagnar loro la sua amicizia. Piangi ed affliggiti perché molti vivono in questa dimenticanza, e molti altri si affaticano con tutti i loro sforzi per distruggere e perdere ciò che costò il sangue e la crocifissione dello stesso Dio, e ciò che io dalla mia concezione ho procurato e di continuo procuro a vantaggio della loro salvezza. Risveglia nel tuo cuore un'amara contrizione nel constatare che nella santa Chiesa hanno numerosi successori i sommi sacerdoti sacrileghi ed ipocriti, che con falsa apparenza di pietà condannarono Gesù. Ed è così che rimangono ben radicate la superbia, il fasto ed altre gravi colpe che vengono intronizzate e rese lecite, mentre l'umiltà, la verità, la giustizia e le virtù restano oppresse e tanto soffocate da far prevalere solo la cupidigia e la vanità. Pochi sono coloro che conoscono la povertà di Cristo e ancor meno sono coloro che l'abbracciano. La fede è come ostruita e non si dilata per la smisurata ambizione dei potenti; in molti cattolici resta spenta e così tutto ciò che deve avere vita rimane morto e si dispone per la perdizione. I consigli del Vangelo cadono nell'oblio, i precetti sono violati, la carità è quasi estinta. Mio Figlio offrì le sue guance alle percosse con mansuetudine, ma chi perdona un'ingiuria per comportarsi come lui? Anzi, il mondo ha emanato una legge per il contrario e non solo gli infedeli l'hanno seguita, ma anche gli stessi credenti.

1267. Poiché conosci questi peccati, desidero che tu, in riparazione di essi, imiti quello che io feci nella passione e in tutto il mio pellegrinaggio: la pratica delle virtù contro i vizi. Per compensare il nostro Salvatore per le bestemmie lo benedicevo, per le imprecazioni lo lodavo, per le infedeltà lo confessavo, e così operavo per tutte le altre offese. Sull'esempio di Pietro, cerca di schivare i pericoli che corrono i discendenti di Adamo, giacché tu non sei più forte dell'Apostolo, e, se qualche volta ti capita per debolezza di cadere, piangi subito con lui e chiedi la mia intercessione. Ripara le tue mancanze e i tuoi errori ordinari con la pazienza nelle avversità; accoglile con volto sereno, senza alcun turbamento, qualsiasi esse siano: infermità, molestie delle creature o anche quelle che avverte lo spirito per la contraddizione delle passioni e per la lotta contro i nemici invisibili e spirituali. Ben puoi patire per tutto questo, e lo devi, tollerandolo con fede, speranza e magnanimità di cuore e di mente, poiché ti avverto che non vi è esercizio più vantaggioso e utile all'anima quanto il soffrire: esso dà luce, disinganna, distoglie dalle cose terrene e conduce al Signore. Ricordati che sua Maestà viene sempre incontro al debole, liberandolo e proteggendolo, perché egli sta dalla parte del tribolato.


CAPITOLO 16

Si narra come Cristo nostro salvatore fu condotto alla casa del sommo sacerdote Caifa, dove venne accusato ed interrogato; il rinnegamento di Pietro per altre due volte; ciò che Maria santissima fece in questa occasione ed altri arcani misteri.



1268. Dopo che il nostro Salvatore ebbe ricevuto gli affronti e lo schiaffo, Anna lo mandò così com'era, legato ed incatenato, a Caifa, suo genero. Questi, esercitando in quell'anno l'ufficio di sommo sacerdote, aveva già riunito gli scribi e gli anziani del popolo per istruire il processo dell'innocentissimo Agnello. Frattanto i diavoli, vedendo l'invincibile pazienza e la mitezza che il Signore degli eserciti mostrava di fronte alle ingiurie subite, stavano come attoniti, invasi da una confusione e da un furore indicibili. Non riuscivano a penetrare i suoi sentimenti e le sue idee, e nelle azioni esterne, di cui si servivano per sondare il cuore delle altre persone, non ritrovavano alcun movimento disordinato. Egli, d'altra parte, non si lamentava né sospirava né concedeva alcun piccolo sollievo alla sua umanità, e perciò il dragone, di fronte a tanta grandezza d'animo, si meravigliava e si affliggeva come dinanzi a cosa inaudita, mai vista tra i mortali di natura passibile e fragile. Furibondo, allora, irritava i principi, gli scribi e i ministri affinché lo offendessero e maltrattassero ricoprendolo di abominevoli obbrobri: tutti - se la divina volontà lo permetteva - erano pronti ad eseguire quanto veniva loro suggerito.

1269. Quell'orda di spiriti infernali e di gente spietata partì dalla casa di Anna e, trattando Gesù ignominiosamente, con inesplicabile crudeltà, lo trascinò lungo le strade fino al palazzo di Caifa. Questa schiera violenta entrò con scandaloso tumulto e il Creatore dell'universo fu accolto dall'intero sinedrio tra forti risate e beffe, perché tutti lo vedevano soggetto ed arreso al loro potere e alla loro giurisdizione, dalla quale erano convinti che non avrebbe potuto più difendersi. Oh, segreto dell'altissima sapienza del cielo! Oh, stoltezza dell'ignoranza diabolica e del1'accecatissima goffaggine degli uomini! Oh, quale immensa distanza c'è tra voi e le opere dell'Altissimo! Il Re della gloria, potente in battaglia, vince i vizi, la morte e le colpe con le virtù della pazienza, dell'umiltà e della carità, e il mondo crede di averlo sottomesso con la superbia e la sua arrogante presunzione. Quale distacco intercorreva tra i pensieri di Cristo e quelli che tenevano in possesso tali esecutori di malvagità! L'Autore della vita offriva all'Onnipotente quel trionfo, che la sua mansuetudine e la sua umiltà acquistavano sul peccato, e pregava per i sacerdoti, gli scribi e tutti coloro che lo perseguitavano manifestando la sua pazienza, i suoi dolori e l'ignoranza degli accusatori. Maria santissima in quello stesso momento elevava una medesima supplica, intercedendo per i nemici suoi e del suo Unigenito; inoltre, lo accompagnava e lo imitava in quello che egli andava compiendo perché, come ho già detto molte volte, tutto le era noto. Tra il Figlio e la Madre vi era una dolcissima e mirabile corrispondenza, sommamente gradevole agli occhi dell'Eterno.

1270. Caifa, assistito da Lucifero con i suoi demoni, stava sulla cattedra acceso da una mortale gelosia e da una violenza rabbiosa contro il Maestro. Gli scribi e i farisei nei confronti del docile Agnello erano come lupi sanguinolenti davanti alla preda, e tutti insieme si rallegravano come fa l'invidioso quando vede avvilito e smarrito chi era più in alto di lui. Di comune accordo cercarono allora qualcuno che, subornato con donativi e promesse, rendesse qualche finta dichiarazione contro di lui. Giunsero quanti erano prevenuti, ma in quello che attestavano non concordavano fra sé, e quindi ciò che asserivano non poteva applicarsi a colui che per natura era l'innocenza e la santità stessa. Per non correre il rischio di vedersi confusi, i sommi sacerdoti presentarono altri due falsi testimoni, i quali deposero contro sua Maestà, asserendo di averlo udito affermare di essere tanto potente da distruggere il tempio di Dio fatto da mani di uomini, e da edificarne in tre giorni un altro che non fosse fabbricato da loro. Ma nemmeno tale attestazione sembrò conveniente, sebbene per mezzo di questa pretendessero di fornire una colpa nei suoi confronti: quella di usurpare il potere divino e di volersene appropriare. Del resto, quand'anche ciò fosse stato detto così, sarebbe stato ugualmente verità infallibile e non avrebbe potuto ritenersi errato o presuntuoso, poiché Gesù era realmente Dio. Tuttavia la deposizione era mendace perché egli non aveva pronunciato quelle parole come le riferivano i testimoni, che avevano ingiustamente inteso che egli parlasse di un tempio materiale. E difatti, quando i compratori e i venditori, scacciati fuori da esso, domandarono al Messia con quale autorità facesse ciò, la sua risposta fu: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere», riferendosi al tempio della sua santissima umanità che, disfatto da loro, egli avrebbe risuscitato al terzo giorno, come in effetti avvenne.

1271. Il nostro Redentore a tutte le calunnie che venivano scagliate contro di lui non ribatté. Caifa, vedendo allora il suo silenzio e la sua mitezza, si alzò dalla sedia e gli chiese: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Egli tuttavia non aprì bocca, perché tutti i membri del sinedrio non solo erano predisposti a non dargli credito, ma avevano anche il doppio intento che egli pronunciasse qualche espressione di cui servirsi per poterlo denigrare. Con questo volevano persuadere il popolo che quanto essi macchinavano contro costui era retto, e così la gente non sarebbe venuta a sapere che lo condannavano a morte senza una giusta causa. Il malvagio sacerdote, dinanzi all'umile tacere del Signore, invece di intenerire il suo cuore si infuriò ancor di più, vedendo resa vana la sua malizia. Frattanto satana stava molto attento alle opere del Salvatore, nonostante la sua intenzione fosse differente da quella del sommo sacerdote; infatti, egli pretendeva solo di irritare la sua pazienza oppure di obbligarlo a proferire qualche parola che gli permettesse di capire se fosse veramente Dio.

1272. Con questo proposito il dragone accese l'immaginazione di Caifa, affinché con grande collera ed autorità rivolgesse al Nazareno l'interrogativo: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». Questa domanda fu azzardata e piena di temerarietà e d'insipienza poiché trattenere il Maestro legato come reo, nel dubbio se fosse o non fosse vero Dio, era un delitto e una terribile sfrontatezza: l'indagine si sarebbe dovuta svolgere diversamente, secondo ragione ed equità. Ma egli, sentendosi invocare per il Dio vivo, adorò e venerò quel santissimo nome, benché pronunziato da lingua sacrilega. E in virtù di questa riverenza replicò: «Tu l'hai detto, anzi io vi dico che d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra del Padre, e venire sulle nubi del cielo». A questa divina dichiarazione i demoni e gli uomini si turbarono con effetti diversi. Lucifero e i suoi sentirono nell'intimo una forza superiore che li precipitò in un baratro, facendo sperimentar loro un atroce tormento, e non avrebbero ardito ritornare alla presenza di sua Maestà se l'altissima provvidenza non avesse nuovamente consentito loro di ricominciare a dubitare se egli avesse detto il vero, oppure avesse ribattuto in tal modo per liberarsi dai giudei. Con tale sospetto i principi delle tenebre fecero un ulteriore sforzo, uscendo un'altra volta in campo aperto: si riservava così per la croce, secondo la profezia di Abacuc, l'ultimo trionfo che su di essi e sulla morte avrebbe dovuto riportare il nostro Redentore, come in seguito vedremo.

1273. Il sommo sacerdote, invece di essere disingannato dalla risposta ricevuta, ne fu sdegnato; si alzò un'altra volta e, stracciandosi le vesti a prova dello zelo per l'Onnipotente, gridò: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Questa pazza ed abominevole avventatezza suonò veramente come una bestemmia, perché negò a Gesù la filiazione di Dio che per natura gli si addiceva e gli attribuì la colpa che per natura ripugnava. Tale fu la sua stoltezza da renderlo esecrabile e blasfemo quando affermò che bestemmiava colui che era la santità stessa! Egli, che poco prima, per ispirazione dello Spirito Santo, in virtù della sua dignità aveva preannunciato che conveniva che morisse uno solo affinché non perisse tutta la gente, non meritò per i suoi peccati di comprendere la stessa verità che proclamava; ma, essendo gli esempi e i giudizi dei governanti e dei superiori tanto influenti da muovere il popolo incline a lusingarli e ad adularli, quel malvagio sinedrio fu istigato ad irritarsi contro di lui. Tutti quanti ribatterono: «È reo di morte!», e contemporaneamente, aizzati dal demonio, scagliarono contro il mansuetissimo Agnello il loro diabolico furore: alcuni lo schiaffeggiavano, altri gli strappavano i capelli; alcuni gli sputavano sul venerabile viso, altri gli davano colpi sul collo. Ciò era una specie di vergognoso oltraggio, con il quale i giudei trattavano coloro che reputavano vilissime persone.

1274. Mai tra i mortali si inventarono ignominie più crudeli e disonorevoli di quelle che in quest'occasione furono commesse contro il Salvatore. San Luca e san Marco nei rispettivi Vangeli riportano che i soldati gli bendarono gli occhi e lo percossero con schiaffi e pugni, dicendogli: «Profetizza adesso, indovina: chi ti ha colpito?». Il motivo per cui gli coprirono il volto fu misterioso: dal giubilo con il quale egli pativa quegli obbrobri e quei vituperi ridondarono su di esso un fulgore ed una bellezza così straordinaria che riempirono di meraviglia e di angosciosa confusione tutti quegli esecutori di empietà. Essi invece, per dissimularla, attribuirono quello splendore a stregoneria e ad arte magica; come indegni di guardarla decisero nuovamente di ricoprire la faccia del Signore con un panno immondo, perché quella divina luce li tormentava e, inoltre, veniva a debilitare le forze con cui mettere in atto la loro collera. Tutti questi spregi ed abominevoli insulti, che egli subiva, erano visti e sofferti dalla sua santissima Madre nelle medesime parti e nello stesso momento. Vi era solo questa differenza: in lui i dolori erano causati dalle torture che gli erano inflitte; in lei erano provocati dalla mano dell'Altissimo, per volontà della stessa Regina. E naturalmente, se per l'intensità delle pene e delle angustie interiori ella veniva meno, era però subito sorretta e confortata dalla grazia divina per continuare a patire con il suo amato Figlio.

1275. I sentimenti che l'Unigenito esprimeva durante queste torture del tutto nuove e atroci sono indicibili e incomprensibili per ogni capacità umana. Solo Maria li conobbe pienamente al fine di imitarli con somma perfezione. Intanto il Maestro, sperimentando l'atrocità del dolore, andava sentendo compassione verso quelli che avrebbero dovuto seguire la sua dottrina e, nell'istante in cui con il suo esempio insegnava loro lo stretto cammino della santità, si volse a benedirli maggiormente. Anzi, in mezzo a quegli obbrobri e a quegli strazi, rinnovò ai suoi eletti le beatitudini che in precedenza aveva loro offerto e promesso. Riguardò amorevolmente gli uomini che avrebbero dovuto ricalcare le sue orme nella povertà di spirito dicendo: «Beati sarete nella penuria e nel distacco dalle cose terrene, perché con la mia passione e morte devo guadagnare il regno dei cieli, come pegno sicuro e certo della povertà abbracciata volontariamente. Beati saranno coloro che con mansuetudine soffriranno e tollereranno le avversità e i travagli, perché oltre al diritto di essere partecipi del mio gaudio, che acquisteranno per essere venuti dietro a me, possederanno anche gli animi umani con la dolce conversazione e la soavità delle virtù. Beati quelli che seminano nelle lacrime, perché in esse riceveranno il pane della vita e dell'intelletto, e raccoglieranno poi il frutto della felicità eterna».

1276. «Benedetti saranno anche quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché li soddisferò e sazierò in modo tale da oltrepassare tutti i loro aneliti, così nella grazia come nel premio della gloria. Benedetti quelli che avranno compassione di coloro che li offendono e li perseguitano nella misura in cui lo faccio io, perdonando ed offrendo a chi mi odia la mia amicizia e la mia grazia se la vuole accettare: io prometto ad essi, in nome del Padre mio, una copiosa misericordia. Siano benedetti i puri di cuore, che mi imiteranno crocifiggendo la loro carne per conservare il candore dello spirito: io prometto ad essi di farli giungere alla visione della mia divinità. Benedetti i pacifici che non contrappongono il proprio interesse di fronte ai malvagi, bensì li sopportano con animo semplice e tranquillo senza brama di vendetta: essi saranno chiamati figli miei, perché imitano il loro Padre celeste, ed io li riconosco e li imprimo nella mia mente e nel mio intimo adottandoli come miei. Siano beati ed eredi del mio regno tutti coloro che patiranno persecuzione a causa della giustizia, perché soffriranno con me, e dove sono io desidero che là siano per sempre anche loro. Rallegratevi voi, o poveri! Consolatevi voi, che siete e sarete mesti! Celebrate la vostra fortuna, voi piccoli e disprezzati dal mondo! E voi che patite con umiltà e pazienza, abbiate sempre la gioia interiore, affinché possiate seguirmi per i sentieri della verità. Rinunziate alla vanità; disdegnate il fasto e l'arroganza della fallace e menzognera Babilonia; passate per il fuoco e per le acque della tribolazione fin quando arriverete a me, che sono luce, verità e via all'eterno riposo e refrigerio».

1277. Mentre il nostro Salvatore era tutto preso da questi pensieri e dalle suppliche a favore dei peccatori, il consiglio dei maligni lo circondò e - come aveva predetto Davide - simile a un branco di cani arrabbiati lo investì, coprendolo di scherni, obbrobri, percosse e bestemmie. L'accortissima Vergine, che lo accompagnava in tutto, elevò per i nemici la stessa preghiera di intercessione del suo diletto, e nelle benedizioni che egli estese ai giusti ed ai predestinati si costituì come loro madre, rifugio e protettrice. Infine, a nome di tutti, innalzò cantici di lode e di ringraziamento al Signore perché nella sua accettazione e nel suo compiacimento riservava ai disprezzati e ai poveri un luogo così sublime. Tale motivazione e le altre, che avevano suscitato sentimenti di pietà in Cristo, la spinsero, per il resto della passione e della sua esistenza terrena, ad optare nuovamente e con incomparabile fervore per le ingiurie e le pene.

1278. San Pietro aveva seguito sua Maestà dall'abitazione di Anna a quella di Caifa, da lontano perché trattenuto e scoraggiato dal timore dei giudei. Tuttavia, egli vinceva in parte questo terrore con l'affetto che portava al suo Maestro e con il suo coraggio naturale. Tra la moltitudine di gente che entrava ed usciva dalla casa di Caifa, non gli fu difficile introdurvisi, protetto alquanto dall'oscurità della notte. Alle porte dell'atrio, però, lo vide un'altra serva, la quale, avvicinatasi ai soldati che anche lì stavano a scaldarsi al fuoco, disse: «Costui è uno di coloro che accompagnavano il Nazareno». Poco dopo uno dei circostanti esclamò: «In verità anche tu sei galileo ed uno di loro». Ma egli negò di nuovo e, giurando che non era suo seguace, si allontanò da essi. E benché fosse uscito fuori nel cortile, non se ne andò né poté farlo, perché frenato dall'amore e dalla compassione per i tormenti nei quali lasciava il Redentore, di cui desiderava vedere la fine. Stette allora a vagare e a spiare per circa un'ora dentro il palazzo finché un parente di Malco, lo schiavo del sommo sacerdote a cui aveva tagliato l'orecchio, lo riconobbe e soggiunse: «Tu sei galileo e discepolo di Gesù, io ti ho visto con lui nell'orto». Allora Pietro ebbe ancor più paura e cominciò ad imprecare e a giurare che non conosceva quell'uomo. Subito cantò il gallo per la seconda volta, e si adempì puntualmente la sentenza e la predizione dell'Unigenito: «Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte».

1279. Il dragone infernale procedette contro l'Apostolo con molta operosità per farlo cadere: dapprima mosse le serve, perché meno considerate, e poi i soldati, affinché le une e gli altri lo affliggessero con il loro interesse verso di lui e con le domande che gli rivolgevano. E allorché si accorse che era in pericolo e che incominciava a vacillare lo turbò con immaginazioni e timori. Per questa veemente tentazione, il primo rinnegamento fu semplice, il secondo con giuramento, e il terzo invece fu espresso da Pietro con l'aggiunta di imprecazioni ed esecrazioni contro se stesso. In questo modo, prestando attenzione alla crudeltà dei nostri avversari, da un peccato minore si passa ad uno più gravoso; ma egli sentendo il canto del gallo si ricordò dell'avviso del Signore, che in quell'istante voltatosi lo guardò con la sua liberale misericordia». Ed affinché lo rimirasse, intervenne la Regina, poiché dal cenacolo, dove si trovava in ritiro, si era mossa a pietà avendo appreso i rinnegamenti, il modo e le cause per le quali il futuro vicario di suo Figlio - angosciato dalla paura e molto più dalla spietatezza di Lucifero - li aveva commessi e, prostrandosi subito a terra, fra le lacrime presentò all'eterno Padre la fragilità di costui e i meriti di Cristo. L'Altissimo ridestò allora il suo animo, lo riprese benignamente e infuse in lui la luce necessaria perché riconoscesse la propria colpa. In quello stesso momento egli uscì dalla casa di Caifa con il cuore spezzato da intimo dolore e, piangendo amaramente per la sua caduta, si rifugiò in una grotta, che adesso chiamano del Gallicanto, dove fortemente scosso si pentì con vivo dispiacere. In tre ore ritornò in grazia ed ottenne il perdono, benché le sante ispirazioni gli fossero sempre state date. In questo tempo la purissima Madre gli inviò uno dei suoi angeli, affinché di nascosto lo consolasse e ravvivasse in lui la speranza; difatti, in mancanza di tale virtù, avrebbe potuto essergli ritardata la clemenza divina. Il messaggero celeste, poiché era trascorso così poco da quando era stata commessa tale mancanza, partì con l'ordine di non manifestarglisi; eseguì allora tutto puntualmente senza essere visto dal gran penitente, che restò confortato e perdonato per l'intercessione di Maria.

Insegnamento della Regina del cielo

1280. Carissima, il misterioso avvicendarsi degli obbrobri e degli affronti che subì sua Maestà è un libro chiuso da aprire e penetrare soltanto con l'illuminazione superna. Ed è così che tu lo hai compreso e che in parte ti è stato manifestato, benché tu stia per scrivere molto meno di quello che hai inteso, non potendo dichiarare tutto. Intanto io voglio che nella misura in cui esso si sfoglia davanti a te e ti si fa chiaro rimanga impresso in te; desidero anche che, nella cognizione di un esempio così vivo e vero, tu apprenda la sublime scienza che la carne ed il sangue non ti possono spiegare, perché il mondo non la conosce né è degno di conoscerla. Questa filosofia consiste nell'assimilare ed amare la felicissima sorte degli indigenti, degli umili, degli afflitti, dei disprezzati e di tutti coloro che rimangono anonimi ai figli della vanità. Il nostro Salvatore stabilì questa dottrina nella sua Chiesa, quando sul monte predicò e propose a tutti le otto beatitudini. E, come un dottore pronto ad eseguire l'insegnamento annunciato, lo mise in pratica quando tra gli obbrobri della passione ne ripropose il valore, secondo quanto hai già riportato. Ora, sebbene i cattolici tengano aperto dinanzi ai loro occhi il libro della vita e ne abbiano presente il contenuto, sono molto pochi e contati quelli che frequentano la scuola divina per studiare su di esso, mentre sono numerosi quelli che stolti ed insensati lo ignorano e non sono disponibili ai suoi consigli.

1281. Tutti aborriscono la povertà e sono assetati di ricchezze dalla cui fallacia non vengono disingannati. Infiniti sono quelli che perseguono l'ira e la vendetta, e disdegnano la mansuetudine. Pochi piangono le vere miserie, in cui incorrono per le trasgressioni, mentre molti si affannano per la terrena consolazione. A stento vi è chi ami la giustizia, e chi non sia ingiusto e sleale con il prossimo. La clemenza si vede estinta, la schiettezza dei cuori violata ed oscurata, la pace distrutta; nessuno perdona e tutti non solo non vogliono patire per giustizia, ma meritando di soffrire molti castighi e tormenti ingiustamente fuggono da essi. Perciò sono pochi i beati che vengono raggiunti dai miei favori e da quelli del mio Unigenito. Molte volte ti è stato palesato il dispiacere e il legittimo sdegno dell'Onnipotente contro i maestri della fede, i quali dinanzi al loro modello e Maestro vivono quasi come infedeli. Addirittura molti altri sono ancora più detestabili, perché dispregiano il frutto della redenzione pur confessandolo e nella terra dei santi operano il male con empietà, rendendosi indegni del rimedio che con larga clemenza fu loro concesso.

1282. Da te voglio che lavori duramente per giungere ad essere beata, ricalcando perfettamente e integralmente le mie orme secondo le forze che ricevi, al fine di intendere ed eseguire questa dottrina nascosta ai prudenti e ai saggi del mondo. Ecco che allora ogni giorno ti rivelo nuovi segreti della mia sapienza, affinché il tuo intimo si infiammi e tu prenda animo per stendere le mani a cose grandi. Ora ti propongo un esercizio che io praticai e nel quale tu potrai in parte imitarmi. Già sai che dal primo istante della mia concezione fui piena di grazia, senza macchia di peccato originale e senza essere partecipe dei suoi effetti: ed è per questo singolare privilegio che fui beata per virtù, senza sentire ripugnanza né alcuna contraddizione da vincere, e senza trovarmi debitrice di qualcosa per errori propriamente miei. Eppure la scienza divina mi insegnò che io come donna, essendo traviata per natura, anche se non ero toccata dalla colpa, dovevo abbassarmi fino a lambire la polvere. E poiché ero provvista degli stessi sensi di coloro che avevano commesso la disobbedienza, con i suoi malvagi effetti che sin d'allora si sperimentano, dovevo per questa sola parentela avvilirli e frenarli nell'inclinazione che istintivamente riportavano. Così io procedevo come una figlia fedele che consideri come suo il debito del padre e dei fratelli, benché non le appartenga, e cerchi in tutti i modi di pagarlo e soddisfarlo con tanta maggiore diligenza quanto più ama i suoi familiari, e quanto meno essi possono disobbligarsi. Ciò io operavo verso tutto il genere umano, piangendo i suoi errori e le sue miserie; e poiché ero discendente di Adamo, mortificavo in me i sensi e le facoltà con cui egli aveva mancato, e mi umiliavo come se fossi coperta, oberata e rea della sua trasgressione, nonostante non mi riguardasse, e lo stesso facevo per gli altri uomini, miei fratelli. Tu non puoi seguirmi in tali azioni perché non sei scevra della colpa, ma questo ti obbliga ad emularmi nel resto che io attuavo. Il possesso del peccato originale e il dovere di soddisfare alla giustizia superna ti devono spingere ad affaticarti senza interruzione per te stessa e per gli altri, e a piegarti sino a terra, affinché il tuo cuore contrito inclini la pietà celeste ad usar misericordia.



CAPITOLO 17

Le sofferenze che patì il nostro salvatore Gesù durante la notte del rinnegamento di Pietro e il gran dolore della sua santissima Madre.

1283. I santi evangelisti hanno fatto passare sotto silenzio i patimenti di Gesù nella notte del rinnegamento di Pietro e gli insulti che ricevette nella casa di Caifa, mentre tutti e quattro riferiscono la nuova consultazione fatta tra i membri del sinedrio per presentarlo a Pilato, come si vedrà nel capitolo seguente. Io allora dubitai se fosse opportuno proseguire il mio racconto e manifestare quanto mi era stato dato di comprendere, perché nel contempo mi fu fatto capire che nel nostro pellegrinaggio terreno non ci sarà svelata ogni cosa, né conviene che si dica a tutti ciò di cui si viene a conoscenza, poiché nel giorno del giudizio saranno palesati questo ed altri misteriosi eventi della vita e della passione del nostro Redentore. Inoltre, su quanto io posso dichiarare, non trovo parole adeguate al mio pensiero e molto meno all'oggetto che concepisco, perché l'argomento è ineffabile e superiore alla mia capacità. Tuttavia, per obbedire, esporrò quello che mi sarà concesso di intendere, per non essere ripresa per aver taciuto una verità così sublime da confondere e condannare la vanità e la dimenticanza umana. Confesso dinanzi al cielo la mia durezza a non morire di vergogna e dolore, per aver commesso colpe che tanto costarono a quel Dio che mi diede l'esistenza: non possiamo negare l'orrore e la gravità del peccato che fece strazio dell'Autore della grazia e della gloria. Sarei la più ingrata di tutti gli uomini, al pari dello stesso demonio, se da oggi in poi non aborrissi la colpa più della morte: questo debito desidero trasmettere e ricordare a tutti i cattolici, figli della Chiesa.

1284. L'ambizioso sommo sacerdote, di fronte alle torture che Cristo nostro bene subiva silenziosamente alla sua presenza, si accese d'invidia, mentre i suoi collaboratori, non appagati di ciò che veniva messo in atto contro la divina persona, fremettero d'ira. Passata la mezzanotte, deliberarono che il Salvatore restasse ben custodito fino al mattino, per avere la certezza che non potesse fuggire mentre dormivano. Ordinarono perciò di rinchiuderlo, legato com'era, in un sotterraneo che serviva per far scontare l'ergastolo ai peggiori ladroni e facinorosi dell'impero. Questo carcere era senza luce e così sporco e maleodorante che, se non fosse stato ben chiuso, avrebbe potuto infettare l'intera abitazione; difatti, erano parecchi anni che non veniva pulito sia perché assai profondo, sia perché non si facevano molti scrupoli di confinare le persone più inique in quell'orribile luogo, ritenendole gente indegna di ogni pietà, bestie indomite e feroci.

1285. Eseguito subito l'ordine del malvagio consiglio, il Creatore dell'universo fu portato in quell'immondo e tenebroso luogo. E poiché seguitava a stare legato nello stesso modo in cui era stato condotto dal Getsèmani, quei malviventi poterono continuare con sicurezza a sfogare su di lui lo sdegno che il principe delle tenebre somministrava loro incessantemente: ora lo tiravano per le corde, ora lo trascinavano con disumano furore, con percosse esecrabili. La prigione descritta in un angolo presentava una sporgenza, talmente resistente da non essere mai stata smussata, a cui venne spietatamente attaccato con l'estremità delle corde sua Maestà, che, lasciato in piedi con il corpo ricurvo, non aveva possibilità di sedersi e rialzarsi per un piccolo sollievo: questo si rivelò una tortura nuova ed estremamente penosa. I soldati, abbandonandolo così, serrarono le porte con le chiavi che consegnarono ad un custode perché ne avesse cura.

1286. Il dragone infernale nella sua recondita superbia non aveva riposo; bramava sempre di poter sapere se costui fosse il Messia e, per irritarne l'eccelsa pazienza, macchinò un'altra malvagità. Infuse nell'immaginazione della guardia depravata l'intento di invitare alcuni amici, dai costumi simili ai suoi, per scendere tutti insieme nella fossa e trattenersi alquanto a prendere in giro il mansuetissimo Agnello: volevano obbligarlo a profetizzare ed a fare qualcosa di inaudito, poiché lo ritenevano un mago o un indovino. Con questa diabolica suggestione Lucifero eccitò anche altri sgherri inducendoli ad eseguire le perfide molestie che avevano pensato. E mentre essi si riunivano per decidere, molti degli angeli che assistevano Gesù nel martirio, vedendolo in un posto tanto ignobile, stretto in quella dolorosa posizione, subito si prostrarono davanti a lui, adorandolo come vero Dio. Inoltre, gli resero riverenza e culto tanto più profondi quanto più lo riconobbero mirabile nel permettere di farsi insultare per l'amore che portava ai mortali, e gli elevarono alcuni inni e cantici composti da Maria. In nome della stessa Signora, lo pregarono che, quantunque non volesse mostrare la potenza della sua destra nell'innalzare la sua santissima umanità, almeno desse loro il permesso di alleviargli il tormento e difenderlo da quella schiera di malvagi, che incitata dal diavolo si preparava ancora ad offenderlo.

1287. Il nostro Maestro non accettò un ossequio così particolare e disse: «Ministri dell'eterno Padre, non è mia volontà avere sollievo in questo momento. Io desidero sopportare gli affronti per soddisfare la carità ardente con la quale amo i discendenti di Adamo, e lasciare ai miei eletti un esempio, affinché mi imitino e non si perdano d'animo nelle tribolazioni, tenendo presenti i tesori della grazia che ho procurato ad essi con abbondanza. In tal modo io voglio giustificare la mia causa perché nel giorno della mia ira sia manifesta ai reprobi la giustizia con cui saranno condannati per aver disprezzato l'acerbissima passione, che io ho accettato per procurare il loro rimedio. Dite a colei che mi ha generato che si consoli in quest'afflizione, sino a quando non arriverà il giorno della gioia e del riposo, e mi accompagni adesso nell'opera della redenzione, poiché dal suo compassionevole affetto e da tutto ciò che fa io ricevo soddisfazione e compiacimento». Dopo questa risposta, i messaggeri superni ritornarono dalla Regina e con queste rassicuranti parole la confortarono, benché ella tramite un'altra via di conoscenza non ignorasse il volere di patire del suo Unigenito e tutto ciò che succedeva nella casa di Caifa. E quando ebbe notizia della nuova crudeltà con la quale i soldati lo avevano attaccato e della condizione tanto dura in cui era stato lasciato, la purissima Vergine provò nella sua delicatissima persona lo stesso dolore, avvertendo anche quello dei pugni, degli schiaffi e degli obbrobri che erano stati riservati all'Autore della vita. Nel corpo della candidissima colomba tutto risuonava come un'eco miracolosa: stesso dardo feriva il Figlio e la Madre, stesso coltello trapassava entrambi, con la sola differenza che egli soffriva come uomo-Dio e unico salvatore dell'umanità, ella come semplice creatura e coadiutrice del beneplacito divino.

1288. Quando l'amorosa Principessa seppe che Gesù permetteva l'ingresso nel carcere a quei vilissimi malfattori, pianse amaramente per quanto stava per accadere. Prevedendo i perversi propositi di Lucifero, fu molto prudente ad usare il suo potere regale e ad impedire che si eseguisse contro il suo diletto qualche atto indecoroso, come costui stava macchinando. Difatti, sebbene tutte le azioni tramate fossero indegne e di somma irriverenza, in alcune vi poteva concorrere minore decenza: queste erano quelle che il nemico cercava di inculcare nelle guardie per provocare lo sdegno di Cristo, quando vedeva che con le altre molestie intentate non era riuscito ad irritare la sua mansuetudine. Furono talmente rare, ammirevoli, eroiche e straordinarie le opere compiute da Maria in questa circostanza ed in tutto il corso della passione, che non si possono giustamente riferire né lodare, benché su tale argomento siano stati scritti molti libri: è ineluttabile, allora, rimettere tutto ciò al tempo della visione beatifica, perché è così sublime da non potersi narrare in questa vita.

1289. Quei ministri del peccato entrarono nel sotterraneo, celebrando con ingiurie la festa che avevano deciso di fare tra derisioni e beffe contro il Signore. Avvicinatisi a lui, incominciarono a sputargli in faccia in modo nauseante, schernendolo e dandogli schiaffi con incredibile sfacciataggine; ma egli non rispose né aprì bocca né alzò lo sguardo, serbando sempre sul volto un'umile serenità. Quei farabutti volevano obbligarlo a parlare oppure a fare qualcosa di ridicolo o straordinario, al fine di avere ancora un'occasione per appellarlo come stregone e burlarsi di lui. Allorché si accorsero invece della sua imperturbabile mitezza, si lasciarono maggiormente irritare dai diavoli: lo sciolsero dalla roccia a cui stava legato e lo posero in mezzo alla prigione, bendandogli con un panno i santissimi occhi. Accerchiatolo incominciarono uno dopo l'altro a percuoterlo con pugni sotto il mento e schiaffi, chiedendogli di indovinare chi fosse colui che lo aveva colpito; ciascuno faceva a gara per superare gli altri nelle derisioni e nelle bestemmie. In quest'occasione, essi pronunciarono parole blasfeme ancor più fieramente che alla presenza di Anna.

1290. Alla pioggia di obbrobri il mansuetissimo Agnello non ribatteva. Frattanto, satana bramava che facesse qualche gesto contro la pazienza, crucciandosi nel vedere come questa virtù rimanesse immutabile in lui. Infuse, allora, nell'immaginazione di quei suoi amici l'infernale decisione di spogliarlo di tutte le vesti e di trattarlo come aveva escogitato nella sua esecrabile mente. A questa suggestione quegli iniqui non fecero resistenza, risolvendo di concretizzarla subito. La prudentissima Vergine con preghiere, lacrime e sospiri e con l'autorità di regina impedì l'abominevole sacrilegio, implorando il Padre che non concorresse con le cause seconde in tali azioni delittuose. Ingiunse così a quei ministri di empietà di non usare la loro forza naturale per effettuare quanto avevano ordito e, per questa potenza, essi non poterono realizzare niente di ciò che il serpente con la sua malizia aveva loro suggerito, poiché dimenticavano immediatamente molte cose che desideravano fare tralasciandone altre, e rimanevano con le braccia irrigidite sino a quando non ritrattavano la loro perversa iniziativa. Nel desistere ritornavano nello stato normale, perché quel miracolo non era compiuto per castigarli, ma solo per impedire gli atti più ignobili; infatti, era loro consentito di eseguire solamente le irriverenze che rientravano nel beneplacito superno.

1291. La potentissima sovrana comandò anche ai demoni che tacessero e non incitassero più a simili oltraggi. Da questo ordine il dragone restò schiacciato e reso inabile in ciò a cui si estendeva la volontà di diniego della Madre; fu allora impossibilitato ad aizzare ulteriormente la stolta rabbia di quei delinquenti, che pertanto non furono più in grado di dire o fare qualcosa di indecoroso, se non nell'ambito loro permesso. Tuttavia essi, pur sperimentando in sé tutti quegli effetti mirabili e alquanto insoliti, non meritarono di disingannarsi né di riconoscere il potere divino e, benché in quel frangente si sentissero ora storpi ora liberi e sani, attribuivano il repentino cambiamento a facoltà di stregone e di mago, ritenendo tale il Maestro della verità e della vita. Con questo diabolico errore perseverarono nel fare altre burle infamanti e nell'infliggere nuovi tormenti a Cristo, fin quando si accorsero che la notte era già molto avanzata. Ritornarono allora a legarlo alla roccia e lasciandolo lì attaccato uscirono con i ministri infernali. Per disposizione dell'eccelsa sapienza fu affidata alla gran Signora la difesa dell'onestà e della dignità del suo Unigenito, perché queste non venissero offese.

1292. Il nostro Salvatore rimase nuovamente solo in quella fossa, assistito però dagli angeli che, stupefatti delle sue opere e dei segreti giudizi in ciò che aveva voluto patire, lo adoravano e lo benedicevano magnificando ed esaltando il suo santo nome. Egli elevò una lunga orazione all'Eterno, pregandolo per i futuri cristiani, per la propagazione della fede e per gli apostoli, intercedendo particolarmente in favore di san Pietro, che in quel momento si rammaricava e piangeva il proprio peccato. Raccomandò anche quelli che lo avevano ingiuriato e deriso, e soprattutto invocò l'Onnipotente per Maria e per coloro che a sua imitazione sarebbero stati afflitti e disprezzati dal mondo: per tutti questi fini offrì la passione che già incombeva su di lui. Nel contempo la celeste Principessa, addolorata, lo accompagnava innalzando le stesse suppliche a vantaggio dei figli della Chiesa e dei nemici, senza turbarsi né risentire sdegno contro questi ultimi. Nutriva disprezzo solo verso Lucifero, perché incapace di aprirsi alla grazia a causa della sua irreparabile ostinazione, e con profondi gemiti parlò all'Altissimo:

1293. «Bene dell'anima mia, siete degno di ricevere l'onore e la lode degli esseri viventi: tutto a voi è dovuto, perché siete immagine del Padre e impronta della sua sostanza, infinito nel vostro essere e nelle vostre perfezioni; siete principio e fine di ogni santità. Se tutto è stato creato per adempiere docilmente il vostro volere, come mai adesso disprezzano, insultano e oltraggiano la vostra persona, meritevole del loro supremo culto e della somma venerazione? Come mai si è tanto innalzata la malizia dei mortali? Come mai si è tanto inoltrata la superbia sino a mettere la bocca nel cielo? Come può esser diventata così potente l'invidia? Voi siete l'unico splendido sole di giustizia che illumina e dissipa le tenebre dell'errore. Siete la sorgente della grazia, che non è negata a nessuno se la vuole. Siete colui che per liberalità date l'essere, il movimento e la conservazione. Tutto dipende da voi ed ha bisogno di voi, senza che voi abbiate bisogno di niente. Che cosa dunque hanno visto nelle vostre opere? Che cosa di tanto gravoso hanno ritrovato in voi perché siate così offeso e maltrattato? O atrocissima bruttura del peccato, che hai sfigurato la bellezza del cielo ed oscurato lo splendore del suo venerabile volto! O sanguinolenta fiera, che senza umanità tratti il riparatore stesso dei tuoi danni! Figlio mio, io so già che siete l'artefice del vero amore, l'autore del riscatto, il maestro, il Signore degli esercititi, e che voi stesso mettete in pratica la dottrina insegnata agli umili discepoli della scuola divina. Voi abbassate l'alterigia, confondete l'arroganza e siete esempio di salvezza perenne. Ma se volete che ciascuno imiti la vostra ineffabile carità e la vostra infinita mitezza, spetta a me farlo per prima; a me che offrii il mio corpo per rivestirvi della carne passibile, nella quale ora siete percosso, riempito di sputi e schiaffeggiato. Oh, potessi subire io sola tante pene e voi, innocentissimo tesoro mio, restarne privo! Ma se ciò non è possibile, patisca almeno io con voi sino alla fine. E voi, spiriti superni che, stupefatti della sua mansuetudine, conoscete la sua immutabile divinità e l'innocenza e la nobiltà della sua vera umanità, ricompensatelo delle ingiurie e delle bestemmie. Dategli magnificenza e gloria, sapienza, virtù e fortezza. Invitate gli astri, i pianeti, le stelle e gli elementi affinché tutti lo confessino, e considerate se per caso vi sia un altro dolore simile al mio». Queste ed altre struggenti parole proferiva la purissima Regina, sospirando alquanto nell'amarezza del suo cordoglio.

1294. Nel corso della passione la pazienza della Vergine fu incomparabile: non le parve mai troppo quello che sopportava, non considerando il peso dei suoi tormenti uguale a quello del suo affetto, che misurava sull'amore, sulla dignità di Gesù e sulle torture a lui inflitte. Inoltre, per tutte le insolenze lanciate contro di lui, ella nutrì il desiderio di sentirle su di sé e, pur non reputandole proprie, le pianse perché rivolte contro la divina persona e ritorte a danno degli aggressori stessi. Pregò per tutti costoro, affinché l'Onnipotente li perdonasse, li allontanasse dalla colpa e da ogni male, e li illuminasse con la sua luce, cosicché anch'essi conseguissero il frutto della redenzione.

Insegnamento della Regina del cielo

1295. Carissima, sta scritto nel Vangelo che l'Altissimo diede al suo e mio Unigenito il potere di condannare i reprobi nel giudizio universale. In quel giorno tutti coloro che saranno considerati rei vedranno e riconosceranno la sua santissima umanità, nella quale furono riscattati tramite il suo martirio. Per di più, sarà lo stesso Signore a chiedere ai peccatori di rendere conto delle loro azioni e, siccome non gli potranno rispondere né dare soddisfazione, questa vergogna sarà il principio della punizione che riceveranno per la loro ostinata ingratitudine. Allora sarà palese la misericordia di Dio in tutta la sua grandezza, ma anche la giustizia, perché i cattivi saranno meritevoli del castigo eterno. Enormi e acerbissime furono le sofferenze che patì il mio santissimo Figlio, particolarmente per coloro che non avrebbero guadagnato gli effetti della redenzione. Mentre veniva torturato, il mio cuore si sentì trapassato, come pure nel guardarlo coperto di sputi, schiaffeggiato, bestemmiato ed afflitto con torture tanto empie che non si possono comprendere nell'esistenza terrena. Io ebbi di ciò una chiara visione e la mia angoscia fu conforme alla rivelazione datami. Ma le tribolazioni peggiori furono provocate dalla consapevolezza che molti si sarebbero dannati nonostante il supplizio di sua Maestà.

1296. Desidero che tu mi accompagni in questi patimenti, che mi imiti e che gema sopra una così lamentevole sciagura; tra i mortali non ve n'è un'altra degna di essere deplorata tanto amaramente, né vi è strazio che si possa paragonare ad essa. Sono pochi nel mondo quelli che riflettono su tale verità con la dovuta ponderazione, ma il Maestro ed io li accogliamo con speciale compiacimento, perché ci seguono sulla via dei dolori e si affliggono per la perdizione di tante anime. Cerca di distinguerti in quest'esercizio ben accetto al sommo sovrano. Devi però essere al corrente delle sue promesse: a colui che chiederà sarà dato, a chi griderà sarà aperta la porta dei suoi infiniti tesori. Ed affinché tu sappia cosa offrirgli, imprimi nella memoria le pene procurate al tuo sposo, per mano di uomini vili e depravati, e l'invincibile pazienza, la mansuetudine, il silenzio con cui egli si assoggettò alla loro iniqua volontà. Tenendolo presente come modello, d'ora innanzi tenta con tutte le forze di mantenerti immune dall'irascibilità e da ogni altra passione che attanaglia i discendenti di Adamo; fa' che si generi in te un profondo rifiuto della superbia che disprezza ed offende il prossimo. Supplica inoltre il Padre perché ti conceda mitezza, affabilità e amore verso la croce: stringiti ad essa, prendila con pio affetto e va' dietro a Cristo, affinché tu giunga a possederlo.


CAPITOLO 18

La riunione del consiglio per la conclusione del processo contro il salvatore Gesù; la decisione di rimetterlo a Pilato; l’accorrere di Maria santissima verso il Figlio con san Giovanni evangelista e le tre Marie.

1297. Gli evangelisti narrano che gli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi - molto rispettati dal popolo per la conoscenza che avevano della legge - si riunirono all'alba del venerdì mattina in casa di Caifa, dove sua Maestà si trovava imprigionato. I membri del sinedrio di comune accordo volevano concludere il processo di Gesù con la condanna a morte, come tutti bramavano, pennellando a tal fine la causa del colore della giustizia per soddisfare la gente. Ordinarono allora che egli fosse condotto davanti a loro allo scopo di interrogarlo nuovamente. I soldati subito scesero alla cella e, accostatisi a lui per scioglierlo dalla roccia, con grandi risa e beffe dissero: «Ehi, Nazareno, quanto poco ti sono giovati i miracoli per difenderti! Non ti tornerebbero ora a vantaggio, per fuggire, quelle arti con le quali raccontavi che in tre giorni avresti riedificato il tempio? Vieni, ti aspetta l'intero consiglio per mettere fine ai tuoi inganni e darti in potere a Pilato, in modo che la finisca con te in un solo colpo». Il Signore si lasciò slegare e portare di fronte ai sommi sacerdoti senza aprire bocca e, pur essendo sfigurato ed indebolito dai tormenti, dagli schiaffi e dagli sputi, dai quali avendo le mani incatenate non si era potuto pulire, non suscitò in loro compassione; tanta era l'ira che nutrivano contro di lui!

1298. Gli fu chiesto per la seconda volta se egli fosse il Cristo, cioè l'Unto, con intenzione maliziosa, quindi non per sentire ed accettare la sua affermazione, ma per denigrarla ed imputargliela come accusa. Tuttavia, egli non volle negare la verità per la quale desiderava morire, ma nemmeno confessarla, affinché non la disprezzassero e la calunnia non apparisse realtà. Moderò, perciò, la risposta offrendo la possibilità ai farisei, se avessero avuto ancora un briciolo di pietà, d'investigare con zelo il mistero nascosto nelle sue parole; se non l'avessero avuto si sarebbe capito che la colpa stava nel loro malvagio intento e non già nella sua dichiarazione. Dunque proferì: «Anche se ve lo dicessi, non mi credereste; se vi interrogassi non mi rispondereste e non mi sleghereste. Vi dico, però, che da questo momento il Figlio dell'uomo starà seduto alla destra della potenza di Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». E ciò corrispose a dir loro: è ben legittima la conseguenza da voi tirata, che io sono il Figlio di Dio, perché le mie azioni e la mia dottrina, le vostre Scritture e tutto ciò che adesso operate con me attestano che io sono il Messia promesso.

1299. Ma siccome quell'assemblea di maligni non era disposta ad accogliere la verità divina - benché, se avesse voluto ragionare, avrebbe ben potuto ravvisarla e crederla - non la comprese né le diede importanza, anzi la ritenne un'asserzione blasfema e degna di condanna. Vedendo che l'Unigenito confermava ciò che prima aveva rivelato, tutti urlarono: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». E subito, concordemente, decretarono che fosse presentato a Ponzio Pilato, che governava la provincia della Giudea in nome dell'imperatore romano come signore della Palestina. In effetti, secondo le leggi che vigevano allora, le cause di sangue o di morte erano riservate al senato o all'imperatore, oppure ai suoi ministri, che reggevano le province lontane, senza essere lasciate al giudizio degli stessi abitanti. Difatti, i romani avevano stabilito che questioni così gravi, quali erano quelle di togliere la vita, si discutessero con maggiore attenzione, affinché nessun reo fosse punito senza essere stato prima ascoltato, e senza che gli fosse stato concesso del tempo e un luogo per la sua difesa, giacché in quest'ordine di giustizia essi si conformavano, molto più delle altre nazioni, alla legge naturale della ragione. Nella causa del Redentore i sommi sacerdoti e gli scribi vollero che un pagano come Pilato emettesse la sentenza da loro agognata, al fine di poter proclamare che sua Maestà era stato condannato dal governatore, il quale non lo avrebbe fatto se l'accusato non lo avesse meritato. Sino a tal punto i membri del sinedrio erano ottenebrati dal peccato e dall'ipocrisia, quasi non fossero stati essi stessi più sacrileghi del giudice gentile ed autori di tanta scelleratezza! Ma l'Altissimo dispose che ciò si manifestasse a tutti mediante quello che operarono con Pilato, come ora vedremo.

1300. Quegli empi condussero il nostro Salvatore dal palazzo di Caifa a quello del governatore, per presentarglielo come un malfattore, legato con le catene e le corde con le quali lo avevano catturato. Allora Gerusalemme era piena di gente proveniente da tutte le parti della Palestina per celebrare la Pasqua dell'agnello e degli azzimi. A causa del clamore che già si era sparso, e per la notizia che tutti avevano del Maestro, una innumerevole moltitudine si precipitò a vederlo flagellato e trascinato lungo le strade. Dinanzi ad uno spettacolo così osceno e raggelante la folla si divise in varie opinioni. Alcuni gridavano: «Muoia, muoia questo malvagio ed impostore, che ha ingannato il mondo»; altri sostenevano che la sua dottrina e le sue opere non sembravano tanto cattive, perché aveva fatto molto bene a tutti; altri ancora, quelli che avevano creduto in lui, si affliggevano e piangevano. L'intera città era pervasa dalla confusione e dall'agitazione. Lucifero con i suoi demoni stava molto attento a quanto succedeva e, scoprendosi misteriosamente sopraffatto e tormentato dall'invincibile pazienza del mansuetissimo Agnello, con insaziabile furore impazziva nella rabbia e nella sua stessa superbia: sospettava che quelle virtù, tanto sublimi da sorprenderlo, non potessero appartenere ad un semplice uomo. D'altra parte presumeva che il lasciarsi maltrattare e disprezzare in maniera così eccessiva ed il patire tanta debolezza nel corpo non potessero concordare con l'identità di vero Dio. «Se lo fosse - pensava - la natura divina nel comunicarsi a quella umana avrebbe trasmesso effetti così grandi e potenti da non farla venir meno e da non permettere ciò che in essa si sta compiendo». Il dragone congetturava in questo modo perché era all'oscuro del segreto superno: Gesù aveva sospeso gli effetti che avrebbero potuto ridondare dalla divinità all'umanità, affinché le sue sofferenze potessero raggiungere il sommo grado. Con questi dubbi si inviperiva ancor più contro il Messia e, vedendolo tollerare all'inverosimile quelle atrocità, si ostinava a perseguitarlo volendo conoscere chi realmente fosse.

1301. Era già spuntato il sole quando si verificarono tali eventi. L’afflitta Madre, che osservava ogni cosa, decise di abbandonare il luogo del suo ritiro per seguire direttamente le vicende del Figlio ed accompagnarlo alla croce; ma mentre usciva dal cenacolo, san Giovanni, ignorando la visione che ella aveva, sopraggiunse a riferirle l'accaduto. Dopo il rinnegamento di Pietro, egli si era messo un po' da parte interessandosi solo da lontano di ciò che avveniva. Ammetteva di essere colpevole per essere fuggito dall'orto degli Ulivi e non appena si trovò dinanzi alla Regina la venerò, chiedendole perdono tra le lacrime; quindi le confessò il suo rammarico e tutto quello che aveva fatto e sperimentato stando con Cristo. Gli parve opportuno prevenire Maria affinché, alla vista del suo diletto, non restasse tanto trafitta e addolorata dall'insolito e straziante spettacolo. E, per descriverlo al più presto, le rivolse queste parole: «Oh, mia Signora, quanto è tribolato il nostro Redentore! Non è possibile guardarlo senza che il cuore si spezzi. Il suo bellissimo volto è tanto deturpato e sfigurato dagli schiaffi, dai colpi, dagli sputi che a malapena lo riconoscereste». La prudentissima sovrana, dopo aver ascoltato con tanta premura quanto le era stato riferito - come se non fosse stata al corrente di quelle vicende -, si angustiò sciogliendosi in un amarissimo pianto. Le sante discepole che erano con lei la udirono gemere ed anch'esse rimasero con l'intimo trapassato dal cordoglio e dallo stupore nell'apprendere la triste notizia. La Principessa impose all'Apostolo di seguirla con le devote donne, alle quali suggerì: «Affrettiamo il passo, perché gli occhi miei vedano il Verbo del Padre che nel mio seno prese sembianze umane. E voi vi accorgerete, o carissime, di quanto possa sul mio Dio l'amore che porta ai discendenti di Adamo e di quanto gli costi redimerli dal peccato e dalla morte e aprir loro le porte del cielo».

1302. La Vergine si incamminò per le strade di Gerusalemme, insieme a Giovanni e ad alcune sante compagne, tra cui le tre Marie ed altre fedelissime che l'assistevano sempre. Pregò i divini messaggeri addetti alla sua custodia di fare in modo che la calca non le impedisse di raggiungere il suo Unigenito ed essi ubbidirono subito, vigilando su di lei con somma diligenza. Lungo le vie per le quali passava, l'Addolorata sentiva i vari discorsi che la folla faceva e le opinioni che ciascuno esternava nel raccontare quanto era accaduto al Nazareno. I pochi uomini pii presenti si rammaricavano, alcuni asserivano che lo volevano crocifiggere, altri riferivano in quale luogo lo stessero portando e con quale brutale legatura lo conducessero, come un facinoroso, ricoprendolo d'infamia. C'era anche chi domandava quali delitti avesse commesso perché gli fosse inflitto un castigo tanto crudele. Infine molti, con ammirazione, ma con poca fede, si chiedevano: «A questo sono valsi i suoi miracoli? Senza dubbio i prodigi compiuti erano furberie, perché non si è saputo né difendere né liberare». Ogni parte della città si riempiva di piccoli assembramenti e mormorazioni, ma l'invincibile Signora in mezzo a tanta agitazione - benché colma d'incomparabile amarezza - non si turbava, mantenendo l'equilibrio e intercedendo per i non credenti e i malfattori, come se non avesse avuto altra preoccupazione che quella di sollecitare in loro favore la grazia ed il perdono. Ella amava quegli iniqui con una carità talmente longanime che sembrava aver ricevuto da questi innumerevoli benefici. Non si sdegnò né si adirò contro i sacrileghi esecutori della passione del Salvatore, né mostrò indizio di avversione, ma anzi li guardava con dolcezza, facendo a tutti del bene.

1303. Alcuni di quelli che la incontravano la riconoscevano e mossi a compassione le dicevano: «Oh, afflitta Madre! Quale sventura ti è sopraggiunta! Quanto deve essere ferito il tuo cuore!». Altri con arroganza le rinfacciavano: «Come hai cresciuto male tuo Figlio! Perché gli permettevi di insinuare nel popolo tante novità? Sarebbe stato meglio se l'avessi rinchiuso e tenuto a freno, comunque un simile avvenimento servirà d'esempio alle altre donne, perché apprendano dalla tua sventura come educare i propri figli». La candidissima colomba udiva anche discorsi ancor più terribili di questi e nel suo ardente amore dava il giusto posto ad ogni cosa: accettava la comprensione dei pietosi, soffriva l'empietà degli increduli, non si meravigliava degli ingrati e degli insipienti, e implorava l'Altissimo per ciascuno.

1304. In mezzo a questa gran confusione, l'Imperatrice dell'universo fu guidata dagli spiriti celesti verso il posto in cui incontrò il Maestro, dinanzi al quale si prostrò con profonda riverenza, rendendogli culto di fervida adorazione qual mai gli diedero né gli daranno le creature. Il Figlio e la Madre, che nel frattempo si era alzata in piedi, si guardarono con incomparabile tenerezza e, trapassati da ineffabile dolore, si parlarono. Ella si fece poi da parte per andargli dietro, e mentre camminava si rivolgeva a lui ed all'Onnipotente pronunciando nel suo intimo parole così sublimi che non possono essere articolate da lingua mortale. Oppressa dalle pene esclamava: «Dio immenso, mio Gesù, ben conosco il fuoco della vostra carità verso il genere umano, che vi obbliga a celare l'infinita potenza della divinità nella carne corruttibile, ricevuta nel mio seno. Confesso la vostra sapienza incomprensibile nell'accettare tali ignominie e tormenti, e nel consegnare voi stesso, Signore di tutto ciò che esiste, per il riscatto dell'uomo, servo, polvere e cenere. Voi siete degno che ogni essere vi lodi, vi benedica e vi esalti per la vostra sconfinata bontà; ma io come potrò mettere in atto il desiderio che queste obbrobriose azioni si eseguano solo in me invece che nella vostra divina persona, gioia degli angeli e splendore della gloria dell'Eterno? Come non aspirare al vostro sollievo in tali atrocità? Come potrò sopportare di vedere il vostro bellissimo volto afflitto e sfigurato, e di rendermi conto che soltanto per il Creatore e redentore del mondo non c'è pietà in una passione così violenta ed amara? Ma se non è possibile che io vi conforti come madre, accettate almeno la mia angoscia ed il dispiacere di non poter fare di più».

1305. Nella Regina restò talmente impressa l'immagine del suo diletto, maltrattato, deturpato e incatenato, che durante la vita non si cancellò mai più dalla sua mente e sempre lo rimirò in quella forma. Cristo nostro bene giunse, frattanto, alla casa del governatore, seguito da diversa gente, tra cui molti del consiglio dei giudei, che rimasero fuori del pretorio fingendosi fervidi religiosi, pieni del timore di contaminarsi e di non poter mangiare la Pasqua degli azzimi. E, come stoltissimi ipocriti, questi non riflettevano sull'immondo sacrilegio che macchiava le loro anime, assassine dell'innocente Agnello. Pilato, benché fosse un gentile, condiscese al cerimoniale degli ebrei e, accorgendosi che essi avevano difficoltà ad entrare, uscì fuori. Conformemente allo stile dei romani domandò: «Che accusa presentate contro costui?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non l'avremmo condotto legato nel modo in cui lo rimettiamo nelle tue mani». E ciò fu come dirgli: noi abbiamo verificato le sue malvagità e siamo così attenti al senso della giustizia ed ai nostri doveri che se non fosse un facinoroso non avremmo proceduto contro di lui. Il governatore riprese: «Quali delitti sono dunque quelli che egli ha commesso?». «Si ostina - ribatterono i giudei - a sobillare il nostro popolo, vuol farsi re, proibisce che si paghino a Cesare i tributi, si dichiara Figlio di Dio e ha predicato una nuova dottrina incominciando dalla Galilea e proseguendo per tutta la Giudea sino a Gerusalemme». «Dunque, prendetelo voi - disse Pilato - e giudicatelo secondo le vostre leggi, perché io non trovo in lui nessuna colpa». Essi replicarono: «A noi non è consentito di infliggere a nessuno la pena di morte, e tanto meno di uccidere».

1306. Gli angeli avevano fatto in modo che la beata Vergine, con san Giovanni e le donne, si avvicinasse al luogo dell'interrogatorio per poter osservare ed udire tutto. Ella stava coperta con il manto per lo strazio del dolore che trafiggeva il suo purissimo cuore; piangeva versando lacrime di sangue e negli atti di virtù era un limpidissimo specchio che riproduceva l'anima santissima dell'Unigenito, le cui pene riviveva nelle proprie membra. Pregò allora il Padre perché le concedesse di non perdere di vista Gesù fino alla crocifissione, per quanto fosse possibile, e ciò le fu accordato durante il tempo in cui egli non stette rinchiuso in prigione. Inoltre, poiché riteneva opportuno che tra le false accuse e le diffamazioni si conoscesse l'innocenza del Salvatore e si venisse a sapere che lo condannavano a morte senza alcun reato, elevò una fervorosa orazione. Supplicò l'Onnipotente che il giudice non rimanesse ingannato e prendesse coscienza che il Messia gli era stato portato per il rancore dei sacerdoti e degli scribi. E difatti, grazie alle sante parole di Maria, egli ebbe chiara cognizione della realtà e comprese che il Maestro non era colpevole, ma gli era stato consegnato solo per invidia, come narra l'evangelista Matteo. Per tale ragione sua Maestà si aprì di più con Pilato, benché non cooperasse con la verità ammessa; e così questa non fu di profitto per lui bensì per noi, e servì anche per mettere in luce la perfidia dei sommi sacerdoti e dei farisei.

1307. La folla, talmente presa dalla rabbia, bramava di trovare il governatore propizio a pronunziare subito la sentenza capitale e, allorché si accorse che egli titubava, incominciò ad alzare con furore la voce, ribadendo che il Nazareno si voleva impadronire del regno della Giudea e si ostinava ad ingannare ed a convincere tutti, sostenendo di essere il Cristo, il re unto. Questa maliziosa incriminazione fu proposta a Pilato affinché egli, mosso dallo zelo per il potere temporale esercitato sotto l'impero romano, si determinasse ad emettere al più presto il verdetto. Gli ebrei, i cui re venivano unti, soggiunsero allora che costui asseriva di essere il Cristo, perché volevano indurre il governatore, appartenente alla classe dei gentili che non avevano questa usanza, a capire che farsi chiamare con quell'appellativo corrispondeva ad affermare di essere re. Il giudice interpellò nuovamente l'imputato: «Che cosa rispondi alle accuse che ti muovono contro?». Ma il Verbo di Dio in presenza dei suoi calunniatori non aprì bocca, sicché Pilato, meravigliato di tale silenzio e pazienza, desiderando esaminare meglio se fosse veramente re, si ritirò con lui dentro il pretorio per allontanarsi dalle grida della calca. Quando furono soli gli domandò: «Tu sei il re dei giudei?». Non poteva pensare che egli fosse re di fatto, perché sapeva bene che non regnava, e così lo interrogava per conoscere se lo fosse di diritto e se avesse un regno. Il mansuetissimo Agnello replicò: «Questo che mi chiedi procede da te stesso o te lo ha detto qualcuno parlandoti di me?». Gli fu obiettato: «Sono io forse giudeo, per cui debba esserne al corrente? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno condotto al mio tribunale; spiegami allora che cosa tu abbia fatto e che cosa significhi questo titolo». Riprese: «Il mio regno non è di quaggiù, ma se lo fosse è certo che i miei servitori mi avrebbero difeso, affinché non venissi dato in potere ai giudei». Il governatore credette in parte a questa attestazione e perciò proseguì: «Dunque tu sei re mentre garantisci di avere il regno?». Ed egli non lo negò: «Tu dici che sono re e per rendere testimonianza alla verità sono venuto nel mondo; e tutti coloro che sono nati dalla verità mi ascoltano». Pilato si stupì e tornò a domandargli: «Che cos'è la verità?»; e senza attendere ulteriore risposta, uscì un'altra volta dal pretorio e dichiarò: «Io non trovo in lui nessuna colpa per farlo uccidere. Tuttavia, vi è già nota la tradizione che vi è tra voi di donare la libertà ad un detenuto per la festività della Pasqua. Chi volete dunque che sia costui, Gesù o Barabba?». Quest'ultimo era un ladro ed omicida, che in quel tempo si trovava in carcere per aver ucciso un uomo durante una rissa. Allora tutti gridarono: «Vogliamo che rilasci Barabba e crocifigga Gesù». I membri di quella malvagia schiera rimasero saldi in tale petizione fin quando videro esaudito il loro proposito.

1308. Per il dialogo con il Redentore e l'ostinazione del popolo, il giudice restò molto turbato. Difatti, da una parte non voleva deludere i giudei - anche se difficilmente avrebbe potuto farlo, ravvisandoli tanto determinati a far perire il Maestro, qualora non vi avesse accondisceso -, dall'altra però aveva ben chiaro che lo perseguitavano per l'invidia mortale nutrita contro di lui, e che l'accusa di sovvertitore era falsa e ridicola. Quanto all'imputazione che il Signore ribadiva di essere re, era rimasto soddisfatto della risposta ricevuta e sbalordito nel trovarlo tanto povero, umile e sofferente di fronte alle calunnie lanciategli. Illuminato dall'alto comprese la sua innocenza, anche se confusamente, perché ignorava il mistero e la dignità della persona divina. E benché fosse mosso dalla forza delle sue parole ad avere un'elevata opinione di lui e a pensare che in lui si racchiudesse un segreto particolare - perciò desiderava liberarlo e a tal fine lo inviò da Erode, come dirò nel capitolo seguente -, non si aprì al flusso della grazia celeste. A causa del peccato non meritò di essere penetrato dall'eccelsa sapienza e fu indotto a ponderare i fini temporali, invece che ad agire secondo giustizia: procedette da malvagio giudice, consultando ancora coloro che incriminavano ingiustamente il candidissimo Agnello essendo suoi nemici. Operò allora contro la propria coscienza e accrebbe il suo delitto perché lo fece condannare e, ancor prima, flagellare disumanamente, senza nessun altro motivo che quello di accontentare la folla.

1309. Quantunque il governatore fosse tanto iniquo da infliggere la pena capitale a sua Maestà, che riteneva un semplice uomo, innocente e buono, la sua colpa fu minore a paragone di quella dei sacerdoti e dei farisei. Difatti, questi non solo agivano con gelosia, crudeltà ed altri esecrabili fini, ma anche con l'accanimento a non riconoscere il Nazareno come il vero Messia promesso nella legge che professavano. E per loro castigo l'Eterno permise che, quando lo incriminavano, lo chiamassero Cristo, ossia re unto, confessando così la stessa verità che negavano. Quanto nominavano invece avrebbero dovuto crederlo, intendendo che egli era unto non con la consacrazione figurativa dei re e dei sacerdoti antichi, ma con quella di cui parlò Davide, diversa da tutte le altre, quale era l'unzione della divinità unita all'umanità innalzata dal Salvatore nell'essere vero Dio e vero uomo. La sua anima santissima era perciò unta con i doni di grazia e di gloria, conseguenti all'unione ipostatica. L'accusa dei presenti esprimeva tutta questa misteriosa verità, che essi per la loro perfidia rigettavano e per invidia interpretavano falsamente, incolpandolo di proclamarsi re senza esserlo. Era invece vero l'opposto, sebbene egli non volesse dimostrarlo: non aveva intenzione di usare il potere di un sovrano temporale, pur essendo Signore di ogni cosa, poiché non era venuto nel mondo per comandare, ma per ubbidire. La cecità giudaica era però molto grande, perché la gente aspettava il Messia come un liberatore e un guerriero tanto potente da doverlo accettare per forza e non con la pia volontà che l'Altissimo ricercava. Arroccati su questa attesa gli ebrei lo calunniavano di farsi re, mentre non lo era.

1310. La Principessa del cielo capiva profondamente tali arcani, meditandoli nel suo purissimo e sapientissimo cuore ed esercitando eroici atti di tutte le virtù. E mentre gli altri discendenti di Adamo, concepiti nel peccato e macchiati da esso, quanto più vedono crescere le tribolazioni tanto più sono soliti turbarsi e restarne oppressi, risvegliando in sé l'ira con altre disordinate passioni, Maria era soggetta a tutto il contrario: né il peccato né i suoi effetti la sfioravano, né la natura operava come poteva fare la grazia. Le persecuzioni e le molte acque dei dolori e delle angosce non estinguevano in lei la fiamma ardente del divino amore, ma come fomenti l'alimentavano ulteriormente, spronandola a pregare per i rei, quando la necessità era suprema poiché la malizia degli uomini era arrivata al sommo grado. Oh, Regina delle virtù, signora delle creature, dolcissima madre di misericordia! Tardo ed insensibile è il mio intimo: non lo spezza e non lo strazia ciò che il mio intelletto conosce delle vostre pene e di quelle del vostro amantissimo Unigenito! Se dinanzi a quanto mi è stato rivelato rimango in vita, è ben a ragione che io mi umilii sino alla morte. È delitto contro la carità e la pietà vedere l'Innocente patire tormenti e nel contempo chiedergli grazia senza essere partecipe delle sue sofferenze. In che modo noi possiamo affermare che abbiamo affetto per Dio, per il Verbo incarnato e per voi, se davanti al calice amarissimo dell'acerba passione ci ricreiamo bevendo a quello dei diletti di Babilonia? Oh, potessi io comprendere questa verità! Oh, potessi sentirla e approfondirla, ed essa potesse raggiungere la parte più nascosta di me stessa vedendo Gesù e la Vergine che stanno subendo tante disumane atrocità! Come potrò mai pensare che mi facciano ingiustizia nel perseguitarmi, che mi sovraccarichino nel disprezzarmi, che mi offendano nell'aborrirmi? Come potrò mai lamentarmi di ciò che sopporto, anche se sono insultata dal mondo? O Madre dei martiri, regina dei coraggiosi, maestra di coloro che si mettono alla sequela di vostro Figlio! Se io sono vostra figlia e discepola, secondo quanto la vostra benignità mi assicura e il mio sposo mi volle meritare, non disdegnate il mio desiderio di ricalcare le vostre orme sul cammino della croce. E se per fragilità sono venuta meno, ottenetemi voi lo spirito di fortezza, ed un cuore contrito e umiliato per la mia ingratitudine. Guadagnatemi dal Padre l'amore, dono tanto prezioso, che solo la vostra potente intercessione mi può acquistare ed il mio Salvatore elargire.

Insegnamento della Regina del cielo

1311. Carissima, grande è la negligenza degli uomini nel considerare le opere di Cristo e nel penetrare con umile riverenza i misteri che egli racchiuse in esse, per il riscatto di tutti. A questo riguardo molti non sanno, ed altri si meravigliano, che sua Maestà abbia permesso di essere condotto come reo dinanzi a giudici iniqui, di farsi esaminare da loro come malfattore, e di farsi trattare e reputare come persona ignorante, del tutto disinteressata a rispondere con somma sapienza per dimostrare la sua innocenza, e a persuadere i maliziosi giudei e tutti i suoi avversari. In questa straordinarietà, primariamente, si devono venerare i suoi altissimi giudizi giacché dispose la redenzione umana con equità, bontà e rettitudine. Egli non negò a ciascuno dei suoi nemici gli aiuti sufficienti per agire giustamente - se avessero voluto collaborare - usando del privilegio della loro libertà al fine di conseguire il proprio bene. Difatti, è volontà dell'Onnipotente che tutti siano salvi, se ciò non viene ostacolato da noi stessi; e quindi nessuno ha motivo di lamentarsi della divina pietà, che è sempre sovrabbondante.

1312. Inoltre, anelo che tu apprenda l'insegnamento contenuto in queste opere, perché nessuna fu messa in atto dal mio diletto se non come redentore. Nel silenzio e nella pazienza che conservò durante la passione, tollerando di essere ritenuto empio ed insensato, diede ai mortali un esempio tanto sublime quanto poco considerato e messo in pratica. Essi, poiché non riflettono sul contagio che Lucifero trasmette loro per mezzo del peccato e sempre continua a spargere nel mondo, non cercano nel Medico il farmaco che curi la loro malattia, ma sua Maestà, per la sua immensa carità, ha lasciato il rimedio nelle sue parole e nelle sue azioni; ciascuno, dunque, si consideri concepito nella colpa, e veda quanto sia piantata nel proprio cuore la semente, gettata dal dragone, della superbia, della presunzione, della vanità, dell'autostima, dell'avidità, dell'ipocrisia, della menzogna e di altri vizi. Tutti, solitamente, vogliono avanzare nell'onore e nella vanagloria, desiderando essere apprezzati; i dotti e coloro che si reputano saggi, pavoneggiandosi della scienza, bramano di essere applauditi ed elogiati; quelli che sono ignoranti, invece, tentano di mostrarsi sapienti; i facoltosi si gloriano dei loro averi, per i quali amano essere ossequiati; i poveri vogliono essere ricchi, comparire tali e guadagnarsi la stima; i potenti vogliono essere temuti, adorati ed obbediti. Tutti si affannano a correre attratti da un abbaglio e cercano di apparire come non sono, e non sono ciò che cercano di apparire; giustificano facilmente i loro errori, si sforzano di ingrandire le loro qualità, si attribuiscono beni e favori come se non li avessero ricevuti, e li ricevono come se fossero loro dovuti e non fossero stati dispensati per grazia. E così di questi doni ognuno non solo non è riconoscente, ma ne fa armi contro Dio e contro se stesso; e generalmente si ritrova pieno del veleno letale dell'antico serpente, e tanto più assetato di berlo quanto più viene ferito e indebolito dal deplorevole malore. La via della croce, che porta all'imitazione di Gesù per mezzo dell'umiltà e della sincerità cristiana, è deserta, perché pochi sono quelli che camminano su di essa.

1313. A schiacciare il capo di satana ed a vincere la sua tracotante arroganza servì la mitezza che il mio Unigenito ebbe anche nel suo supplizio, permettendo che lo trattassero da stolto e delinquente. Come maestro di questa divina filosofia e medico che veniva a curare l'infermità del peccato, egli non volle discolparsi, né difendersi, né giustificarsi, né smentire coloro che lo accusavano, lasciando un vivo modello per procedere contro gli intenti del demonio. Mise allora in pratica l'insegnamento del Saggio: «Più preziosa è a suo tempo la piccola ignoranza che la scienza e la gloria». Difatti, per la fragilità umana, in determinati momenti è più conveniente apparire semplici e inesperti, piuttosto che fare vano sfoggio di virtù e di saggezza. Tu conserva nell'intimo i precetti del Salvatore e miei, ed aborrisci ogni ostentazione: soffri, taci, e fa' che il mondo ti reputi ignorante, perché esso non conosce in quale luogo dimori la vera sapienza.


CAPITOLO 19

Pilato manda il Signore da Erode e gliene sottopone la causa; il Redentore viene accusato davanti al re, che lo disprezza e lo invia di nuovo a Pilato. Maria santissima lo segue; si narra ciò che accade in questa circostanza.



1314. Una delle accuse che i giudei e i loro capi presentarono a Pilato contro Gesù salvatore nostro fu che egli aveva predicato, incominciando a fomentare il popolo fin dalla Galilea. Per questo il governatore gli domandò se fosse galileo. Una volta informato che era nato e cresciuto in quella provincia, gli parve di avere un qualche motivo per dichiarare non di sua competenza la causa di Cristo nostro bene - che egli trovava senza colpa -, liberandosi dal fastidio di coloro che insistevano perché lo condannasse a morte. Erode in quei giorni si trovava a Gerusalemme per celebrare la Pasqua. Costui era figlio dell'altro Erode che aveva ordinato la strage degli innocenti perseguitando Gesù appena nato e che, avendo sposato una donna giudea, era passato al giudaismo e divenuto un proselito israelita. Per questa ragione, anche suo figlio Erode Antipa osservava la legge di Mosè ed era venuto a Gerusalemme dalla Galilea, di cui era tetrarca. Fra Pilato ed Erode non intercorrevano buoni rapporti, perché entrambi avevano autorità sulle principali province della Palestina e poco tempo prima il governatore, sollecito nell'affermare il dominio dell'impero romano, aveva fatto decapitare alcuni galilei mentre offrivano, sacrifici, mescolando il loro sangue con quello dei sacrifici stessi. Il re se ne era sdegnato, per cui Pilato, volendogli opportunamente dare qualche soddisfazione, decise di mandargli il Signore in quanto suo suddito, affinché lo esaminasse e giudicasse; in realtà egli sperava che Erode lo avrebbe lasciato libero, riconoscendolo innocente e denunciato per invidia dai sommi sacerdoti e dagli scribi.

1315. Il Redentore, legato e incatenato com'era, uscì dalla casa del governatore romano scortato dagli scribi e dai sacerdoti, che andavano per accusarlo di fronte al nuovo giudice, e da un gran numero di soldati e servi, che lo conducevano tirandolo con le corde. L'esercito si apriva il passaggio attraverso la folla accorsa a vedere e, poiché i soldati e i capi del popolo erano talmente assetati del sangue del Salvatore da volerlo spargere in quello stesso giorno, affrettavano il passo e quasi correndo conducevano per le vie sua Maestà in un disordinato tumulto. Anche Maria santissima, insieme alle persone che erano con lei, seguì il suo dolcissimo Gesù per stargli accanto negli altri momenti della passione, fino alla croce. Ma sarebbe stato impossibile alla gran Signora continuare questo percorso senza perderlo di vista se i santi angeli non avessero disposto tutto come ella desiderava, in modo che si trovasse sempre così vicina a suo Figlio da poter godere della sua presenza e partecipare dei suoi tormenti. Tanto appunto ottenne col suo ardentissimo amore, cosicché udiva nello stesso tempo gli insulti e i colpi che il Signore riceveva, le mormorazioni del popolo e i vari giudizi che ciascuno formulava da sé o riferiva di altri.

1316. Quando Erode seppe che Pilato gli mandava il Nazareno, si rallegrò grandemente. Sapeva che Gesù era stato molto amico di Giovanni, che egli aveva fatto decapitare, ed era informato sulla sua predicazione; inoltre, con stolta e vana curiosità desiderava vedergli compiere qualche portento per farne oggetto di meraviglia e materia d'intrattenimento nelle conversazioni. L'Autore della vita, dunque, giunse alla presenza del re omicida, contro il quale il sangue di Giovanni Battista gridava vendetta al cospetto di Dio più del sangue del giusto Abele. L'infelice adultero lo accolse ridendo, come uno che ignori i terribili giudizi dell'Altissimo, considerando Cristo nostro bene un incantatore e un mago. Accecato da un così funesto errore, incominciò ad esaminarlo e a fargli diverse domande, pensando d'indurlo in questo modo a compiere qualche miracolo. Ma il Maestro della sapienza e della prudenza tacque, rimanendo sempre con umile severità davanti all'indegno giudice, il quale per le sue malvagità ben si meritava la punizione di non ascoltare le parole di vita eterna che, se fosse stato ben disposto, sarebbero uscite dalla bocca del Figlio dell'eterno Padre.

1317. I principi dei sacerdoti e gli scribi lì convenuti muovevano al nostro Salvatore le medesime accuse che in precedenza avevano presentato a Pilato. Neppure qui sua Maestà replicò alle loro calunnie, come invece avrebbe voluto Erode; non aprì le labbra né per rispondere alle domande, né per difendersi, perché il re non era comunque degno di udire la verità. Questo fu il suo giusto castigo, ed è ciò che i principi e i potenti del mondo devono maggiormente temere. Erode si adirò perché il Redentore, silenzioso e mansueto, deludeva la sua vana curiosità; quasi confuso, dissimulò il suo dispetto facendosi beffe di lui e, schernendolo insieme a tutto il suo esercito, ordinò che venisse ricondotto dal governatore. I soldati, dopo essersi presi gioco della modestia di Cristo, gli misero addosso una tunica bianca - segno distintivo di coloro che perdevano il senno - al fine di trattarlo come matto ed insensato, in modo che tutti si guardassero da lui. Indossata dal Signore, invece, questa veste fu simbolo e testimonianza della sua innocenza e purezza. Così infatti aveva stabilito l'imperscrutabile provvidenza dell'Altissimo, affinché quei malvagi, compiendo azioni di cui ignoravano il significato, testimoniassero la verità che pretendevano di oscurare insieme alle meraviglie compiute dal Redentore e da essi maliziosamente misconosciute.

1318. Erode si mostrò grato per la cortesia usatagli dal governatore romano nel sottoporgli il caso del Nazareno, e gli mandò a dire che non trovava colpa alcuna in lui, ma anzi gli pareva uomo ignorante e di nessun conto. Conforme agli arcani disegni della sapienza divina, da quel giorno i due si riconciliarono e divennero amici. Condotto dai soldati, Gesù tornò per la seconda volta al pretorio tra lo schiamazzo e il tumulto della folla. Infatti, gli stessi che prima lo avevano acclamato e osannato come Messia benedetto da Dio, pervertiti già dall'esempio dei sacerdoti e dei giudici, avevano cambiato parere, condannando e disprezzando ora colui al quale pochi giorni prima avevano dato gloria e venerazione. È di tale efficacia l'errore e il cattivo esempio dei capi da trascinare il popolo. Sua Maestà camminava tra le imprecazioni della gente, ripetendo di continuo dentro di sé con ineffabile amore, umiltà e pazienza quelle parole che aveva dette per bocca di Davide: Io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo. Il Redentore era "verme e non uomo": non fu generato, infatti, come gli altri e non era solo e meramente uomo, bensì vero uomo e vero Dio; per di più non fu trattato da essere umano, ma da verme vile e spregevole. Di fronte a tutti gli insulti che gli venivano lanciati non fece strepito né oppose resistenza maggiore di quella di un umile verme da tutti pestato e considerato ributtante. Quelli che guardavano Cristo nostro salvatore - ed erano innumerevoli - storcevano le labbra e scuotevano il capo, quasi ritrattando l'opinione che ne avevano avuto e la considerazione in cui lo avevano tenuto.

1319. Rimasta fuori dal tribunale in cui era stato fatto entrare il Signore, l'afflitta Madre non si trovò corporalmente presente agli oltraggi e alle accuse che i sacerdoti mossero contro l'Autore della vita al cospetto di Erode, né alle domande che costui gli rivolse, ma vide tutto in visione interiore. Quando però Gesù uscì fuori la incontrò, ed entrambi si comunicarono con lo sguardo l'intimo dolore e la reciproca compassione, intensi come l'amore di un tale figlio e di una tale madre. La tunica bianca, che gli avevano fatto indossare alla stregua di un insensato e senza giudizio, fu un nuovo strumento per trafiggere il cuore della Regina del cielo; in realtà, ella sola fra tutti i mortali conosceva il mistero dell'innocenza che quell'abito significava, per cui adorò con grandissima venerazione il suo divin Figlio così rivestito. Lo seguì fino alla casa di Pilato, dove veniva condotto per la seconda volta, poiché in essa sarebbe stato eseguito ciò che Dio aveva disposto per la nostra salvezza. In questo tratto di strada accadde che i soldati, per la moltitudine del popolo e per la fretta con cui conducevano Gesù ingiuriandolo, tirandolo crudelmente per le corde e facendolo stramazzare a terra più volte, gli facessero uscire molto sangue; inoltre, siccome egli non poteva rialzarsi facilmente perché aveva le mani legate e la furia della gente non poteva né voleva trattenersi, qualcuno cadeva sopra di lui, lo pestava e lo percuoteva con molti colpi e calci, provocando nei soldati grandi risa, anziché la naturale pietà di cui, per astuzia del demonio, erano del tutto privi, come se non fossero stati neppure uomini.

1320. Alla vista di così smisurata efferatezza, crebbero la compassione e l'afflizione di Maria santissima, la quale ordinò agli angeli che l'accompagnavano di raccogliere il sangue divino sparso per le strade, in modo che il Salvatore non fosse ulteriormente offeso e calpestato dai peccatori; e così essi fecero. Sua Altezza, inoltre, comandò loro che impedissero agli operatori d'iniquità di calpestare il Redentore del mondo, qualora fosse caduto un'altra volta. In tutto prudentissima, ella non volle che i suoi celesti servitori facessero ciò contro la volontà del Signore; così impose loro che in suo nome gliene chiedessero il permesso e gli presentassero le angustie che ella, come madre, soffriva vedendolo trattato con tanto disprezzo tra gli immondi piedi di quei malvagi. Per obbligare maggiormente il suo santissimo Figlio, attraverso i medesimi angeli gli chiese di commutare l'umiliazione di essere calpestato e offeso dagli empi mortali nell'obbedienza alle preghiere della sua afflitta Madre, la quale era anche sua schiava e fatta di polvere. Gli spiriti celesti portarono le sue richieste a Cristo nostro bene non perché sua Maestà le ignorasse - giacché le conosceva e ispirava egli stesso per virtù divina - ma perché Dio vuole che in questo si osservi l'ordine della ragione, conosciuto allora dalla gran Signora con eminente sapienza.

1321. Il Redentore accolse i desideri e le preghiere della beatissima Vergine e diede il permesso ai suoi angeli, quali ministri della volontà di lei, di fare ciò che ella desiderava. Essi, quindi, non permisero che nel rimanente percorso l'Unigenito del Padre fosse gettato a terra o calpestato come prima era accaduto, anche se fu dato il consenso ai soldati e al popolo, accecato dalla malizia, d'infierire con folle rabbia ingiuriandolo in altri modi. La Regina guardava e udiva tutto con cuore invitto ma addolorato, come pure le Marie e san Giovanni, che piangendo copiosamente seguivano il Maestro divino insieme a lei. Non mi soffermo però a parlare delle lacrime di queste ed altre sante donne lì presenti, perché sarebbe necessario fare una lunga digressione, specialmente per narrare della Maddalena, di tutte la più ardente nell'amore e la più grata al Signore, come disse egli stesso quando la perdonò, affermando che ama di più colui al quale più è perdonato.

1322. Gesù arrivò per la seconda volta in casa di Ponzio Pilato e di nuovo i giudei incominciarono a reclamarne la condanna alla crocifissione. Il governatore, che conosceva l'innocenza dell'accusato e la mortale invidia dei Giudei, fu molto dispiaciuto che Erode gli avesse rimesso la causa da cui egli desiderava esimersi. Trovandovisi obbligato come giudice, in diverse maniere tentò di placare gli accusatori, per esempio parlando segretamente ad alcuni servi ed amici dei capi e dei sacerdoti, affinché domandassero la libertà per il nostro Salvatore, lo rilasciassero dopo una qualche punizione e non richiedessero più il malfattore Barabba. Pilato aveva fatto questo tentativo, quando i giudei gli avevano presentato nuovamente Cristo perché lo condannasse. La possibilità di scegliere fra lui e Barabba non era stata loro prospettata una sola volta, ma due o tre: una prima che sua Maestà venisse condotto da Erode e un'altra dopo. Gli evangelisti riferiscono ciò con qualche differenza, pur senza contraddirsi nella verità. Pilato parlò ai giudei e disse loro: «Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi tino per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Sapendo che Pilato voleva in tutti i modi liberare il Nazareno, la folla rispose: «A morte costui! Dacci libero Barabba!».

1323. L'usanza di dare la libertà a un prigioniero nella grande solennità della Pasqua fu introdotta fra i giudei in memoria e per riconoscenza di quella ottenuta dai loro antenati in quel giorno, quando Dio li aveva riscattati dal potere del faraone uccidendo i primogeniti degli egiziani e sommergendo il faraone stesso e il suo esercito nel Mar Rosso. A motivo di questo memorabile beneficio, gli ebrei ne facevano uno al più grande delinquente perdonandogli i suoi delitti, finendo però per castigare altri che erano meno colpevoli. Gli accordi fatti con i romani prevedevano, fra l'altro, che detta usanza venisse conservata e così facevano i governatori. In questa circostanza, tuttavia, i giudei stessi pervertirono tale costume: dovendo dare la libertà al peggior criminale ed affermando che Gesù lo era, condannarono lui e graziarono Barabba, che reputavano meno malvagio. La rabbia del demonio, profittando della loro perfida invidia, li rendeva tanto perversi da essere accecati in tutto, anche contro se stessi.

1324. Mentre Pilato sedeva in tribunale, sua moglie Procula, venuta a sapere ciò che stava accadendo, gli inviò questo messaggio: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». La ragione dell'avvertimento di Procula fu la seguente: Lucifero e i suoi demoni, vedendo quanto veniva fatto al nostro Salvatore e l'inalterabile mansuetudine con cui egli sopportava tante offese, furiosi com'erano si trovarono ancor più confusi ed incerti. La loro superbia non comprendeva come fosse compatibile l'essere Dio con l'acconsentire a simili oltraggi avvertendone gli effetti nella carne, per cui non riuscivano a capire se Cristo fosse o no uomo e Dio. Nonostante ciò, il dragone era convinto che in un tale miracolo si nascondesse qualche mistero per gli uomini e che in ogni caso, se non avesse impedito il successo di una cosa tanto inusitata, esso avrebbe arrecato alla sua malvagità grande danno e rovina. In seguito a questa risoluzione presa con i suoi demoni, satana cercò di far desistere i farisei dal perseguitare il Redentore, inviando loro molte suggestioni, rimaste però inefficaci perché prive di forza divina e introdotte in cuori ostinati e corrotti. Di conseguenza quegli spiriti, disperando di ridurli al loro volere, andarono dalla moglie del governatore e le parlarono in sogno; le suggerirono che quell'uomo era giusto e senza colpa e che, se suo marito lo avesse condannato, sarebbe stato privato della dignità che possedeva e a lei ne sarebbero venuti molti dolori. In tal modo vollero indurla a consigliare a Pilato di liberare Gesù anziché Barabba, per evitare una grande sciagura nella loro casa e sulle loro persone.

1325. Procula fu assai spaventata dalla visione. Quando seppe quello che stava succedendo tra i giudei e suo marito, inviò a quest'ultimo - come riferisce l'evangelista Matteo - l'avvertimento di non coinvolgersi nell'uccisione di chi riteneva giusto. Inoltre, il demonio insinuò nell'immaginazione dello stesso Pilato timori simili, che l'ammonimento della moglie accrebbe. Poiché si trattava di un turbamento di natura mondana e politica ed egli non aveva assecondato i veri aiuti che Dio gli aveva mandato, questa paura durò solo fino a quando non ne subentrò un'altra che lo mosse con più violenza, e lo si vide dalle conseguenze. Tuttavia, l'indegno giudice insistette per la terza volta, difendendo l'innocenza di Cristo nostro salvatore e attestando che non trovava in lui nessuna colpa meritevole di morte; lo avrebbe quindi castigato e poi rilasciato. E difatti lo fece flagellare, per vedere se i giudei ne sarebbero stati soddisfatti. Ma essi gridando gli risposero di crocifiggerlo. Allora Pilato chiese che gli portassero dell'acqua e ordinò di liberare Barabba secondo la loro richiesta, dopodiché si lavò le mani alla presenza di tutti dicendo: «Guardate bene quello che fate. Io non sono responsabile della morte di quest'uomo, che voi condannate. A testimonianza di ciò mi lavo le mani, affinché si sappia che non sono macchiate di sangue innocente». Con quel gesto parve a Pilato di discolparsi con tutti imputando la morte di Gesù al popolo e ai capi che la domandavano. Fu così sciocca e cieca la loro rabbia che accondiscesero alla dichiarazione del governatore romano solo per vedere crocifisso il Signore, e caricarono la responsabilità del delitto su se stessi e sui propri discendenti pronunciando quella terribile ed esecrabile sentenza: «II suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli».

1326. Oh, cecità stoltissima e crudele! Oh, inimmaginabile audacia! Volete attribuire a voi e ai vostri figli l'iniqua condanna dell'innocente, che lo stesso giudice dichiara incolpevole, affinché contro voi tutti esso gridi sempre, fino alla fine dei secoli? Oh, perfidi e sacrileghi giudei! Il sangue dell'Agnello, che lava i peccati del mondo, e la vita di un uomo, che al tempo stesso è vero Dio, pesano così poco da volerli addossare a voi stessi e ai vostri figli? Se fosse stato anche solo vostro fratello, benefattore e maestro, pure la vostra audacia sarebbe stata spaventosa e deprecabile la vostra malvagità. Di certo è giusto il castigo che subite; è giusto che il peso del sangue di Cristo non vi dia mai requie; ed è giusto che questo carico, pesante più del cielo e della terra, vi opprima e vi schiacci. Quale grande dolore! Il sangue divino cadde su tutti i figli di Adamo per lavarli e purificarli e fu sparso sui figli della santa Chiesa; eppure in essa vi sono molti che al pari dei giudei se ne assumono la responsabilità con le proprie opere e parole, quelli non sapendo e non credendo che fosse sangue del Messia e i cattolici sapendo e confessando che lo è.

1327. I peccati e le azioni depravate dei cristiani hanno un loro linguaggio e parlano contro il nostro Signore, gridando: «Cristo sia svergognato, schiaffeggiato, disprezzato, coperto di sputi, crocifisso; a lui si preferisca Barabba. Sia tormentato, flagellato e coronato di spine per i nostri peccati, perché noi non vogliamo avere altra parte in questo sangue se non quella di causarne lo spargimento oltraggioso; ci venga pure eternamente imputato! Soffra e muoia lo stesso Dio incarnato e noi godiamo dei beni apparenti. Approfittiamo dell'occasione, usiamo le creature, coroniamoci di rose, viviamo con allegria, avvaliamoci della forza; nessuno sia preferito a noi, disprezziamo l'umiltà, detestiamo la povertà, accumuliamo tesori, inganniamo tutti, non perdoniamo offese, abbandoniamoci ai piaceri più turpi, bramiamo ardentemente tutto ciò che vediamo e impegnamoci fino al limite delle nostre forze per ottenerlo. Questa sia la nostra legge, senza alcun altro rispetto. E se così facendo crocifiggiamo il Salvatore, il suo sangue ricada pure su di noi e sui nostri figli».

1328. Domandiamo ora ai reprobi che si trovano all'inferno se le loro opere parlarono in questo modo - come afferma Salomone nel libro della Sapienza - e se sono detti e furono empi perché ebbero pensieri tanto stolti. Che cosa possono sperare coloro i quali rendono inutile per sé il sangue del Redentore e se lo fanno ricadere addosso non desiderandolo a proprio rimedio, ma disprezzandolo a propria dannazione? Chi tra i figli della Chiesa sopporterebbe di essere posposto ad un ladrone facinoroso? Tale insegnamento è così poco messo in pratica che si rende ammirevole chi acconsente ad essere preceduto da un altro buono e benemerito quanto e più di lui; eppure non si troverà nessuno tanto buono come sua Maestà, né tanto malvagio come Barabba. Ciononostante sono senza numero quelli che, davanti a questo esempio, si offendono e si considerano sfortunati qualora non siano preferiti e innalzati nell'onore, nelle ricchezze, nelle dignità e in ciò che nel secolo presente riceve ostentazione e plauso. Gli uomini sollecitano, si contendono e ricercano proprio questo, occupandovi i propri pensieri e le proprie forze e facoltà, da quando cominciano ad usarle fino a quando le perdono. Il più grande doloroso danno è che non sono liberi da un simile contagio neppure quanti per professione e stato di vita hanno rinunciato al mondo: mentre il Signore ordina loro di dimenticarsi del proprio popolo e della casa del loro padre, essi vi si rivolgono con la parte migliore della natura umana, cioè con l'attenzione e la sollecitudine verso i parenti, nonché con la volontà e il desiderio di procurare ad essi quanto il mondo possiede. Ciò, tuttavia, appare loro ancora poco: s'immergono nella vanità e, invece di dimenticare la casa paterna, dimenticano quella di Dio in cui vivono e in cui ricevono gli aiuti divini per conseguire la stima, l'onore, la salvezza che altrimenti non avrebbero mai ottenuto e il sostentamento senza affanno né preoccupazione. Abbandonando l'umiltà, che per il loro stato di vita dovrebbero professare, si dimostrano ingrati per tutti questi benefici. La pazienza del Salvatore, gli oltraggi da lui subiti, gli obbrobri della croce, l'imitazione delle sue opere, la sequela del suo insegnamento sono lasciate a chi è povero, solo, abbandonato, e le strade di Sion si vedono deserte e desolate, perché sono veramente pochi quelli che vengono a celebrare la festa dell'imitazione di Cristo.

1329. Pilato non fu meno insipiente dei giudei nel pensare che, lavandosi le mani ed imputando loro il sangue di Gesù, si sarebbe giustificato sia nella sua coscienza che davanti agli uomini, ai quali pretendeva di dare soddisfazione con quel gesto pieno d'ipocrisia e di menzogna. È vero che i giudei furono gli attori principali e più colpevoli nella condanna dell'innocente, di cui si assunsero la terribile responsabilità, ma non per questo Pilato ne rimase estraneo, poiché conoscendo l'innocenza del Redentore non avrebbe dovuto posporlo ad un ladro omicida, né castigarlo, né correggere chi non aveva niente da correggere. A maggior ragione non avrebbe dovuto lasciarlo alla mercé dei suoi mortai nemici, di cui gli era manifesta l'invidia e la crudeltà. Non può giudicare rettamente colui che, conoscendo la verità e la giustizia, le mette sulla stessa bilancia del rispetto umano e degli interessi personali: un simile peso trascina la ragione degli uomini codardi, i quali non possono resistere all'ingordigia e al timore mondano perché non possiedono in sommo grado le virtù necessarie ai giudici; accecati dalla passione, abbandonano l'equità per non mettere a rischio il proprio tornaconto. Così accadde a Pilato.

1330. La nostra grande Regina e signora rimase nel pretorio, cosicché grazie ai suoi santi angeli poté udire la discussione del governatore con gli scribi e i sommi sacerdoti riguardo all'innocenza di Cristo nostro bene e allo scambio con Barabba. Con ammirabile mitezza, vivo ritratto del suo santissimo Figlio, ascoltò tacendo tutte le urla di quelle tigri feroci. Per quanto la sua indicibile modestia fosse inalterabile, le voci dei giudei penetravano come spada a due tagli nel suo cuore ferito; e le grida del suo, silenzioso dolore erano accette all'eterno Padre più delle lacrime con cui la bella Rachele - secondo quanto dice Geremia - piangeva i suoi figli senza essere consolata perché non li poteva richiamare in vita'. La nostra bella Rachele, Maria santissima, non domandava vendetta ma perdono per i nemici che le toglievano l'Unigenito del Padre e suo. Imitava e accompagnava sua Maestà negli atti da lui compiuti, operando con tanta pienezza di santità che la pena non sospendeva le sue facoltà: il dolore non impediva la carità, la tristezza non rallentava il fervore, lo strepito non distraeva l'attenzione, le ingiurie e il tumulto della folla non erano di ostacolo al raccoglimento; in tutto ella esercitava le virtù in sommo grado.

Insegnamento della Regina del cielo

1331. Figlia mia, noto che ti meravigli per ciò che hai inteso e scritto, riflettendo sul fatto che Pilato ed Erode non si mostrarono tanto inumani e crudeli verso il mio Figlio santissimo quanto i sommi sacerdoti e i farisei. Ti vedo considerare attentamente che i primi erano giudici pagani e i secondi maestri della legge e guide del popolo d'Israele che professavano la vera fede. Al riguardo desidero illuminarti con un insegnamento; non è nuovo e l'hai sentito altre volte, ma ora voglio che tu lo richiami alla mente e non lo dimentichi per tutto il corso della tua vita. Tieni presente dunque, o carissima, che la caduta da un luogo alto è estremamente pericolosa ed il suo danno è irreparabile o per lo meno assai difficile da rimediare. Lucifero ebbe in cielo un posto eminente sia per natura, sia per i doni di luce e di grazia, poiché vinceva in bellezza tutte le creature; eppure discese nella più profonda bruttezza e miseria, cadendo in un'ostinazione maggiore di quella di tutti i suoi seguaci a causa del suo peccato. Ai progenitori del genere umano, Adamo ed Eva, fu data una dignità altissima. Essi furono adornati di grazie sublimi, uscite dalla mano dell'Onnipotente; eppure, peccando, provocarono a sé e alla propria posterità una grandissima rovina, il cui rimedio, come la fede v'insegna, ebbe un prezzo incalcolabile e fu opera di misericordia infinita.

1332. Tanti altri sono giunti all'apice della perfezione e di là sono infelicemente precipitati, trovandosi poi sfiduciati o quasi impossibilitati a rialzarsi. I motivi di questo danno risiedono in gran parte nella creatura stessa. Infatti, l'anima caduta da uno stato di virtù eccelsa prova dispetto e vergogna smisurata, non solo perché ha sciupato beni preziosi, ma anche perché confida nelle grazie passate e perdute più che nelle future, e spera nei doni ricevuti e malamente impiegati per la sua ingratitudine più che in quelli che può acquistare con impegno rinnovato e maggiore fermezza. Da questo insidioso stato d'animo deriva l'agire con tiepidezza, senza fervore né impegno, senza gusto né devozione, perché la sfiducia estingue tutto ciò; al contrario la speranza, animata e incoraggiata, vince molte difficoltà e corrobora la debolezza umana, animando a intraprendere opere grandi. C'è un'altra ragione e non meno importante: chi è abituato ai favori di Dio - per ufficio come i sacerdoti e i religiosi, o per esercizio di virtù come le altre persone spirituali - di solito pecca disprezzandoli e facendo un cattivo uso delle cose divine. Incorre nella pericolosa rozzezza di tenere in poco conto i benefici del Signore proprio perché li riceve di frequente; con un simile irriverente atteggiamento, impedisce alla grazia di renderlo suo collaboratore e spegne in sé il santo timore che risveglia e stimola ad operare il bene, ad ubbidire alla volontà divina e ad approfittare subito dei mezzi stabiliti da Dio per convertirsi e guadagnare la sua amicizia e la vita eterna. Questo rischio è evidente nei sacerdoti tiepidi, i quali celebrano l'eucaristia e gli altri sacramenti senza devozione, come pure nei dotti, nei saggi e nei potenti del mondo, che difficilmente si emendano perché hanno perso la venerazione dei rimedi della Chiesa - sacramenti, predicazione e dottrina -, di cui non comprendono più il significato. Così, assumendo le stesse medicine che per altri peccatori sono salutari e che guariscono gli ignoranti, loro, medici della salute spirituale, si ammalano.

1333. Ulteriori cause del danno di cui ti ho parlato riguardano il rapporto con il Signore. Infatti, le mancanze di coloro che per virtù o stato di vita sono più legati a Dio pesano sulla bilancia della sua giustizia in modo assai differente rispetto a quelle delle altre anime beneficate dalla sua misericordia. E sebbene i peccati di tutti siano di uguale materia, le circostanze li rendono molto diversi. I sacerdoti, i maestri, i potenti, i prelati e quanti occupano un posto di rilievo o hanno fama di santità provocano grandi mali con lo scandalo della loro empia condotta. Nell'arrischiarsi ad agire contro Dio, che meglio conoscono e verso il quale hanno un debito superiore a quello altrui, sono più temerari, perché lo offendono con maggiore consapevolezza e quindi con più irriverenza. Per tale motivo l'eterno Padre è tanto irritato dalle colpe dei cattolici e, in particolare, da quelle di coloro che si distinguono per saggezza, come si comprende dalle sacre Scritture. Nel tempo assegnato a ogni mortale per meritare la vita eterna, è anche stabilito fino a quale numero di peccati la pazienza del Signore debba aspettare e sopportare ciascuno; secondo la giustizia divina il numero non è computato solo sulla base della quantità, ma anche della qualità e del peso delle colpe. Può dunque succedere che, in chi eccelle per scienza eccelsa o ha ricevuto dal cielo singolari benefici, la qualità supplisca la quantità e che costui, con un minor numero di colpe, venga abbandonato e castigato al pari di altri peccatori che ne hanno commesse di più. D'altra parte, non a tutti può accadere come a Davide e a san Pietro; non in tutti infatti la caduta è preceduta da tante opere buone alle quali il Signore faccia attenzione, né tantomeno il privilegio di alcuni è regola generale per tutti, perché Dio, nei suoi imperscrutabili giudizi, non sceglie tutti per un ministero.

1334. Con questo insegnamento, figlia mia, il tuo dubbio sarà chiarito e intenderai quanto malvagio e amaro sia offendere l'Onnipotente, allorché egli pone molte anime redente dal suo sangue sulla strada della luce e ve le guida. Intenderai, inoltre, come una persona possa cadere da uno stato sublime in un'ostinazione più dura di quella di altre creature che si trovano in una condizione meno perfetta. Tale verità è attestata dal mistero della passione e morte del mio Figlio santissimo; infatti, i capi, i sacerdoti, gli scribi e l'intero popolo, pur essendo maggiormente debitori a Dio rispetto ai pagani, furono portati dalla loro empietà ad una pervicacia, cecità e crudeltà più detestabile e avventata di quella dei pagani stessi, che non conoscevano la vera religione. Voglio che tutto ciò ti metta in guardia da un rischio così grande, affinché tu sia prudente ed unisca al santo timore l'umile gratitudine e l'alta stima dei beni del Signore. Nel tempo dell'abbondanza non dimenticare quello dell'indigenza. Confronta l'uno e l'altro in te stessa; ricorda che hai il tesoro in un vaso fragile, che lo puoi perdere e che ricevere tanti doni non è questione di merito, né il possederli è diritto dovuto, bensì frutto della grazia e della munificenza divine. L’Altissimo ti ha reso sua intima familiare; tuttavia non sei preservata dal cadere, dal perdere il timore e la riverenza o dal vivere negligentemente. Al contrario, timore e riverenza devono crescere in te in proporzione ai favori. Anche l'ira del serpente, infatti, è aumentata; la sua sorveglianza nei tuoi confronti si è fatta più stretta, perché sa che Dio ha mostrato il suo amore generoso a te più che ad altre creature e che, se tu fossi ingrata nonostante gli innumerevoli doni ricevuti, saresti infelicissima e degna di rigoroso castigo e la tua colpa sarebbe inescusabile.


CAPITOLO 20

Per ordine di Pilato il nostro salvatore Gesù fu flagellato, coronato di spine e schernito; ciò che fece Maria santissima in questa circostanza.

1335. Pilato, conoscendo l'ostinazione dei giudei sdegnati verso il Nazareno e desiderando rilasciarlo perché lo sapeva innocente, credette che una flagellazione severa avrebbe placato sia il furore del popolo, sia l'invidia dei sommi sacerdoti e degli scribi; essi così avrebbero cessato di perseguitare Gesù e di cercarne la morte. Inoltre, se per caso l'imputato fosse stato reo di qualche mancanza nelle cerimonie e nei riti giudaici, con ciò sarebbe stato punito a sufficienza. Pilato pensò questo perché, informatosi nel corso del processo, gli fu detto che il Signore era accusato di non osservare il sabato e le altre tradizioni; in realtà, si trattava di una calunnia stolta e priva di fondamento, come è riferito dai santi evangelisti. In proposito, però, il governatore romano parlava pur sempre da ignorante: nel Maestro della santità infatti non poteva esserci posto per alcun difetto riguardo alla legge, che egli non era venuto ad abolire ma a compiere e a perfezionare; d'altra parte, se anche l'accusa fosse stata vera, non avrebbe dovuto punirlo con una pena tanto sproporzionata - dato che la legge stessa prevedeva altri mezzi di purificazione da tutte le trasgressioni che gli stessi accusatori di Cristo commettevano frequentemente -, né lo avrebbe dovuto fare con una simile crudeltà e col castigo dei flagelli. Il giudice s'ingannò molto ritenendo che i giudei avessero un po' di umanità e di compassione naturale. Il loro accanimento non era da uomini, i quali di solito, vedendo il nemico prostrato, si commuovono e si placano perché hanno un cuore di carne e l'amore per il proprio simile è istintivo e suscita una certa pietà. Quei perfidi erano come trasformati in demoni, i quali s'infuriano maggiormente contro chi è più umiliato ed afflitto e quando lo vedono abbandonato dicono: «Perseguitiamolo adesso, perché non ha chi lo difenda e lo liberi dalle nostre mani».

1336. I sommi sacerdoti e i farisei odiavano implacabilmente l'Autore della vita, perché Lucifero, disperando di poter impedire la morte di lui, li irritava con la sua malvagità senza limiti, istigandoli a ucciderlo con efferatezza. Pilato si trovava fra la luce della verità che conosceva ed i motivi umani che lo dominavano; seguendo l'errore che ragioni del genere solitamente provocano in chi governa, comandò di flagellare duramente colui che dichiarava innocente. L'esecuzione dell'ingiusta sentenza suggerita dal demonio fu affidata a sei soldati tra i più robusti, i quali, da uomini vili, malvagi e senza misericordia, accettarono con molto piacere il ruolo di aguzzini. Chi è adirato e invidioso, infatti, si compiace sempre di dare sfogo al suo furore con azioni ignominiose e crudeli. Subito questi servi di satana, con molti altri, condussero il Signore nel luogo adibito a quel supplizio: un cortile, o una specie di vestibolo, dove solevano torturare i delinquenti affinché confessassero i loro delitti. Il cortile faceva parte di una costruzione non molto alta ed era circondato da colonne: alcune, coperte dall'edificio stesso, lo sostenevano, altre erano scoperte e più basse. Ad una di queste ultime, di marmo, legarono strettamente Gesù, perché lo ritenevano un mago e temevano che sfuggisse dalle loro mani.

1337. Prima lo spogliarono della veste bianca con non minore ignominia di quella usata nel fargliela indossare in casa dell'adultero ed omicida Erode; poi, per sciogliere le corde e le catene con cui era stato legato al momento della cattura nel Getsemani, lo maltrattarono ferocemente, lacerando le piaghe che i lacci, essendo tanto stretti, gli avevano procurato nelle braccia e nei polsi. Una volta liberate le divine mani, gli comandarono imperiosamente e con imprecazioni di spogliarsi da solo della tunica inconsutile, la stessa con cui da bambino la sua Madre santissima lo aveva vestito in Egitto, quando gli aveva tolto le fasce. In quel momento il Signore non portava altro abito, perché all'arresto gli avevano levato il mantello che solitamente indossava. Il Figlio dell'eterno Padre obbedì ai carnefici ed incominciò a spogliarsi, subendo il disonore della nudità di fronte a tanta gente. Poiché agli artefici di quella spietatezza sembrò che per pudore il Salvatore tardasse a svestirsi, con violenza gli strapparono la tunica a rovescio per denudarlo più velocemente. Sua Maestà rimase soltanto con il perizoma, lo stesso che Maria santissima gli aveva messo insieme alla tunicella in Egitto, giacché gli abiti erano cresciuti col sacro corpo senza che egli se li togliesse mai; così anche i sandali, che aveva portato sempre, salvo che nel periodo della predicazione, quando camminava spesso a piedi scalzi.

1338. Ho saputo che qualche dottore ha detto o meditato che il nostro Redentore fu denudato del tutto, sia per essere flagellato sia per essere crocifisso, e che egli permise tale vergogna a maggior tormento della propria persona. Avendo ricercato la verità in seguito ad un nuovo ordine dell'obbedienza, mi è stato manifestato che la pazienza di Cristo fu pronta a patire tutto senza resistere ad infamia alcuna, ma entro i limiti della decenza. I giudei tentarono di offendere ancor più pesantemente il Signore con la totale nudità e si accinsero a privarlo anche del perizoma; non vi riuscirono perché, non appena gli si accostavano, le loro braccia s'intirizzivano e gelavano, come era avvenuto nella casa di Caifa quando avevano preteso di compiere il medesimo gesto. E per quanto i sei carnefici si avvicinassero per dare prova della loro forza in questa ingiuria, accadde a tutti la stessa cosa, sebbene poco dopo, per flagellare Gesù con più crudeltà, questi ministri del peccato alzassero un po' detto perizoma - poiché sua Maestà sin qui lo permise - senza toglierlo completamente. Neppure il miracolo di vedersi impediti nel commettere simili scelleratezze mosse o addolcì i cuori di quelle bestie umane, che anzi, con diabolica follia, l'attribuirono all'arte magica che imputavano all'Autore della verità e della vita.

1339. In questa forma, dunque, il divino Maestro restò nudo alla presenza di molta gente e i sei aguzzini lo legarono brutalmente ad una colonna di quell'edificio per percuoterlo meglio. Quindi cominciarono per ordine, a due a due, a colpirlo così duramente come non sarebbe stato possibile alla natura umana se lo stesso Lucifero non si fosse impossessato del cuore empio di quei suoi servi. I primi due flagellarono l'innocentissimo Signore con alcune cordicelle molto ritorte, grosse e rigide, dando prova del loro disprezzo furioso e della loro forza fisica. I primi flagelli formarono in tutto il corpo deificato del nostro Salvatore grandi gonfiori e livide contusioni, che lo sfigurarono, giungendo quasi a fargli versare il preziosissimo sangue per le ferite. Quando questi carnefici si stancarono, ne subentrarono altri due, che a gara, con estremità di cuoio simili a redini durissime, lo colpirono sulle prime percosse, rompendo quelle bolle e quei rigonfiamenti fatti dai primi e facendone uscire il sangue divino, che non solo bagnò completamente il nostro Redentore, ma schizzò anche sulle vesti dei sacrileghi soldati e scorse fino a terra. Dopo ciò si fermarono i secondi aguzzini e seguitarono i terzi, servendosi come nuovi strumenti di certe estremità di nervi di animali, duri al pari di arbusti secchi. Costoro flagellarono sua Maestà con maggiore brutalità, sia perché non percuotevano più il suo corpo verginale bensì le ferite stesse procurate dagli altri, sia perché furono ancora occultamente istigati dai demoni, la furia dei quali cresceva a motivo della pazienza di Cristo.

1340. Poiché Gesù era tutto una piaga e le sue vene erano già aperte, gli ultimi carnefici non trovarono alcun membro sano da ferire, ma continuarono a lacerare quella carne immacolata, riducendola a brandelli e scoprendo le spalle in molti punti, cosicché le ossa, tinte di sangue, divennero ben visibili per più di un palmo di mano. Per cancellare completamente la sua bellezza, superiore a quella di tutti i figli degli uomini, lo flagellarono sul viso, sui piedi e sulle mani fin dove poterono scatenare il loro furore contro l'innocentissimo Agnello. E questi colpi furono incomparabilmente dolorosi, essendo tali parti più innervate, sensibili e delicate. Il sangue del Signore scorse a terra, aggrumandosi con abbondanza; quel venerabile volto divenne tumido e piagato; gli occhi furono accecati dal sangue e dai rigonfiamenti che vi si formarono. Come se non bastasse, lo imbrattarono di sputi e lo coprirono d'insulti. Il numero preciso delle sferzate date al Salvatore fu di cinquemilacentoquindici, dalla pianta dei piedi alla testa. Così l'Autore e padrone di ogni cosa creata, che per natura divina era impassibile, si fece per noi, nella condizione della nostra carne, uomo di dolori, molto esperto nelle sofferenze umane, ultimo di tutti e da tutti deriso.

1341. La folla che seguiva il Nazareno aveva riempito i cortili della casa di Pilato sin nella strada, perché aspettava di vedere come sarebbe andata a finire quella vicenda; ciascuno parlava concitatamente, secondo il giudizio che si era formato sull'evento. In mezzo alla confusione, la Vergine sopportò offese e tribolazioni incomparabili per gli insulti e le bestemmie che giudei e pagani proferivano contro il suo Figlio santissimo. E quando lo condussero al luogo della flagellazione, la prudentissima Signora, accompagnata dalle Marie e da san Giovanni, si ritirò in un angolo del cortile, dove una visione chiarissima le mostrò i tormenti sofferti dal nostro Redentore. Benché non guardasse con gli occhi del corpo, vide tutto meglio che se fosse stata molto vicino e niente le rimase nascosto. Non è umanamente comprensibile quali e quante pene ella abbia patito in questa circostanza: si conosceranno in Dio, unitamente ad altri misteri imperscrutabili, quando in lui saranno manifestati a tutti per la gloria del Figlio e della Madre. Ho già detto altrove in questa Storia - e soprattutto narrando la passione del Signore - che Maria santissima avvertì sensibilmente ogni sofferenza provata da Gesù. Lo stesso accadde anche durante la flagellazione: i colpi dati a Cristo nostro bene si ripercuotevano nelle medesime parti del corpo della gran Regina. E per quanto ella non versasse altro sangue all'infuori di quello effuso insieme alle lacrime, né si trasferissero a lei le piaghe del Figlio, lo strazio la trasformò e sfigurò a tal punto che san Giovanni e le Marie non la riconoscevano più. Oltre ai dolori fisici, furono indescrivibili quelli della sua anima purissima, perché in essa, crescendo la conoscenza, aumentò l'afflizione. Ella sola fra tutte le creature poté e seppe unire all'amore naturale di madre e alla suprema carità verso Cristo la capacità di comprendere l'innocenza di lui, la dignità della sua divina persona e il peso delle ingiurie inflittegli dalla perfidia giudaica e dagli altri figli di Adamo, che egli riscattava dalla morte eterna.

1342. Dopo la flagellazione gli stessi carnefici, con audacia imperiosa, sciolsero il nostro Salvatore dalla colonna e, bestemmiando nuovamente, gli comandarono di rivestirsi subito della tunica che gli avevano tolto. Uno di quei soldati, incitato dal demonio, aveva nascosto la veste del mansuetissimo Maestro, affinché non la trovasse e, per sua maggiore derisione, rimanesse nudo. La Madre del Signore conobbe questo intento malvagio e, usando della sua potestà di regina, ordinò a Lucifero e a tutti i suoi diavoli di andarsene da quel luogo; ed essi si allontanarono all'istante, costretti dalla forza e dal potere di sua Altezza. Allora ella diede ordine ai santi angeli di riporre l'abito del suo Figlio santissimo in un posto da cui egli potesse riprenderlo per ricoprire il suo sacro corpo piagato. Gli spiriti celesti obbedirono prontamente. I sacrileghi soldati non compresero che era stato operato un miracolo, ma attribuirono il fatto ad arte magica. Il nostro Redentore si rivestì, dopo aver sopportato sulle piaghe il nuovo dolore causatogli dal rigore della notte, poiché - come riferisce il Vangelo - faceva freddo. Sua Maestà, infatti, era stato nudo a lungo, per cui il sangue delle ferite si era congelato e comprimeva le piaghe, divenute più gonfie e dolorose. La temperatura rigida lo aveva debilitato al punto che gli venivano meno le forze per sopportare quei tormenti, per quanto l'incendio della sua infinita carità lo spingesse a patire e a desiderare sempre più e più pene. Nonostante che nelle creature ragionevoli la pietà sia naturale, non vi fu chi si accorgesse della sua sofferenza e del suo stato di bisogno ad eccezione della Madre addolorata, la quale piangeva per il genere umano e, compatendolo, si affliggeva.

1343. Tra i misteri di Cristo nascosti all'umana sapienza, suscita grande meraviglia che lo sdegno dei giudei, uomini di carne e sangue come noi, non si placasse al vedere Gesù così piagato e ferito da cinquemilacentoquindici colpi; stupisce che un oggetto tanto misero non muovesse in quei perfidi un'istintiva compassione, ma che anzi la loro invidia escogitasse ingiurie e tormenti nuovi contro chi era già provato a tal segno. Il loro furore era talmente implacabile che senza porre tempo in mezzo essi tentarono un altro inaudito genere di angherie: andarono da Pilato e, alla presenza di quelli del suo consiglio, gli dissero: «Questo sobillatore ed ingannatore del popolo, Gesù Nazareno, con le sue furberie e vanità ha cercato di far sì che tutti lo considerino il re dei giudei. Affinché la sua superbia sia umiliata e la sua presunzione svanisca completamente, desideriamo che tu ci consenta di mettergli le insegne regali che la sua fantasia si è meritata». Il governatore acconsentì all'ingiusta richiesta, dando loro licenza di eseguirla.

1344. Condussero subito il Salvatore al pretorio, dove lo spogliarono nuovamente con la stessa crudeltà ed insolenza di prima e gli misero addosso, come veste da finto re, una porpora lacera e sporca perché fosse deriso da tutti. Posero inoltre sulla sua sacra testa un cerchio di giunchi spinosi ben intrecciati, con punte assai acuminate e robuste, e gli premettero questa specie di corona in modo tale che molte spine penetrarono sia fino al cranio, sia fino agli orecchi e agli occhi. Così il tormento che sua Maestà patì con la corona di spine fu uno dei più atroci. Come scettro regale gli misero nella destra una spregevole canna; oltre a tutto ciò gli gettarono sulle spalle un mantello di color viola cupo, simile alle cappe degli ecclesiastici, indumento che faceva parte dell'ornamento proprio dei re. In questa maniera, i giudei rivestirono da re da burla colui che per natura e per titoli era vero Re dei re e Signore dei signori. I soldati si riunirono alla presenza dei sommi sacerdoti e dei farisei e, posto al centro il nostro Redentore, con scherno feroce lo coprirono d'ingiurie. Alcuni gli s'inginocchiavano davanti e gli dicevano per sbeffeggiarlo: «Salve, o re dei giudei!»; altri gli davano schiaffi, altri con la canna che teneva in mano lo percuotevano sul capo ferendolo; altri gli sputavano e tutti lo vituperavano in diversi modi suggeriti loro dalla furia del demonio.

1345. Oh, carità incomprensibile e senza misura! Oh, pazienza mai vista né immaginata tra i figli di Adamo! Chi mai, o mio Signore, poté costringere la vostra grandezza ad umiliarsi - essendo voi Dio vero e onnipotente nell'essere e nelle opere - al punto di soffrire tanti inauditi tormenti ed oltraggi? Ma chi abbandonò la sua condotta malvagia affinché voi non foste obbligato a fare e patire niente per l'umanità, o bene infinito? Chi mai avrebbe creduto o pensato una cosa simile se voi non ci aveste mostrato la vostra sconfinata bontà? Dov'è il nostro senno, ora che con la fermezza della fede contempliamo i meravigliosi doni del vostro amore? Che cosa produce il lume della verità che conosciamo e confessiamo? Quale incantesimo è questo che subiamo? Perché alla vista del vostro dolore, dei flagelli, degli insulti e delle ignominie andiamo in cerca dei piaceri, del riposo, dei privilegi e delle vanità del mondo senza vergogna né timore? Veramente grande è il numero degli stolti, poiché la peggiore empietà è riconoscere il debito e non pagarlo, ricevere il beneficio e non gradirlo, aver sotto gli occhi il massimo bene e disprezzarlo, allontanarlo da noi e non approfittarne, lasciare la vita, fuggirla e seguire la morte eterna. Fra tali e tante offese l'innocentissimo Agnello non aprì bocca e non valsero a mitigare il furioso sdegno dei giudei né la derisione con cui lo disprezzarono, né i tormenti che gli inflissero.

1346. A Pilato parve che l'ingrato popolo si sarebbe commosso vedendo il Nazareno ridotto in quello stato; per questo lo mostrò a tutti da una finestra del pretorio, in modo che guardassero com'era: flagellato, sfigurato e coronato di spine con le vesti ignominiose da finto re. Lo stesso Pilato disse: «Ecce homo. Ecco qui l'uomo che considerate vostro nemico. Che altro posso fargli, dopo averlo castigato con tanto rigore? Ormai non avete più ragione di temerlo. Io non trovo in lui nessuna colpa che meriti la morte». Quello che il governatore affermava corrispondeva alla realtà, ma così facendo egli condannava il suo stesso sopruso: aveva fatto tormentare un uomo che riconosceva e dichiarava giusto e che sapeva non essere degno di morte, e lo aveva permesso in maniera tale che i supplizi lo avrebbero potuto privare non solo di una, ma di più vite. Oh, cecità dell'amor proprio e malvagità di compiacere a forza di condiscendenze coloro che danno e tolgono le dignità! Come oscurano la ragione questi sentimenti perversi, facendo pendere la bilancia della giustizia, adulterandola nella più grande delle verità e nella condanna del Giusto dei giusti! Tremate, o giudici della terra, e badate che la stadera dei vostri giudizi e dettami non sia fraudolenta, perché in una sentenza ingiusta i giudicati e i condannati siete voi. E siccome i sommi sacerdoti e i farisei desideravano pervicacemente eliminare Cristo nostro salvatore, niente che fosse meno della morte li poteva contentare; quindi, risposero a Pilato: «Crocifiggilo, crocifiggilo!».

1347. La benedetta tra le donne, Maria santissima, vide Gesù quando il governatore lo presentò al popolo dicendo "Ecce homo", e inginocchiatasi lo adorò e lo confessò come vero Dio-uomo. Lo stesso fecero san Giovanni, le Marie e gli angeli che assistevano la gran Signora, perché, come madre del nostro Salvatore e come regina di tutti, ella comandò loro di fare così. Essi inoltre sapevano che ciò corrispondeva alla volontà di Dio. La prudentissima colomba disse agli spiriti celesti, all'eterno Padre e molto più al suo amantissimo Figlio intense parole di dolore, di compassione e di profonda venerazione, quali poterono essere concepite solo nel suo cuore ardente e casto. Con la sua altissima sapienza considerò inoltre che, in quella circostanza in cui sua Maestà era così insultato, disprezzato e schernito dai giudei, era assolutamente necessario conservare il credito della sua innocenza. Dietro questa saggia determinazione, la gran Regina rinnovò le preghiere fatte in precedenza per Pilato, affinché costui, in quanto chiamato a giudicare, continuasse a dichiarare che il nostro Redentore non era né degno di morte né malfattore come i giudei pretendevano, e affinché il mondo comprendesse la verità.

1348. In virtù della preghiera della beatissima Vergine, l'ingiusto giudice sentì grande pietà nel vedere il Signore così maltrattato con flagelli e insulti, e gli dispiacque che lo avessero straziato con tanta ferocia. Benché tutti questi moti fossero alquanto favoriti dalla sua natura dolce e compassionevole, era soprattutto la luce che riceveva per intercessione della Madre della grazia ad operare in lui, ispirandogli di trattenersi con i giudei a questionare circa la libertà da concedere a Gesù nostro salvatore, come riferisce l'evangelista san Giovanni dopo la coronazione di spine. Poiché essi gli chiedevano di crocifiggerlo, Pilato rispose: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio» All'udir ciò, il governatore ebbe ancor più paura e, secondo il concetto di divinità che aveva, pensò che il Nazareno potesse davvero essere Figlio di Dio. Rientrato nel pretorio, in disparte si rivolse al Signore e gli domandò di dove fosse; ma non ottenne risposta, perché non era in grado di comprenderla e neppure la meritava. Tuttavia egli tornò ad insistere con il Re del cielo: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Con queste parole Pilato intendeva obbligare Gesù a discolparsi e a dirgli qualcosa su ciò che desiderava sapere. Era convinto che un uomo tanto afflitto e tormentato avrebbe accettato qualunque favore offertogli dal giudice.

1349. Il Maestro della verità invece parlò senza difendersi e con maggiore sublimità di quella che Pilato cercava: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande». Anche solo una simile affermazione avrebbe dovuto persuadere il giudice a non condannare Cristo, facendogli capire che su quell'uomo non avevano potere né lui né Cesare, che un ordine più alto ne aveva permesso, contro la ragione e la giustizia, la consegna alla sua giurisdizione, che perciò Giuda e i capi del popolo, non liberandolo, avevano peccato più gravemente di lui, pur essendo anch'egli reo della medesima colpa, benché in misura minore rispetto agli altri. Pilato non giunse a conoscere questa misteriosa verità e s'intimorì molto per le parole del Signore, adoperandosi maggiormente per rilasciarlo. Poiché compresero il suo intento, i sommi sacerdoti lo minacciarono insinuando che, se non avesse privato della vita chi si faceva re o lo avesse addirittura liberato, sarebbe incorso nell'inimicizia dell'imperatore. Gli dissero infatti: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare». Dissero questo perché gli imperatori romani non consentivano a nessuno in tutto l'impero di ardire d'impadronirsi del titolo regale senza la loro volontà e, se Pilato avesse accondisceso a ciò, non avrebbe osservato i decreti di Cesare. All'insidiosa minaccia dei giudei, Pilato si turbò molto e all'ora sesta tornò ad insistere un'altra volta dicendo loro: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare».

1350. Il governatore si lasciò vincere dall'ostinazione e dalla malvagità dei giudei e, sedutosi in tribunale - detto in greco Litòstroto e in ebraico Gabbatà -, nel giorno della Parasceve pronunciò la sentenza di morte contro l'Autore della vita. I capi del popolo se ne andarono pienamente soddisfatti e con grande gioia, divulgando quel verdetto nel quale, senza che essi lo sapessero, è racchiusa la nostra salvezza. La Madre addolorata, stando fuori, conobbe tutto contemplandolo in visione. E quando i sommi sacerdoti e i farisei uscirono rendendo pubblica la notizia della condanna alla crocifissione, si rinnovò lo strazio del suo castissimo cuore, che fu trafitto, penetrato e trapassato crudelmente dalla spada dell'amarezza. Poiché la pena di Maria santissima in tale circostanza superò ogni umano pensiero, non posso parlarne, ma devo rimetterne la considerazione alla pietà cristiana. Tantomeno è possibile riferire i suoi atti interiori di adorazione, culto, riverenza, amore, compassione, dolore.

Insegnamento della Regina del cielo

1351. Figlia mia, sei piena di meraviglia nel considerare la durezza di cuore dei giudei e la condiscendenza di Pilato, il quale di fronte all'innocenza di mio Figlio riconobbe la loro cattiveria, ma se ne lasciò vincere. Io ti voglio trarre fuori da questo stupore con l'insegnamento e gli ammonimenti che ti occorrono, affinché tu sia vigilante nel cammino della vita. Sai già che le antiche profezie dei misteri della redenzione e tutte le sacre Scritture sono infallibili, poiché passeranno il cielo e la terra prima che cessino di compiersi secondo quanto ha stabilito la mente divina. Ora, perché si realizzasse la vergognosissima morte profetizzata per il mio Gesù, era necessario che al mondo vi fossero uomini che lo perseguitassero, ma che questi fossero i giudei e i loro capi, e che Pilato fosse l'ingiusto giudice che lo condannò, fu loro sfortuna e somma infelicità e non scelta dell'Altissimo, che avrebbe voluto tutti salvi. Essi furono condotti a tanta rovina dalle proprie colpe e dalla somma malvagità con cui opposero resistenza alla grazia rifiutando benefici incommensurabili, come quello di avere con sé il loro Salvatore e maestro, di avere a che fare con lui, di conoscerlo, di udirne la predicazione e l'insegnamento, di assistere ai suoi miracoli e di ricevere tanti favori che nessuno degli antichi padri aveva potuto ottenere, per quanto li avesse bramati. Così fu giustificata la causa del Signore e fu noto a tutti che, per quanto egli avesse coltivato con le proprie mani la sua vigna e l'avesse colmata di beni, essa gli diede in cambio spine e tribolazioni, tolse la vita al padrone che l'aveva piantata e non volle riconoscerlo, come doveva e poteva meglio degli stranieri.

1352. Quanto successe a Cristo capo avverrà sino alla fine del mondo alle membra del suo corpo mistico che sono i giusti, perché sarebbe scandaloso che le membra non corrispondessero al capo, i figli al padre e i discepoli al maestro. E anche se gli scandali sono inevitabili perché nel mondo sempre vivranno insieme i perseguitati e i persecutori, chi dia la morte e chi la subisca, chi mortifichi e chi sia umiliato, nondimeno le diverse sorti sono frutto della malizia o della bontà degli uomini. Sciagurato colui che, per sua colpa e cattiva volontà, provoca lo scandalo e si rende così strumento del demonio. I primi ad accanirsi contro la nuova Chiesa furono i sommi sacerdoti, i farisei e Pilato, i quali ne perseguitarono il capo e, nel corso dei secoli, sono imitati da quelli che ne fanno soffrire il mistico corpo.

1353. Adesso dunque carissima, alla presenza del Signore e mia, considera quale sorte tu voglia scegliere. Il tuo Redentore e sposo fu tormentato, coronato di spine e oltraggiato: se brami appartenere al suo corpo mistico non è certo conveniente né possibile che tu viva nei piaceri secondo la carne. Tu devi essere quella che è perseguitata e non perseguita, che è oppressa e non opprime, che patisce senza far patire il suo prossimo, che porta la croce e sopporta lo scandalo e non lo causa; anzi, nella misura in cui ti sarà possibile, devi procurare agli altri il rimedio e la salvezza, ricercando la perfezione del tuo stato e della tua vocazione. Questa è la parte di eredità degli amici di Dio e dei suoi figli nella vita mortale; in essa si trova la partecipazione alla grazia e alla gloria, che mio Figlio acquistò per il genere umano con i tormenti, le ingiurie e la morte di croce. Anch'io, poi, cooperai all'opera della salvezza, costatami i dolori e le afflizioni che hai inteso: fa' in modo di non cancellare mai dal tuo cuore le loro immagini e la loro memoria. L'Onnipotente avrebbe potuto far grandi nel tempo i suoi eletti, dare loro ricchezze, doni e fama, renderli forti come leoni e capaci di sottomettere ogni cosa al loro potere invincibile. Ma non conveniva condurli per una simile via perché gli uomini non s'ingannassero, pensando che la felicità consistesse nella grandezza di ciò che è visibile e terreno; in tal caso, infatti, avrebbero abbandonato le virtù ed oscurato la gloria del Signore, non avrebbero sperimentato l'efficacia della grazia divina, né aspirato a ciò che è spirituale ed eterno. Voglio che t'impegni continuamente e tragga profitto da questa scienza ogni giorno, mettendo in pratica tutto quello che vi scopri e conosci.


CAPITOLO 21

Pilato pronunzia la sentenza di morte contro l'Autore della vita; sua Maestà porta la croce sul colle dove deve morire ed è seguito da Maria santissima. Si narrano, inoltre, le azioni della Madre contro il demonio in tale circostanza ed altri eventi.


1354. Pilato sancì il decreto di morte sulla croce contro colui che è la vita stessa, il nostro Salvatore, per soddisfare ed appagare i farisei e gli scribi. Dopo che fu notificata la sentenza, l'innocentissimo reo fu guidato in un altro luogo della casa del giudice, dove gli fu tolto l'ignominioso mantello di porpora che gli avevano fatto indossare per burlarsi di lui come finto re. Da parte di Gesù questo atto fu colmo di mistero, ma da parte dei giudei si trattò di un'azione deliberatamente malvagia. Costoro lo fecero condurre al supplizio con le sue vesti, affinché tutti potessero riconoscerlo; infatti, a causa dei flagelli, degli sputi e della corona di spine, il suo volto appariva tanto sfigurato che il popolo avrebbe potuto individuarlo solo dall'abito. Gli rimisero la tunica inconsutile che gli angeli, su ordine della Regina, avevano posto sotto i loro occhi prendendola di nascosto dall'angolo di una stanza dove gli sbirri l'avevano gettata quando lo avevano spogliato per rivestirlo del mantello di porpora, segno di derisione e di scandalo. Essi, però, non compresero ciò che stava accadendo e tanto meno vi prestarono attenzione, essendo così preoccupati e solleciti di accelerare l'uccisione del Redentore.

1355. La notizia della condanna fece subito il giro della città e tutti si riversarono precipitosamente nel palazzo di Pilato per osservare il Nazareno mentre veniva portato al martirio. Gerusalemme era strapiena di gente perché, oltre ai suoi numerosissimi abitanti, molti vi erano giunti per celebrare la Pasqua. Tutti accorsero per la novità e le vie furono riempite. Era venerdì, il giorno della Parasceve, che in greco significa preparazione o disposizione, perché proprio in quel giorno gli ebrei si preparavano e si disponevano per il sabato seguente, ritenuto da loro una grande solennità. In tale giorno non eseguivano alcun lavoro e neppure cucinavano il cibo, ma facevano ogni cosa il venerdì. Il mansuetissimo Agnello fu fatto uscire, vestito dei propri indumenti: il suo viso era talmente ferito che nessuno avrebbe mai potuto scorgere in lui lo stesso Cristo che avevano veduto prima. Come dice Isaia, apparve disprezzato e reietto, percosso da Dio e umiliato, perché il sangue seccatosi e i rigonfiamenti lo avevano reso tutto una piaga. Alcune volte gli spiriti superni, per comando della Vergine afflitta, lo avevano ripulito dagli sputi nauseanti, ma quei malvagi ricominciarono subito a sputargli addosso e lo fecero senza misura, tanto che egli fu totalmente ricoperto dalle schifose immondezze. Di fronte a uno spettacolo così infausto, si sollevò tra la folla un clamore e un chiasso tanto confuso che non si intendeva più nulla e si udiva solamente lo strepito e l'eco delle voci. Tra tutte risuonavano quelle dei sommi sacerdoti e dei farisei, che con gioia smodata e piena di scherno si rivolgevano alla moltitudine affinché si acquietasse, sgombrasse la strada e potesse ascoltare la sentenza. Tutto il resto del popolo era disorientato e diviso da giudizi diversi; differenti, infatti, erano i sentimenti di ciascuno come pure differenti erano le provenienze degli astanti. Molti di loro erano stati beneficati dalla bontà del Signore e dai suoi miracoli; altri avevano appreso e accolto il suo insegnamento ed erano suoi amici e conoscenti. Alcuni piangevano amaramente, altri si domandavano quali delitti avesse commesso quell'uomo da meritare un tale castigo, ed altri ancora rimanevano turbati e ammutoliti. Tutto era scompiglio e tumulto.

1356. Degli Undici solo Giovanni era presente. Egli stava accanto alla Madre dolente ed era possibile scorgere entrambi benché fossero alquanto separati dalla calca. Quando l'Apostolo vide il Maestro - dal quale sapeva di essere molto amato - trascinato così davanti alla gente e segnato dalla sofferenza, venne meno e perse i sensi come morto. Anche le tre Marie caddero a terra tramortite da un freddo deliquio. Solo la Regina rimase invitta. Il suo cuore generoso, nonostante il profondo dolore umanamente impossibile da comprendere e da immaginare, non si abbatté, né si scoraggiò, né provò la debolezza dello svenimento come successe agli altri. Si mostrò in tutto prudentissima, forte e degna di stima, si comportò esteriormente con accortezza e, senza singhiozzi né grida, confortò le altre donne e il discepolo prediletto; chiese all'Altissimo che infondesse in essi il coraggio e li consolasse con la sua presenza affinché ella potesse trovare in loro una compagnia fino alla fine della passione. Grazie a questa implorazione Giovanni e le altre Marie ebbero sostegno, si ripresero dallo svenimento e poterono parlare di nuovo con lei. Fra tanta confusione e toccata dalla più amara delle afflizioni, la Signora non fece alcun gesto né movimento, mentre, con la dignitosa compostezza di una sovrana, lasciava scendere dagli occhi incessanti e copiose lacrime. Guardava l'Unigenito, supplicava l'eterno Padre e gli offriva il martirio del Salvatore, unendosi a tutte le sue azioni. Ella conosceva la malizia del peccato, penetrava i misteri della redenzione umana, invitava gli angeli a riflettervi e pregava per gli amici e i nemici. Dando il giusto posto all'amore di madre e alla pena che ne corrispondeva, si prodigava nelle opere di virtù, richiamando in tal modo l'ammirazione del cielo e il sommo compiacimento della Divinità. Non è possibile riferire con i miei termini le espressioni che ella sapientemente andava formando nel suo intimo e sussurrando sulle labbra, e quindi ne lascio la considerazione alla pietà cristiana.

1357. I sommi sacerdoti e i soldati cercavano di calmare e di far tacere il popolo, perché si potesse udire la sentenza contro il Messia; infatti, dopo avergliela notificata personalmente, volevano proclamarla dinanzi a lui. La folla fece dunque silenzio e, mentre egli stava in piedi come un criminale, cominciarono a leggerla ad alta voce, cosicché tutti ne potessero ascoltare il contenuto. Fecero lo stesso per diverse volte sulle strade e da ultimo ai piedi della croce. Questa condanna è stata stampata e diffusa in volgare ed io l'ho vista; secondo la cognizione che mi è stata data, nella sostanza è vera, salvo alcune parole che le sono state aggiunte. Io la ripeterò qui senza queste ultime, ma esattamente con quelle che mi sono state dette, senza aggiungervi o togliere nulla. Esse suonano come segue:

1358. «Io, Ponzio Pilato, governatore della Galilea Inferiore, reggente dell'impero romano in Gerusalemme, nel palazzo del pretorio, giudico e pronunzio la condanna a morte di Gesù, chiamato Nazareno, originario della Galilea, uomo sedizioso, sovvertitore della legge, del nostro senato e del grande imperatore Tiberio Cesare. Con la presente sentenza stabilisco che perisca sulla croce, come si usa per i colpevoli, perché egli ogni giorno ha riunito e chiamato a raccolta numerose persone, ricche e povere, e non ha cessato di provocare tumulti per tutta la Giudea, proclamandosi Figlio di Dio e re d'Israele. Inoltre ha minacciato la rovina di questa insigne città, del suo tempio e del sacro impero, negando il tributo a Cesare. Ha avuto persino l'ardire di entrare con rami di palma in Gerusalemme e nel tempio di Salomone, accompagnato da una folla numerosa. Ordino al primo centurione Quinto Cornelio di condurlo per le vie a sua vergogna, legato com'è e flagellato per mio comando. E affinché chiunque possa riconoscerlo, gli siano lasciate le sue vesti e gli sia messo sulle spalle il duro legno sul quale sarà inchiodato. Vada per tutte le strade pubbliche, in mezzo ai due ladroni che sono stati similmente condannati per furti e omicidi, perché ciò serva da esempio intimidatorio, per tutto il popolo e per i malfattori. Inoltre esigo che questo farabutto venga spinto fuori dalle mura per la porta Pagora, adesso detta Antoniana. Sia preceduto da un banditore che dichiari ad alta voce le colpe enunciate in questo mio decreto e poi sia condotto al monte chiamato Calvario, dove si usa dare il supplizio e giustiziare gli empi. Qui sia inchiodato sulla stessa croce che avrà dovuto portare ed il suo corpo rimanga appeso fra i due suddetti ladroni. Sopra di essa, precisamente sulla parte più alta, sia posta l'iscrizione con il suo nome nelle tre lingue oggi più frequentemente usate, ossia l'ebraico, il greco e il latino: "Questi è Gesù Nazareno, Re dei Giudei", perché tutti capiscano ed egli sia da tutti conosciuto. Similmente ingiungo, sotto la pena della perdita dei beni, della vita e di essere considerato un ribelle contro l'impero, che nessuno, a qualunque stato o condizione appartenga, ardisca temerariamente impedire o ostacolare la sentenza di giustizia da me pronunziata, amministrata e da eseguirsi rigorosamente secondo i decreti e le leggi dei romani e degli ebrei. Nell'anno della creazione del mondo cinquemiladuecentotrentatré, il venticinque marzo. Ponzio Pilato, giudice e governatore della Galilea Inferiore, in nome dell'impero romano, come sopra di propria mano».

1359. Secondo tale computo, la creazione del mondo avvenne in marzo e dal giorno in cui fu plasmato Adamo sino all'incarnazione del Verbo trascorsero cinquemilacentonovantanove anni. Se si aggiungono i nove mesi durante i quali egli dimorò nel seno verginale della sua santissima Madre e i trentatré anni in cui visse sulla terra, se ne hanno cinquemiladuecentotrentatré e, conformemente al computo romano degli anni fino al venticinque marzo, i tre mesi avanzano. Secondo il calcolo della Chiesa al primo anno del mondo non toccano più di nove mesi e sette giorni, poiché il secondo anno comincia dal primo di gennaio. Per quanto concerne le diverse opinioni dei dottori, mi è stato comunicato che è vera e giusta quella della Chiesa nel martirologio romano.

1360. Dopo che la sentenza di Ponzio Pilato fu pronunciata ad alta voce alla presenza di tutti, i soldati misero sulle spalle delicate e piagate di sua Maestà la pesante croce. Gli sciolsero le mani, perché fosse in grado di tenerla, ma non gli slegarono il corpo, per poterlo trascinare con le corde a loro piacimento. E per maggiore crudeltà le girarono due volte intorno al collo. Il duro legno era lungo quindici piedi, costruito grossolanamente e molto pesante. Il banditore diede inizio alla lettura della condanna e la confusa e turbolenta moltitudine di gente, insieme ai ministri della giustizia e alle guardie, cominciò a muoversi, in una scomposta processione, tra grandi strepiti e clamori e si incamminò per le vie della città dal palazzo di Pilato verso il monte Calvario. Quando il Redentore prese su di sé la croce, la guardò con un'espressione piena di giubilo e di inusitata allegrezza, come suole fare lo sposo nel vedere i preziosi monili della sua sposa; parlò con essa, nel suo cuore, e l'accolse con queste parole:

1361. «O croce, bramata dall'anima mia! Finalmente appaghi le mie aspirazioni! Tu mi sei così cara! Vieni a me, o mia diletta, stringimi fra le tue braccia e su di esse, come su un sacro altare, mio Padre riceva il sacrificio dell'eterna riconciliazione con il genere umano. Per morire sopra di te sono disceso dal cielo e ho assunto carne mortale e passibile. Tu devi essere lo scettro con il quale trionferò su tutti i miei avversari, la chiave con cui aprirò le porte del paradiso ai miei eletti, il luogo santo dove trovino misericordia i colpevoli discendenti di Adamo e anche il luogo dei tesori, da cui essi possano attingere per arricchire la loro povertà. Mi voglio servire di te per dare valore e considerazione agli oltraggi e agli obbrobri degli uomini, tanto da far sì che i miei amici li abbraccino con gioia e li cerchino con desiderio ardente, per potermi seguire sul cammino che io spianerò loro attraverso di te. Dio immenso, vi glorifico come sovrano dell'universo e in obbedienza al vostro divino beneplacito prendo su di me il legno dell'immolazione della mia umanità innocentissima e volontariamente accetto di portarlo per la salvezza dei viventi. Accoglietemi come oblazione gradita alla vostra equità, affinché essi d'ora innanzi non siano più servi, ma figli ed eredi: vostri eredi e coeredi con me del vostro regno».

1362. La Principessa contemplava questi arcani e guardava gli avvenimenti senza che alcuno le rimanesse nascosto: di tutti aveva un'altissima conoscenza ed una profonda comprensione, superiore perfino a quella dei ministri celesti. Gli eventi che non riusciva a vedere con gli occhi del corpo, li percepiva con l'intelligenza della rivelazione: quest'ultima glieli manifestava mediante le azioni interiori del suo Unigenito. In questa luce divina penetrò lo straordinario valore dato al santo legno nel momento in cui venne a contatto con il nostro Maestro. Senza indugio, la prudentissima Vergine lo adorò e venerò con il culto dovuto e lo stesso fecero anche tutti gli spiriti superni che erano al loro servizio. Accompagnò il Signore nelle effusioni di tenerezza con le quali egli accolse la croce e si rivolse ad essa con espressioni che le si addicevano come corredentrice. Pregò anche l'Onnipotente, imitando in tutto come viva immagine, senza allontanarsene per nulla, il suo modello originale. Quando la voce del banditore risuonò per le strade proclamando il giudizio, ella nell'udirlo compose un cantico di lode. Inneggiò all'innocenza immacolata di Gesù contrapponendo la benedizione ai delitti citati nella sentenza, quasi volesse commentarne le parole in suo onore e a sua gloria. Nel comporre tale inno fu aiutata dai custodi che lo ripetevano alternatamente con lei, mentre gli abitanti di Gerusalemme bestemmiavano il loro Creatore.

1363. Poiché in questa via di dolore tutta la fede, la scienza e la carità erano serbate nel cuore grande di Maria, ella solamente fu in grado di intendere in modo perfetto ed avere una cognizione appropriata di ciò che significassero la passione e la morte di Dio per il genere umano. E senza perdere l'attenzione a quello che esteriormente era necessario fare, considerò nella sua saggezza i misteri della redenzione. Soppesò anche con la massima ponderazione chi fosse colui che stava patendo, ad opera di chi e per chi patisse; infatti ella fu l'unica, dopo l'Altissimo, a ricevere la più sublime cognizione della dignità della persona di Cristo, della sua natura divina e umana, delle perfezioni e degli attributi relativi ad essa. La candida colomba non fu solamente testimone oculare di quanto egli provò, ma ne fece anche esperienza. Divenne così motivo di sante emulazioni non solo per gli uomini, ma anche per gli stessi angeli che non ottennero tale pienezza di grazia. Essi vennero a sapere come la Regina sentisse e portasse in sé i dolori di suo Figlio, e l'inesplicabile compiacimento che ne aveva la santissima Trinità. Compensava così la pena che non poteva sperimentare con l'onore e le lodi che andava tributando. Alcune volte capitava che la Madre partecipasse nel suo spirito e nel suo corpo castissimo ai patimenti corrispondenti a quelli inflitti a lui, prima ancora che le venissero manifestati tramite l'intelletto. E come colta dallo spavento, gridava: «Ahimè, quale agonia fanno subire ora al mio dolcissimo diletto!». E subito era rischiarata su tutto ciò che stavano facendo a sua Maestà. Fu a tal punto eroica e fedele nel sopportare e nell'imitare colui che era suo modello e nostro bene, da non concedersi mai alcun sollievo naturale; non solo delle membra, in quanto non riposò, né mangiò, né dormì, ma anche dello spirito, privandosi dei piaceri e delle consolazioni che le avrebbero potuto arrecare conforto, fatta eccezione di quelle che le furono comunicate attraverso la forza della grazia divina. Allora la Signora le accolse con umiltà e riconoscenza per attingervi nuovo coraggio ed essere concentrata con maggiore fervore sulla tribolazione del suo Unigenito e sulla ragione dei suoi tormenti. Ella ebbe chiara notizia della malizia dei giudei e dei soldati, dei bisogni, della rovina e dell'ingratissima natura dell'umanità, per la quale egli stava offrendo la propria vita.

1364. La destra dell'Eterno, in questa circostanza, fece per mano di Maria, segretamente, un mirabile prodigio contro Lucifero e i suoi ministri. Costoro seguirono con attenzione tutto quello che stava accadendo nel martirio di Gesù, del quale avevano una conoscenza non chiara per non dire confusa. Allorché egli prese la croce sulle sue spalle, tutti i suoi nemici rimasero sbigottiti e come paralizzati, provando una meraviglia del tutto inusitata e una rinnovata tristezza accompagnata da confusione e rabbia. Afferrato da questi nuovi e insuperabili sentimenti di angoscia e di paura, il principe delle tenebre temette che il suo regno avrebbe potuto essere minacciato da una pesante ed irreparabile distruzione e cadere in rovina; decise dunque di scappare e di rifugiarsi con tutti i suoi seguaci nelle caverne infernali, ma, mentre pensava di eseguire tale desiderio, intervenne la Vergine che glielo impedì. L'Altissimo stesso infatti la illuminò, rivestendola della sua potenza e facendole comprendere ciò che dovesse fare, e così ella si volse contro i diavoli e con il comando di una sovrana li trattenne dalla fuga, ordinando loro di attendere la fine di ogni cosa rimanendo presenti. Essi non si poterono opporre perché avevano cognizione della forza superna che operava in lei e, sottomessi al suo volere come se fossero stati catturati e legati, accompagnarono il Signore fino al Calvario, dove era stabilito che dal trono della croce avrebbe trionfato contro di loro. Non trovo un esempio adeguato per poter spiegare la mestizia e l'abbattimento che da allora in avanti li oppressero. A nostro modo di intendere, essi salirono verso il monte come i condannati condotti al supplizio, debilitati, infiacchiti e rattristati dal timore del giusto castigo. Questa pena del demonio fu conforme alla sua natura malvagia e corrispondente al danno che aveva recato al mondo introducendovi il peccato e la morte, per l'annientamento dei quali Dio stesso si stava immolando.

1365. Il nostro Salvatore proseguì il cammino, portando sulle spalle, come dice Isaia, il segno della sovraunità, da cui avrebbe regnato sulla terra e l'avrebbe assoggettata, meritando che il suo nome fosse esaltato al di sopra di ogni altro nome e riscattando tutto il genere umano dall'egemonia che satana aveva conquistato su di esso. Lo stesso profeta chiama questo potere giogo, sbarra e bastone dell'aguzzino che risolutamente e imperiosamente esigeva il tributo della prima colpa. Per vincere tale tiranno, distruggere lo scettro del suo dominio e il giogo della nostra schiavitù, sua Maestà prese il duro legno su di sé nello stesso punto in cui si mette il giogo della servitù e lo scettro della potenza regale - come colui che spoglia di questi il drago e lo trasferisce sulla sua schiena - affinché gli schiavi discendenti di Adamo, da questo momento in poi, lo riconoscessero come loro legittimo Signore e vero re e lo seguissero sulla via della croce. Da questa, infatti, avrebbe attirato tutti a sé, e li avrebbe comprati al caro prezzo del suo sangue e della sua vita.

1366. Oh, quanto atroce è la nostra ingratitudine e deplorevole la nostra dimenticanza! Che i giudei e gli autori del martirio di Gesù ignorassero il mistero nascosto ai principi del mondo e non osassero toccare la croce perché la giudicavano un'infamante disonore, fu loro colpa e assai grave. Eppure non lo fu come la nostra, poiché questo arcano fu a noi prontamente svelato e noi nella fede di questa verità siamo in grado di condannare la cecità di quelli che, perseguitarono il nostro Salvatore. Se consideriamo dunque rei coloro che ignorarono ciò che avrebbero dovuto sapere, quanto grande sarà il peccato di tutti noi, che, conoscendo e confessando Cristo come nostro redentore, tuttavia lo offendiamo, perseguitiamo e uccidiamo come fecero i giudei? O mio Gesù, mio dolcissimo amore, voi luce del mio intelletto e gloria dell'anima mia, non affidate alla mia indolenza e tiepidezza il volervi seguire con la mia croce sul cammino della vostra! Fatemi questo favore: attiratemi a voi e correrò dietro alla fragranza della vostra inesprimibile pazienza, della vostra ineffabile umiltà nell'ora del disprezzo e dell'angoscia. Prenderò parte alle offese, alle umiliazioni, alle sofferenze che vi sono state inflitte. Sia questa la mia porzione e la mia parte di eredità, il mio onore e il mio riposo sulla terra e, ad eccezione della vostra croce e delle onte, non voglio né consolazione, né riposo, né gioia alcuna. Mentre i giudei e tutto il popolo ormai reso cieco fuggivano per le strade di Gerusalemme onde evitare di toccare il legno dell'innocentissimo condannato, egli riusciva ad aprirsi un varco nel vuoto che si era creato intorno a lui per paura del contagio che la sua gloriosa ignominia, secondo la perfidia dei persecutori, avrebbe seminato. Il resto della via era preso d'assalto dalla folla e in mezzo alla confusione di grida e clamori si sentì risuonare la voce del banditore della sentenza.

1367. Le guardie, prive di ogni umana compassione e pietà, trascinavano il Signore con incredibile crudeltà e totale mancanza di rispetto: alcuni lo tiravano in avanti con le corde perché accelerasse il passo; altri lo trattenevano dal di dietro per poterlo tormentare. A causa di questa violenza e del grave peso, egli spesso barcollava e più volte cadeva e, allorché urtava contro le pietre, gli si aprivano nuove ferite, soprattutto sulle ginocchia; ciò gli causanva una piaga ancora più profonda sulle spalle. Quando vacillava, il duro legno urtava contro il suo santissimo capo o viceversa il capo contro di esso, e le spine della corona ad ogni colpo si conficcavano affondando sempre più nella carne non ancora ferita. Gli aguzzini accompagnavano queste atrocità con maledizioni, oltraggi e ingiurie e coprivano il suo volto di polvere, escrementi e sputi a tal punto da accecare i suoi occhi colmi di clemenza verso tutti; così essi stessi sì condannavano perché indegni di uno sguardo tanto benevolo. Impazienti e bramosi di assistere alla sua morte, non gli permettevano di prendere respiro; la sua umanità, essendo scesa su di essa in poche ore una pioggia di strazi, era spossata e sfigurata e, secondo il parere dei presenti, era già sul punto di rendere la vita tra indicibili dolori.

1368. Tra la moltitudine di gente si avviò anche la Vergine dolente e afflitta, partendo dalla casa di Pilato, per seguire il suo Unigenito insieme a Giovanni, a Maria Maddalena e alle altre Marie. Siccome il tumulto e la confusione impedivano loro di avvicinarsi a lui, la Regina pregò il Padre affinché le concedesse la grazia di stare ai piedi della croce in modo da poterlo vedere fisicamente e, secondo la volontà divina, ordinò agli angeli di realizzare tale disposizione. Essi le obbedirono con enorme rispetto e con prontezza la fecero passare per una scorciatoia, dalla quale andarono incontro al Maestro. Madre e Figlio si guardarono in volto e per entrambi si rinnovò il dolore di ciò che ciascuno stava soffrendo; tuttavia non proferirono alcuna parola, perché la rozzezza degli sgherri non lo avrebbe permesso. Ella lo adorò e con la voce interiore lo supplicò che, non potendo recargli alcun sollievo come era indotta a desiderare per compassione e non permettendo egli stesso agli spiriti celesti di farlo, almeno si degnasse con il suo potere di suscitare nella mente degli aguzzini il pensiero di mandargli qualcuno che lo aiutasse. Cristo, il nostro bene, accolse questa richiesta, per la quale obbligarono Simone di Cirene a portare la sua croce. I farisei e i soldati si convinsero a fare questo passo, spinti in parte da un certo senso di naturale umanità e in parte dal timore che Gesù spirasse prima di giungere ad essere crocifisso, poiché egli era ormai allo stremo delle forze.

1369. Nessun essere vivente può comprendere l'angoscia che la Principessa provò durante il percorso verso il monte Calvario avendo sotto lo sguardo quel Figlio che ella sola sapeva degnamente conoscere ed amare. E sarebbe caduta in deliquio e quindi morta se la potenza divina non l'avesse sostenuta con la sua forza mantenendola in vita. Provata dalla più profonda e amara sofferenza si rivolse interiormente a sua Maestà: «Mio diletto e Dio eterno, luce dei miei occhi, accogliete il sacrificio che faccio di non potervi rendere leggero il peso della croce, di non poterla prendere su di me, che sono una semplice creatura, per morire su di essa per amore vostro come voi volete morire per l'ardentissimo amore verso gli uomini, o amantissimo mediatore tra la colpa e la giustizia! Come potete esercitare la misericordia tra tante e così grandi ingiurie ed offese? O amore senza fine e senza misura, che permettete tali tormenti e obbrobri per manifestare ancor più apertamente l'incendio della vostra carità! O amore infinito e dolcissimo! Se l'intimo dei discendenti di Adamo e la loro volontà fossero in mio potere, non corrisponderebbero così male alle pene che patite per tutti! Chi potrebbe parlare al loro cuore e intimare loro ciò di cui vi sono debitori, poiché tanto caro vi è costato il riscatto della loro schiavitù e il rimedio della loro rovina?». E la gran Signora del mondo proferiva altre prudentissime e sublimi espressioni, che io non sono in grado di fare mie.

1370. Come riferisce l'evangelista san Luca, tra la folla seguivano il Nazareno molte donne, che si lamentavano e piangevano amaramente. Rivolgendosi loro, egli affermò: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?». Con queste misteriose parole volle dare credito alle lacrime che sarebbero state versate per la sua passione e in qualche modo anche la sua approvazione, mostrandosi così grato per la loro pietà; volle inoltre indicare alle pie discepole il motivo e il fine che devono avere le nostre, affinché siano ben indirizzate. Allora esse ignoravano tutto ciò: piangevano solo sulle ingiurie, le umiliazioni e i dolori che il loro Maestro era costretto a sopportare e in lessun modo sulle cause per le quali soffriva; perciò meritarono di essere istruite. Fu come se egli avesse detto loro: «Piangete sui vostri peccati e quelli dei vostri figli e non sui miei, che non ne ho né posso averne. E anche se il provare compassione di me è cosa buona e giusta, io voglio che gemiate sulle vostre colpe piuttosto che su quello che io sto subendo per esse: in tal modo passeranno su di voi e sui vostri figli il prezzo del mio sangue e la redenzione che questo cieco popolo ignora; infatti, verranno i giorni del giudizio e del castigo universale in cui saranno considerate fortunate coloro che non avranno generato, mentre i dannati chiederanno ai monti e ai colli di coprirli per non vedere la mia indignazione. Se in me che sono innocente le loro trasgressioni hanno prodotto questi effetti, che cosa non produrranno in loro allorquando si troveranno così aridi, senza frutti di grazia né meriti?».

1371. Come ricompensa per il loro pianto e la loro compassione, quelle fortunate donne furono rischiarate dal Signore affinché potessero comprendere la sua dottrina. Intanto si adempì la preghiera che Maria aveva fatto. I sommi sacerdoti, i farisei e i soldati decisero di chiamare qualcuno per aiutare Gesù fino al Calvario. In quel momento sopraggiunse Simone il Cireneo, detto così perché nativo di Cirene, città della Libia; costui era il padre di Alessandro e Rufo, due discepoli del Signore. I giudei lo obbligarono a prendere il suo posto per un tratto di strada. Essi non vollero avvicinarsi alla croce né toccarla, perché si vergognavano reputandola come strumento del castigo di un uomo giustiziato quale insigne malfattore. Si servirono di tali cerimonie e usarono questa misura di precauzione contro di essa per indurre la gente a pensarla come loro. Il Cireneo la prese su di sé e andò dietro a sua Maestà costretto a procedere tra i due ladroni affinché tutti lo credessero e ritenessero un delinquente al pari di loro. La Principessa intanto si avvicinava a Cristo come aveva bramato e chiesto al Padre. Nel suo martirio, sebbene ne condividesse da vicino i patimenti con tutti i suoi sensi e ne prendesse parte, ella era a tal punto conforme al beneplacito divino da non accennare mai ad alcun movimento e gesto interiore o esteriore che potesse far pensare al desiderio di ritrattare il suo consenso alla sofferenza del suo figlio e Dio. L'amore, la grazia e la santità di questa Regina furono così grandi da superare e vincere la natura.

Insegnamento della Regina del cielo

1372. Carissima, voglio che il risultato dell'obbedienza per la quale scrivi la mia Storia sia quello di formare una vera discepola del mio Unigenito e mia. A tale scopo sono orientati, innanzitutto, l'illuminazione superna che ricevi riguardo a questi arcani tanto sublimi e degni di venerazione e poi gli insegnamenti che ti impartisco e ripeto continuamente al fine di distaccare il tuo cuore dall'affetto umano delle creature, sia dal nutrirlo tu in prima persona sia dall'accettarlo da alcun altro. Così vincerai gli impedimenti del demonio, molto pericolosi per il tuo carattere incline alla condiscendenza; ed io, che lo conosco, ti guido e ti accompagno nel cammino come la madre e la maestra che educa e corregge. Con la scienza dell'Altissimo penetri già i misteri della sua passione e anche l'unica vera via della vita, quella della croce. Non tutti sono chiamati e scelti per percorrerla: molti sono quelli che vogliono seguire il Salvatore, ma solo pochissimi sono veramente disposti ad imitarlo; infatti quando giungono a sentire il peso della tribolazione, lo respingono e se ne allontanano. Il dolore è duro da sopportare per la natura umana, il frutto dello spirito è profondamente nascosto e solo pochi si lasciano guidare dalla luce. Molti fra i mortali si dimenticano della verità, ascoltano la voce della carne, che viziano ed appagano. Amano ardentemente l'onore del mondo e disprezzano gli oltraggi e le ingiurie; avidi delle ricchezze, aborriscono la povertà; assetati dei piaceri, sono terrorizzati dalla mortificazione. Essi sono nemici della croce del Messia e con orrore fuggono da essa, giudicandola ignominiosa come coloro che lo hanno ucciso.

1373. Molti credono, ingannandosi, di stargli accanto senza soffrire, senza operare o faticare e vivono già contenti e appagati per il fatto di non essere tanto arditi nel commettere colpe. Sono persuasi che tutta la perfezione consista nella prudenza o nella tiepida carità, e così non negano niente alla propria volontà e non praticano le virtù che molto costano alla carne. Costoro uscirebbero da tale menzogna se pensassero che il mio diletto non solo fu redentore ma anche maestro, e lasciò nel mondo non solamente il tesoro dei suoi meriti, come rimedio alla loro dannazione, ma anche la medicina necessaria per la malattia per cui si infermò la natura a causa del peccato. Nessuno è più saggio di lui e nessuno poté conoscere l'amore come lui. Con tutto ciò, benché potesse quanto voleva, non scelse una vita piacevole né facile, ma travagliata e piena di afflizioni. Egli non avrebbe esercitato la sua dottrina esaurientemente ed efficacemente se, nel redimere gli uomini, non li avesse istruiti sul modo di vincere il diavolo, la tentazione e se stessi. Questo trionfo si ottiene con la croce, la penitenza, la compunzione, il rinnegamento di sé: sono la caratteristica, la testimonianza e il segno dell'amore dei predestinati.

1374. Poiché sai il valore della santa croce e l'onore che per essa ricevettero le umiliazioni e le tribolazioni, abbracciala e portala con gioia ricalcando le orme del tuo Maestro. La tua gloria in questo pellegrinaggio non sia altro che la persecuzione, il disprezzo, l'infermità, la tribolazione, l'umiliazione e quanto vi è di penoso e contrario alla condizione della carne peritura. Poiché mi emuli in tutti gli esercizi compiacendomi, non voglio che ti procuri né accetti sollievo o riposo in alcuna cosa terrena. Non devi soppesare lungamente tra te e te le sofferenze che sopporti e tanto meno manifestarle con la pretesa di trovarne alleviamento. Non devi neppure esagerare e ingrandire le persecuzioni e le molestie che ti causeranno le creature. Mai sfugga dalla tua bocca che è molto quello che subisci, né ti venga in mente di fare un confronto con i patimenti altrui. Con questo non intendo dire che sia una colpa ricevere qualche sollievo onesto e moderato o lamentarsi con paziente rassegnazione. In te, però, una tale liberazione sarebbe un'infedeltà verso il tuo sposo, poiché tu sei a lui obbligata molto più di mille altri. La tua corrispondenza nel penare e nell'amare non potrà essere scusata se non sarà piena di dedizione, delicatezza e lealtà. Talmente conformata a se stesso ti vuole il Signore che neppure un sospiro devi concedere alla tua debolezza senza avere un fine più sublime del semplice riposarti e ristorarti. E se l'ardore ti costringerà, allora lasciati rapire dalla sua forza soave per riposare amando; ma ben presto l'amore della croce saprà congedare tale conforto: tu sai che io facevo questo con docile rinunzia. Sia per te regola generale che ogni consolazione umana è imperfetta e comporta dei pericoli; devi accogliere solo quella che ti invierà l'Altissimo direttamente o attraverso i suoi angeli. Dei doni che ti elargirà la sua destra prendi ciò che ti possa aiutare ad essere forte per soffrire di più e per distaccarti dalle cose effimere e piacevoli, che toccano la sensibilità.


CAPITOLO 22

Si narrano la crocifissione del nostro salvatore Gesù sul monte Calvario, le sette parole che pronunciò sulla croce e come Maria santissima lo assistette con immenso dolore.

1375. Il nostro Salvatore, vero e nuovo Isacco, Figlio dell'eterno Padre, giunse al monte del sacrificio, lo stesso sul quale, in passato, avrebbe dovuto essere immolato Isacco, figlio del patriarca Abramo e figura di Cristo. Il durissimo comando, che era stato un tempo sospeso su Isacco, veniva ora eseguito sull'innocentissimo Agnello. Il Calvario era un luogo immondo e disprezzato, destinato al castigo dei malfattori, dei condannati, dai cadaveri dei quali riceveva cattivo odore e in conseguenza di ciò maggiore ignominia. Il nostro amatissimo Gesù vi arrivò affaticato, trasformato dalle piaghe e dal dolore, insanguinato, ferito e sfigurato. La forza della divinità, che deificava la sua santissima umanità per mezzo dell'unione ipostatica, l'assistette non tanto per alleviare i suoi tormenti, ma piuttosto per essergli di aiuto e conforto durante gli stessi, cosicché il suo infinito amore fosse completamente appagato e la sua vita conservata fino a che non fosse giunto il momento di consegnarla liberamente alla morte sulla croce. Raggiunse la sommità del Calvario anche l'afflitta Madre, con il cuore colmo di amarezza. Era fisicamente molto vicina al suo diletto, ma spiritualmente fuori di sé per il dolore: tutta si trasformava in lui e nella sofferenza che egli stava vivendo. Accanto a lei stavano Giovanni e le tre Marie; ella, infatti, aveva domandato e ottenuto dall'Altissimo il favore di ritrovarsi presente e vicina al Signore ai piedi della croce con questa sola e santa compagnia.

1376. Quando la prudentissima Vergine si rese conto che si stavano compiendo i misteri della redenzione e vide che i soldati cominciavano a spogliare Gesù per crocifiggerlo, rivolse il suo spirito all'Onnipotente con questa preghiera: «Mio Signore e mio Dio, siete il Padre del vostro Unigenito, che per l'eterna generazione nacque Dio vero dal Dio vero che siete voi e per l'umana generazione nacque dalle mie viscere, dove assunse la natura di uomo sottoposta alla sofferenza. Con le mie mammelle lo allattai e nutrii, e come il miglior figlio che poté giammai nascere da altra creatura lo amo. Come vera madre ho un diritto naturale su di lui e sulla sua umanità santissima, e so che mai la vostra provvidenza negherebbe un tale diritto a chi lo possiede. Adesso dunque vi restituisco questo diritto e lo pongo di nuovo nelle vostre mani, perché il vostro e mio Unigenito sia sacrificato per la salvezza del genere umano. Accogliete la mia oblazione e il mio sacrificio; non potrei infatti offrire così tanto se fossi io stessa ad essere immolata e sottoposta a tali pene e non solo perché mio Figlio è vero Dio, a voi consustanziale, ma anche e soprattutto per il dolore che mi dilania il cuore. Sarebbe per me un gran sollievo e il compimento dei miei desideri se io morissi al posto suo: cambierebbero le sorti e la sua vita verrebbe conservata». Questa preghiera fu accolta con gioia e compiacimento inesprimibili. Nel disegno divino il sacrificio del figlio di Abramo doveva solamente prefigurare quello del Figlio, a cui il Padre avrebbe riservato la vera esecuzione. E neppure alla madre di Isacco fu detto mai nulla del misterioso sacrificio, non solo per la pronta obbedienza di Abramo, ma anche perché non si sarebbe potuto comprensibilmente affidare tale decisione all'amore materno di Sara: ella, benché fosse una donna santa e giusta, avrebbe probabilmente tentato di impedire il comando del Signore. Questo non avvenne con Maria; egli, infatti, poté confidarle, senza esitazione, il suo progetto, perché sottomettendosi alla sua volontà collaborasse e cooperasse, secondo le sue capacità, all'opera di redenzione di Cristo.

1377. Terminata la supplica, la Regina si accorse che gli empi soldati del governatore volevano dare a Gesù vino mescolato con mirra e fiele. Era costume presso i giudei di porgere ai condannati a morte un miscuglio di vino generoso e aromatico perché potessero sopportare con più vigore i tormenti del supplizio e i loro spiriti ne ricevessero aiuto e conforto. Questa usanza trova un riferimento negli scritti di Salomone: Date bevande inebrianti a chi sta per perire e il vino a chi ha l'amarezza nel cuore. La loro perfida crudeltà arrivò al punto di trasformare questa bevanda, che agli altri giustiziati poteva recare un qualche sollievo, in una pena ancora più grande: gliela porsero amarissima, mescolata con fiele, per infliggergli maggiori afflizioni. La Vergine venne a conoscenza di questa inumanità e con materna compassione lo pregò di non bere. Sua Maestà la assecondò e senza ricusare del tutto questa tortura, assaggiò l'acre pozione e non ne volle bere.

1378. Era già l'ora sesta, che corrisponde per noi a quella di mezzogiorno, quando i soldati, per crocifiggere nudo il Salvatore, lo spogliarono della tunica inconsutile e delle vesti. Siccome questa era chiusa e lunga, gliela rovesciarono passandola sopra la testa senza togliergli la corona di spine e facendo ciò con violenza gliele strapparono lacerandogli nuovamente le ferite; in alcune rimasero conficcate le punte delle spine che, per quanto fossero dure e aguzze, si ruppero per la veemenza con cui i carnefici eseguirono questa atrocità. Gli rimisero poi la corona con una tale crudeltà da aprire altre profonde piaghe. Mentre lo spogliavano, si lacerarono anche quelle del suo corpo, perché la tunica vi era già attaccata e il distaccarla da esse aggiunse altro dolore al dolore già lancinante. Per quattro volte lo denudarono e lo rivestirono: la prima per flagellarlo alla colonna; la seconda per mettergli il mantello di porpora; la terza per denudarlo di nuovo e rivestirlo; la quarta ed ultima sul monte Calvario, quando lo spogliarono definitivamente. Qui fu sottoposto a maggiori tormenti, perché più numerose erano le ferite ed egli era ormai debilitato. Inoltre in quel luogo soffiava un forte vento che contribuì col freddo ad aumentare la pena.

1379. A tutto ciò si aggiunse la sofferenza di vedersi nudo davanti a sua Madre, alle altre donne che l'accompagnavano e alla moltitudine di gente ivi presente. Indossava solo i panni intimi che Maria gli aveva messo sotto la veste in Egitto; i carnefici, infatti, non glieli poterono togliere né quando lo flagellarono né quando lo innalzarono sulla croce e così fu posto nel sepolcro con essi. E questo mi è stato manifestato più volte. Nondimeno Cristo, nostro bene, avrebbe voluto lasciare questo mondo completamente nudo, in somma povertà e senza avere con sé nulla, se non fosse intervenuta la supplica della Signora che lo pregò di conservare quei panni. Egli accondiscese perché con questa obbedienza poteva supplire all'estrema povertà con cui avrebbe desiderato morire. Il duro legno era disteso sulla terra mentre si disponeva l'occorrente per ucciderlo insieme a due ladroni, destinati a essere crocifissi con lui. Intanto il nostro Maestro si rivolse al Padre così:

1380. «Dio eterno, alla vostra immensa maestà d'infinita bontà e giustizia offro tutto il mio essere umano unitamente alle azioni che ho compiuto per la vostra santissima volontà, allorché ho assunto, scendendo dal vostro seno, la carne passibile per redimere gli uomini. Con me vi offro mia Madre, il suo amore, le sue opere perfettissime, i suoi dolori, le sue preoccupazioni, le sue cure e la sua sollecitudine nel servirmi, nell'imitarmi e nell'accompagnarmi fino alla morte. Vi offro il piccolo gregge degli apostoli, la Chiesa dei fedeli che è ora e che sarà fino alla fine del mondo e con essa tutti i discendenti di Adamo. Tutti pongo nelle vostre mani, Signore onnipotente, e da parte mia sono pronto a soffrire e morire spontaneamente per loro, e desidero che siano salvi tutti coloro che vorranno seguirmi e trarre profitto dall'opera della redenzione: in virtù della grazia che ho acquistato per essi, da schiavi del demonio diventino vostri figli, miei fratelli e coeredi. Specialmente vi offro i poveri, i disprezzati, gli afflitti; essi sono i miei amici perché mi hanno seguito nel cammino della croce. Voglio che i giusti e i predestinati rimangano scritti nella vostra memoria eterna. Vi supplico di allontanare il castigo e sospendere il flagello della giustizia sugli uomini: non siano puniti come meritano le loro colpe e d'ora innanzi siate loro Padre, come siete mio Padre. Vi supplico similmente per coloro che con pio affetto assistono alla mia morte: illuminateli con la vostra luce divina. Vi prego per tutti quelli che mi perseguitano, affinché si convertano alla verità, e soprattutto per l'esaltazione del vostro ineffabile e santissimo nome».

1381. La Regina conobbe tale orazione e imitò il Maestro rivolgendosi all'Altissimo. Non dimenticò né tralasciò l'adempimento di quelle prime parole che aveva percepito dalla bocca del suo Unigenito appena nato: «Amica mia, diventate simile a me». Si stava ora adempiendo la promessa fattale dal Signore che, in contraccambio della vita umana da lei data al Verbo nel suo grembo verginale, egli le avrebbe comunicato una nuova vita di grazia, sublime e superiore a quella di tutte le creature. Questo beneficio avrebbe incluso la conoscenza di tutte le azioni della santissima umanità di suo Figlio: nessuna di esse poteva rimanerle celata e, nella misura in cui ella fu in grado di comprenderle, le imitò. Fu sempre sollecita nel fissarvi l'attenzione, profonda nel penetrarle, pronta e coraggiosa nell'eseguirle. Perciò non si lasciò turbare dal dolore, né ostacolare dall'angoscia o imbarazzare dalla persecuzione e tanto meno scoraggiare dall'amarezza della passione. Assistette al supplizio di Cristo non come testimone oculare alla maniera degli altri giusti, perché infatti così non avvenne. La sua esperienza fu unica e singolare in tutto: sentì nel suo corpo verginale le sofferenze esterne ed interne che egli pativa nella sua persona. Si può dire che fu flagellata, coronata di spine, schernita e schiaffeggiata, caricata della croce e su di essa inchiodata; provò infatti questi tormenti nel suo purissimo corpo e, benché il modo fosse diverso, ci fu anche una grande somiglianza: la Madre doveva essere la perfetta immagine del Figlio. Tale esperienza singolare racchiuse un ulteriore mistero: recare soddisfazione all'amore di Gesù, alla sua passione e al divino consenso che questa stessa fosse ricopiata in una pura creatura. Nessun'altra aveva tanto diritto a ciò quanto lei.

1382. Per poter segnare i fori dei chiodi sulla croce, i carnefici comandarono con alterigia e tracotanza al Creatore dell'universo - o temerarietà inaudita! - di stendersi sopra di essa; il Maestro dell'umiltà obbedì senza opporre resistenza. Con inumano e crudele istinto disegnarono i fori non in proporzione alla grandezza del corpo, ma più distanti al fine di poter fare quello che in seguito eseguirono. La Signora della luce venne a conoscenza di tale nuova crudeltà e questa fu una delle maggiori afflizioni che soffrì il suo purissimo cuore in tutta la passione. Penetrò infatti le intenzioni depravate degli sbirri e previde il martirio che suo Figlio avrebbe dovuto sopportare nel momento in cui sarebbe stato inchiodato sulla croce. Non si poté tuttavia rimediare perché il Redentore stesso voleva sottoporsi a una simile tortura per la salvezza degli uomini. Quando si rialzò, perché si potesse forare il duro legno, accorse Maria vicino a lui, lo tenne per un braccio, lo adorò e gli baciò la mano con sommo rispetto. I carnefici permisero che ciò accadesse perché credevano che, alla vista di lei, Gesù si sarebbe ancora più contristato e non volevano risparmiargli nessun dolore. Non compresero però il mistero: in quell'occasione egli non ebbe maggiori consolazioni né provò gioia interiore più grande che quella di vedere la sua santissima Madre e la bellezza della sua anima. In essa scorse riflesso il ritratto di se stesso e la pienezza del frutto della sua passione e morte.

1383. Fatti i fori nella croce, i carnefici gli comandarono per la seconda volta di stendersi sopra di essa per inchiodarlo. Egli obbedì pazientemente e stese le braccia sul felice legno: era spossato, sfigurato ed esangue, a tal punto che, se nell'empietà ferocissima di quegli uomini avessero potuto trovare spazio la naturale ragione e il senso di umanità, non sarebbe stato possibile per la crudeltà accanirsi sull'innocente e mansueto Agnello, afflitto dalle piaghe e dai dolori. Ma non fu così, perché i giudei e i suoi nemici - o giudizi terribili e occultissimi del Signore! - furono afferrati dall'odio e dalla malvagia volontà del demonio e persero completalmente i sentimenti di cui gli uomini sensibili sono capaci; agirono pertanto con rabbia e furore diabolici.

1384. Subito uno dei carnefici prese la mano di Cristo e la tenne premuta sopra il foro mentre un altro ne conficcò, penetrando a forza di martellate, il palmo con un chiodo angolato e grosso. Si ruppero le vene, i nervi e le ossa di quella santissima mano che aveva creato i cieli e ogni essere vivente. Non era possibile inchiodare l'altra, giacché il braccio non arrivava al buco; i nervi, infatti, si erano contratti perché il foro era stato fatto maliziosamente più distante. Per rimediare a questo difetto, presero la catena con la quale il Signore era stato legato nell'orto degli Ulivi, ne avvolsero il polso con una estremità dove c'era un anello con manette, e con una ferocia inaudita tirarono dall'altro estremo finché riuscirono a portare la mano sul buco e la inchiodarono. Passarono poi ai piedi: ne misero uno sopra l'altro, li incatenarono e, tirando con forza e crudeltà, li fissarono usando un terzo chiodo più forte degli altri due. Il sacro corpo, unito alla divinità, rimase attaccato saldamente alla croce; ogni suo membro, formato dallo Spirito Santo, fu talmente reciso e lacerato che si potevano contare le ossa: quelle del petto e delle spalle erano tutte slogate, esposte e fuori dalla posizione naturale, avendo ceduto alla violenta crudeltà dei carnefici.

1385. 1 dolori del Signore furono incredibilmente grandi e non si può esprimere con le parole la sofferenza che patì. Solamente nel giorno del giudizio si avrà una conoscenza più chiara, quando la condanna dei reprobi sarà giustificata e i santi lo loderanno e glorificheranno adeguatamente; ma in questo momento in cui la fede ci permette, anzi ci obbliga ad esprimere il nostro giudizio, se l'abbiamo, io supplico e prego i figli della Chiesa che ciascuno personalmente consideri questo venerabile mistero, lo ponderi e lo soppesi con tutte le sue circostanze. Sicuramente troveranno motivi efficaci per aborrire il peccato, per non commetterlo più, essendo stato la causa dell'indicibile sofferenza dell'Autore della vita. Consideriamo anche e contempliamo lo spirito della Vergine, il suo purissimo corpo oppresso e abbattuto dai tormenti: sono la porta della luce attraverso la quale entreremo a conoscere il sole che ci illumina. O Regina delle virtù! O Madre dell'immortale Re dei secoli, il Verbo incarnato! Purtroppo è vero che la durezza dei nostri cuori ingrati ci rende inetti, indegni e incapaci di sentire i vostri dolori e quelli del vostro Unigenito; ma ci sia concesso, per vostra clemenza, questo bene che non siamo in grado di guadagnare. Purificateci e liberateci dall'indolenza, dall'ingratitudine e dalla villana rozzezza. Se noi siamo la causa di tali e tante afflizioni, per quale ragione, o giustizia, queste debbono essere sopportate solo da voi e dall'amato Salvatore? Passi il calice degli innocenti ai colpevoli, che lo bevano perché lo meritano. Ma ahimè! Dov'è il senno? Dove il lume dei nostri occhi? Chi ci ha privato dei sensi? Chi ci ha rubato il cuore sensibile e umano? Quand'anche, Signore mio, non fossi stata creata a vostra immagine e somiglianza, quand'anche non avessi ricevuto da voi il dono della vita, quand'anche tutti gli elementi e gli esseri formati dalla vostra mano e posti al mio servizio non mi avessero annunciato la notizia sicura del vostro immenso amore, lo zelo infinito per cui vi siete lasciato inchiodare sulla croce avrebbe dovuto essere sufficiente per stringermi a voi con catene di compassione, di riconoscenza, di carità e di confidenza nella vostra ineffabile misericordia. Ma se non mi risvegliano tante voci, se il vostro ardore non mi accende, se la vostra passione e i vostri tormenti non mi commuovono, se i benefici ricevuti non mi obbligano, quale fine mai devo sperare della mia stoltezza?

1386. Posto il Signore sul duro legno, i carnefici, per evitare che i chiodi cedessero al peso e non reggessero il divino corpo, risolsero di ribatterne e incurvarne la parte sporgente che oltrepassava la croce e la capovolsero, lasciandolo appeso su di essa riverso sul terreno. Questa nuova crudeltà suscitò orrore e raccapriccio fra tutti i presenti e la folla mossa a pietà insorse in grandi clamori. L'afflitta Madre, partecipe dei patimenti del Figlio, si oppose a tale smisurata empietà e pregò l'eterno Padre di non permettere l'esecuzione di quanto era stato progettato; poi comandò ai ministri celesti di assistere e servire il loro Creatore. Ogni cosa avvenne secondo il suo desiderio. Quando i carnefici rivoltarono la croce, sostennero Gesù impedendo che il suo corpo e il suo viso toccassero i sassi e le immondezze. Quelli ribatterono le punte dei chiodi senza accorgersi del miracolo: le sacre membra erano così vicine al suolo e la croce, sostenuta dagli angeli, così salda e ferma che i perfidi giudei pensarono che egli fosse posato sulla dura terra.

1387. A questo punto avvicinarono la croce al buco dove doveva essere posta: la sollevarono verso l'alto, aiutandosi alcuni con le spalle e altri con lance e alabarde, e la piantarono nel fosso che avevano scavato a tal fine. La nostra vera vita, il nostro Salvatore, rimase appeso in aria sul duro legno davanti ad una innumerevole folla di uomini e genti di nazioni diverse. Non posso non ricordare un'altra crudeltà che ho visto infliggere a sua Maestà: quando fu innalzato, fu ferito con le lance e altri strumenti di tortura, gli furono conficcati i ferri nella carne procurandogli sotto le braccia profondi squarci. Davanti a un simile spettacolo si sollevò da parte del popolo un clamore di alte grida e si rinnovò la confusione: i giudei bestemmiavano, i compassionevoli gemevano, gli stranieri si stupivano; alcuni non potevano nemmeno guardare per il dolore che provavano; altri sostenevano che l'esempio di tale punizione potesse essere un insegnamento per molti; altri ancora chiamavano il Crocifisso " il giusto". Tutti questi giudizi e pareri vani si conficcarono come dardi acuti nel cuore della Madre addolorata. Il sacro corpo perdeva molto sangue dalle ferite, perché fu scosso dal pesante movimento della croce che veniva conficcata nel terreno. Si riaprirono le piaghe e restarono più visibili le sorgenti alle quali lo stesso Signore per bocca di Isaia ci aveva invitato ad attingere con gioia le acque con cui spegnere la sete e lavare le macchie delle nostre colpe. Nessuno potrà addurre scuse, se non si affretterà ad avvicinarsi all'acqua per dissetarsi, poiché quest'acqua non si vende in cambio dell'argento e dell'oro, e si dà gratuitamente solo per il semplice fatto di volerla ricevere.

1388. Successivamente misero in croce i due ladroni, uno alla destra e l'altro alla sinistra del nostro Redentore riservandogli così il posto di colui che reputavano essere il malfattore principale. I pontefici e i farisei non si curarono affatto di essi e rivolsero tutta la loro ira e il loro furore contro colui che per sua natura era senza peccato e santo. Scuotendo la testa con scherno e beffe, lanciarono pietre e polvere contro di lui, dicendo: «Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso!», e ancora: «Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo». Anche i ladroni lo oltraggiavano allo stesso modo e tali bestemmie recarono al nostro Maestro un dolore ancora più profondo e vivo, poiché questi erano vicini alla morte e non trovavano così alcun vantaggio dal frutto delle sofferenze che avrebbero subito con essa e con le quali avrebbero potuto parzialmente rendere soddisfazione per i delitti commessi e opportunamente castigati dalla giustizia; solo uno di essi approfittò dell'occasione, un'occasione che mai più si offrì ad alcun peccatore del mondo.

1389. Quando la Regina venne a conoscenza che i giudei nella loro malvagità e ostinata invidia tentavano di disonorare ancora di più Cristo e che lo bestemmiavano e giudicavano il peggiore tra tutti, desiderando dimenticare e cancellare il suo nome dalla terra dei viventi, come Geremia aveva profetizzato, si accese di nuovo nel suo fedelissimo cuore l'ardente zelo per l'amore di suo Figlio. Si prostrò davanti alla regale persona sospesa sulla croce, dove lo stava adorando, e implorò il Padre affinché si prendesse cura dell'onore del suo Unigenito, con segni così manifesti da confondere la malizia di quei perfidi e frustrare le loro perverse intenzioni. Quindi, con lo stesso fervore si rivolse a tutte le creature insensibili e affermò: «O creature, prive di sensibilità e tuttavia chiamate all'esistenza dalla mano dell'Onnipotente, manifestate voi il cordoglio e la compassione che gli uomini capaci di ragione, nella loro stoltezza, gli negano per la sua morte. Cieli, sole, luna, stelle e pianeti, fermate il vostro corso e sospendete i vostri influssi. Elementi, alterate la vostra natura: perda la terra la sua quiete, si spezzino le pietre e i duri macigni. Sepolcri, aprite il vostro grembo nascosto per la vergogna dei vivi. Velo del tempio mistico e simbolico, dividiti in due parti e con la tua spaccatura scuoti gli increduli, intima loro il castigo e rendi testimonianza alla verità della gloria del Signore dell'universo, che essi vogliono oscurare».

1390. Grazie a questa supplica, l'Altissimo ordinò e dispose tutto ciò che avvenne quando sua Maestà spirò. Illuminò e toccò il cuore di molti tra i presenti prima che la terra mostrasse segni e prodigi e anche durante tale evento, affinché riconoscessero in Gesù il santo, il giusto, il vero Figlio di Dio, come fecero il centurione e tanti altri che, nel racconto degli evangelisti, si allontanarono percuotendosi il petto per il dolore. E non solo lo confessarono coloro che lo avevano ascoltato e avevano aderito al suo insegnamento, ma anche molti altri che non lo avevano conosciuto né avevano veduto i suoi miracoli. Sempre per la stessa preghiera di Maria, Pilato venne ispirato a non cambiate il titolo della croce che era già stato posto sul capo del Redentore nella lingua ebraica, greca e latina. I giudei avevano insistito con lui dichiarando: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei»; il governatore, però, rispose: «Ciò che ho scritto, ho scritto». Tutti gli esseri privi di sensibilità per volere divino obbedirono al comando della Vergine. Dall'ora di mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, che corrispondono all'ora nona in cui il Signore morì, come se fossero diventati sensibili, fecero ciò che è riferito nei Vangeli: il sole nascose la sua luce; i pianeti mutarono gli influssi; i cieli, le stelle e la luna cambiarono il loro corso; gli elementi si turbarono; la terra tremò e molti monti si spezzarono mentre le pietre si frantumarono le une contro le altre; infine si aprirono i sepolcri e ne uscirono i defunti, risvegliatisi alla vita. I giudei vennero colti dallo spavento e dalla paura, quantunque la loro inaudita cattiveria impedisse loro di comprendere la verità.

1391. I soldati che avevano crocifisso il Salvatore si divisero le sue vesti, che spettavano loro come esecutori. Fecero in quattro parti, una per ciascuno, il mantello che avevano portato al Calvario per disposizione superna (era lo stesso mantello di cui egli si era spogliato durante l'ultima cena quando aveva voluto lavare i piedi degli apostoli). Non poterono tuttavia ripartire la tunica inconsutile, poiché così aveva disposto l'imperscrutabile provvidenza. Gettarono le sorti su di essa e colui a cui toccò la sorte la prese; si compiva così letteralmente la profezia di Davide. I misteri relativi a questa verranno successivamente spiegati dai santi e dai dottori. I giudei avevano lacerato con i tormenti e le ferite inflitte l'umanità di Gesù, nostro unico bene, che copriva e nascondeva la sua divinità, ma non poterono offenderla in alcun modo, né arrivare ad essa col supplizio del martirio, e colui al quale toccherà la sorte di partecipare per mezzo della grazia alla giustificazione della divinità sarà chiamato a possederla e goderla totalmente.

1392. Poiché la croce era il trono della maestà del nostro Maestro e la cattedra da cui voleva insegnare la scienza della vita, egli, innalzato su di essa, avendo confermato la dottrina con l'esempio, pronunciò le parole che comprendevano il sommo grado di carità e perfezione: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Aveva vincolato se stesso a questo principio dell'amore fraterno, chiamandolo il suo comandamento. E per rafforzare la verità del suo insegnamento, lo praticò sul duro legno, non soltanto amando e perdonando i suoi nemici, ma perfino scusandoli per la loro stessa ignoranza. E lo fece nel momento in cui la loro cattiveria giunse al vertice, quando cioè perseguitarono, crocifissero e bestemmiarono il loro Dio. Questo è ciò che l'ingratitudine umana operò dopo aver ricevuto tanta luce, tanti precetti e soprattutto tanti benefici; e questo invece è ciò che il nostro Salvatore fece con la sua ardentissima carità, avendo in contraccambio i tormenti, le spine, i chiodi, la croce e le bestemmie. Oh, fervore impenetrabile! Oh, soavità ineffabile! Oh, pazienza mai immaginata dagli uomini, ammirata dagli angeli e temuta dai demoni! Uno dei ladroni, chiamato Dima, intuì un barlume di questo arcano: fu illuminato interiormente dalla preghiera di intercessione di Maria, perché potesse riconoscere il suo Redentore dalle prime parole che pronunciò sulla croce. Mosso da profonda sofferenza e contrizione dei suoi peccati, rimproverò il suo compagno: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».

1393. Gli effetti della redenzione trovarono terreno fertile nel cuore del buon ladrone, del centurione e di tutti coloro che ebbero il coraggio di confessare il Signore elevato sulla croce; ma il più fortunato fu Dima, che meritò di sentire le sue seconde parole: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso». Oh, felice ladrone! Tu solo ottenesti la parola bramata da tutti i santi e giusti! Agli antichi patriarchi e profeti non fu concesso di udirla: si reputarono già favoriti di scendere nel limbo e ivi aspettare per lunghi secoli il paradiso che tu guadagnasti in un attimo dando lietamente altra forma al tuo mestiere. Ora cessi di rubare le cose altrui e terrene e subito rapisci il cielo dalle mani di sua Maestà; ma tu lo rapisci giustamente perché egli te lo dona per grazia. Tu fosti l'ultimo discepolo del suo ammaestramento nella vita e il primo a metterlo in pratica dopo averlo appreso. Amasti e corregesti il tuo fratello, riconoscesti il tuo Creatore e riprendesti coloro che lo oltraggiavano; lo imitasti nel patire con docilità, lo pregasti con umiltà affinché in avvenire si rammentasse delle tue miserie. Egli volle esaudire all'istante i tuoi desideri senza differire il premio che conseguì per te e per tutti i mortali.

1394. Dopo che costui ebbe ottenuto la giustificazione, Cristo posò gli occhi colmi di amore sulla Madre che stava afflitta con Giovanni ai piedi della croce e, rivolgendosi ad entrambi, disse prima a lei: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». Chiamò Maria "donna" e non "madre", perché questo secondo nome conteneva qualcosa di dolce e delicato e il pronunciarlo gli avrebbe arrecato una sensibile consolazione. Durante la sua passione egli non si concesse alcun conforto o sollievo esteriori, giacché vi aveva rinunciato totalmente, ma con la parola "donna" volle tacitamente intendere ciò: «Donna, che sei benedetta fra tutte le donne e la più saggia tra i figli di Adamo. Donna forte e perfetta, mai vinta dal peccato, fedelissima nell'amarmi, indefettibile nel servirmi, il cui amore le molte acque del mio supplizio non hanno potuto né spegnere né travolgerei, vado dal Padre mio e da adesso in poi non posso stare con voi, ma il mio discepolo prediletto vi assisterà e avrà cura di voi come madre: sarà vostro figlio». Da quell'ora Giovanni la prese con sé e la venerò e servì per tutto il resto della sua vita. Il suo spirito venne rischiarato da una nuova luce, affinché potesse conoscere e apprezzare degnamente il bene che gli era stato affidato: il più prezioso ed eccelso creato dal braccio dell'Onnipotente dopo l'umanità di Gesù. Anche la Regina, che aveva compreso tutto, con umile riconoscenza lo accolse come figlio. Gli immensi benefici della passione non impedirono al suo cuore generoso e colmo di benevolenza di prestargli obbedienza; ella, infatti, agiva sempre al sommo grado di perfezione.

1395. Si avvicinava già l'ora nona, sebbene per l'oscurità e la confusione sembrasse essere una notte tenebrosa. Allora il nostro Salvatore proferì a gran voce la quarta parola dalla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?». Non tutti capirono quantunque egli avesse parlato nella sua lingua. Poiché la prima locuzione si esprime in ebraico con i vocaboli "Elì, El", alcuni pensarono che invocasse Elia, mentre altri, beffeggiandolo, dicevano: «Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!». Il mistero di queste parole fu tanto profondo quanto occulto ai giudei e ai pagani e in esse si trovano i molti significati che i dottori di sacra Scrittura hanno loro conferito. A me fu rivelato che il suo abbandono non consistette nella separazione della divinità dalla sua santissima umanità, così che cessasse la visione beatifica o si sciogliesse l'unione sostanziale ipostatica, che ebbe fin dall'istante in cui fu concepita per opera dello Spirito Santo nel talamo verginale e mai lasciò. Questa dottrina è cattolica e vera. È certo che anche l'umanità santissima fu abbandonata dalla divinità nella misura in cui non fu preservata dalla morte e dai dolori dell'acerbissima passione; il Padre, però, non lasciò del tutto il Figlio in quanto prese la difesa del suo onore e lo testimoniò permettendo alle creature di muoversi e di mostrare sentimento nel momento in cui egli spirò. Il Signore espresse un altro abbandono attraverso il lamento che sgorgò dal suo immenso affetto verso il genere umano, quello dei reietti e dei dannati. Se ne dolse nell'ultima ora come aveva fatto nella preghiera nell'orto degli Ulivi, quando la sua santissima anima si era rattristata fino alla morte; infatti, la sua copiosa ed abbondante redenzione offerta per tutti non sarebbe stata efficace per essi, ed egli sarebbe stato rifiutato da loro nella beatitudine eterna per la quale li aveva fatti e riscattati. E poiché tutto ciò avvenne secondo il decreto dell'Onnipotente, Gesù eruppe in questo gemito generato dall'amore e dal dolore, volendo intendere: «Perché mi hai lasciato senza la compagnia degli empi?».

1396. Per rafforzare e dare più credito a ciò, il Signore aggiunse subito la quinta parola: «Ho sete». I tormenti e le angosce dovettero suscitare in lui una sete naturale, ma non era tempo di manifestarla e tanto meno di appagarla: egli non avrebbe mai parlato in tal senso, sapendo che si trovava vicino al trapasso. L'espressione aveva un altro significato: la sua sete era che gli schiavi discendenti di Adamo non sciupassero la libertà che aveva guadagnato loro. Desiderava ardentemente che tutti gli uomini, mediante la fede e la carità, la grazia e l'amicizia, traessero vantaggio dai suoi meriti e dalle sue sofferenze e non perdessero l'eterno gaudio lasciato in eredità. Questa sola era la sete del nostro Maestro e solo Maria ne penetrò perfettamente il segreto. Con il cuore colmo di struggimento e di tenerezza, chiamò interiormente a sé i poveri, gli afflitti, gli umili, i disprezzati e gli oppressi e li invitò ad accostarsi al Redentore perché mitigassero parzialmente - completamente sarebbe stato impossibile - la sua sete di anime. I perfidi giudei e gli sbirri, coerenti con la loro infelice crudeltà, gli porsero, deridendolo e schernendolo, una spugna imbevuta di aceto e fiele in cima ad una canna e gliela accostarono alla bocca, perché ne bevesse e si adempisse così la profezia di Davide: Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto. Egli lo gustò pazientemente e ne inghiottì qualche sorso significando misteriosamente quanta pena gli avrebbe recato la dannazione dei reprobi, ma su richiesta della Vergine lo rifiutò subitaneamente e smise di bere; ella, infatti, sarebbe stata la porta e la mediatrice per tutti coloro che avrebbero tratto profitto dalla passione e dalla redenzione.

1397. Quindi Gesù pronunciò la sesta parola avvolta nel mistero: «Consumatum est», cioè «Tutto è compiuto!». E volle intendere: «È compiuta l'opera della mia missione e del riscatto del genere umano, come è compiuta l'obbedienza con cui il Padre mi inviò a patire e morire per esso. Si sono adempiute le Scritture, le profezie e gli esempi dell'Antico Testamento, come è compiuto il corso della vita sofferente e mortale che accettai nel castissimo grembo di mia Madre. Lascio al mondo il mio esempio, l'insegnamento, i sacramenti e gli aiuti per rimediare al male e al peccato. È soddisfatta la giustizia dell'Altissimo ed è assolto il debito della posterità di Adamo. La Chiesa è già in possesso del perdono dei peccati che saranno commessi, e tutta l'opera dell'incarnazione e della redenzione ha raggiunto la massima perfezione per la parte che mi riguarda come Salvatore. Per l'edificazione della Chiesa trionfante è stato già posto il sicuro fondamento nella Chiesa militante: nessuno potrà alterarlo né mutarlo». Tutti questi misteri sono contenuti nelle brevi parole "Consumatum est!".

1398. Volgendosi l'opera della redenzione verso la perfezione del compimento, ne conseguì che, come il Verbo incarnato era uscito dal Padre per mezzo della vita mortale ed era venuto nel mondo, così, per mezzo della morte, ritornasse da questa vita al Padre con l'immortalità. A questo punto Cristo pronunciò l'ultima parola: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», e lo fece gridando a gran voce affinché tutti i presenti potessero udire. Alzò gli occhi al cielo come se parlasse con Dio e subito, chinato il capo, rese il suo spirito. In virtù della forza divina di quest'ultima parola, Lucifero fu sconfitto e scaraventato con tutti i suoi demoni nel precipizio profondo dell'inferno, dove rimasero atterrati, come avrò modo di riferire nel prossimo capitolo. L'invincibile Regina, quale madre del Redentore e corredentrice, penetrò tali arcani più profondamente di tutte le altre creature, e, come aveva sentito i dolori corrispondenti ai tormenti del suo Unigenito, così sentì i dolori e i tormenti che egli patì nel momento della morte senza perdere la vita, e l'Eterno gliela conservò miracolosamente allorché avrebbe dovuto morire realizzando un miracolo più grande di quelli con cui le aveva recato conforto nell'intero corso dell'esistenza terrena. Quest'ultima sofferenza fu più forte, intensa e viva di tutte le altre. Tutto ciò che subirono i martiri e gli uomini giustiziati dall'inizio dei tempi non è paragonabile a quello che Maria provò e sopportò nel martirio del Figlio. Ella rimase ferma ai piedi della croce fino a sera, quando le sacre membra furono sepolte, e in ricompensa di questa particolare angoscia venne ancor più spiritualizzata in quel poco che il suo corpo verginale aveva conservato dell'essere perituro.

1399. Gli evangelisti non riferiscono gli altri misteri che il nostro Salvatore operò sulla croce, e noi cattolici non ne abbiamo alcuna notizia, se non le congetture dedotte dall'infallibile certezza della fede. Tra quelli che mi sono stati rivelati riguardo alla storia e al luogo della passione, vi è una preghiera che sua Maestà fece prima di proferire le sette parole. Dico preghiera perché si trattò effettivamente di un colloquio con l'Onnipotente, sebbene propriamente fosse un'ultima espressione di volontà o testamento, che egli volle lasciare come vero e sapientissimo padre della famiglia affidatagli, cioè il genere umano. Come la ragione insegna, il capo di una famiglia e proprietario di molte o poche sostanze non sarebbe un prudente dispensatore né attento al suo compito, se non dichiarasse nel momento della morte come disporre dei propri beni onde gli eredi e i successori siano informati di quello che spetta a ciascuno senza litigi, e ognuno lo acquisisca secondo giustizia e ne entri in possesso pacificamente. Per tale motivo e per poter morire liberi dalle cose terrene, gli uomini del mondo fanno il loro testamento; anche i religiosi si spogliano dell'uso di queste perché nell'ora della morte pesano molto e la conseguente preoccupazione impedisce allo spirito di innalzarsi al Creatore. E benché esse non potessero recare imbarazzo al nostro Maestro, poiché non ne aveva e, se anche ne avesse avute, non sarebbero state un ostacolo al suo potere infinito, conveniva che disponesse in quell'ora dei tesori spirituali e dei doni che aveva conquistato per i mortali nel corso del suo pellegrinaggio.

1400. Dei beni eterni egli fece testamento sulla croce, determinando a chi toccassero, quali ne dovessero essere i legittimi eredi e quali invece i diseredati e le ragioni di questo. Fece ciò parlando con il Padre, retto giudice di tutte le creature: in lui erano riepilogati i segreti della predestinazione dei santi e della riprovazione dei dannati. Il testamento fu tenuto nascosto e solo la Regina ne conobbe il contenuto, perché, oltre ad esserle rivelati tutti gli atti dell'anima santissima di Gesù, era sua erede universale e costituita signora dell'universo. In qualità di corredentrice, doveva essere anche erede testamentaria, per le cui mani, mani in cui l'Unigenito pose tutte le cose come il Padre le aveva poste nelle sue, si eseguisse la sua volontà. A lei è affidato l'incarico di ripartire i tesori acquisiti dal Figlio, a lui dovuti per i suoi infiniti meriti. Questa spiegazione mi è stata comunicata affinché sia sempre più riconosciuta la dignità della nostra sovrana e i peccatori ricorrano a lei come depositaria delle ricchezze che il Salvatore ha ottenuto dall'Altissimo. Dobbiamo conseguire ogni aiuto per intercessione della Vergine, che ha il compito di distribuirli con le sue caritatevoli e generose mani. Testamento del nostro Salvatore sulla croce

1401. Conficcato il legno della santa croce sul monte Calvario, il Verbo incarnato, crocifisso su di essa, prima di pronunciare le sette parole, si rivolse interiormente all'Onnipotente e disse: «Padre mio, da questo albero della croce io vi confesso e vi esalto con il sacrificio dei miei dolori e della mia passione e morte, poiché con l'unione ipostatica della natura divina innalzaste la mia umanità alla suprema dignità, cosicché sono Cristo, Dio e uomo, unito alla vostra stessa divinità. Vi lodo perché comunicaste alla mia umanità fin dal momento dell'incarnazione la pienezza di tutti i doni possibili di grazia e di gloria. Fin dal principio mi deste per tutta l'eternità il dominio totale e pieno su tutte le creature. Mi faceste sovrano dei cieli, del sole, della luna, delle stelle, del fuoco, dell'aria, della terra, dei mari e di tutti gli esseri sensibili e insensibili che vivono in essi. Mi affidaste l'ordinamento dei tempi, dei giorni e delle notti conferendomi dominio e potere su tutto, secondo la mia volontà o il mio arbitrio. Mi costituiste capo e re di tutti gli angeli e degli uomini perché li governassi e comandassi, e perché premiassi i buoni e castigassi i cattivi. Mi donaste la potestà e le chiavi dell'abisso perché faccia quello che voglio dal supremo delle altezze fino al profondo degli inferi. Mi assegnaste la giustificazione dei mortali, i loro imperi, regni e principati, i grandi e i piccoli, i poveri e i ricchi. Per opera vostra sono diventato per tutto il genere umano sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, Signore della morte e della vita, della santa Chiesa e dei suoi tesori, delle Scritture, dei misteri, dei sacramenti, delle leggi e dei doni della grazia. Tutto ciò, o Padre mio, poneste nelle mie mani e lo subordinaste al mio volere, e perciò vi magnifico e vi onoro».

1402. «E ora che morendo in croce mi separo da questo mondo per fare ritorno alla vostra destra, ora che ho compiuto con la mia passione l'opera della redenzione che mi affidaste, è mio anelito che proprio questa croce sia il tribunale della nostra giustizia e misericordia. Inchiodato su di essa voglio giudicare gli stessi per cui offro la vita. Giustificando la mia causa voglio dispensare i tesori che ho meritato con il mio supplizio. Sia fin da adesso stabilito il compenso che spetta a ciascuno dei giusti e dei reprobi, conformemente alle azioni con cui mi avranno amato o rifiutato. Ho cercato e chiamato tutti gli uomini alla mia amicizia, e dall'istante in cui mi sono incarnato ho faticato incessantemente per loro. Ho sopportato molestie, fatiche, offese, insolenze, derisioni, flagelli, corone di spine e adesso patisco l'amarissima morte sul duro legno. Per tutti ho implorato la vostra immensa pietà e ho pregato vegliando notti intere; ho digiunato, sono stato pellegrino e forestiero per insegnare loro il cammino della vita eterna che da parte mia desidero per tutti perché per tutti l'ho guadagnato senza alcuna eccezione né esclusione, come per tutti ho fondato e stabilito la legge di grazia. La Chiesa in cui possono trovare la salvezza sarà stabile e ferma nei secoli dei secoli».

1403. «Nella nostra sapienza e provvidenza conosciamo, Padre mio, che per la malizia e la cattiveria degli uomini non tutti vogliono acquisire la beatitudine senza fine, né avvalersi della nostra misericordia e intraprendere la via che ho tracciato per loro con il mio esempio e con la crocifissione stessa; essi invece seguono il loro peccato fino alla perdizione. Voi siete giusto e retto nei vostri giudizi e poiché mi avete costituito giudice dei vivi e dei morti, dei buoni e dei malvagi, è d'uopo che io dia ai giusti il premio meritato per essere venuti dietro a me e per avermi servito, e ai cattivi il castigo per la loro perversa ostinazione: i primi abbiano parte con me della mia eredità e i secondi ne vengano privati, dal momento che non vollero accettarla. Ordunque, nel vostro e mio nome vi esalto: accogliete la mia ultima volontà che è conforme alla vostra eterna e divina. Chiedo innanzitutto che fra tutte le creature la mia purissima Madre, nel grembo della quale mi incarnai, sia nominata erede unica e universale di tutti i miei beni di natura, grazia e gloria, affinché ne sia la signora con pieno potere. Le concedo già fin d'ora in effetti tutto ciò che come pura creatura può ricevere dalla grazia, mentre i beni della gloria li prometto e riservo per il futuro. È mia brama anche che gli angeli e gli uomini siano suoi, le appartengano ed ella possa esercitare su di essi l'assoluto dominio: tutti le obbediscano e la servano. I demoni invece devono temerla ed essere a lei soggiogati. Pure le creature prive di ragione devono esserle sottomesse: i cieli, gli astri, i pianeti, gli elementi e tutti gli esseri viventi sulla terra e nel mare, gli uccelli, i pesci e gli altri animali. La costituisco sovrana di tutto, affinché tutti la onorino. Similmente desidero che ella sia depositaria e dispensatrice di tutti i beni dell'universo. Ciò che ella disporrà e ordinerà nella Chiesa per i miei figli, sarà confermato nell'empireo dalle tre divine Persone. E tutto ciò che domanderà a favore dei mortali ora, in avvenire e sempre lo concederemo secondo il suo volere».

1404. «Dispongo inoltre che agli angeli, che compirono la vostra volontà, appartenga il supremo cielo come propria e imperitura abitazione nell'estasi e somma gioia della chiara visione della nostra divinità, e che posseggano eternamente la felicità della comunione con noi. Comando ad essi che riconoscano mia Madre come loro regina, la servano, l'accompagnino, l'assistano, la portino sulle loro mani in ogni luogo e tempo; obbediscano a ogni suo comando ed eseguano tutto ciò che ella vorrà loro ordinare. Esilio e separo dalla nostra vista i diavoli, in quanto a noi ribelli, li condanno ad essere oggetto del nostro aborrimento e all'eterna privazione della nostra amicizia e gloria, della visione di Maria, dei beati e dei giusti; assegno loro come definitiva dimora il luogo più distante dal nostro trono regale, l'inferno, il centro della terra, dove sono privati della luce e costretti a sentire l'orrore delle tenebre più fitte. Sia questa la parte di eredità scelta per la loro superbia e ostinazione: si ribellarono infatti contro l'essere divino e i suoi disegni. Vengano dunque puniti, condannati all'ergastolo dell'oscurità e tormentati con fuoco inestinguibile».

1405. «Da tutta l'umana natura, con la pienezza del mio beneplacito, chiamo, eleggo e prescelgo tutti i giusti e predestinati che per mezzo della mia grazia e imitazione devono essere salvi poiché hanno adempiuto la mia volontà e obbedito alla mia santa legge. Nomino questi, al primo posto dopo la purissima Vergine, eredi di tutte le mie promesse e benedizioni, dei misteri, dei tesori dei sacramenti, dei segreti delle sacre Scritture. Li faccio eredi della mia umiltà e mansuetudine di cuore; delle virtù della fede, speranza e carità; della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza; dei miei doni; della mia croce, delle fatiche, degli obbrobri, del disprezzo, della povertà e nudità che ho subito. Sia questa la loro parte di eredità nella vita presente. Poiché la devono scegliere con l'esercizio delle buone opere, sappiano, per poterlo fare con gioia, che essa è il pegno della mia amicizia, la stessa che ho scelto per me. Offro la mia protezione e difesa, le mie sante ispirazioni, i favori di grazia e potenti aiuti, la giustificazione secondo la loro disposizione, preparazione e carità. Sarò per loro padre, fratello e amico ed essi saranno miei figli eletti e carissimi. Come tali li dichiaro eredi di tutti i miei meriti e tesori, senza limitazione alcuna, per quanto dipende da me. Voglio che essi facciano parte della Chiesa, partecipino dei sacramenti e possano conseguire tutto ciò che saranno capaci di ricevere secondo la loro disponibilità, e possano ricuperare la grazia e i beni nel caso in cui dovessero perderli, ritornando a me rinnovati e lavati interamente col mio sangue. Desidero intensamente che in tutte queste circostanze sia propizia l'intercessione della Regina e dei miei santi: ella li riconosca come figli e li protegga e li consideri sua proprietà; gli angeli li difendano, li custodiscano, li portino nelle loro mani, perché non inciampino e, se dovessero cadere, li aiutino a risollevarsi».

1406. «E ancora chiedo che i miei giusti ed eletti superino in eccellenza i reprobi e i demoni: i miei nemici devono temerli ed essere loro soggetti; tutti gli esseri ragionevoli o privi di ragione si pongano al loro servizio; i cieli, i pianeti, gli astri e i loro influssi li conservino e trasmettano loro la vita; il suolo, gli elementi e gli animali siano il loro sostentamento. Le creature che mi appartengono si sottomettano ad essi come a fratelli ed amici miei, e la loro benedizione conceda la rugiada del cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e mosto. Ancora voglio porre le mie delizie tra i figli dell'uomo, comunicare loro i miei segreti, conversare con loro con fiducia e, fintanto che vivranno nella Chiesa militante, essere presente sotto le specie del pane e del vino, in pegno e caparra ineffabili dell'eterna felicità e gloria. Questo prometto loro, di queste li costituisco eredi affinché ne abbiano in cielo con me il perenne possesso e gaudio».

1407. «Stabilisco e in qualche modo concedo che nell'esistenza peritura l'eredità dei dannati e di coloro che sono rifiutati da noi sia la concupiscenza della carne, degli occhi e la superbia della vita con tutte le sue conseguenze, quantunque siano stati creati per un altro fine ben più alto. Si cibino pure e si sazino della sabbia della terra, ossia delle sue ricchezze, della corruzione e dei piaceri, del fumo della vanità e della presunzione di questo mondo. Essi, per acquistare il possesso di queste cose, si sono dati da fare e in tale preoccupazione hanno impiegato la loro volontà e i sensi. In questa direzione hanno usato le capacità, le elargizioni che abbiamo loro concesso e, per propria scelta, si sono lasciati ingannare, aborrendo quanto ho loro insegnato nella mia santa legge. Hanno rinunciato alla verità che ho scritto nel loro cuore come anche a quella ispirata dalla mia grazia; hanno disprezzato la mia dottrina e i miei benefici e hanno dato ascolto ai miei nonché loro avversari, accettando l'inganno. Hanno amato la vanità, operato l'iniquità, assecondato l'ambizione e, compiacendosi della vendetta, hanno perseguitato i poveri, umiliato i retti, oltraggiato i semplici e gli innocenti. Nella ricerca della propria esaltazione, hanno voluto innalzarsi sopra i cedri del Libano secondo i principi dell'ingiustizia».

1408. «Poiché hanno fatto tutto ciò per offendere la nostra bontà e sono rimasti ostinati nella loro perfidia rinunciando al diritto da me acquisito di essere figli, li diseredo e li escludo dalla mia amicizia e gloria. Come Abramo allontanò da sé i figli delle concubine con alcuni doni e riservò la maggior parte dell'eredità per Isacco, il figlio di Sara, donna libera, così io escludo dalla mia eredità i dannati e lascio loro solamente i beni caduchi che essi stessi hanno scelto. Li separo dalla nostra compagnia, da quella di mia Madre, dei ministri celesti e dei santi e li condanno alle carceri eterne e al fuoco dell'inferno insieme a Lucifero e ai suoi, che essi hanno servito liberamente, e li privo per sempre della speranza nella redenzione. Padre mio, questa è la sentenza che pronuncio come giudice e capo degli uomini e degli angeli; questo è il testamento che dispongo per la mia morte e per l'opera della redenzione umana, garantendo a ciascuno ciò che gli spetta secondo giustizia, conformemente alle azioni compiute, al decreto della vostra incomprensibile sapienza e all'imparzialità della vostra perfetta equità». Così parlò Cristo nostro salvatore sulla croce con l'Altissimo. Questo mistero restò sigillato e serbato nel cuore di Maria come un testamento occulto e chiuso, affinché per sua intercessione e disposizione, al tempo opportuno e da quel momento in poi, fosse eseguito nella comunità ecclesiale. In realtà in quell'ora si incominciò la sua esecuzione ed attuazione in conformità alla conoscenza e previsione divina in cui tutto, passato e futuro, è allo stesso tempo unito e presente.

Insegnamento della Regina del cielo

1409. Figlia mia, fa' in modo, con tutto l'affetto possibile, di non dimenticare la scienza degli arcani che ti ho manifestato in questi capitoli. Come tua madre e maestra, domanderò al Signore che mediante la sua forza imprima in te le rivelazioni che ti ho fatto perché rimangano fisse e presenti finché vivrai. Pensa incessantemente a Gesù crocifisso, mio unigenito e tuo sposo, e non scordare mai i dolori della croce e l'insegnamento che egli volle donarci su di essa. In questo specchio devi acconciare la bellezza della tua anima e riporre quella gloria interiore che si addice alla figlia del principe, cosicché tu possa avanzare, procedere e regnare come sposa del supremo Re. Questo titolo onorifico ti obbliga ad imitarlo con tutta te stessa e a diventare a lui conforme nella misura in cui ti sarà possibile con l'aiuto della sua grazia. Questo deve essere il frutto dei miei consigli ed è mio desiderio che tu, da ora innanzi, viva crocifissa con Cristo e divenga simile a lui, morendo all'esistenza terrena. Gli effetti della prima colpa siano del tutto estirpati e tu possa vivere di quanto compie in te la virtù superna. Devi rinunciare all'eredità avuta come discendente di Adamo, affinché tu possa ricevere l'eredità del secondo Adamo, Gesù, tuo redentore.

1410. La tua vita deve essere una croce pesante e angusta, dove tu sia inchiodata e in nessun modo, in forza di dispense e interpretazioni benevole che la rendono spaziosa, ampia e comoda, sia una via larga, ma piuttosto sicura e perfetta. Questo è l'inganno dei figli di Babilonia e di Adamo, che, ciascuno nel proprio stato, cercano di rendere più leggera la legge di Dio e agiscono in tal senso mercanteggiando la salvezza delle loro anime. Essi vogliono infatti comprare il cielo a basso prezzo e si pongono nel pericolo di perderlo del tutto dal momento che costa loro il doversi sottomettere e adattare al rigore dei precetti divini. Ne consegue da parte loro la ricerca di dottrine e opinioni che dilatino i sentieri della beatitudine eterna: si dimenticano così che mio Figlio insegnò loro quanto stretta sia invece la porta e angusta la via e che egli stesso la intraprese, affinché nessuno potesse pensare di percorrerne di più spaziose e comode, adatte alle bramosie della carne e alle inclinazioni viziate del peccato. Tale pericolo è maggiore per gli ecclesiastici e i religiosi, che, per la loro scelta e il loro stato di vita, sono chiamati a seguire il Maestro e conformarsi alla sua povertà. Per questo scelsero il cammino della croce e intanto, però, vogliono che la dignità o la religione servano ad essi al fine di comodità temporali o per accrescere l'onore, la stima e il plauso che altrimenti non avrebbero mai conseguito. Per ottenere tutto ciò essi allargano la croce che promisero di portare vivendo legati e conformati alla carne, servendosi di opinioni e interpretazioni fallaci. A suo tempo, tuttavia, conosceranno la verità di quella sentenza dello Spirito Santo: Agli occhi dell'uomo tutte le sue vie sono rette, ma chi pesa i cuori è il Signore.

1411. Carissima, devi stare lontana da questo inganno e avere una vita conforme alla tua professione e nella più stretta osservanza, così che su questa croce tu non ti possa stendere né voltare da una parte o dall'altra, proprio perché tu sei inchiodata su di essa con il Signore. Devi tenere la mano destra inchiodata all'obbedienza, senza riservarti alcun momento o parola o gesto o pensiero che non siano governati da tale virtù. Non devi avere nessun atteggiamento che sia opera della tua volontà, bensì dell'altrui: non ti è lecito credere di essere saggia per te stessa; devi invece essere ignorante e cieca, affinché i superiori ti guidino. «Colui che promette - dice il Savio -, inchiodata la sua mano e con le parole delle sue labbra, resta legato e preso». Hai inchiodato la tua mano col voto dell'obbedienza e con questo atto hai rinunciato alla libertà e al diritto di volere o non volere. Terrai quella sinistra inchiodata al voto di povertà senza concederti nulla di quanto gli occhi sono soliti desiderare, nessuna simpatia né affetto, perché, riguardo all'uso o al desiderio di cose di tal fatta è opportuno che tu segua e imiti Cristo povero e nudo sulla croce. Col terzo voto di castità, devono essere inchiodati i tuoi piedi, perché i tuoi passi e i tuoi movimenti siano puri, casti e gradevoli. Perciò non devi permettere che, in tua presenza, si proferiscano parole dissonanti dalla purezza né tollerare che immagini o figure di questo mondo ti possano colpire, né guardare o toccare creatura umana. I tuoi occhi e tutti i tuoi sensi siano consacrati alla castità, senza concederti alcuna dispensa, se non quella di fissarli in Gesù crocifisso. Osserverai e custodirai sicura il quarto voto di clausura nel costato e nel petto di sua Maestà: è la dimora che ti assegno. E affinché questa dottrina ti sembri soave e questo cammino meno aspro, mira e considera con attenzione nel tuo cuore l'immagine che di lui hai conosciuto: pieno di piaghe, tormenti e dolori, alla fine inchiodato sulla croce senza avere nel suo corpo parte alcuna che non fosse ferita e tormentata. Entrambi eravamo più delicati e sensibili di tutti i figli degli uomini, e per loro abbiamo sofferto e sopportato dolori amarissimi per incoraggiarli a non rifiutarne altri minori in vista del loro eterno e proprio bene e dell'amore che li ha obbligati. Per esso dovrebbero mostrarsi grati, intraprendendo con fiducia e abbandono il sentiero seminato di spine e di affanni, e portare la croce, per imitare e seguire Cristo ed ottenere la felicità senza fine: questa è la diritta via per arrivarvi.


CAPITOLO 23

Sulla croce Cristo, nostro salvatore, trionfa sul demonio e stilla morte, secondo la profezia di Abacuc. I diavoli tengono un conciliabolo all'inferno.

1412. I venerabili arcani contenuti nel presente capitolo corrispondono a molti altri da me già trattati in questa Storia. Uno di essi riguarda il fatto che Lucifero e i suoi ministri, nel corso della vita di Gesù e davanti ai suoi miracoli, non poterono mai giungere ad avere la sicurezza assoluta che egli fosse vero Dio e salvatore del mondo, e quindi neppure a comprendere la dignità di Maria beatissima. Provvidamente la sapienza superna aveva disposto così, affinché l'incarnazione e la redenzione si compissero in maniera più conveniente. Satana, dunque, pur sapendo che l'Altissimo si sarebbe fatto uno di noi, ne ignorava le modalità e le circostanze e, poiché se ne formava un'opinione nella sua superbia, prese un grande abbaglio: ora affermava che Cristo era Dio, per i suoi prodigi; ora lo negava, vedendolo povero, umiliato, afflitto e affaticato. Confuso tra queste varie ipotesi, rimaneva nel dubbio e continuava a fare indagini; questo durò fino all'ora del Gòlgota, quando, venendo a scoprire i misteri di lui, fu allo stesso tempo disingannato e sconfitto, per la passione e morte che aveva procurato alla sua umanità santissima.

1413. Il trionfo del nostro Maestro si realizzò in modo così elevato e mirabile che io mi confesso incapace di spiegarlo; esso, infatti, fu del tutto spirituale e celato ai sensi, con i quali lo devo illustrare. Vorrei che ci potessimo informare gli uni gli altri come fanno gli angeli, perché non meno è necessario per manifestare e capire tale opera meravigliosa del potere divino. Dirò ciò che potrò e ad illuminare sarà la fede, più che il significato delle mie espressioni.

1414. Ho già riferito come il nostro avversario e i suoi provarono ad allontanarsi dal Signore ed a precipitarsi all'inferno, appena egli ricevette la croce sulle sue sacre spalle, perché in quel momento avvertirono che la forza celeste cominciava ad affliggerli maggiormente. Poiché sua Maestà lo permise, da questo nuovo tormento riconobbero che con l'uccisione di quell'innocente, da loro tramata, li sovrastava un enorme danno, e che non si trattava di una semplice creatura. Quindi, desideravano ritirarsi e non assistere più come prima i giudei e i responsabili della giustizia; il braccio dell'Onnipotente, però, li trattenne e li legò come dragoni ferocissimi, costringendoli per mezzo di un comando della Vergine a non fuggire ed a seguire il suo Unigenito sino alla fine. L'estremità della catena mistica fu data alla Regina, affinché li tenesse soggiogati con le virtù del suo diletto. Anche se spesso, pieni di furore, davano strattoni per liberarsi, non riuscirono a superare la resistenza con la quale ella li teneva, obbligandoli a giungere al luogo del supplizio e a mettersi intorno al duro legno, dove ordinò loro di rimanere immobili fino al termine di eventi così sublimi come erano quelli che vi si compivano per la loro rovina e il riscatto degli uomini.

1415. A questo ordine, il principe del male e i suoi squadroni furono tanto prostrati dalla pena che sentivano per la presenza di Gesù e di sua Madre, e per ciò che li minacciava, che avrebbero trovato profondo sollievo nel gettarsi negli abissi. Poiché non era loro concesso, si stringevano fra sé come formiche sbalordite e come vermiciattoli timorosi che cercano di nascondersi in qualche buco, benché la loro rabbia non fosse propria di animali, ma di demoni più crudeli dei draghi. Qui la tronfia tracotanza di Lucifero fu del tutto avvilita e svanirono le sue pretese di innalzare il suo trono sopra le stelle e di bere le limpide acque del Giordano. Oh, come era abbattuto e inerme colui che in tante occasioni aveva arditamente presunto di capovolgere l'intero universo! Come era perplesso e sconfortato colui che aveva raggirato molte anime con promesse fallaci o con minacce! Come era turbato l'infelice Amàn davanti al patibolo sul quale aveva tentato di far salire il nemico Mardocheo! Oh, quale ignominia per lui osservare la vera Ester, Maria purissima, domandare che il suo popolo fosse risparmiato e che il traditore venisse rovesciato dalla sua primitiva grandezza e castigato con la condanna dovuta alla sua smisurata protervi! Qui l'oppresse e decapitò la nostra invincibile Giuditta, qui gli schiacciò l'altera cervice. Da adesso in poi saprò, satana, che il tuo orgoglio oltrepassa le tue possibilità. Già ti coprono vermi, invece che splendore; già il tarlo consuma e rode il tuo cadavere. Tu, che ferivi le genti, sei colpito più di tutte loro. Non temerò più le tue false intimidazioni, né darò più ascolto ai tuoi inganni, poiché ti vedo annientato e senza alcun vigore.

1416. Era ormai tempo che il serpente antico fosse sopraffatto dal Maestro della vita. Era opportuno che ciò avvenisse con la sua disillusione e a questo aspide velenoso non doveva giovare il turarsi le orecchie per non udire la voce dell'incantatore. Allora, Cristo iniziò a proferire dalla croce le sette parole, dando a lui e ai suoi ministri licenza di intendere i misteri in esse racchiusi, perché voleva trionfare così su di loro, sul peccato e sulla morte, spogliandoli della tirannia con la quale tenevano soggetto il mondo. Pronunciò la prima: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Essi conobbero con certezza che parlava con l'Eterno, che era suo figlio e vero Dio con lui e con lo Spirito, che nella sua umanità santissima di perfetto uomo unita alla divinità accettava liberamente di perire per i discendenti di Adamo, che per i suoi atti d'infinito valore offriva il perdono a tutti coloro che avrebbero voluto trarne profitto, senza eccettuare quanti lo stavano straziando. Provarono tanta ira e tanto dispetto che si lanciarono impetuosamente verso gli antri tenebrosi, dibattendosi con tutte le energie per farlo; ma la potentissima Signora lo impediva.

1417. La seconda parola fu indirizzata al fortunato ladrone: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso». I diavoli capirono che il frutto della redenzione era la salvezza dei rei e il suo fine ultimo l'esaltazione degli eletti, che i meriti di Gesù cominciavano ad operare con nuova efficacia, che con essi si aprivano le porte del paradiso, sino a quel momento chiuse per la colpa originale, e che molti sarebbero entrati a godere la beatitudine perenne e ad occupare i posti che per loro era invece impossibile riacquistare. Si resero conto che aveva la facoltà di chiamare i traviati, giustificarli e glorificarli, e che aveva riportato innumerevoli vittorie su di loro nella sua esistenza terrena con le virtù eminenti dell'umiltà, della pazienza, della mansuetudine e con tutte le altre che aveva esercitato. Con il nostro linguaggio non si possono esplicare la loro confusione e il loro tormento, che furono tali da umiliarne la superbia fino a muoverli a pregare la Vergine di permettere che si ritirassero nelle loro caverne e di allontanarli dalla sua presenza; ma ella non acconsentì, perché non ne era ancora giunta l'ora.

1418. Il dolcissimo Unigenito rivolse alla Regina la terza parola: «Donna, ecco il tuo figlio!». I demoni compresero che ella era vera Madre di Dio fatto carne, e che era la stessa il cui segno era stato manifestato ad essi in cielo quando erano stati creati ed avrebbe calpestato loro la testa, come l'Altissimo aveva preannunciato nell'Eden. Penetrarono la sua eccellenza sopra ogni essere, nonché il suo dominio su di loro, come stavano sperimentando. Fu inesplicabile il loro furore, poiché fin dal principio, da quando era stata plasmata Eva, erano andati tutti indagando con astuzia quale potesse essere quella grande donna della quale avevano visto il segno nel cielo, e in tale occasione seppero di non averla identificata. Questo irritò la loro arroganza più di ogni altro supplizio e si adirarono con se stessi come leoni feroci rinnovando l'antica collera contro di lei, benché senza successo. Appresero inoltre, come una minaccia a quello sdegno, che Giovanni era stato assegnato da Cristo come angelo custode di Maria, con l'autorità di sacerdote; lo stesso scoprì anche l'Evangelista. Lucifero non fu informato solo della potestà di lui contro gli spiriti del male, ma anche di quella che veniva concessa a tutti i sacri ministri per la loro dignità e partecipazione al potere stesso di sua Maestà. Ebbe, poi, notizia che pure le altre persone rette, benché non presbiteri, sarebbero state sotto una speciale protezione e sarebbero rimaste salde contro l'inferno. Tutto ciò debilitava lui e i suoi seguaci.

1419. La quarta parola fu diretta al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». In essa i nemici intuirono che la sua carità era immensa e senza termine, e che inspiegabilmente per soddisfarla l'influsso della divinità era stato sospeso alla sua umanità santissima, affinché, con il sommo rigore della passione, la redenzione fosse abbondantissima. Capirono che egli si affliggeva e si lamentava con affetto, perché non sarebbero stati liberati tutti gli uomini, dai quali era stato abbandonato, ed era risoluto a sopportare di più, se gli fosse stato chiesto. Questa felicità dei mortali di essere tanto diletti dal Signore stesso aumentò l'invidia di tutti costoro, che sentirono la sua onnipotenza pronta a ciò. La loro malvagità e il loro orgoglio furono schiacciati ed essi si confessarono deboli per opporsi efficacemente tutte le volte che qualcuno avrebbe voluto approfittarne.

1420. La quinta parola fu: «Ho sete ». Essa accelerò il trionfo contro satana e i suoi, che provarono maggiore rabbia e dispetto, perché Gesù la indirizzò più chiaramente contro di loro. Afferrarono che significava: «Se vi pare tanto quello che soffro per i miei fratelli e smisurato il mio amore per loro, desidero che intendiate che la mia incommensurabile bontà è sempre assetata della loro beatitudine, alla quale anelo, e non l'hanno spenta le molte acque dei miei tormenti e dei miei dolori. Se fosse necessario, ne affronterei di assai peggiori, per riscattarli dalla vostra tirannia e renderli solidi contro la vostra malizia e superbia».

1421. La sesta parola proferita fu: «Tutto è compiuto!». Il serpente e gli altri, così, ebbero completamente presente il mistero dell'incarnazione e della salvezza, già conclusa in tutta la sua perfezione, secondo l'ordine superno. Fu svelato loro che il Figlio aveva obbedito all'Eterno e aveva adempiuto pienamente le promesse fatte per mezzo dei patriarchi e dei profeti. Furono, inoltre, messi al corrente che la sua umiltà e docilità avevano compensato la protervia e la ribellione da loro mostrata nell'empireo, quando non avevano voluto sottomettersi a lui né riconoscerlo come superiore nella carne, ed erano perciò avviliti con eccelsa sapienza e giustizia da quello stesso che avevano disprezzato. Poiché, poi, era conseguente alla sua elevata dignità e ai suoi meriti illimitati che Cristo in quell'ora esercitasse la facoltà di giudice delle creature celesti e terrene, affidatagli dall'Altissimo, egli, usando la sua forza ed eseguendo la sentenza contro il dragone nel medesimo istante in cui la pronunciava, intimò a lui e a tutti i suoi compagni di scendere subito nelle profondità più oscure delle carceri infernali, come condannati al fuoco perenne. Immediatamente dopo disse la settima parola: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». La sua potentissima Madre concorse con lui e ingiunse anch'ella ai demoni di precipitare in quel momento negli abissi. Per questo comando del supremo Re e della Regina, essi partirono dal monte Calvario e piombarono fino negli antri più bassi, con maggiore violenza e rapidità di un fulmine.

1422. Il Redentore, vittorioso, dopo avere sopraffatto il più grande avversario, per consegnare il suo spirito al Padre dette licenza alla morte di avvicinarsi, chinando il capo e abbattendola con tale consenso, in cui come il tentatore essa trovò il suo laccio. La ragione di ciò è che questa non potrebbe ferire né avere potere su nessuno, se non fosse per la prima colpa, alla quale fu imposta come pena. Perciò l'Apostolo afferma che sua arma e suo pungiglione è il peccato, da cui è stata aperta la ferita attraverso la quale è entrata nel mondo. Sua Maestà estinse il debito del male che non poteva commettere; dunque essa, quando gli tolse la vita senza avere alcun diritto su di lui, perse quello che aveva sugli altri figli di Adamo. Da allora né essa né Lucifero avrebbero più potuto offenderli, se questi ne avessero approfittato e non fossero tornati a soggiogarsi volontariamente a loro. Se il nostro progenitore non fosse caduto, e noi tutti in lui, non ci sarebbe stato il castigo della morte, ma piuttosto un transito da una condizione felice a quella felicissima della patria di lassù. Il peccato, però, ci rese sudditi di essa e di satana, che ce la procurò per avvalersene, privandoci del passaggio alla vita eterna e ancor prima della grazia, dei doni e dell'amicizia di Dio, e per mantenerci servi suoi e dei vizi, soggetti al suo crudele e iniquo impero. L'Unigenito distrusse tutte queste opere del diavolo; perendo da innocente e pagando per noi, fece in modo che la morte fosse soltanto del corpo e non dell'anima, fisica e non spirituale e perpetua, ed anzi fosse la porta per il gaudio del paradiso per chi non avesse voluto farselo sfuggire. In tale maniera scontò l'antica trasgressione, disponendo anche che da parte nostra potessimo offrire come ammenda il trapasso corporale, accettato per amore suo; così, assorbì la morte, e la sua morte santissima fu il boccone con il quale la ingannò, togliendole le energie e la vita e abbandonandola prostrata e sconfitta

1423. In questo successo del nostro Salvatore si compì la profezia fatta da Abacuc nella sua preghiera, dalla quale prenderò soltanto ciò che basta al mio intento. Egli conobbe tale mistero e il dominio del Signore sulla morte e sul maligno. Con religioso timore gli domandò di dare vita a chi aveva plasmato, cioè l'uomo, e predisse che l'avrebbe fatto e, nel suo sdegno, si sarebbe ricordato di avere clemenza. Annunciò che la gloria di questa meraviglia avrebbe riempito i cieli e la sua lode la terra, che il suo splendore sarebbe stato come la luce e che egli avrebbe tenuto nelle sue mani bagliori di folgore, che sono le braccia della croce, nella quale sarebbe stata nascosta la sua forza. Proclamò, inoltre, che la morte sarebbe andata davanti a lui come schiava e il serpente sarebbe stato abbassato ai suoi piedi e quindi avrebbe misurato la terra. Tutto fu eseguito alla lettera, in quanto il nostro nemico uscì con il capo fracassato dai piedi del nostro Maestro e della beatissima Vergine, che lo umiliarono e calpestarono con la loro passione e con la loro potenza. Poiché egli piombò sino al centro del globo, nella regione dell'inferno più profonda e distante dalla superficie, si dice che misurò la terra. Il resto del testo riguarda il trionfo di Cristo nel progredire della Chiesa sino alla fine, e non è necessario riportarlo qui; quello che, però, è conveniente che noi tutti comprendiamo è che il drago e i suoi, per la sua morte, furono legati, abbattuti e indeboliti per tentare gli esseri dotati di ragione. Lo sarebbero ancora, se questi con le loro colpe e spontaneamente non li avessero liberati e non avessero incoraggiato la loro superbia a ritornare con rinnovato vigore a seminare rovina. Tutto ciò si capirà meglio dal conciliabolo che essi tennero e da quello di cui parlerò continuando a narrare questa Storia. Conciliabolo tenuto all'inferno da Lucifero e dai suoi demoni dopo la morte di Cristo, nostro Signore

1424. Lucifero e i suoi ministri caddero dal monte Calvario fin negli abissi con più furia e turbolenza di quando erano stati precipitati dalle altezze. Il loro regno è sempre terra tenebrosa e coperta dalle ombre della morte, piena di caliginosa confusione, di miserie, angustie e disordine, come afferma Giobbe; eppure, in tale occasione la sua infelicità e il suo scompiglio furono più grandi, perché i dannati ricevettero ulteriore orrore e tormento dalla ferocia con cui i demoni vi discesero e dal dispetto che nella loro rabbia mostrarono. Certamente, questi non hanno l'autorità di porli a loro arbitrio in zone di maggiore o minore tribolazione, poiché ciò è deciso dall'equità divina, secondo i misfatti di ciascuno; tuttavia, il giusto giudice stabilisce che, oltre alla pena "essenziale", in alcune circostanze ce ne possano essere altre "accidentali". Quanto è stato commesso, infatti, ha lasciato radici e molti mali per altri, che per questo si smarriscono; così, i durevoli effetti di tali peccati non ritrattati le motivano. Giuda fu straziato con altre torture per aver venduto sua Maestà, procurandone l'uccisione. I diavoli scoprirono in quel momento che il luogo di punizioni terribili dove lo avevano collocato era destinato a coloro che si sarebbero smarriti con la fede e senza le opere, e a quelli che avrebbero rifiutato di proposito la virtù e il frutto della redenzione, contro i quali essi manifestano più collera.

1425. Appena satana ebbe il permesso di sfogare l'ira concepita contro il Salvatore e Maria e di rialzarsi dopo essere rimasto per qualche tempo steso al suolo, volle intimare ai suoi compagni la sua ribadita tracotanza contro Gesù. A tale scopo li convocò tutti e, sistematosi in una posizione elevata, dichiarò loro: «A voi, che per tanti secoli siete stati e starete nella mia fazione per la legittima vendetta delle sofferenze inflittemi, sono note quelle che mi sono state procacciate adesso da questo nuovo uomo e Dio e sapete come per trentatré anni egli mi abbia indotto in errore, celandomi la sua vera identità e i suoi atti interiori, e sgominandoci per mezzo della stessa condanna che gli abbiamo procurato per annientarlo. Prima della sua incarnazione, lo denigrai e non mi assoggettai a confessarlo più meritevole di me dell'adorazione di tutti. Per tale resistenza fui scagliato giù dal cielo insieme con voi e mi fu data questa bruttezza, indegna del mio splendore e della mia bellezza; ma più di tutto questo mi affligge il vedermi vinto e oppresso da costui e da sua Madre. Fin dalla formazione di Adamo li ho cercati con attenzione per distruggerli o, se non mi fosse riuscito, traviare le creature di lui e fare in modo che nessuna di esse lo accettasse come Signore e lo servisse, e che le sue azioni non portassero loro vantaggio. Questi sono stati i miei desideri, questi i miei pensieri e i miei sforzi, ma invano, poiché mi ha sconfitto con la sua umiltà e la sua povertà, mi ha calpestato con la sua pazienza e infine mi ha defraudato del potere che avevo nel mondo con la sua passione e la sua ignominiosa crocifissione. Ciò mi angoscia in maniera tale che, quando anche io lo strappassi dalla destra di suo Padre, dove già starà glorioso, e trascinassi tutti coloro che ha riscattato in questo inferno, non verrebbe appagato il mio odio né placato il mio furore».

1426. «È forse possibile che l'Onnipotente abbia innalzato la natura umana, così inferiore alla mia, al di sopra di tutto quello che ha fatto, che l'abbia tanto favorita da unirla a se stesso nel Verbo eterno, che prima di compiere questo abbia mosso guerra contro di me e dopo mi abbia schiacciato con mio enorme sconcerto? Sempre l'ho considerata nemica crudele, sempre è stata per me ripugnante e intollerabile. O gente tanto beneficata da colui che detesto e tanto diletta dalla sua ardente carità! Come impedirò la vostra fortuna? Come vi potrò rendere affranti al pari di me, dato che non posso togliervi la stessa esistenza? Che faremo dunque, miei vassalli? Come restaureremo il nostro impero? Come riacquisteremo forza contro i mortali? Come potremo ancora superarli? È, infatti, chiaro che da ora in poi tutti, se non sono insensibili, assolutamente ingrati e peggiori di noi contro questo uomo-Dio, che con tanto amore li ha liberati, faranno a gara nell'andargli dietro, gli daranno il proprio cuore e abbracceranno i suoi soavi precetti. Non acconsentiranno ai nostri inganni, disdegneranno gli onori illusori che offriamo e aneleranno al disprezzo, vorranno la mortificazione e conosceranno il pericolo dei piaceri, abbandoneranno i tesori e le ricchezze e avranno care le privazioni, che il loro Maestro ha reso così stimabili, e per imitarlo riterranno orribile tutto quello con cui noi proviamo ad allettare i loro appetiti. Ciò abbatte il nostro regno, poiché nessuno verrà con noi in questo luogo di confusione e di tormento, e tutti conseguiranno la beatitudine che abbiamo perso, si piegheranno fino a terra e patiranno con sopportazione; la mia indignazione e la mia superbia non avranno effetto».

1427. «Oh, me infelice, di che terribile pena mi è causa l'essermi sbagliato! Tentando questo uomo-Dio nel deserto, gli ho dato occasione di lasciare con il suo trionfo un esempio ad ognuno e ho fatto sì che ci fosse qualcuno capace di sopraffarmi. Perseguitandolo, gli ho solo permesso di educare alla sua umiltà e pazienza. Persuadendo Giuda a venderlo e i giudei ad angariarlo con feroce accanimento e ad ammazzarlo, ho affrettato la mia rovina e l'instaurarsi della dottrina che mi ero impegnato a cancellare. Come si poté abbassare in tale misura colui che era Dio? Come sostenne tanto da parte degli uomini, così malvagi? Come potei dare io stesso un simile aiuto affinché la salvezza fosse così abbondante e mirabile? Oh, che potenza divina è la sua, come mi angustia e indebolisce! Come la mia avversaria, colei che lo ha generato, è così invincibile contro di me? Il suo potere è inusitato per una semplice creatura e senza dubbio le viene partecipato dallo stesso che rivestì di carne. Costui mi ha sempre combattuto duramente attraverso questa donna, così aborrita dalla mia alterigia da quando la vidi nella sua immagine o idea. Se, però, non si soddisfa il mio orgoglioso risentimento, non desisto dal lottare contro di lui, contro Maria e contro i discendenti di Adamo. Orsù, voi che mi seguite, è ormai il momento di concretizzare la nostra ira; avvicinatevi tutti a discutere con me delle vie per farlo, perché su ciò bramo il vostro parere».

1428. A questa tracotante proposta risposero alcuni dei demoni di grado più elevato, incitandolo con vari consigli per ostacolare il frutto della redenzione. Convennero che non era possibile offendere la persona di Cristo, né diminuire il valore immenso dei suoi meriti, né distruggere la virtù dei suoi sacramenti, né falsificare o corrompere quanto aveva predicato, ma nonostante tutto c'era bisogno di trovare, corrispondentemente ai nuovi principi, mezzi e favori ordinati dall'Altissimo per il rimedio, nuovi modi di contrastarli, come anche più grandi seduzioni e raggiri. Perciò alcuni, dotati di maggiore sagacia e malizia, dissero: «È certo che i mortali hanno già nuovi ammonimenti e una legge assai forte, sacramenti nuovi ed efficaci, un nuovo modello e maestro di perfezione e una influentissima interceditrice ed avvocata in questa nuova donna; ma le inclinazioni della loro natura sono sempre le stesse, e le cose dilettevoli per i sensi non sono mutate. In tale maniera, aggiungendo nuova astuzia, disfaremo per quanto dipende da noi ciò che egli ha operato per loro, e ci scaglieremo aspramente contro di essi, cercando di attirarli con lusinghe e muovendo le loro passioni, così che le assecondino con impeto senza preoccuparsi di altro; la loro condizione è tanto limitata che, quando è occupata con un oggetto, non può badare al contrario».

1429. Con questa determinazione essi, con rinnovata furbizia, cominciarono a distribuirsi un'altra volta i compiti, dividendosi in vari squadroni, ciascuno dei quali era incaricato di istigare ad un vizio differente. Decisero di sforzarsi di conservare nel mondo l'idolatria, perché gli esseri umani non arrivassero alla cognizione dell'autentico Signore, né del loro riscatto. Se non vi fossero riusciti, poi, stabilirono di inventare sette ed eresie e, per realizzare tutto ciò, di investigare quali fossero tra di essi i più cattivi e depravati, che prima abbracciassero gli errori e poi ne fossero guide per gli altri. Fu allora che quei velenosi serpenti concepirono la setta di Maometto, le eresie di Ario, di Pelagio e di Nestorio e quante ne sono comparse dal tempo della Chiesa primitiva fino ad oggi, nonché altre che tengono pronte, delle quali non è necessario né conveniente parlare. Lucifero approvò questo piano infernale, perché si opponeva alla verità divina e abbatteva il fondamento della salvezza, che consiste nella fede in Dio. Lodò, onorò e pose al suo fianco i diavoli che avevano dato tali suggerimenti, i quali si incaricarono di individuare gente empia che introducesse simili menzogne.

1430. Alcuni si assunsero la responsabilità di pervertire le tendenze dei fanciulli, osservandole fin dalla nascita. Altri si impegnarono a rendere negligenti i padri nell'educazione dei figli, o per eccessivo amore o per avversione, e a fare in modo che questi li detestassero. Altri ancora si offrirono per mettere odio tra mariti e mogli, e per facilitare loro l'adulterio e il disprezzo della giustizia e della fedeltà. Tutti furono d'accordo che avrebbero diffuso attriti, ostilità, conflitti e vendette; li avrebbero stimolati a questo con suggestioni fallaci, spingendoli alla superbia e alla sensualità, con l'avarizia e con desideri di prestigio e dignità. Avrebbero presentato le loro apparenti ragioni contro tutte le virtù insegnate da sua Maestà e, soprattutto, avrebbero provato a distogliere le creature dalla memoria della sua passione e crocifissione, della redenzione e delle pene eterne. Ad essi parve che così costoro avrebbero rivolto le energie ai piaceri terreni, e non sarebbe rimasta loro attenzione o considerazione alcuna per ciò che è celeste e per il proprio stato interiore.

1431. Satana, dopo avere udito queste ed altre riflessioni, affermò: «Vi sono molto riconoscente per i vostri progetti e acconsento a tutti. Sarà assai semplice ottenere ogni cosa da coloro che non professeranno i decreti che Gesù ha dato; l'impresa, però, sarà ardua contro coloro che li accetteranno e aderiranno ad essi. Quindi, è soprattutto contro di loro che io intendo dare dimostrazione della mia immane rabbia. Perseguiterò in modo durissimo quanti accoglieranno le sue parole e lo seguiranno; con loro la nostra guerra deve essere fiera e ostinata sino alla fine dei giorni. Nella comunità ecclesiale devo seminare la mia zizzania: ambizione, avidità, lussuria e feroci rancori, con tutti gli altri vizi dei quali sono capo. Se si moltiplicano e crescono le colpe tra i cattolici, questi con tali ingiurie e con la loro villana ingratitudine irriteranno l'Onnipotente e faranno sì che egli neghi legittimamente ad essi il suo aiuto, meritato con tanta abbondanza da Cristo. Se con le loro mancanze si privano di tale difesa, riporteremo una sicura vittoria. È anche opportuno adoperarci per strappare loro la pietà e tutto ciò che è spirituale, e perché non capiscano l'efficacia dei sacramenti o si accostino ad essi in condizione di peccato, o almeno senza fervore e devozione; questi benefici, infatti, non sono materiali e per ricavarne maggiore frutto bisogna riceverli con tali disposizioni. Se essi saranno giunti una volta a spregiare la medicina, tardi recupereranno la salute, e faranno meno resistenza alle nostre tentazioni. Non si avvedranno dei nostri inganni, si dimenticheranno dei favori concessi loro, non stimeranno il ricordo del proprio Salvatore, né l'intercessione di sua Madre. Questa triste trascuratezza li renderà indegni della grazia e procurerà che egli, adirato, la rifiuti loro. Voglio che collaboriate tutti con me con grande vigore, non perdendo tempo né alcuna occasione di eseguire quanto vi comando».

1432. Non è possibile riferire gli espedienti che il drago e i suoi alleati macchinarono allora contro la Chiesa e i suoi membri, perché queste acque del Giordano entrassero nella sua bocca. Basti notare che conferirono per quasi un anno intero ed è sufficiente esaminare l'andamento della storia dopo il sacrificio del Signore, nostro bene, e dopo tanti miracoli, doni ed esempi luminosi di uomini santi per manifestare la fede. Ponderando che tutto ciò non riesce a ricondurre molte persone al cammino della vita, si deduce quanto il maligno abbia fatto contro di esse, e che la sua collera è tale che può dire con Giovanni: Guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è precipitato sopra di voi pieno di grande furore. Ma, ahimè! Verità tanto chiare come queste, e tanto importanti per intendere il pericolo in cui ci troviamo ed evitarlo con tutte le forze, sono oggi così cancellate dalla mente dei mortali, con irreparabili conseguenze! Il nemico è astuto, crudele e vigilante; noi, invece, siamo addormentati, negligenti e deboli! Come può meravigliare che Lucifero si sia tanto impossessato della terra, se pochi gli si oppongono, mentre molti lo ascoltano, lo approvano e vanno dietro alle sue menzogne, non pensando alla rovina perenne che egli guadagna loro con implacabile furia e malizia? Prego coloro che leggeranno questo scritto di non voler ignorare una minaccia così temibile. Se non la intuiscono dallo stato del mondo, dalle sue sciagure e dal danno che ciascuno sperimenta in sé, la discernano almeno dalla cura necessaria e dai numerosi validi rimedi lasciati ai suoi dal nostro Maestro. È certo, infatti, che egli non ci avrebbe applicato un antidoto simile se il nostro male, con l'eventualità di perire eternamente, non fosse stato tanto spaventoso e tremendo.

Insegnamento della Regina del cielo

1433. Mia diletta, la luce superna ti ha rivelato molto sul glorioso trionfo che il mio Unigenito riportò dalla croce sui demoni e sull'oppressione con cui li sconfisse e prostrò. Devi essere consapevole, però, che ciò di cui sei all'oscuro è più di quello che hai appreso di arcani tanto ineffabili, perché la creatura, finché è nella carne, non può penetrarli come essi sono in se stessi. La Provvidenza riserva la loro comprensione totale come premio degli eletti nel cielo e nella visione beatifica, dove si capiscono perfettamente, e come confusione dei reprobi, nella misura in cui li conosceranno alla fine dell'esistenza di quaggiù. Quello di cui sei stata informata è abbastanza per istruirti sui rischi che corri e per incoraggiarti nella speranza di debellare i tuoi avversari. Considera anche a fondo la nuova ira concepita contro di te dal serpente per quanto hai esposto in questo capitolo. L'ha sempre avuta, cercando di impedirti di narrare le mie vicende; ma ora la sua superbia si è irritata un'altra volta, perché hai svelato lo smacco, l'umiliazione e l'abbattimento che egli dovette subire allo spirare di Gesù, la condizione nella quale rimase e gli stratagemmi che escogitò con i suoi compagni per vendicare la propria caduta contro i discendenti di Adamo, soprattutto i cristiani. Tutto questo lo ha ulteriormente turbato ed esacerbato, dato che scorge ciò palesato a chi non ne sapeva niente. Tu saggerai tale sdegno nelle tribolazioni che ti farà provare con varie tentazioni e persecuzioni; d'altra parte, hai già cominciato a fare esperienza della sua rabbia e ferocia. Ti do questo avvertimento perché tu stia molto accorta.

1434. Ti stupisce a ragione l'aver avuto notizia del potere dei meriti di sua Maestà e dell'opera di salvezza, con quanto causò nei ministri di satana, mentre osservi questi stessi signoreggiare tanto spavaldi con raccapricciante audacia. Benché tale sbigottimento ceda di fronte all'illuminazione che ti è stata concessa su quello che hai raccontato, voglio ugualmente aggiungere qualcos'altro, affinché cresca la tua sollecitudine contro esseri così pieni di malignità. Senza dubbio il principe delle tenebre e i suoi, rendendosi conto dell'incarnazione e della redenzione, scoprendo che mio Figlio era nato tanto povero, umile e vilipeso, e venendo ad avere cognizione della sua vita, dei suoi prodigi, della sua misteriosa morte e di quanto ancora aveva compiuto sulla terra per attrarre a sé gli uomini, restarono indeboliti e senza forze per circuire i discepoli, come solevano fare con gli altri e come sempre bramavano. Nella comunità primitiva durò per molti anni il terrore dei diavoli, e la paura che questi avevano dei battezzati; in essi, infatti, la potenza dell'Altissimo risplendeva per mezzo dell'imitazione del Signore e dell'ardore con cui professavano la fede, seguivano la dottrina evangelica ed esercitavano le virtù con eroici ed infiammati atti di amore, di sottomissione, di pazienza e di disprezzo delle apparenze vacue e fallaci. Molti, anzi, spargevano il proprio sangue, dando la vita per lui, e facevano azioni stupende e mirabili ad esaltazione del suo nome. Questa inalterabile fortezza era data loro dalla memoria ancora fresca della sua passione, dal tenere più presente il modello sublime della sua magnifica sopportazione e del suo abbassamento e dall'essere meno tentati dai dragoni, che non poterono rialzarsi dal grave atterramento in cui li aveva abbandonati la vittoria del Dio crocifisso.

1435. La viva immagine del Maestro che questi ultimi distinguevano nei primi credenti li spaventava a tal punto che non osavano avvicinarsi ad essi e subito fuggivano. Così succedeva con gli apostoli e con gli altri giusti che godettero degli insegnamenti divini e offrirono con la loro perfezione le primizie del riscatto e della grazia; lo stesso accadrebbe anche oggi, come si constata e si sperimenta nei santi, se tutti i cattolici la accettassero, si lasciassero guidare da essa e percorressero il cammino della croce, come lo stesso Lucifero paventò che avrebbero fatto. Ben presto, però, la carità, il fervore e la devozione iniziarono a raffreddarsi. Molti si sono scordati del beneficio del loro rimedio, hanno assecondato le inclinazioni e i desideri della carne, hanno avuto a cuore la vanità e l'avidità di beni e si sono fatti ingannare ed affascinare dalle false favole del seduttore, oscurando così la gloria del Creatore e consegnandosi nelle mani dei loro acerrimi nemici. Per questa triste ingratitudine il mondo è pervenuto al suo attuale infelicissimo stato. I demoni hanno innalzato la loro protervia, presumendo di impadronirsi di tutti, per la dimenticanza e l'indifferenza dei cristiani. La loro audacia arriva a cercare di distruggere l'intera Chiesa, pervertendo tanti affinché la neghino e quelli che stanno in lei affinché la disdegnino o non approfittino dell'immolazione del loro Salvatore. La calamità maggiore è che parecchi non se ne accorgono e la ignorano, sebbene possano ritenere di essere giunti ai tempi minacciati dal mio Unigenito, quando disse alle figlie di Gerusalemme che sarebbero state fortunate le sterili e che molti avrebbero pregato i monti e i colli di coprirli abbattendosi sopra di essi, per non vedere l'incendio di colpe tanto brutte consumare i figli della perdizione, quali alberi secchi, senza frutto e senza alcuna qualità. Carissima, tu vivi in questo secolo così malvagio e, perché non ti sorprenda lo sterminio di tante anime, piangilo sinceramente con amarezza, e non far mai cadere nell'oblio l'incarnazione, passione e morte di sua Maestà; rendi grazie per questo, al posto di tanti altri che non se ne curano. Ti assicuro che tale ricordo e meditazione incute grande timore all'inferno e tormenta gli spiriti del male, che scappano e si allontanano da coloro che tengono a mente con riconoscenza le opere e i misteri del Redentore.


CAPITOLO 24

Il costato di Gesù, già spirato, viene ferito da un colpo di lancia; egli è deposto dalla croce e sepolto. Si narra, inoltre, ciò che in questa circostanza operò Maria santissima, fino al suo ritorno al cenacolo.

1436. Il quarto Vangelo narra che presso la croce stavano Maria, la madre di Gesù, Maria di Cleofa e Maria di Màgdala. Sebbene ciò venga riferito prima che si racconti della morte del nostro Salvatore, si deve comprendere che l'invitta Regina vi restò anche dopo, sempre in piedi accanto al duro legno, adorando su di esso l'Unigenito già spirato e la divinità che era ancora unita al suo corpo. Ella rimaneva salda tra le onde impetuose di afflizione che penetravano fino nell'intimo del suo castissimo petto, e con la sua eminente scienza meditava i misteri della redenzione e l'armonia con la quale la sapienza superna li ordinava. La sua maggiore sofferenza era la sleale ingratitudine che con tanto danno sarebbe stata mostrata verso un beneficio così raro e meritevole di infinita riconoscenza. Era allo stesso tempo preoccupata di come dare sepoltura al sacro corpo di suo Figlio e di chi lo avrebbe deposto dalla croce, verso la quale teneva sempre alzati i suoi occhi. Con questo inquietante pensiero parlò così agli angeli che l'assistevano: «Ministri dell'Altissimo e miei amici nella tribolazione, sapete bene che non vi è alcun dolore pari al mio. Ditemi, dunque: in che modo tirerò giù il diletto dell'anima mia? Come e dove troverò un sepolcro degno di lui? In quanto sua madre, questo spetta a me. Ditemi che cosa io debba fare ed aiutatemi con la vostra diligenza».

1437. Essi le risposero: «Signora nostra, il vostro cuore affranto si dilati per abbracciare ciò che ha ancora da patire. L'Onnipotente ha celato la sua gloria e il suo potere, per assoggettarsi all'empia disposizione dei malvagi, e vuole sempre accondiscendere alle leggi fissate dalle sue creature. Una di queste prevede che i condannati non siano calati senza licenza del giudice. Noi saremmo pronti e forti nell'obbedirvi e nel proteggere il nostro vero Dio, ma la sua destra ci trattiene, perché è sua volontà difendere in tutto la sua causa e spargere il sangue che gli è restato a favore degli uomini, per vincolarli maggiormente a corrispondere al suo amore, che li ha riscattati così copiosamente. Se essi non ne approfitteranno nella maniera dovuta, il loro castigo sarà deplorevole, e il suo rigore sarà il compenso della lentezza con la quale l'Eterno procede alla vendetta». Tali parole accrebbero la pena dell'oppressa Vergine, poiché non le era stato ancora manifestato che sua Maestà avrebbe dovuto essere infilzato con una lancia e il sospetto di ciò che sarebbe avvenuto la pose in nuova angoscia.

1438. In quel momento scorse avvicinarsi una truppa di gente armata; nel timore di qualche altra ingiuria contro il defunto, si rivolse a Giovanni e alle due donne: «Ahimè, il mio strazio giunge ormai all'estremo e il mio cuore si frantuma in me! Non sono ancora soddisfatti di averlo ucciso? Pretendono di offendere in qualche altro modo il sacro corpo già privo di vita?». Era la vigilia della solenne festa del sabato e i giudei, per celebrarla senza altre preoccupazioni, avevano chiesto a Pilato il permesso di rompere le gambe ai tre giustiziati, affinché perissero più in fretta e potessero così essere sistemati quella sera stessa, senza rimanere esposti fino al giorno seguente. I soldati distinti da Maria beatissima si dirigevano verso il Calvario con tale intento. Quando furono lì, constatando che i due ladroni ancora respiravano, spaccarono loro gli arti, ma per Cristo, che era già esanime, non ce ne fu bisogno; si adempiva così l'arcana profezia riportata nel libro dell'Esodo nella quale era stato comandato di non spezzare le ossa dell'agnello pasquale, che era sua figura. Uno di costoro, di nome Longino, però, accostatosi a lui, trafisse con la lancia il suo costato, da dove subito uscì sangue e acqua, come dichiara l'Evangelista, affermando di aver visto e di rendere testimonianza alla verità.

1439. Il sacro corpo, ormai morto, non poté avvertire la sofferenza, ma la sentì bene la Regina nel suo purissimo petto, come se vi avesse ricevuto il colpo; questo tormento, tuttavia, fu minore di quello che ella provò di fronte alla ribadita crudeltà con la quale era stato aperto il costato del suo Unigenito. Mossa a compassione, ella disse a colui che l'aveva fatto: «Il Signore abbia pietà di te per l'afflizione che mi hai inflitto». La sua indignazione, o meglio la sua mansuetudine, arrivò sin qui e non oltre, come esempio per tutti noi per quando saremo oltraggiati. Nella considerazione della candidissima colomba, tale torto fatto al Redentore fu molto pesante e il contraccambio che ella ne rese al colpevole, rispondendo al male con doni e benedizioni, fu il più grande beneficio, quello cioè di essere guardato dall'Altissimo con misericordia; così, infatti, avvenne, perché suo Figlio, vincolato dalla sua richiesta, stabilì che alcune gocce del sangue e dell'acqua schizzassero sul volto di lui, dandogli attraverso questo favore la vista corporale, che egli quasi non aveva, e quella dell'anima, affinché conoscesse il Crocifisso che aveva inumanamente ferito. Si convertì e, piangendo i suoi peccati, li lavò con il sangue e con l'acqua scaturiti dal fianco di colui che comprese essere vero Dio e salvatore del mondo. Subito lo proclamò tale alla presenza dei suoi compagni, a loro maggiore confusione e come ulteriore attestazione della loro durezza e perfidia.

1440. La prudentissima Madre capì il significato del colpo di lancia: in quell'ultimo sangue unito ad acqua che zampillava dal costato di sua Maestà nasceva la Chiesa, purificata e rinnovata in virtù della sua passione, e dal sacro petto venivano fuori come dalla radice i rami che poi si sarebbero dilatati ovunque con frutti di vita eterna. Richiamò ugualmente nel suo intimo l'episodio della pietra percossa dalla verga della giustizia del Padre affinché sgorgasse acqua viva con cui mitigare la sete di tutti gli uomini, rinfrescando e rinfrancando quanti fossero andati a berne. Ponderò la corrispondenza delle acque dell'Eden, diramate in quattro corsi sulla superficie della terra per fecondarla, con queste cinque fontane che si aprirono, ancora più abbondanti ed efficaci, nei piedi, nelle mani e nel costato del nuovo paradiso dell'umanità santissima di Gesù. Ella racchiuse questo ed altro in un cantico di lode che compose a sua gloria dopo la lesione provocata dalla lancia; in esso pregò con fervore perché quei misteri si compissero a vantaggio di tutti.

1441. Il giorno di Parascève declinava già verso sera e la tenerissima Vergine non aveva ancora alcuna certezza riguardo alla sepoltura che desiderava dare al Signore, il quale lasciava che la sua tribolazione si alleggerisse nel modo determinato dalla sua provvidenza ispirando Giuseppe di Arimatèa e Nicodemo. Questi erano entrambi retti e discepoli di lui, benché non del numero dei settantadue, perché nascosti per timore dei giudei, che detestavano come sospetti e nemici quanti ascoltavano i suoi insegnamenti e lo confessavano loro maestro. A Maria non era stato rivelato l'ordine della volontà superna circa la deposizione nel sepolcro e, con la difficoltà che le si presentava, cresceva in lei la dolorosa sollecitudine, dalla quale non trovava la maniera di trarsi fuori con la propria diligenza. Stando così affranta, sollevò gli occhi al cielo e disse: «Immenso sovrano, nella vostra infinita bontà e sapienza vi siete degnato di innalzarmi dalla polvere alla sublime condizione di genitrice del vostro Unigenito e con sconfinata generosità mi avete concesso di nutrirlo al mio seno, di allevarlo e di stare con lui sino alla sua uccisione. Ora tocca a me, come madre, dare decorosa sepoltura al suo sacro corpo. Le mie energie giungono solo a bramarlo e a farmi spezzare il cuore per la sofferenza di non averne la possibilità: vi supplico di dispiegare nella vostra potenza i mezzi perché io lo possa fare».

1442. Ella elevò questa orazione quando fu sferrato il colpo di lancia e, dopo un breve spazio di tempo, si accorse che si avvicinava altra gente, con delle scale e degli strumenti che le fecero immaginare che stessero venendo a togliere dalla croce il suo inestimabile tesoro. Non sapendone il fine, si afflisse un'altra volta paventando qualche crudeltà e, rivolgendosi a Giovanni, domandò: «Figlio mio, che intento avranno costoro, che arrivano con tante attrezzature?». L’Apostolo la rassicurò: «Non temeteli, mia Signora, sono Giuseppe e Nicodemo, con alcuni loro servitori, tutti amici e devoti del Redentore». Il primo era giusto davanti all'Altissimo e rispettato tra il popolo, nobile e membro del sinedrio, come fa comprendere l'Evangelista affermando che non aveva aderito alla decisione e all'operato degli assassini di colui che credeva il Messia. Anche se fino ad allora lo aveva seguito in segreto, in quel momento si manifestò, per effetto della salvezza. Abbandonando la paura dell'invidia dei giudei e non badando al potere dei romani, andò arditamente da Pilato e gli chiese il corpo di sua Maestà, per calarlo giù e dargli onorata sepoltura, sostenendo che era innocente e vero Dio, come era testimoniato dai miracoli della sua vita e della sua morte.

1443. Il governatore non ebbe animo di negarglielo, ma anzi gli diede licenza di disporne nel modo che gli sarebbe parso più conveniente, e costui, ottenuto tale permesso, uscì dalla sua casa. Chiamò quindi Nicodemo, che era anch'egli giusto e dotto nelle lettere divine e umane e nelle sacre Scritture, come si deduce da ciò che gli fu dichiarato ti arido di notte si recò ad udire le parole di Cristo: ti uomini santi stabilirono con audacia di seppellire Gesù: Giuseppe procurò la sindone e il sudario nel quale avvolgerlo e Nicodemo comprò addirittura cento libbre degli aromi con i quali si era soliti ungere i defunti più ragguardevoli; con queste cose preparate e con alcuni utensili si avviarono al Calvario con il loro seguito e con altre persone pie, nelle quali già agiva il sangue sparso per tutti.

1444. Pervennero al cospetto della Vergine, che con incomparabile pena continuava a rimanere sotto il duro legno con il discepolo diletto e le altre Marie; invece di salutarla, per il dolore che si riaccese in ciascuno con enorme veemenza alla vista dell'eccelso e struggente spettacolo, stettero per un po' prostrati ai suoi piedi, e tutti a quelli della croce, dando libero corso alle lacrime e ai sospiri senza proferire niente. Gemettero ininterrottamente con amari lamenti, finché ella li rialzò dal suolo, fece loro coraggio e li confortò; solo allora la salutarono, con umile compassione. L'accortissima Madre si mostrò grata della loro pietà e dell'ossequio che erano venuti a rendere al loro Signore e maestro ponendo in un sepolcro il corpo ormai defunto, e a nome di lui promise loro il premio. Giuseppe rispose: «Nostra Regina, proviamo già nell'intimo la soave forza dello Spirito, che ci ha mossi con tanto ardore che non abbiamo saputo meritare né sappiamo esprimere». Subito entrambi si spogliarono del mantello, appoggiarono con le proprie mani le scale alla croce e salirono a schiodare il sacro corpo. Ella stava molto vicina, assistita da Giovanni e da Maria di Màgdala. Al nobile d'Arimatèa parve che lo strazio si sarebbe rinnovato in lei se lo avesse toccato mentre lo deponevano, e pregò l'Apostolo di farla allontanare per distogliere la sua attenzione; questi, però, conoscendo meglio il suo invincibile cuore, ribatté che dal principio della passione era sempre restata presente accanto al suo Unigenito e non se ne sarebbe separata sino alla fine, perché lo adorava come Dio e lo amava come frutto delle sue viscere.

1445. Nonostante ciò, la implorarono di accogliere in parte la supplica che le facevano di ritirarsi leggermente indietro, ma ella replicò: «Carissimi, poiché mi sono trovata a vedere configgere il mio delicatissimo Figlio, vi scongiuro di considerare come cosa buona che io sia qui ora che gli vengono tolti i chiodi. Questo atto così pietoso, benché mi laceri ancora, mi sarà tanto più di sollievo quanto più lo potrò guardare». Quindi, procedettero nell'ordinare la deposizione. Asportarono prima di tutto la corona dal sacro capo, scoprendo le ferite assai profonde che vi aveva lasciato, la portarono giù con immensa devozione e tra i singhiozzi, e la porsero alla gentilissima Signora. Ella la ricevette in ginocchio con ammirevole riverenza, accostandola al suo volto verginale, irrigandola con abbondante pianto e graffiandosi per il contatto con le spine; nello stesso istante invocò il Padre di fare in modo che esse, consacrate con il sangue di Cristo, fossero onorate dai fedeli che le avrebbero avute in futuro.

1446. Subito, a sua imitazione, le venerarono l'Evangelista, Maria di Màgdala, le altre Marie e alcune donne che erano con loro. Fecero lo stesso con i chiodi: per prima la Principessa, seguita poi dai circostanti. Ella, per prendere il corpo di Gesù, genuflessa, stese la sindone spiegata; Giovanni reggeva la testa e Maria di Màgdala i piedi, per aiutare Giuseppe e Nicodemo, e tutti insieme, con grande rispetto e sofferenza, lo consegnarono a lei. Ciò le provocò tanto affanno quanto delizia: osservare così piagato il più bello tra i figli dell'uomo ravvivava il suo tormento, mentre tenerlo stretto al petto le dava smisurata angoscia e allo stesso tempo sommo gaudio, perché il suo ardentissimo affetto riposava nel possesso del suo tesoro. Lo adorò con supremo ossequio, effondendo lacrime di sangue, e dopo di lei lo fecero anche i suoi innumerevoli custodi, ma questo rimase nascosto; poi tutti gli altri, a cominciare dal discepolo, venerarono il sacro corpo, che ella cingeva a tal fine tra le braccia stando seduta in terra.

1447. Agiva in tutto con sapienza e prudenza tali da dare stupore ai mortali e agli esseri celesti: le sue parole erano ben ponderate, dolcissime per la compassione verso tanto splendore sfigurato, tenere per il cordoglio e arcane per ciò che significavano; il suo dolore faceva impressione più di ogni altro possibile; commuoveva e illuminava tutti su un mistero tanto sublime quale era quello di cui trattava; inoltre, senza eccedere né mancare in quanto doveva, manifestava nell'atteggiamento un'umile maestà, tra la serenità del viso e la tristezza che sentiva. Con questa varietà così uniforme parlava con il Salvatore, con l'Eterno, con gli spiriti sovrani, con gli astanti e con l'intero genere umano, per la cui redenzione il suo diletto si era liberamente immolato. Non mi trattengo oltre a riferire in dettaglio le sue assennate e meste espressioni, perché la pietà cristiana ne immaginerà molte e non posso fermarmi su ognuna.

1448. Dopo un po', Giovanni e Giuseppe la pregarono di permettere la sepoltura perché si avvicinava la sera e, accorta, acconsentì. Il corpo fu unto sullo stesso lenzuolo con gli oli aromatici acquistati da Nicodemo e in questo atto religioso vennero consumate tutte le cento libbre che erano state comprate; quindi, esso fu collocato sul feretro, per essere trasportato. Maria, vigile in tutto, convocò molti cori di angeli, perché assistessero con i suoi alla sistemazione nel sepolcro delle membra del loro Creatore, e immediatamente essi discesero dall'alto in forma visibile, sebbene solo a lei. Si disposero dunque due processioni: una composta da loro e l'altra da uomini. Sollevarono il sacro corpo Giovanni, Giuseppe, Nicodemo e il centurione che era stato presente quando il Signore era spirato e lo aveva confessato Figlio di Dio. Gli andava dietro la Vergine, accompagnata da Maria di Màgdala, dalle altre Marie e dalle pie donne. Oltre a queste persone, intervenne un ingente numero di credenti, che, mossi dalla luce superna, erano venuti al Calvario dopo il colpo di lancia. In tale ordine si incamminarono tutti in silenzio e tra i gemiti verso un giardino poco distante, dove Giuseppe possedeva una tomba nuova, nella quale nessuno era stato ancora deposto; in questo fortunatissimo luogo posero le spoglie. Prima che esse fossero coperte con la lapide, l'avveduta Madre le adorò ancora, con ammirazione di tutti, angeli e uomini. Subito, gli uni e gli altri la imitarono e venerarono il loro Re, crocifisso e sepolto; quindi, misero lì davanti una pietra, che, come dice il Vangelo, era molto grande.

1449. Nel momento in cui fu serrato il sepolcro di Gesù, si chiusero quelli che si erano aperti alla sua morte, rimanendo come in attesa per conoscere se mai sarebbe toccata ad essi la felice sorte di accogliere nel proprio seno il corpo defunto del loro autore incarnato; gli davano così quanto potevano, mentre i giudei non lo avevano ricevuto vivo e loro benefattore. A sorvegliarlo restarono molti custodi divini, ai quali aveva comandato ciò la loro Signora, che lasciava là il proprio cuore. Con lo stesso silenzio e ordine con cui erano giunti da quel monte, tutti vi risalirono. La Maestra delle virtù si accostò alla croce e la adorò con enorme devozione, e senza indugio fecero lo stesso Giovanni, Giuseppe e gli altri. Poiché il sole era già tramontato, la scortarono sino alla casa in cui si trovava il cenacolo, dove ella si ritirò; affidandola al discepolo, alle Marie e ad altre seguaci, i rimanenti si congedarono da lei e singhiozzando le chiesero la benedizione. La semplice e saggia Regina si mostrò grata per l'ossequio che avevano prestato al suo Unigenito e per il beneficio da lei avuto, e li licenziò pieni di altri segreti doni interiori, con larghi aiuti della sua natura cortese e della sua indulgente umiltà.

1450. Il sabato mattina i sommi sacerdoti e i farisei, confusi e turbati per ciò che stava accadendo, si recarono da Pilato e gli domandarono di far vigilare la tomba, perché Cristo, da loro chiamato impostore, aveva detto che sarebbe tornato in vita dopo tre giorni ed era possibile che i suoi lo rubassero e poi affermassero che era risorto. Egli accondiscese e costoro misero la guardia al sepolcro. Questi perfidi tentavano solo di nascondere ciò che temevano sarebbe successo, come si capì in seguito, quando corruppero i soldati affinché dichiarassero che sua Maestà era stato portato via; siccome, però, non c'è consiglio contro Dio in questo modo si divulgò e confermò maggiormente la risurrezione.

Insegnamento della Regina del cielo

1451. Carissima, la ferita al petto di mio Figlio fu assai crudele e dolorosa solo per me, ma i suoi effetti misteriosi sono deliziosi per le anime sante, che ne sanno gustare la dolcezza. Mi afflisse molto, ma per coloro ai quali fu indirizzato tale arcano favore è uno sconfinato sollievo nella sofferenza; per comprenderlo ed esserne partecipe, devi considerare che egli, per la sua ardentissima tenerezza verso di loro, oltre alle piaghe nei piedi e nelle mani volle avere quella sul cuore, che è la sede dell'amore, affinché potessero entrare attraverso di essa per goderne attingendo alla sua stessa fonte, e vi trovassero rifugio e consolazione. Bramo che nel tuo esilio tu cerchi soltanto questo conforto e che tu abbia il costato come abitazione sicura sulla terra; lì apprenderai le proprietà e le leggi della carità in cui prendermi a modello, e che in contraccambio delle ingiurie dovrai benedire chi offenderà te o qualcosa di tuo, come hai inteso che feci io quando fui trafitta dal colpo inferto al mio diletto già spirato. Ti assicuro che non puoi fare alcuna opera più potente di questa presso il cielo, per ottenere con efficacia la grazia che desideri. La preghiera che si fa dimenticando gli oltraggi non ha forza solo per te, ma anche per chi li ha arrecati, perché il mio pietoso Signore si commuove, vedendo che gli uomini lo imitano nel perdono e nell'intercessione per chi fa loro del male; così essi hanno parte al sommo bene che egli manifestò sul Calvario. Scrivi in te queste mie parole e mettile in pratica per emularmi in ciò che ho stimato di più. Contempla tramite quello squarcio il cuore del tuo sposo, e me, che in lui ho tanto affetto verso i nemici e tutte le creature.

1452. Medita anche la sollecita puntualità con la quale l'Altissimo accorre in modo opportuno a rispondere alle necessità di chi lo invoca con vera fiducia, come fece con me quando restai triste e abbandonata mentre dovevo dare degna sepoltura a Gesù. Allo scopo di soccorrermi in tale angustia riempì di zelo e di benevolenza l'intimo di quei giusti, che se ne preoccuparono alleviando tanto la mia pena da essere colmati, per questo atto e per la mia orazione, di meravigliosi influssi divini per tutto il tempo della deposizione e della sistemazione nel sepolcro, venendo resi nuovi e illuminati sugli eventi della redenzione. Questo è l'ordine mirabile della soave e vigorosa provvidenza dell'Eterno, che, per vincolare alcuni a sé, pone nella tribolazione altri, e muove chi può assistere il bisognoso affinché il benefattore, per il suo gesto meritevole e per la supplica del povero che lo riceve, venga rimunerato con quanto non avrebbe guadagnato per altre vie. Il Padre delle misericordie, che stimola con i suoi aiuti le azioni, le paga poi come è conveniente, per la corrispondenza alle sue ispirazioni con quel poco di cooperazione da parte nostra in ciò che per essere buono proviene tutto da lui.

1453. Rifletti, poi, su come egli agisca rettamente, compensando gli affronti sopportati con pazienza. Dal momento che il mio Unigenito era morto disprezzato, irriso e bestemmiato, dispose subito che fosse sepolto onoratamente, indusse molti a confessarlo loro sovrano e salvatore e ad acclamarlo santo e innocente, e volle che nella stessa occasione, mentre finivano di crocifiggerlo ignobilmente, fosse adorato come Figlio di Dio e persino i suoi avversari sentissero in se stessi l'orrore e il turbamento del peccato commesso nel perseguitarlo. Questi benefici, anche se non tutti ne approfittarono, furono effetto della passione e anch'io concorsi con le mie implorazioni affinché egli fosse venerato da quelli che conoscevo.


CAPITOLO 25

La Regina del cielo consola Pietro e gli altri apostoli, usa prudenza dopo la sepoltura del Figlio e vede discendere la sua anima al limbo, dove si trovavano i santi padri.

1454. La pienezza di sapienza che illuminava l'intelletto di Maria beatissima non lasciava spazio ad alcuna mancanza ed ella, in mezzo ai suoi dolori, continuava a porre attenzione ad ogni azione che l'occasione richiedeva. Con questa superna provvidenza non trascurava niente, operando ciò che era più santo e perfetto in tutto. Dopo la sepoltura di Cristo, nostro bene, si ritirò, come si è detto, nel cenacolo; nel luogo dove era stata celebrata la Pasqua parlò con Giovanni, con le Mafie e con le altre che lo avevano seguito dalla Galilea, ringraziandoli con semplicità e nel pianto per la perseveranza con la quale sino a quel momento l'avevano accompagnata con pietà ed affetto nel corso della passione del suo adorato Gesù, in nome del quale promise loro il premio. Al tempo stesso, si offrì alle pie discepole come ancella e amica. Tutte le si mostrarono riconoscenti per questo grande favore e le baciarono la mano chiedendo la benedizione; la supplicarono poi di distendersi un po' e di mangiare qualcosa, ma ella rifiutò: «Mio riposo e mio ristoro deve essere il vedere risorto il mio Signore. Voi, o carissime, soddisfate le vostre necessità come è giusto, mentre io me ne sto con lui in disparte».

1455. Si separò da loro assistita dall'Apostolo e quindi, postasi in ginocchio, affermò: «Tenete a mente le parole con le quali il mio Unigenito dalla croce ha voluto costituire voi mio figlio e me vostra madre. Siete sacerdote dell'Altissimo: per questa eccelsa dignità è opportuno che io dipenda da voi in tutto e da adesso bramo che mi comandiate quello che sarò tenuta a fare, considerando che sono sempre stata serva e che tutta la mia gioia sta nell'obbedire fino alla morte». Proclamò ciò tra molte lacrime ed egli, spargendone ugualmente in abbondanza, rispose: «Signora mia, che avete dato alla luce il mio Redentore, sono io che devo sottostare a voi, perché al figlio non compete autorità, ma abbandono e docilità nei confronti della propria madre. Chi mi ha reso suo ministro vi ha fatto sua genitrice ed è stato soggetto al vostro beneplacito, sebbene fosse il Creatore dell'universo. Occorre, dunque, che anch'io lo sia allo stesso modo e mi impegni con tutte le forze per corrispondere adeguatamente all'incarico di assistervi; per adempierlo con decoro, vorrei essere più angelo che uomo». Tali espressioni furono molto prudenti, ma non sufficienti per vincere l'umiltà della Regina delle virtù, la quale replicò: «Mio diletto, sarà mia consolazione reputarvi mio capo, dato che lo siete. Io nel pellegrinaggio terreno devo sempre avere un superiore al quale subordinare i miei aneliti e le mie opinioni. Per questo siete inviato dall'Onnipotente e come figlio vi compete darmi tale sollievo nella mia triste solitudine». Egli riprese: «Madre mia, sia fatta la vostra volontà, poiché in essa è riposta la mia sicurezza di non sbagliare». Ella, senza aggiungere altro, gli domandò licenza di rimanere a contemplare i misteri di sua Maestà e lo pregò di recarsi a procurare del cibo per le donne, e di sostenerle e confortarle; eccettuò soltanto le Marie, che intendevano continuare il digiuno sino alla risurrezione, scongiurandolo di permettere loro di attuare quel devoto proposito.

1456. Giovanni andò a incoraggiare queste ultime ed eseguì quanto gli era stato ordinato, curandosi dei bisogni delle altre; tutte, poi, si appartarono e passarono la notte in mesta e straziante meditazione del supplizio del Salvatore. La Vergine, tra i flutti delle sue angustie e delle sue pene, faceva ogni cosa con questa saggezza così divina, senza scordare affatto a causa di esse di praticare con puntualità l'obbedienza, la sottomissione, la carità e la previdenza, per quanto era importante. Né si dimenticò di se stessa nell'attendere alle esigenze delle sue compagne, né per queste tralasciò di fissare il pensiero su ciò che conveniva alla sua maggiore perfezione. Ammise l'astinenza delle Marie, più robuste e fervorose nell'amore, e provvide alle più deboli; dispose l'Evangelista, avvertendolo di come dovesse comportarsi con lei, e agì in tutto come vera maestra della santità e dispensatrice della grazia, proprio mentre le acque della tribolazione le giungevano fino all'anima. Quando, poi, restò da sé, sciolse il freno alla corrente impetuosa della sofferenza e si fece possedere completamente dall'amarezza, richiamando alla memoria le immagini di tutti i tormenti e dell'ignobile condanna del suo Gesù, e riflettendo anche sulla sua vita, la sua predicazione, i suoi miracoli, il valore infinito della redenzione, la Chiesa fondata con tanta bellezza e tante ricchezze di sacramenti e tesori di misericordia, la felicità incomparabile dell'intero genere umano così abbondantemente e gloriosamente riscattato, la sorte inestimabile degli eletti che ne avrebbero goduto, la spaventosa sventura dei reprobi che per loro volere si sarebbero resi indegni della beatitudine eterna che era stata meritata loro.

1457. Attese l'alba ponderando nel modo dovuto realtà così sublimi, lamentandosi, lodando ed esaltando le opere di Cristo, il suo sacrificio, i suoi imperscrutabili giudizi ed altri altissimi arcani della sua provvidenza. Si elevava al di sopra di tutti, come unica madre della vera sapienza, conversando ora con gli angeli ora con sua Maestà riguardo a ciò che l'illuminazione celeste le faceva sentire nel suo castissimo petto. Il sabato mattina, dopo le quattro, il nuovo figlio entrò, desideroso di rinfrancare l'Addolorata, che, genuflessa, lo implorò di concederle la benedizione come sacerdote e suo superiore; anch'egli, gemendo, la chiese a lei, e se la dettero scambievolmente. Maria lo invitò ad uscire senza indugio, perché ben presto fuori avrebbe incontrato Pietro, che veniva a cercarlo; lo esortò ad accoglierlo, consolarlo e condurlo là, ed a fare lo stesso con gli altri discepoli che avrebbe trovato, dando loro la speranza del perdono e manifestando a ciascuno l'amicizia di lei. Egli lasciò il cenacolo e dopo pochi passi lo scorse mentre, pieno di confusione e tra le lacrime, arrivava dalla grotta in cui aveva pianto il suo rinnegamento e si recava assai timoroso dalla Regina. Giovanni alleviò un po' la sua angoscia riferendo il messaggio, e subito entrambi provarono a rintracciare gli altri; ne incontrarono alcuni e tutti insieme tornarono alla casa dove stava il loro rimedio. Pietro si introdusse per primo e da solo al cospetto della Signora e, gettandosi ai suoi piedi, esclamò con grande afflizione: «Ho peccato davanti al mio Dio, ho offeso il mio Maestro e voi». Non riuscì a proferire altro, oppresso dai singhiozzi e dai sospiri che provenivano dal profondo del suo intimo.

1458. Ella, vedendolo prostrato a terra e stimandolo da una parte penitente per la sua recente caduta e dall'altra responsabile della comunità ecclesiale, scelto dal suo Unigenito come vicario, non riteneva opportuno inchinarsi al pastore che poco prima aveva dichiarato di non conoscere il suo Signore né del resto sopportava nella sua umiltà di tralasciare di prestargli la riverenza che gli spettava in considerazione del suo ufficio. Valutò, allora, conveniente dargli ossequio, nascondendone però il motivo; perciò, si inginocchiò dinanzi a lui venerandolo con questa azione e, per dissimulare il suo intento, disse: «Invochiamo la remissione del vostro sbaglio». Pregò e lo rincuorò, confortandolo e muovendolo a confidare. Gli ricordò la bontà di Gesù con i colpevoli pentiti e l'obbligo che egli aveva, come capo del collegio apostolico, di confermare tutti con il suo esempio nella costanza e nella confessione della fede. Con queste ed altre parole, molto veementi e dolci, lo rinsaldò nella fiducia nella clemenza. Quindi, si fecero avanti gli altri, i quali, stesi al suolo, la supplicarono di scusare la loro codardia, che li aveva indotti ad abbandonare il Salvatore nella passione. Si dolsero amaramente del loro errore, spinti a maggiore dispiacere dalla presenza della compassionevole Vergine, il cui mirabile aspetto provocava in essi straordinari effetti di contrizione e di affezione verso di lui. Ella li fece rialzare e li rianimò con la promessa dell'indulgenza che bramavano e della sua intercessione per ottenerla. Incominciarono subito tutti per ordine a raccontarle ciò che a ciascuno era successo nella fuga, come se ne avesse ignorato qualche circostanza. Li ascoltò traendo occasione da quello che affermavano per parlare al loro cuore allo scopo di rafforzarli nell'adesione a sua Maestà e di risvegliare in essi il suo amore; conseguì tutto ciò, perché, dopo averla udita, si separarono da lei infervorati e resi giusti con aumenti di grazia.

1459. In questo la Madre impiegò parte del sabato e quando fu sera si ritirò un'altra volta nel suo oratorio allontanandosi da loro, ormai rinnovati nello spirito e colmi di sollievo e di gaudio, ma sempre tristi per l'uccisione di Cristo. Durante la notte ella rivolse la sua mente alle opere che l'anima beatissima del Figlio compiva dopo essersi staccata dal sacro corpo; infatti, seppe fin da quel momento che essa, unita alla divinità, discendeva al limbo per liberare i padri che vi erano trattenuti, dal primo retto morto nel mondo aspettando la venuta del Redentore universale. Per spiegare questo mistero, che è uno degli articoli del credo circa la santissima umanità del Verbo, mi è sembrato bene far intendere ciò che mi è stato rivelato intorno a quel carcere sotterraneo e alla sua ubicazione. Informo, dunque, che il nostro pianeta da una superficie all'altra ha un diametro di duemilacinquecentodue leghe, milleduecentocinquantuno sino alla metà; la circonferenza si deve misurare in rapporto a questo. Al centro, come nel cuore della terra, sta l'inferno, una spelonca o un caos contenente molte stanze buie con supplizi diversi, tutti terribili e spaventosi, che formano un globo simile a una brocca immensa con una bocca o entrata molto larga e spaziosa. In questa orribile fossa di confusione e di tormenti stanno i demoni e tutti i dannati, e vi rimarranno per tutta l'eternità', finché Dio sarà Dio, perché laggiù non vi è scampo.

1460. Da un lato degli inferi c'è il purgatorio, dove le anime dei giusti si purificano, se in questa vita non hanno finito di pagare per le loro mancanze e non ne sono usciti così puliti e senza difetti da poter raggiungere subito la contemplazione dell'Altissimo. Questa caverna è ampia, ma molto meno dell'inferno, alla quale non è collegata, quantunque anche in essa vi siano duri castighi. Dal lato opposto sta il limbo, diviso in due antri: uno è per i piccoli deceduti prima del battesimo con il solo peccato originale, senza atti buoni o cattivi del proprio arbitrio; l'altro serviva per farvi sostare gli uomini dopo l'espiazione del male commesso, perché non potevano essere ammessi in paradiso né esultare nel Signore finché non fossero stati salvati e non fosse stato aperto l'ingresso che la trasgressione di Adamo aveva chiuso. Il limbo è ancora meno vasto, non comunica con l'inferno e non ha pene come il purgatorio, perché vi si perveniva da esso dopo averle già scontate, avendo come unico danno quello di non poter godere del sommo Bene. Vi si trovavano tutti coloro che erano periti in stato di grazia dal principio fino alla crocifissione di Gesù. In questo luogo si recò la sua anima santissima con la divinità, quando diciamo che scese agli inferi; con tale nome, infatti, si designano tutte le parti che stanno nelle profondità, anche se nel linguaggio comune lo riferiamo all'inferno, perché questo è il significato più noto, come parlando di cielo ordinariamente pensiamo all'empireo, dove stanno e staranno sempre gli eletti, e perché il limbo e il purgatorio hanno queste denominazioni particolari. Dopo il giudizio finale saranno abitati solo il cielo e l'inferno, perché il purgatorio non sarà più necessario e dal limbo i bambini devono ancora trasferirsi in un'altra dimora.

1461. L'anima santissima vi giunse, accompagnata da innumerevoli angeli, che lodavano il loro sovrano vittorioso e trionfante e rendevano a lui onore, gloria e potenza. Per rappresentare la sua grandezza e magnificenza comandarono che si spalancassero le porte di quell'antica prigione, perché il Re della gloria, potente in battaglia e signore delle virtù, le potesse varcare. A questo ordine si spaccarono alcune rupi, benché non ce ne fosse bisogno per l'accesso di Cristo e della sua milizia, interamente composta da spiriti sottilissimi. Per la sua presenza quell'oscuro abisso si convertì in cielo, perché si riempì tutto di mirabile splendore. Le anime dei giusti che erano lì furono beatificate con la visione chiara della Trinità e istantaneamente passarono da una condizione di così lunga speranza al possesso perpetuo del gaudio, e dalle tenebre alla luce inaccessibile. Riconobbero il loro vero Dio e lo esaltarono con nuovi cantici, affermando: «L'Agnello che è stato immolato è degno di ricevere potenza, onore e forza. Tu ci hai riscattati con il tuo sangue da tutte le tribù e le nazioni, e ci hai costituiti per il nostro Dio un regno, e regneremo. Tua è la potenza, tuo è il regno, tua è la gloria per le tue opere». Egli ingiunse immediatamente ai suoi ministri di portare davanti a lui dal purgatorio le anime che vi erano, le quali, come primi frutti della redenzione, furono assolte da ciò di cui restava loro da saldare il debito e furono innalzate come le altre; così, dinanzi a lui rimasero vuote le due carceri del limbo e del purgatorio.

1462. Solo per l'inferno questo giorno fu terribile, perché fu disposto che tutti i suoi abitanti intendessero e sperimentassero la discesa al limbo del Figlio dell'Eterno. Anche i padri e i retti capirono lo spavento che questo mistero infuse nei demoni e nei dannati. Gli uni, che erano abbattuti ed oppressi per la rovina sofferta sul monte Calvario, appena udirono le voci delle schiere che precedevano sua Maestà si turbarono e si intimorirono: come serpenti perseguitati si nascondevano e si rintanavano nei pertugi più remoti. Negli altri si aggiunse confusione a confusione, perché compresero con più dispetto come si fossero ingannati, perdendo così il beneficio del quale molti avevano approfittato. Siccome Giuda e il ladrone malvagio erano gli ultimi arrivati, e assai singolari in questa sciagura, ebbero un loro tormento maggiore e i diavoli si infuriarono in particolar modo contro di essi. Per quanto dipendeva da loro, i nemici si proposero di torturare più degli altri i cattolici che professassero la fede e di castigare più duramente coloro che la negassero o cadessero, giudicandoli meritevoli di pene peggiori dei pagani, ai quali non era pervenuta la predicazione.

1463. La Signora del mondo, dal luogo in cui stava ritirata, fu informata attraverso una straordinaria illuminazione di tutti questi arcani e di altri che non posso spiegare. La meravigliosa gioia che ottenne nella parte superiore dello spirito non ridondò, come avrebbe potuto, nelle sue membra verginali; al contrario, quando ella percepì che si estendeva un po' alla sensibilità, pregò che ciò fosse impedito. Non voleva, infatti, ammetterla nel suo corpo, finché quello del suo Unigenito fosse stato nel sepolcro, non ancora glorificato. L'affetto così accorto e prudente di Maria verso di lui era proprio di una immagine viva, adeguata e perfetta della sua umanità divinizzata. Con questa diligenza sopraffina ella fu piena di letizia nell'anima, e di dolori e di angosce nel corpo, appunto come avvenne in lui. In tale occasione compose inni di lode celebrando questo trionfo, nonché la carità e la saggezza della provvidenza di Gesù, il quale, come padre premuroso e sovrano onnipotente, decise di andare di persona a prendere possesso del dominio che gli era stato consegnato e a salvare quei giusti con la sua presenza, affinché in lui stesso cominciassero a gustare il premio che aveva guadagnato loro. Per tutte queste ragioni e per altre che sapeva, ella giubilava e lo osannava come sua madre e cooperatrice.

Insegnamento della Regina del cielo

1464. Carissima, considera bene il messaggio contenuto in questo capitolo, in quanto è il più necessario per te nella condizione in cui Dio ti ha posta e per ciò che egli ti chiede in corrispondenza del suo amore; tra le attività, gli esercizi e le relazioni con gli altri, sia come superiora sia come suddita, governando, comandando o obbedendo, non devi mai rimuovere l'attenzione da lui né cessare di contemplarlo nella parte più recondita ed elevata di te né distrarti dalla luce dello Spirito Santo, che ti assisterà comunicandosi incessantemente. Il mio adorato, infatti, predilige nel segreto del tuo cuore quei sentieri che sono celati a Lucifero ed ai quali non giungono le passioni. Essi conducono al santuario, dove entra solo il sommo sacerdote e dove l'anima assapora i misteriosi abbracci del Re, quando, tutta intera e senza occupazioni, gli prepara il talamo del suo riposo. Lì troverai propizio il tuo Redentore, generoso l'Altissimo, misericordioso il tuo creatore e tenero il tuo dolce sposo. Non temerai il potere delle tenebre né gli effetti del peccato, che in tale regione di splendore e di verità si ignorano. L'attaccamento disordinato a ciò che è visibile e le negligenze nella custodia della legge superna, però, sbarrano queste vie; ogni pendìo e sregolamento le ostruisce; ogni cura inutile le blocca, e molto più l'inquietudine e il non conservare serenità e pace interiore, perché per godere il Signore bisogna che l'intimo sia solitario, puro e distaccato da quanto non è autentico e luminoso.

1465. Tu hai compreso e sperimentato a fondo questo insegnamento, che io ti ho manifestato nella mia vita come in un chiaro specchio. Ti ho messo davanti il mio modo di agire mentre ero da un lato in mezzo ai tormenti, alle angustie e alle afflizioni del supplizio di mio Figlio e dall'altro tra le preoccupazioni, gli impegni e la sollecitudine per la sepoltura, gli apostoli e le pie donne. Anche in tutto il resto della mia storia hai conosciuto come unissi tali atti con quelli spirituali, senza che si opponessero e ostacolassero fra loro. Perché tu ricalchi in questo le mie orme, come voglio, è opportuno che né per i rapporti indispensabili né per le fatiche del tuo stato né per le pene di codesto esilio né per le tentazioni e la malizia del demonio tu accolga in te alcuna affezione che ti sia di intralcio o alcun interesse che ti distolga. Ti avverto che, se non sarai assai vigilante, perderai molto tempo, ti renderai inutili favori infiniti e straordinari, defrauderai i sublimi fini di sua Maestà e contristerai me e gli angeli, poiché tutti bramiamo che tu conversi con noi. Inoltre, smarrirai la tua quiete e consolazione, e ti priverai di parecchi dei gradi di grazia e degli aumenti di ardore per lui che desideri, nonché, infine, della ricchissima ricompensa nel cielo. L'ascolto e l'osservanza di quello che ti espongo con benignità materna comportano tutto questo. Mia diletta, rifletti e serba le mie parole per praticarle con la mia intercessione e l'aiuto divino. Sforzati alla stessa maniera di modellarti su di me nella fedeltà con la quale io evitai il gaudio per imitare il mio Maestro, e nel lodarlo per il beneficio che egli recò ai santi del limbo con la discesa della sua anima beatissima a riscattarli e a riempirli della gioia della sua vista, poiché ciò fu opera della sua immensa carità.


CAPITOLO 26

Cristo, nostro salvatore, risorge ed appare alla sua Madre beatissima, accompagnato dai santi padri del limbo.

1466. L'anima santissima di Cristo si trattenne nel limbo dalle tre e mezzo pomeridiane del venerdì sino a dopo le tre del mattino della domenica seguente. A tale ora egli tornò al sepolcro, accompagnato come principe vittorioso dagli stessi angeli che aveva portato con sé e da coloro che aveva riscattato da quelle carceri sotterranee, come spoglie della sua conquista e come pegno del suo magnifico trionfo, abbandonando prostrati e castigati i suoi ribelli nemici. Là c'erano molti altri spiriti celesti, che custodivano la tomba onorando le sacre membra unite alla divinità. Alcuni di essi, per comando della loro Regina, avevano recuperato il sangue sparso, i brandelli di carne saltati per le ferite, i capelli strappati dal sublime capo e il resto che apparteneva all'ornamento e alla totale integrità della sua umanità beatissima; di tutto ciò si prese cura la Madre della prudenza. Conservavano queste reliquie, esultando ciascuno per la parte che gli era toccato in sorte di raccogliere. Prima di ogni altra cosa, fu mostrato ai padri il corpo del loro Salvatore, piagato, lacerato e sfigurato, come lo aveva ridotto la crudeltà dei giudei. Tutti costoro lo adorarono, riconoscendolo anche da morto, e proclamarono di nuovo che veramente il Verbo fatto uomo si era caricato dei nostri dolori e aveva estinto il nostro debito, pagando con sovrabbondanza alla giustizia dell'eterno Padre quello che noi meritavamo, essendo egli irreprensibile e senza colpa. I nostri progenitori Adamo ed Eva compresero la strage compiuta dalla loro disobbedienza, il penoso rimedio che essa aveva avuto e l'immensa bontà e misericordia di Gesù. I patriarchi e i profeti videro adempiuti i loro oracoli e le speranze delle promesse superne. Sentendo nella gloria delle loro anime l'effetto della copiosa redenzione, lodarono ancora l'Onnipotente e il Santo dei santi, che l'aveva operata con una disposizione tanto meravigliosa della sua sapienza.

1467. Dopo di ciò, davanti a tutti loro, i ministri dell'Altissimo restituirono al corpo defunto i pezzi che avevano radunato come frammenti venerabili, riportandolo alla sua completezza e perfezione; nel medesimo istante l'anima santissima del Signore si ricongiunse ad esso, dandogli vita e splendore immortale. Al posto del lenzuolo e delle unzioni con cui era stato sepolto, fu rivestito dei quattro doni della gloria, cioè della chiarezza, dell'impassibilità, dell'agilità e della sottigliezza, e questi dall'anima si trasmisero al corpo divinizzato. Erano dovuti all'Unigenito come per eredità e partecipazione naturale dall'istante della sua concezione, perché fin da quel momento la sua anima santissima era stata glorificata e la sua umanità innocentissima unita alla divinità; in tale occasione, però, essi erano rimasti sospesi, senza ridondare nel corpo purissimo, per lasciarlo soggetto alle sofferenze e permettergli, privandosene, di conseguire la nostra gloria. Quando risorse gli vennero con ragione riconsegnati in misura proporzionata all'unione della sua anima con la divinità e alla gloria corrispondente. Come questa è inspiegabile ed ineffabile per la nostra scarsa capacità, così è impossibile anche definire adeguatamente con parole e con esempi quella delle sue membra divinizzate, perché a paragone anche il cristallo è oscuro. La luce che contengono e riflettono sovrasta quella degli altri corpi gloriosi come il giorno vince la notte e un migliaio di soli una singola stella. Se anche si facesse confluire in qualche essere la bellezza di tutti gli altri, sembrerebbe bruttezza al confronto e nell'intero universo non ce n'è alcuno simile.

1468. L'eccellenza di tali quattro doti superò allora di gran lunga quella che esse avevano avuto sul Tabor ed in altri frangenti nei quali Cristo aveva mutato il suo aspetto: il suo sacro corpo le aveva sempre avute di passaggio e nel modo conveniente al fine per il quale si era trasfigurato, mentre in questo caso le ebbe con pienezza per goderne perennemente. Per mezzo dell"'impassibilità" esso divenne invulnerabile rispetto ad ogni potere creato, perché niente era in grado di alterarlo o cambiarlo. Tramite la "sottigliezza" fu purificato a tal punto da poter penetrare negli altri corpi senza incontrare resistenza, come un semplice spirito; così, attraversò la pietra del sepolcro senza muoverla né spezzarla, nella stessa maniera in cui era uscito dal grembo verginale della castissima Madre. L"'agilità" lo rese tanto libero dal peso e dalla lentezza della materia da oltrepassare quella degli angeli immateriali e da dargli facoltà di spostarsi da un luogo all'altro con più rapidità di loro, come accadde nelle apparizioni agli apostoli e in altre circostanze. Le sacre piaghe, che prima deformavano il suo beatissimo corpo, diventarono nei piedi, nelle mani e nel costato così graziose e sfavillanti da farlo stupendo, in modo ammirevole. Il nostro Salvatore si alzò dalla tomba con tutta questa magnificenza e maestà, e alla presenza dei santi e dei patriarchi promise a tutto il genere umano che, come frutto della sua risurrezione, ciascuno sarebbe risuscitato nel proprio corpo e i retti sarebbero stati glorificati in esso. Come pegno di questa assicurazione e come caparra della risurrezione universale, ordinò alle anime di molti tra coloro che si trovavano lì di ricongiungersi ai loro corpi e di risuscitarli per l'immortalità. Tale comando fu immediatamente eseguito ed essi tornarono in vita, come riferisce Matteo anticipando il mistero. Fra di loro vi furono sant'Anna, san Giuseppe, san Gioacchino ed altri padri che si erano distinti nella fede e nella speranza dell'incarnazione, desiderandola e domandandola con più insistenza. Come premio per queste opere, fu anticipata la glorificazione dei loro corpi.

1469. Oh, come già si mostrava vigoroso e mirabile, vittorioso e forte questo leone di Giuda, figlio di Davide! Nessuno si destò mai dal sonno con la velocità con cui egli si svegliò dalla morte. Subito, alla sua voce imperiosa, le ossa rinsecchite e disperse di tali vecchi cadaveri si accostarono e la carne, ormai trasformata in polvere, si formò di nuovo e si unì ad esse ricostituendo l'antico corpo, migliorato dai doni di gloria che ridondavano dall'anima glorificata da cui riceveva vita. Tutti quei giusti furono fatti risorgere in un attimo e stettero in compagnia del loro Redentore, più rifulgenti del sole stesso, puri, leggiadri, trasparenti e leggeri per seguirlo ovunque. Con la loro sorte beata ci confermarono nella fiducia di contemplarlo nella nostra stessa carne, con i nostri stessi occhi, e non con quelli di altri, come aveva profetizzato Giobbe per darci consolazione. La Regina era informata di tutti questi segreti e partecipava di essi con l'illuminazione che aveva nel cenacolo. Nell'istante in cui l'anima santissima di Gesù entrò nel proprio corpo fu comunicato a quello di Maria il gaudio che era rimasto trattenuto nella sua anima, e come concentrato in essa in attesa della risurrezione di lui. Questo beneficio fu tale da portarla dalla pena alla letizia, dalla tristezza alla contentezza, dal dolore alla felicità ineffabile e al riposo. In quell'occasione Giovanni si recò a visitarla, come aveva fatto il giorno precedente, per rincuorarla nella sua amara solitudine, e scorse improvvisamente colma di splendore e di contrassegni di gloria colei che poco innanzi riconosceva appena nella sua afflizione. Si meravigliò e, avendola osservata con grande riverenza, giudicò che Cristo dovesse essere già risorto, poiché ella era così rinnovata.

1470. La Signora, con questa eccezionale esultanza e con atti sublimi che compiva di fronte a realtà tanto eccelse, cominciò a disporsi all'incontro con il suo diletto, al quale era già molto vicina. Tra gli inni, i cantici e le preghiere, sentì in sé un altro mutamento, cioè una specie di giubilo e sollievo celeste, corrispondente in modo straordinario alle tribolazioni che aveva sostenuto. Questo era differente e più elevato della ridondanza di gioia che dalla sua anima traboccava in maniera naturale nel corpo. Dopo tali effetti provò subito un terzo favore di altre elargizioni superne: avvertì che le erano infuse con diversa luce le qualità che precedono la visione di Dio, nell'illustrazione delle quali non mi soffermo, avendolo già fatto nella prima parte. Aggiungo solo che in questa circostanza ella ottenne grazie più abbondanti ed eccellenti che nelle altre, per il sacrificio di sua Maestà e i meriti da lei acquistati in esso; il conforto che le veniva dalla mano onnipotente di lui era proporzionato ai suoi molteplici affanni.

1471. Il nostro Salvatore, risorto e glorioso, arrivò da lei, che era così preparata, accompagnato da tutti i santi e i patriarchi; ella, sempre umile, si prostrò a terra e adorò il suo Unigenito, che la fece alzare e la strinse a sé. Con questo abbraccio, più intimo di quello che Maria di Màgdala bramava con la sua umanità e le sue piaghe, alla Madre vergine fu fatta una concessione assolutamente singolare, di cui ella soltanto fu degna, in quanto libera dalla legge del peccato. Anche se allora non fu la più considerevole, non avrebbe potuto accoglierla se non fosse stata sorretta dagli angeli e dal Signore stesso, perché non venissero meno le sue facoltà. Il prodigio fu che il corpo glorioso racchiuse quello della sua castissima genitrice, compenetrandosi con lei o penetrandolo con se stesso, come se un globo di cristallo tenesse dentro di sé il sole, che con i suoi raggi lo riempisse tutto di luminosità e di bellezza. Così ella si unì a lui per mezzo di quel divinissimo contatto, che fu come una porta per entrare a comprendere la gloria della sua anima e del suo corpo. Per tali privilegi, come per gradi di doni ineffabili, il suo spirito si innalzò alla cognizione di profondi arcani; mentre era in essi, udì una voce che le diceva: «Amica, ascendi più su». Per essa fu trasformata completamente e ammirò l'Altissimo in modo chiaro e intuitivo, trovando in lui, benché di passaggio, il riposo e il premio di tutte le sue angustie. Qui è necessario il silenzio, perché mancano le parole e la capacità per riferire ciò che le avvenne in tale visione, che fu più mirabile delle altre che aveva avuto. Celebriamo questo evento con stupite lodi, con congratulazioni, con amore e con riverenti ringraziamenti per quanto ci guadagnò e per quanto fu sollevata.

1472. Per alcune ore la Principessa godette di Dio con suo Figlio, partecipe della sua gloria come lo era stata del suo strazio; quindi, discese attraverso gli stessi gradi per i quali era salita e alla fine restò di nuovo reclinata sul braccio sinistro della santissima umanità, accarezzata in altra maniera dalla destra della sua divinità. Ebbe con Gesù dolcissimi colloqui sugli inesprimibili misteri della sua passione e della sua esaltazione, rimanendo in essi un'altra volta inebriata dal vino della carità, che bevve senza limitazione alla sua stessa fonte. In tale occasione le fu dato con larghezza quanto una semplice creatura poté mai ricevere, perché l'equità celeste volle compensare il "quasi aggravio" - lo chiamo così perché non mi so spiegare meglio - che, tanto integra e senza macchia, aveva sofferto con gli spasimi della crocifissione e di quanto la precedette, che furono gli stessi di Cristo; il gaudio e il beneficio corrisposero alle pene che ella aveva subito.

1473. Quindi, sempre in uno stato eccelso, si rivolse ai presenti, che riconobbe tutti insieme e ciascuno individualmente secondo il loro ordine, magnificando l'Onnipotente per ciò che la sua sconfinata misericordia aveva realizzato in ognuno. Le dette particolare gioia incontrare i suoi genitori Gioacchino e Anna, il suo sposo Giuseppe e Giovanni il Battista. Parlò a loro e poi ai patriarchi, ai profeti e ai progenitori Adamo ed Eva. Tutti si inginocchiarono contemporaneamente davanti a lei, Madre del Salvatore, causa del loro rimedio e cooperatrice della loro redenzione. Come tale vollero venerarla adeguatamente, poiché così dispose la sapienza superna; la Regina delle virtù e maestra dell'umiltà, però, si chinò al suolo e rese omaggio a tutti come era loro dovuto. Sua Maestà le permise di farlo perché costoro, benché inferiori nella grazia, le erano superiori essendo nella condizione di beati con gloria perenne, mentre ella era ancora viatrice. Continuò poi tale conversazione dinanzi all'Unigenito, e invitò loro e gli angeli ad acclamare colui che aveva prevalso sulla morte, sul peccato e sull'inferno; questi, dunque, intonarono altri cantici, salmi ed inni. Giunse così l'ora nella quale il Risorto apparve altrove.

Insegnamento della Regina del cielo

1474. Carissima, rallegrati nell'afflizione che provi nel riconoscere il tuo discorso insufficiente per esporre ciò che il tuo intimo afferra di realtà tanto sublimi quali sono quelle delle quali hai scritto. È trionfo della persona e onore del suo Autore che essa si dia per vinta di fronte ad arcani così ammirevoli, tanto più che nella carne peritura si possono capire in misura minore. Io sentii i tormenti del mio adorato e, anche se non persi la vita, sopportai in maniera inesplicabile i dolori propri del decesso. A questo ebbe proporzionatamente seguito in me una straordinaria risurrezione mistica ad un modo di essere più elevato nella perfezione e negli atti. Essendo l'Altissimo infinito, quantunque se ne partecipi molto si ha ancora tanto da intendere, gustare, amare. Perché adesso tu possa indagare qualcosa della gloria del mio Signore, della mia e di quella degli eletti, scorrendo le doti del corpo glorioso, ti voglio proporre la regola per passare a quelle dell'anima. Ti è noto che queste sono: "visione", comprensione e fruizione.,; le prime, invece, sono quelle che hai già ripetuto: "chiarezza", "impassibilità", "sottigliezza" e "agilità".

1475. A tutte queste qualità si collega in chi è in stato di grazia qualche incremento per qualsiasi azione apprezzabile, benché non maggiore del muovere una pagliuzza per amor di Dio o del porgere un bicchiere di acqua'. Per ciascuna, sebbene piccolissima, costui si procura per quando sarà in paradiso più "chiarezza" di quella di molti soli. Con l"’impassibilità" si allontana dalla corruzione mondana più di quanto riesca a respingerla con tutti i suoi sforzi, scostando da sé ciò che lo può offendere o alterare. Con la "sottigliezza" avanza nell'essere al di sopra di quello che gli può resistere e acquista nuova forza su ciò che cerca di penetrare. Riguardo all"’agilità", per ogni opera buona gli è data più velocità di quella degli uccelli, dei venti, del fuoco e di tutti gli altri elementi nel tendere verso il loro centro di attrazione. Dall'aumento delle doti del corpo dedurrai che cosa ottengano quelle dell'anima, alle quali esse corrispondono e dalle quali derivano. Nella "visione" beatifica ogni atto lodevole garantisce una cognizione degli attributi e delle prerogative dell'Eterno più profonda di quella conseguita da tutti i dottori e i dotti dei quali la Chiesa si vanta. Si estende pure la "comprensione" di tale oggetto, perché per la fermezza con cui si possiede quel sommo e inesauribile bene viene concessa al giusto ulteriore sicurezza e riposo più stimabile che se fosse suo quanto vi è di più prezioso, ricco e desiderabile, anche se l'avesse tutto senza timore di esserne privato. Nella "fruizione", per la carità con cui si agisce, sono elargiti in cielo eccellenti gradi di amore fruitivo. Mai il più intenso affetto che i mortali hanno per ciò che è materiale arrivò a poter essere paragonato con tale accrescimento, né il godimento che risulta da esso con tutto quello che si trova nell'esistenza terrena.

1476. Figlia mia, innalza le tue riflessioni: dai mirabili premi anche di un solo gesto fatto per l'Onnipotente pondera a fondo quale sarà quello dei santi, che per lui ne compirono di tanto eroici e magnifici, e patirono torture e martiri così crudeli come sono attestati. Se accade questo in loro, che sono semplici uomini e soggetti a colpe e mancanze che ritardano il merito, considera quanto più potrai quale debba essere l'enorme grandezza del mio Unigenito, e coglierai sino a che punto sia limitata la vostra capacità, soprattutto nel tempo del pellegrinaggio, per abbracciare degnamente questo mistero e farsene un giudizio appropriato. L'anima santissima di Cristo era congiunta sostanzialmente alla Persona divina ed era conseguente che Dio, dopo averle comunicato in modo ineffabile il suo stesso essere, riversasse in essa l'oceano sconfinato della medesima divinità, beatificandola in misura adeguata. Anche se Gesù non guadagnò questa gloria, perché l'ebbe fin dall'istante della sua concezione nel mio grembo per l'unione ipostatica, quello che fece in trentatré anni, nascendo in povertà, vivendo in mezzo a tribolazioni, amando come viatore, ammaestrando, soffrendo, acquistando meriti, redimendo l'intero genere umano, fondando la comunità ecclesiale e quanto la fede cattolica insegna, procurò al suo corpo purissimo gloria proporzionata a quella dell'anima. Ciò è inesprimibile ed immenso, e sarà manifestato solo quassù. Il braccio vigoroso dell'Altissimo realizzò anche in me, umile creatura, cose stupende, che mi fecero subito dimenticare i tormenti della passione. Lo stesso avvenne ai padri del limbo e avviene agli altri retti quando ricevono la ricompensa. Scordai l'amarezza e le pene che avevo dovuto sopportare, perché il sublime gaudio bandì il dolore, ma non cancellai mai dalla mia mente quello che il Redentore aveva sostenuto per tutti.

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