Commento al Vangelo del Martedì Santo





Ultima cena di Giovanni Canavesio


Sul petto di Gesu'

Possiamo essere voce della Parola soltanto se la nostra vita è permeata della Parola, se la viviamo nella Parola. I padri greci hanno detto che la nostra esistenza deve essere una esistenza per la Parola e della Parola. In altri termini, le parole che noi possiamo pronunciare convincono soltanto se la nostra stessa vita è Parola, è nutrita dalla Parola, vive della Parola.
Così possiamo pensare alla storia commovente dell’Ultima Cena, nella quale san Giovanni ci comunica che il discepolo amato era inchinato sul petto del Signore: dicendo questo ci fa pensare all’inizio del Vangelo, dove si dice che il Figlio viene dal seno del Padre, è al petto del Padre e perciò ci fa vedere il Padre. Essere in servizio della Parola presuppone lo stare in questa relazione profonda con Colui che è la Parola, essere sul petto del Figlio come lui è sul petto del Padre, bere dal suo cuore la Parola, vivere in vicinanza del suo cuore, dal quale bere la Parola della vita. San Paolo ci dice le stesse cose con altri termini, dicendo che dobbiamo entrare nei sentimenti di Cristo. Quali sono i sentimenti di Cristo? San Paolo risponde: si umiliò fino alla croce. E proprio umiliandosi ha superato la superbia di Adamo, la superbia che distrugge l’umanità. Nell’umiltà di questa discesa fino alla morte ha trasformato la miseria umana, perdendosi è divenuto realmente dominatore del cielo e della terra. E qui sentiamo la parola del Signore: solo chi si perde si trova veramente, chi vuole avere la sua vita per sé la perde e chi perde la sua vita la trova. Perdere la vita è il grande movimento dell’amore, che è il movimento del diacono, il movimento di san Giovanni Battista e finalmente il dinamismo di Cristo stesso. Entriamo in questi sentimenti di Cristo e impariamo così la Parola, per divenire con la stessa nostra vita parola di Cristo e della Vita.

Card. Joseph Ratzinger, omelia in occasione delle ordinazioni di sacerdoti e diaconi della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo. 24 giugno 2000, cattedrale della diocesi di Porto Santa Rufina, La Storta, Roma

Gv 13,21-33.36-3

In quel tempo, mentre Gesù era a mensa con i suoi discepoli, si commosse profondamente e dichiarò: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: “Di’, chi è colui a cui si riferisce?”. Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”. Rispose allora Gesù: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò”. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”.
Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: “Compra quello che ci occorre per la festa”, oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.
Quand’egli fu uscito, Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire”.
Simon Pietro gli dice: “Signore, dove vai?”. Gli rispose Gesù: “Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi”. Pietro disse: “Signore, perché non poso seguirti ora? Darò la mia vita per te!”. Rispose Gesù: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte”.

IL COMMENTO

Il Vangelo di oggi ci svela i criteri di Gesù. E, dobbiamo ammettere, sono molto lontani dai nostri. Una cosa colpisce, ed è che Gesù sapeva tutto. Sapeva chi lo avrebbe tradito. Sapeva come lo avrebbe consegnato. Gesù era a conoscenza di quel che sarebbe accaduto nel suo futuro più prossimo e non fa nulla per cambiarne la rotta. Il mondo, e noi in esso, farebbe carte false per sapere in anticipo, non dico i numeri al lotto, ma anche solo le proprie vicende sentimentali, il futuro dei figli, l'epilogo di storie intricate. Le cartomanti invadono le televisioni, gli oroscopi appaiono addirittura sulle prime pagine dei giornali, sedute spiritiche e pellicole di fantasia legate alla magia e alla possibilità di cambiare il destino monopolizzano le sale cinematografiche rapendo occhi e menti di adulti e bambini. Il desiderio di appropriarsi del futuro e di manipolarlo secondo i propri progetti di felicità ci accomuna tutti. Vorremmo sapere, per regolarci, per parlare, per aggiustare, per non sbagliare. Gesù invece sa e non fa nulla. Anzi. La chiave della Sua vita è tutta in questo paradosso. Lui conosce il destino che lo attende e vi entrerà sereno, senza dire parola, come chi ha già vinto. Vi entrerà certo attraverso il crogiulo umanissimo del Getsemani, nel quale si reca a pregare sino a sudare sangue proprio perchè sapeva che cosa lo attendeva. Gesù sapeva che era venuto nel mondo per assumere quell'ora. La Sua vita non aveva altro senso e direzione che quella segnata dal cammino verso Gerusalemme, il Golgota e il sepolcro. Sapeva e portava nel cuore sigillato il segreto del Padre, l'amore che riempiva quella volontà così cruenta. Gesù vedeva la trama positiva, di Grazia e di Gloria anche negli occhi assassini di Giuda. Lo sguardo di Gesù oltrepassava i sentimenti d'affetto e di giustizia di Pietro, lo vedeva già piangente sui suoi peccati, e lo aveva già perdonato. Tutto questo è ravvisabile nelle parole più volte profetiche di Gesù. L'intimità con il Padre era la tenda della Riunione dove, nuovo Mosè, ne riceveva le confidenze. Gesù aveva una chiave per la Sua vita. Ed era la Croce. Non ve n'era altra. Ed era la Chiave per aprire il cuore di Dio e lasciarne sgorgare la misericordia per ogni uomo. Era dunque una chiave preziosa, unica, indispensabile. Una chiave d'amore per l'umanità intera. Con essa stretta nella mano, fissa nel cuore e nella mente, Gesù si è incarnato e ha vissuto. "Entrando nel mondo Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà... Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell`offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre... Poiché con un`unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati " (Cfr. Eb. 10, 5 ss). Gesù non aveva bisogno di maghi, di indovini e di oroscopi, Gesù sapeva che era Figlio, che il Suo cuore era lo stesso del Padre, e questo era tutto. Il cuore e lo sguardo del Padre. Esattamente ciò che manca a noi. Tristi e insoddisfatti siamo come obbligati a dare ogni giorno un senso alla marcia della vita, sforzandoci di cambiarne orientamento quando non è secondo le nostre carte di bordo. Ci illudiamo di stabilire la meta, e tracciamo di conseguenza il percorso. E dimentichiamo chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando. Per questo oggi, accanto alla figura di Gesù, appare con il capo reclinato sul suo petto, la figura del discepolo che Lui amava. Tu, ed io. Siamo noi i discepoli che Gesù ama, la Sua dolcezza, la Sua tenerezza infinita, la Sua mitezza di fronte alla storia che lo condice alla morte, il Suo amore ci attirano a sé. Lui ci attrae nel profondo del Suo cuore. La luce per la nostra vita, per comprenderne il senso e per discernere il cammino, è la luce del Suo cuore trafitto d'amore. La luce di Pasqua che emerge, serena e limpida, dal Suo cuore squarciato, immagine del sepolcro aperto sulla vita e definitivamente serrato in faccia alla morte. Si, il cuore di Gesù, e il nostro capo, le nostre menti assorbite nel Suo amore, le nostre mani con quelle di Tommaso, ad accarezzarne il palpito appassionato e geloso. Gesù e ciascuno di noi, uniti nel cammino pasquale attraverso i giorni che ci attendono. In Lui il senso di ogni nostra esistenza, di ogni evento, anche il più banale. Tutto in noi è santo, così come è, non dobbiamo toccare nulla; niente da togliere, niente da aggiungere. Con Gesù possiamo fare nostre le parole di San Paolo agli anziani di Mileto: "Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio" (Cfr. Atti 20, 22 ss) . Giuda ci aspetta al varco, nella notte di questo mondo, e l'opera di satana gettata come un laccio contro di noi; Giuda è in ufficio, a scuola, forse in famiglia. Il tradimento, il disprezzo, l'isolamento. E malattie, e difficoltà, e precarietà. Sarà questa la nostra vita, ma in tutto, scorrerà l'amore di Dio, come un fiume, perchè questa generazione possa abbeverarsi alle fonti della Vita. Come è stato per Giuseppe venduto dai fratelli, il criterio per interpretare gli eventi della nostra vita è l'amore provvidente di Dio. "Io sono Giuseppe, il vostro fratello, che voi avete venduto per l`Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Perché già da due anni vi è la carestia nel paese e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio ed Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d`Egitto" (Cfr. Gen. 45, 5 ss). E' Dio che conduce la storia, che compie il bene anche dove appare solo il male. E' Dio che volge al bene, anzi, realizza la sua opera d'amore per il bene dell'uomo proprio laddove l'uomo esaurisce ogni possibilità. E' questo il senso della nostra vita che solo la Sapienza della Croce concede di cogliere negli eventi. Riposare sul petto di Cristo, pregare, scrutare la Scrittura, cibarsi del Suo amore attraverso i sacramenti, lasciare che la Sua Grazia invada tutto di noi perchè la Sua Gloria si manifesti nella nostra vita. Siamo già in quel "più tardi" nel quale possiamo andare con Gesù dove Lui è già andato. Lo possiamo a condizione di non presumere di noi e di abbandonarci, come discepoli amati, sul petto di Gesù.

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